§ NARRATORI PUGLIESI

Giuseppe Minonne




Francesco Lala



Di Giuseppe Minonne, una cerchia di estimatori e di lettori conosceva l'uno o l'altro dei suoi quattro libri di narrativa (il forestiero, La statua, Il giardino a tramontana e Il recinto), la cui pubblicazione comprende un arco di tempo che va dal 1972 al 1983, e i suoi racconti, comparsi su varie riviste (ricordiamo Il processo, I due cani, Il cavallo del santo, Il bugiardo), attività, quest'ultima, intensificatasi nel biennio 1984-85, al quale appunto appartengono i quattro lavori citati, e Sulla scogliera, che, inedito, ora presentiamo in questa rivista. Ma a tale produzione, coerente in quanto a genere e segnata da concentrazione d'impegno, non vasta ma nemmeno esigua - e ci fa obbligo precisare: tutt'altro che esigua - non ha corrisposto un riconoscimento e un'attenzione da parte della critica, adeguati al merito di essa. E' questa - si sa - la sorte di chi rimane e della provincia difficile, per dirla con le intitolazioni di un altro narratore salentino, Giovanni Bernardini, di chi ha rinunziato - per amore o per necessità - a staccarsi dalle proprie radici e dalla propria terra; ma per Minonne ha 'giocato' il suo dato caratteriale: la sua riservatezza, unita al porre quasi come fine a se stesso il piacere di scrivere, senza la ricerca del 'rumore' di tanti scrittori, particolarmente, d'oggi. Intento alla suo "prosa d'immaginario", seguendo il suo istintivo bisogno di chiarificazione, Giuseppe Minonne non ha tenuto dietro a correnti letterarie o clan, ma alla resa del suo lavoro, che da Il forestiero a Il recinto ha raggiunto via via una maggiore corposità. Nel disegnare la figura di Irene, in Sulla scogliera, lo scrittore così si esprime: Irene saltellava da uno all'altro scoglio come capra selvatica e si fermava prima del balzo successivo, per spezzare un arbusto, una foglia e metterla in bocca. Agilità e astuzia erano insieme, grazia ed eleganza, spensieratezza e promessa di bellezza futura e di giovinezza e di stagioni felici. Non era stato così. Di solito non lo è mai; ma soccorre l'adattamento. La vita porta alla sopravvivenza. Ho sottolineato l'ultima parte della citazione perchè in essa mi pare di leggere il succo della poetica e della biografia dello scrittore: l'esprimersi, il fissare sulla carta è stato - ed è forse ancora - per Minonne la base dell'adattamento, la risposta che egli ha dato a due eventi dolorosi che hanno contrassegnato la sua esistenza, senza però abbatterlo definitivamente: la perdita della madre, quando aveva quattro anni e mezzo (con un conseguente matrimonio del padre e la comparso, nella suo vita, della 'mamma nuova', per lui l'intrusa, la ladro del posto materno, la presenza doppiamente traumatizzante), e la perdita della moglie, fatto che lo ha lasciato con due piccoli figli. Ma la vita porta alla sopravvivenza, e Minonne vive per i figli. La biografia dello scrittore è la matrice del suo lavoro letterario. Egli dice: "All'inizio è l'immaginario che spinge la mia penna, poi essa, man mano, mi porta all'autobiografia. "
Minonne è nato a Marittima, in provincia di Lecce, nel 1927. Nel paese vi erano solo scuole elementari; per chi voleva continuare gli studi, c'era Maglie, e il ragazzo ha frequentato il ginnasio inferiore e poi il liceo classico in tale cittadina. Conseguita la maturità, ha frequentato saltuariamente ]'Università di Napoli, dove si era iscritto alla facoltà di Lettere, mantenendosi intanto a Matera - donde si recava per frequentare qualche lezione e per sostenere gli esami nel capoluogo campano , lì facendo l'istitutore nel convitto nazionale. Dopo la laurea si è dedicato all'insegnamento, che esercita ancora a Lecce, dove vive. Non facili sono stati i rapporti tra lui e la matrigna, tanto che il giovane sentì la necessitò di sposarsi a ventidue anni, desideroso di troncare il cordone che lo teneva legato ad un duplice dolore: la perdita della madre e la comparsa della 'madre nuova'. Al posto lasciato dalla madre", dice Minonne, "èmeglio che rimango vuoto. Il contrasto acuisce la sofferenza". Seguono pochi anni di esistenza lieta, con la sua donna, colei che, per una meravigliosa stagione, gli fu socia nell'"Impresa dell'ottimismo", come è scritto nella dedica de Il forestiero, il primo libro-liberazione, il primo pubblicato dopo la perdita dell'amata. Da questo momento tre sono le direttrici della vita di Giuseppe Minonne: la crescita di due figli, rappresentazione della sopravvivenza; il lavoro, a contatto della giovinezza che sempre si rinnova, condotto con sensibilità e cura; l'occupazione letteraria, costante e non frettolosa.
I quattro libri e i racconti del narratore pugliese costituiscono in sostanza un discorso continuo: lo scavo di una vita, la ricerca di un'interiorità mossa dal dolore, ma che pure riesce a risorgere e giunge ad una nuova serenità, al sorriso saggio che gli amici di Minonne conoscono. Trarre dalla propria vita qualche segreto, forse quello del valore dell'esistenza: questa l'ansia dello scrittore, che, pur nelle inevitabili cadute (ma in verità infrequenti), cerca una via di avanzamento stilistico e concettuale.
Il forestiero(1) (1972), il libro che apre la serie narrativa delle pubblicazioni "antologia di flash autobiografici", come - forse dallo stesso Minonne - è stato definito nell'ultima pagina di copertina de Il recinto, è piuttosto, mi sembra, un organico lavoro di ricostruzione memoriale dell'infanzia libera nei campi nei ritorni al paese, con il cane Poldi, cacciato da casa dalla "mamma nuova", della giovinezza alternantesi fra gioie e stridori. Ciò che più risalta in questa prima prova - in gran parte già riuscita è l'insistere, da parte del narratore, sui momenti felici dei primi vent'anni di vita, e il coprire con un velo di malinconica dolcezza anche i fatti più tristi dell'esistenza dell'io narrante. Nel libro si racconta della vita di collegio, del nonno (il "Tataranne") "inquieto all'avvicinarsi dell'estate, di quell'inquietudine, credo, che prende gli uccelli migratori prima della partenza; e se non si trasferiva in campagna, faceva pesare su tutti quel suo stato d'animo. Qui ritornava tranquillo, taciturno .(2)". Si passa poi agli anni di liceo, presso le varie padrone di casa, una delle quali non si è accorta nemmeno della guerra; infine giovanissimo, il matrimonio con Luisa, che si ammala e muore, e la crescita dei figli. Chiude il libro la visione del mare, evocatore di memorie. Il "meraviglioso fenomeno della vita", scrive E. Lariccia a proposito del volume, "scorre sulla pagina con un flusso naturale. (3)".
La statua (4) (1974) offre al lettore uno 'spaccato' di vita in un piccola paese di pescatori. Al centro vi è un giovane, Mario, il quale amministra l'azienda d'una vecchia e ricca vedova; non ha dunque problemi economici, ma è condannato da una lenta malattia. Incurante di questa, si reca nella profondità solitaria d'una grotta, quasi ogni giorno, e per lungo tempo si mette a trasformare una grande pietra longitudinale (una 'bitta' posta ad ormeggiare la grossa imbarcazione d'un nobile) in una statua. Egli vede in quest'accupazione il rimedio al vuoto, all'apatia e all'insoddisfazione che lo rodono dentro. Una giovane, Luisa, che gli apre la speranza all'amore (giungeva al paese per le vacanze al mare) una brutta estate non torna più. Non resta che ultimare la statua, vicino la quale Mario è trovato senza vita. Il romanzo rappresenta un passo innanzi nell'arte di Minonne: più ricco di suggestioni, al di là di ogni didascalismo, anche se alquanto inibito da simbologismo.
Le migliori prove di Minonne - oltre qualche racconto della maturità, come il cavallo del santo (5) - sono Il giardino a tramontana(6) (7979) e Il recinto (7) (1983). Il primo è "un'attenta analisi di una difficile, contraddittoria educazione sentimentale", scrive Enzo Panareo, "quella del protagonista, giovane, ma già maturo, perchè orfano di entrambi i genitori, studente di liceo classico, il quale, mediante la frequentazione della quasi coetanea Luisa, delle due sorelle presso le quali sta a pensione ( ... ), della bella matrigna Agnese, recepisce tutta una somma di stimoli esistenziali di esperienze di vita le quali lo aiuteranno a restituirsi senza inibizioni personali e storiche, al giardino a tramontana, cioè al luogo emblematico di un'infanzia serena, anche se priva dell'affetto materno ..." (8). Aggiungerei che questo bel romanzo breve (o racconto lungo; ambivalenza definitrice almeno per gli ultimi due libri, i primi due essendo ripartibili nel genere racconto) possiede una carica di analisi degno d'attenzione (riuscito il rapporto protagonista-matrigna, di ammirazione e distacco del primo; la donna, concedendosi a un giovane ragioniere, dopo la morte del marito, crea un solco insanabile, gravido di solitudine per il ragazzo). Lo stile è sobrio e la narrazione organica pur nella variazione temporale del flash-back. E' questo il più notevole fra i libri di Minonne.
Nel più recente volume, Il recinto, lo scrittore continua lo scavo nell'ambiente socio-economico che attornia le figure scelte a simbolo, quasi, delle difficoltà esistenziali, delle condizioni piú dolorose, tuttavia affrontate - se pur non sempre vinte - con spirito di resistenza. La statua, il giardino di casa (a tramontana), questa volta l'apparizione di due fanciulle, delle quali una, Elena - le cui parole "abbozzavano speranze" - rappresenta il vagheggiamento dell'amore, sono tutte mete che levificano e illuminano il cammino del vivere. Stefano narra la sua vicenda di "bastardo" che vuole scoprire le proprie radici, sapere di sua madre perduta da lui e "ripudiata, radiata dalla quotidianità" e dalla società. Qui "Minonne rende", scrive Ennio Bonea, "con l'efficacia espressiva d'una prova secca ed elegante ma non ricercata, la disperata solitudine d'un ragazzo ... " (9).
Resta infine da dire del racconto sulla scogliera, benché in breve spazio non sia possibile la minima analisi testuale. Ci limiteremo così ad accennare al sobrio lirismo che lo pervade, punteggiato da frammenti di realismo sùbito rientrati per non guastare la coerenza della prosa; alle sfumate suggestioni che arricchiscono il racconto ("Un passero spaurito, come scagliato da un arco invisibile.."; "Irene dal suo palchetto di pietra osservava il pigro ribollio delle acque.." ecc.); alla parchezza, forse eccessiva, del dialogo, che lascia il posto all'introspezione. Per il resto, fa tutto, nel racconto, la luce della maternità.


NOTE
1) G. Minonne, Il forestiero, Ediquattro, Lecce, 1972. 2
2) G. Minonne, Il forestiero, Cit., p. 30.
3) E. Lariccia, "II forestiero" di G. Minonne, in "Salento domani" 15 aprile 1972.
4) G. Minonne, La statua, Trevi editore, Roma, 1974.
5) G. Minonne, Il cavallo del santo, in "Contributi", Rivista della Soc. di Storia patria p.la Puglia, IV, 2, giugno 1985.
6) G. Minonne, Il giardino a tramontana, SAEDI editri., Lecce, 1979.
7) G. Minonne, Il recinto, Capone editore, Cavallino di Lecce, 1983.
8) E. Panareo, "Il giardino a tramontana", in "Sallentum", rivista quadr. di cult. e civ. salent., II, 3. 1979, pp. 147-8.
9) E. Bonea, "Minonne. Il recinto", in "Espresso sud", VII, 9. 1984, p. 52.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000