Abbastanza
severa la diagnosi del Fondo monetario internazionale. Per il Fmi, i
fatti sembrano parlare chiaro: nel 1985, l'Italia si era impegnata a
contenere il disavanzo pubblico. Non ha mantenuto l'impegno. "Il
deficit del settore-statale è cresciuto fin oltre il 16% del
Pil, rispetto all'obiettivo iniziale del 14,5%; l'inflazione ha rallentato
la sua caduta; lo sviluppo è rimasto debole; il deficit di parte
corrente della bilancia dei pagamenti si è allargato".
Il Fmi, dunque, non condivide il clima di euforia che sta dilagando
nel nostro paese. il favorevole momento internazionale darà un
effettivo impulso all'economia italiana. Ma non c'è alcuna assicurazione
che la situazione del paese continuerà a migliorare anche in
seguito. Il miglioramento, cioè, non implica che sia in atto
un'inversione di tendenza rispetto ad un 1985 che il Fmi reputa alquanto
negativo. Si dovrà attendere il 1987 per sapere se l'economia
italiana ha veramente "cambiato binario". Il maggior pericolo,
secondo il Fmi, è che il diffuso ottimismo per il calo del dollaro
e del prezzo del petrolio, nonché per i maggiori profitti delle
imprese, si traduca in una crescita eccessiva dei salari: concedere
più di quanto non permetto io nostra produttività significa
innescare una spirale salari-prezzi e permettere all'inflazione di crescere
indisturbata dal lato dei costi.
Anche le previsioni aggiornate della Cee delineano una situazione non
molto confortante. Nonostante i vantaggi derivanti dal crollo simultaneo
del prezzo del petrolio e del cambio del dollaro, il 1986 continuerà
ad essere un anno senza grandi svolte. I principali paesi europei, esclusa
la Germania, cresceranno ad un saggio non superiore al 3%. Per quanto
riguarda l'Italia, la Cee stima una crescita del prodotto interno lordo
del 2,9%, superiore a quella che ci veniva assegnata in precedenza e
pari al 2%. Un fatto positivo che ci permette di collocarci al secondo
posto, dopo la Germania, ma che non è sufficiente ad aprire una
nuova stagione. Continueremo, ad avere il maggior tasso di inflazione
(tetto fissato dal governo: 5%) e di disoccupazione (sfiorerà
il 14%) rispetto ai principali paesi della Cee.
Più positive le previsioni dell'Isco. Bilancia dei pagamenti
in attivo di 5.000 miliardi (contro il deficit di 7.000 miliardi dell'85),
incremento del 2,5% del Pil, inflazione inferiore al 6%: l'Italia, cioè,
potrà godere dei vantaggi derivanti dal regalo dollaro-Opec su
tutti i fronti, a patto che "sappia utilizzare il momento di tregua
per allentare i vincoli di fondo" e "rilanciare l'azione di
riequilibrio del sistema". In caso contrario, i problemi non affrontati
nell'86 si ripresenteranno puntualmente nel 1987, quando non ci saranno
i cali del dollaro e (forse) dei prezzi petroliferi ad attutirne la
gravità.
Ma se le previsioni sono d'obbligo, altrettanto doveroso diventa osservare
la dinamica attuale del nostro sistema: un sistema in cui concretezza
e realismo economico sembrano fondersi alla ricerca di un contesto nuovo
in cui affermare la propria autonomia. Ed è voglia di capitalismo,
quindi di crescita economica, di imprenditorialità. Sembra aprirsi
una nuova epoca. Le imprese denunciano profitti senza precedenti. Hanno
di che autofinanziarsi. E, soprattutto, godono dell'appoggio di una
magica Borsa. A ben guardare, il fatto veramente nuovo è proprio
questo: un mutamento nella struttura del risparmio privato che, oggi
più che mai, è indirizzato al finanziamento delle imprese.
E se le eredità del passato incrinano gli ottimismi, il calo
dei prezzi del petrolio e del dollaro apre nuovi spiragli di speranza.
Infatti il forte peso delle importazioni di materie prime e di fonti
di energia, che per 10 anni ha penalizzato la nostra economia, sta oggi
giocando a nostro favore.
Le imprese, poi, hanno concluso il loro processo di ristrutturazione,
attuato attraverso la compressione dei costi e il sacrificio occupazionale.
Adesso, nuovi profitti si potranno avere solo espandendo il volume delle
merci prodotte. E l'aumento della produzione comporta una crescita dell'industria
in generale, e quindi dell'occupazione.
La società assolve bene la sua parte, indirizzando la ricchezza
verso impieghi produttivi, nonostante che gli investimenti in titoli
di Stato costituiscano sempre una tentazione molto forte. Ora spetta
ai responsabili delle decisioni politiche ed economiche rimuovere i
vincoli e gli ostacoli che si frappongono tra la situazione reale e
uno sviluppo di piena occupazione. Adam Smith parlava dell'operare di
una mano invisibile (il mercato) che assicurava il soddisfacimento simultaneo
degli interessi individuali e di quelli collettivi, e invitava lo Stato
a non intralciare l'attività economica, lasciando che essa fosse
svolta dagli operatori privati sulla base del criterio del profitto.
Anche se siamo ben lontani dall'ottimismo smithiano e dall'operare della
mano invisibile, non possiamo non ammettere che la capacità di
crescita della nostra economia è penalizzata dai numerosi vincoli
che operano nel sistema.
Esistono due milioni e mezzo di disoccupati, senza contare i 600 mila
giovani che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro.
Ma l'obiettivo primario di creare nuovi posti di lavoro si scontra con
il vincolo rappresentato da un debito pubblico che supera la ricchezza
prodotta in un anno, crea inflazione, distrugge risparmio. Il favorevole
momento internazionale può allora essere sfruttato per ridimensionare
senza sforzi questo deficit. Qui sta l'errore. In Italia esistono ancora
aree (quelle del Mezzogiorno) avvolte nella morsa del sottosviluppo.
In queste regioni nessun imprenditore è disposto ad impiantare
nuove imprese. Quello che manca sono le infrastrutture. Spetta alle
aziende statali, come l'Enel e la Sip, investire per prime. Ed è
a questi scopi che deve servire la fiscalizzazione dei prodotti petroliferi,
potendo il deficit pubblico essere ridimensionato tagliando le spese.
Non dimentichiamo, poi, i vincoli rappresentati dalla scarsa mobilità
del mercato del lavoro e dall'inefficienza dei servizi pubblici. Vincoli
che intaccano sempre più la competitività della nostra
economia nei confronti del resto del mondo.
Ma il paese ha voglia di crescere. Quale evento più positivo
di questo? l'andamento della Borsa è un segnale evidente. E già
dal governo e dalle forze politiche arrivano le prime polemiche: le
imprese guadagnano troppo, mentre nel paese ci sono troppa inflazione
e troppa disoccupazione. E arrivano anche le prime minacce: se le imprese
non trasformeranno gli utili in nuovi investimenti, saranno penalizzate
con rigide misure fiscali. Come non ricordare che negli anni Settanta
le imprese sono state sull'orlo della rovina, proprio perché
i troppi obblighi cui dovevano assolvere avevano fatto sparire gli utili?
Ognuno faccia la sua parte, certo. Ma un po' di scetticismo è
d'obbligo. Non vorremmo forse l'ennesimo modo per scaricare le proprie
responsabilità su chi ne ha già fin troppe.
Purtroppo, il dirigismo in atto può deviare lo sviluppo normale
del capitalismo. Il boom della Borsa può diventare un fenomeno
anomalo e pericoloso se le attese saranno deluse. Ecco perché
i profitti vanno distribuiti sotto forma di utili tra coloro che hanno
creduto nelle aziende, finanziandole. Solo così, infatti, alle
imprese potranno affluire nuove ricchezze, nuovi risparmi. Solo così
esse potranno espandere la produzione e aumentare l'occupazione. è
una legge economica che non può essere forzata.
Il timore è, dunque, che ancora una volta non riusciremo a sfruttare
la presenza contemporanea di fattori altamente favorevoli. D'altra parte,
le carenze del nostro sistema sono così note e permanenti che,
inconsapevolmente forse, stiamo correndo il rischio di abituarci a convivere
con esse. La prolungata assenza di adeguate misure di politica economica
è un sintomo (o l'effetto?) di una rassegnazione, diffusa nelle
alte sfere, che corrode ogni evento positivo, anche se irripetibile.
Alfredo Aiello
Università di Bari
La discesa del cambio del dollaro, da una parte, e la caduta verticale
dei prezzi del greggio, dall'altra, inducono a formulare una previsione
ponderatamente ottimistica circa la performance della nostra economia
nell'anno in corso. Infatti, per l'effetto congiunto di questi due
fenomeni, il vincolo della bilancia dei pagamenti, che ha operato
in modo assai stringente nel 1985, sarà attenuato nel 1986.
Ma i gravi problemi restano e non sarà questo l'anno dei cambiamenti.
Primo, in ordine d'importanza, il debito pubblico: l'indebitamento
globale del settore pubblico supera largamente il Pii. Si osserverà
il tetto di 110 miliardi fissato dall'attuale Finanziaria?
E, se no (come ogni anno puntualmente accade), di quanto sarà
superato?
Preoccupa poi il fatto che c'è oggi una campagna di stampa,
una certa opinione diffusa, contro l'attenuazione delle distanze economico-sociali
fra le classi relativamente ricche e le classi relativamente povere.
A me pare che quelle istanze verso una maggiore giustizia sociale
siano state messe in soffitta dai responsabili delle decisioni politiche
ed economiche. Eppure, è da più di un secolo che si
prospetta l'esigenza di una meno iniqua - come diceva Keynes - e arbitraria
distribuzione della ricchezza e dei redditi. Questo genera una certa
amarezza in un osservatore che ha sempre creduto che l'obiettivo di
una maggiore giustizia sociale fosse preminente nelle decisioni e
negli obiettivi della politica macroeconomica.
Altro preoccupante fenomeno resta quello della disoccupazione. le
vecchie ricette non valgono più. Prima si faceva affidamento
in particolare sugli investimenti. Era l'investimento, con la creazione
e/o la dilatazione di vecchie e nuove imprese, che generava nuovi
posti di lavoro, mettendo in moto tutti quegli effetti moltiplicatori
di reddito noti nella letteratura economica. Adesso, i nuovi investimenti
si riducono in produzioni che risparmiano lavoro, in produzioni, cioè,
che richiedono un'alta concentrazione capitalistica e che permettono
di produrre la stessa quantità di beni con minore utilizzo
di mano d'opera. Né le vecchie ricette dei lavori pubblici
possono servire a migliorare la situazione. I lavori pubblici, infatti,
possono assorbire manovalanza generica. Nulla possono, invece, contro
il drammatico fenomeno della disoccupazione intellettuale. Contro
questo fenomeno non servono rimedi nazionali: occorre adottare una
strategia comunitaria.
Ultimo in ordine d'importanza è il problema meridionale. Un
problema che non attrae più l'interesse dei responsabili delle
decisioni politiche. Dov'è andata a finire la centralità
della questione meridionale? Dov'è andato a finire lo slogan
di Salvemini: "L'Italia sarà quello che sarà il
Meridione"? Il Sud rimane così nella sua pelle di leopardo:
con zone come Puglia, Basilicata e Abruzzo ad alto sviluppo relativo;
e zone come Sicilia, Calabria e Sardegna che registrano un tasso di
divario notevole, sia rispetto alle regioni del Centro-Nord, sia rispetto
alle altre regioni meridionali. Resta la Campania: Salvemini diceva
che la regione campana va tenuta distinta dalle altre regioni. E,
in effetti, anche se non c'è più una netta dicotomia
con il resto del Meridione, la Campania rimane una regione con problemi
strutturali davvero preoccupanti.
Secondo me, si farà una politica economica mirante a rivitalizzare
le forze di mercato. D'altra parte, se gli anni '30 sono stati gli
anni della crisi del mercato, la fine degli anni '70 e l'inizio degli
anni '80 sono stati gli anni della crisi della politica economica.
Negli anni '30 provvide Keynes a fornire delle ricette per rivitalizzare
le forze di mercato, attraverso l'intervento massiccio dello Strato.
Gli anni '80 non hanno ancora avuto un economista che, prendendo atto
della crisi delle politiche macroeconomiche, indicasse nuove linee
di condotta. Penso, quindi, che sarà una politica economica
quasi di lasciar fare. Questo può essere un fatto positivo,
ma non dimentichiamo che la grande crisi fu originata proprio dalla
libera esplicazione delle forze di mercato.
Un'ultima considerazione non può non andare ai nostri politici.
E non credo servano previsioni in proposito. Essi continuano ad essere
dominati dalla filosofia dell'autostop, del carpe diem, ossia dalla
filosofia del giorno dopo giorno. Politici, non statisti. Guardano
al momento attuale e si preoccupano solo di rafforzare le proprie
basi elettorali, senza pensare alle conseguenze per l'economia.
Orlundo D'Alauro
Università di Genova
Purtroppo, come negli anni scorsi, ci si trova ancora di fronte alla
pressante esigenza di ridurre l'inflazione senza sacrificare troppo
l'occupazione e la crescita economica.
Si rileva che perdura lo scarto fra il tasso d'inflazione che grava
sul nostro paese e i tassi rilevanti in tutti gli altri paesi industrializzati.
La riduzione di tale scarto implica un freno della domanda interna,
specie di quella eccitata dalla spesa pubblica.
( ... ) E, insieme, esige che le parti sociali accettino le limitate
rinunzie richieste, nell'interesse dei lavoratori in generale, dall'attuazione
di tale programma.
Mi pare che il 1986 sia l'anno in cui questa operazione può
essere realizzata in modo meno disagevole che in passato. Sono, in
effetti, in corso tendenze che potrebbero rendere meno costosa e più
efficace la politica italiana di riequilibrio: in particolare, sono
in corso la flessione quasi generale dei prezzi delle materie prime,
la flessione del corso del dollaro e la flessione, sia pure non molto
rilevante, dei tassi d'interesse reale quotati nei principali mercati
esteri. ( ... ) Tuttavia, perché ciò accada è
necessario che gli uomini politici e le autorità monetarie
non siano più in alcun modo tolleranti: ossia, non consentendo
sconfinamenti cosiddetti temporanei e non rinuncino a manovre di una
certa severità. In caso contrario, v'è da temere che
l'inflazione riprenda e che i problemi strutturali riguardanti i nostri
rapporti con l'estero divengano più preoccupanti.
Siro Lombardini
Università Cattolica di Milano
In molti settori industriali si sono registrati forti aumenti di produttività
che hanno, in molti casi, consentito di realizzare profitti. l'efficienza
media della nostra economia rimane però a livelli insoddisfacenti,
sia per i troppi ostacoli che impediscono ad altri settori e a numerose
imprese di ristrutturarsi, di riqualificare la produzione e di aggiornare
le tecniche produttive, sia per l'inefficienza della pubblica amministrazione
che, in un modo o nell'altro, finisce per riflettersi sul grado di
produttività della nostra economia. Il non aver rimosso gli
ostacoli alla crescita della produttività e il non aver attenuato
il vincolo della bilancia dei pagamenti si riflette in un tasso di
crescita ancora inadeguato alle esigenze socio-demografiche italiane:
la limitata crescita del reddito ha effetti di ritorno negativi sulla
stessa crescita della produttività. ( ... ) Si delinea così
il circolo vizioso che limita gli effetti della lotta contro l'inflazione
e che rende particolarmente drammatico il problema dell'occupazione.
( ... )
Si può ragionevolmente ritenere che dall'esterno non verranno
impulsi a una accelerazione del processo inflazionistico. Anche per
quanto riguarda la dinamica salariale appare ragionevole prevedere
che essa risulterà nel 1986 sufficientemente moderata. Malgrado
queste evoluzioni prevedibilmente favorevoli, vi sono tuttavia motivi
per ritenere che una ulteriore riduzione del tasso di inflazione incontrerà
seri ostacoli: non è neppure esclusa la possibilità
di una riacutizzazione del fenomeno. Il motivo principale è
l'espansione, largamente incontrollata, della spesa pubblica. (...)
La seconda ragione è la necessità di sostenere il tasso
di crescita dell'economia. Premono in questa direzione sia industriali,
sia sindacati. (...) E' comunque assai difficile conseguire l'obiettivo
proposto dal governo di portare il tasso d'inflazione al 6%.
Giovanni Zanetti
Università di Torino
Nel sistema industriale italiano permangono degli scompensi di un
eccesso di domanda e di un tasso di inflazione differenziale rispetto
agli altri paesi economicamente avanzati. Con specifico riferimento
a quest'ultimo aspetto, le prospettive per il 1986 sembrano caratterizzarsi
per una possibile persistenza, o forse per un aggravamento, di tale
situazione. ( ... )
Per l'86, la variazione del salario orario industriale previsto da
Prometeia, si fissa nell'8,7%, minore di quasi due punti all'analoga
variazione sperimentata nel 1985. Pare, tuttavia, non molto verosimile
che la variazione della produttività abbia a ripetere la dinamica
positiva dell'anno trascorso, soprattutto per l'oggettiva impossibilità
e indesiderabilità di un'ulteriore drastica riduzione dell'occupazione.
Si potrebbe quindi dare il caso in cui, pur con un ridotto aumento
salariale rispetto all'anno passato, si finisca con lo sperimentare
un incremento più sensibile del costo del lavoro per unità
di prodotto, con conseguente peggioramento della posizione competitiva
del nostro paese.
Terenzio Cozzi
Università di Torino
( ... ) Oggi come oggi, guardando all'Europa e all'Italia, l'opera
di pulizia e di preparazione per la successiva ripresa ( ... ) sembra
ormai largamente compiuta. Eppure, la ripresa non ha dato segni di
particolare vigore e, anzi, secondo tutte le previsioni, sembra destinata
a rimanere asfittica ancora per molto tempo. Appare sempre più
chiaro che occorre una politica di rilancio a livello europeo.
( ... ) L'Italia ha bisogno di una crescita di medio-lungo periodo
sensibilmente più rapida di quella prevista per la Comunità
europea. Ciò richiede uno sforzo eccezionale dal lato degli
investimenti anche per incominciare a creare le condizioni per il
superamento del nostro vincolo di bilancia dei pagamenti .
( ... ) Ma non si tratta solo di formulare in astratto un ambizioso
programma di investimenti. E' necessario inquadrarlo in una più
generale strategia per lo sviluppo delle produzioni e dell'occupazione
che si preoccupi di migliorare il funzionamento dell'intero sistema,
superando la considerazione parziale e scoordinata dei singoli problemi
considerati uno per volta. La visione complessiva delle condizioni
di funzionamento dell'intero sistema farà apparire chiaro che,
se maggiori risorse debbono essere destinate alla crescita degli investimenti
e dell'occupazione, la dinamica salariale dovrà necessariamente
rimanere contenuta. La spesa pubblica non potrà crescere al
di là di certi limiti e, soprattutto, dovrà essere riqualificata.
( ... ) In caso contrario, il ciclo perverso tra depressione e inflazione
riassumerò, prima o poi, la virulenza del passato. Ma questa
volta, a rendere il sistema socioeconomico molto più ingovernabile,
ci sarà anche il già avvenuto aggravamento drammatico
della situazione occupazionale.
Luigi Frey
Isel-Cgil
Da studioso che cerca di tenere attentamente sotto osservazione la
problematica occupazionale, non posso essere ottimista sulle prospettive
dell'economia italiana per il 1986. Infatti, tutte le previsioni.
disponibili sull'andamento dell'occupazione indicano un aumento degli
occupati nettamente inferiore a quello degli offerenti "espliciti"
di lavoro. ( ... ) Le previsioni per il 1986 indicano che diminuirà
soprattutto il tasso di occupazione dei giovani, delle donne e dei
meridionali, accentuando così in modo rilevante la problematica
di disoccupazione/sottoccupazione strutturale. In particolare, preoccupano
le prospettive di riduzione del tasso di occupazione nel Mezzogiorno,
dove stanno gradualmente crescendo la sfiducia e il disimpegno anche
in ambienti in passato protesi a coinvolgersi a fondo nello sforzo
di riflessione e mobilitazione per lo sviluppo meridionale.
La considerazione delle prospettive circa il tasso di occupazione
induce a proporre la problematica occupazionale come il vincolo dei
vincoli per la politica economica del 1986 e degli anni successivi
Veniero Del
Punta
Università di Roma
(...) L'economia italiana, schematicamente, funziona così:
in essa v'è uno squilibrio tra domanda e offerta complessiva,
con la domanda che supera sistematicamente l'offerta. Il divario viene
colmato attingendo risorse all'estero. Il sistema, in altre parole,
sta vivendo parecchio al di sopra delle proprie risorse.
( ... ) Lo stock del debito accumulato verso l'estero era di 50 miliardi
di dollari già qualche anno fa. Oggi pare che sia vicino a
60. Il debito cresce nonostante le forti spese per ripianarlo: segno
che, per pagare i debiti accumulati, ne contraiamo dei nuovi. In una
situazione del genere, il sistema economico italiano corre un grosso
rischio: di vedersi prima o poi "strozzare" da questo debito.
( ... ) Si dovrebbe, pertanto, spiegare con urgenza alla nostra classe
politica che il debito estero ha natura diversa da quello interno.
Che esso va onorato nei termini previsti. E che non possiede la virtù
di poter essere! rinnovato senza posa, come invece accade con quello
domestico. Ciò spiegato, si dovrebbe indurre la stessa classe
politica ad agire in modo da ripristinare un equilibrio tra l'offerta
e la domanda complessiva del sistema: anzi, a far prevalere l'offerta
sulla domanda interna, sì da poter restituire all'estero le
risorse date in prestito. Perché, così agendo, giungerà
prima o poi il "redde rationern". E potrebbe anche giungere
all'improvviso, determinato, per esempio, da una crisi politica o
sociale di una qualche complessità..
Pier Carlo
Nicola
Università di Milano
( ... ) Ritengo che l'economia italiana sia soddisfacentemente affidabile,
mentre la sua efficienza è tutt'altro che esaltante. Elementi
che contribuiscono a questa affidabilità ce ne sono parecchi,
sia spontanei sia artificiali. Tra quelli spontanei desidero ricordare
la ben nota arte di arrangiarsi dei nostri connazionali, che ha portato
alla fioritura della cosiddetta economia sommersa; nonché la
loro inesauribile inventiva e fantasia ( ... ). Tra gli elementi artificiali
vorrei ricordare la Cassa integrazione guadagni, che ha dato vita
alla figura dell'occupato inattivo, nonché il comportamento
di enti pubblici, quali l'Inps, che, nonostante il suo ingente e perdurare
deficit, sino a pochi mesi or sono non si era preoccupato di sollecitare
in alcun modo le miriadi di imprese inadempienti a versare i contributi
arretrati (favorendo così i loro conti economici).
Se si ritiene fondato questo punto di vista, e cioè che l'economia
italiana costituisca un sistema affidabile anche se non esemplarmente
efficiente, credo che si debba essere almeno moderatamente ottimisti
circa il futuro prossimo della nostra economia ( ... ). Rovesciando
una nota massima, voglio sperare che al moderato ottimismo della ragione
espresso sull'economia italiana non debba far seguito prossimamente
un pessimismo della volontà causato da cattive decisioni dei
nostri governanti.
Sergio Ricossa
Università di Torino
C'è una previsione abbastanza facile per il 1986, e cioè
che tra un anno parleremo dei medesimi mali dell'economia italiana.
Consideriamo la riqualificazione della spesa pubblica: tutti la inchiamo.
( ... ) Ma essa non avviene. Innanzitutto, perché, nel campo
pubblico, da un lato vi è troppa cattiva concorrenza, e dall'altro
lato manca la buona: c'è troppa cattiva concorrenza fra le
forze politiche, per arrivare a soluzioni demagogiche; e qui, quindi,
si pone un problema di riforma delle istituzioni democratiche. Il
secondo motivo per cui la riqualificazione della spesa pubblica non
riesce è che, nel settore pubblico, manca la concorrenza di
mercato. Se si riuscisse a introdurre elementi di concorrenza le cose
migliorerebbero. ( ... ) Ma questo è estremamente difficile
da realizzare. Quindi, che cosa ci resta? Ci resta non soltanto la
riqualificazione della spesa pubblica, ma, inevitabilmente, anche
la riduzione. Bisogna privatizzare molte iniziative pubbliche, tutte
quelle che si possono privatizzare, perché se rimangono nell'ambito
pubblico non acquisteranno mai quell'efficienza che noi auspichiamo
mediante la riqualificazione. (...) Temo, però, che la privatizzazione,
o qualunque riforma di questo genere, vada contro la volontà
politica di tutti i partiti, perché significa una riduzione
del loro potere. la cura non si può ottenere senza un forte
movimento di opinione pubblica che obblighi i politici a fare quanto
spontaneamente non farebbero mai.
Libero Lenti
Università di Milano
( ... ) Il 1986 non sarà molto diverso dallo scorso anno. Si
assisterà a una crescita lenta, ancora troppo lento, del prodotto
interno lordo, anche se alcune vicende dell'economia internazionale
potranno leggermente modificare questo scenario.
( ... ) Una volta si parlava di dualismo economico tra aree settentrionali
e quelle meridionali. Adesso si dovrebbe piuttosto parlare di un sistema
economico dimezzato. ( ... ) Da una parte, un settore pubblico che
produce poco e male e che, proprio per questo, assorbe, ma anche spreca
risorse economiche. Dall'altra, un settore privato ricco di capacità
imprenditoriaii, ma sostanzialmente povero di capitali e sempre più
orientato a usare questi capitali con un minor impiego di mano d'opera,
tra l'altro non sempre disponibile dal punto di vista professionale.
( ... ) Sarà un buon risultato se l'attenuazione delle tensioni
inflazionistiche dall'8-9% al 6-7% sardi accompagnata da un aumento
del prodotto interno lordo del 3-4%, anziché del 2%, come qualcuno
prevede. E, soprattutto, se l'aumento dei consumi rimarrà fermo
sul 2-3%, per lasciare maggiore
spazio a un aumento degli investimenti almeno del 6-7%. Solo così
sarà possibile ( ... ) da una spinta al superamento della fase
di stagnificazione che da anni condiziona il funzionamento del nostro
sistema economico.
Innocenzo Cipolietta
Confindustria
Se guardiamo il quadro previsionale del 1986, esso ricalca esattamente
quello negativo già conosciuto nel 1985, con la sola differenza
che, essendo cambiato il contesto internazionale, alcuni dei valori
assoluti mutano, ma non cambiano quelli relativi. L'inflazione in
Italia scende, ma è scesa e sta scendendo ancora in tutti gli
altri paesi ( ... ). La domanda interna di molti paesi europei accelererà
nel 1986, ma il suo incremento resterà modesto, sicché
l'Italia conoscerà ancora un anno di eccesso di domanda interna
e di perdita di competitività. Tale 'combinazione di squilibri
deriverà ancora una volta da una crescita eccessiva del disavanzo
pubblico e dei salari reali. ( ... ) Salari che crescono, in termini
reali, del 2%, in un contesto internazionale dove vi sono state riduzioni
e congelamenti dei salari reali, conferma che da noi si verificheranno
nuovamente un eccesso di domanda e una perdita di competitività.
( ... ) Le previsioni di Prometeia indicano una svalutazione della
lira tale da coprire appena la perdita di competitività prevista
( ... ). Analogamente, per la bilancia dei pagamenti si stima un deficit
di 8 mila miliardi nel 1986, che rappresenta un miglioramento rispetto
al 1985, ma in presenza di condizioni eccezionalmente favorevoli (dollaro
debole). Visto in questi termini, il quadro del 1986 è, dunque,
abbastanza negativo. ( ... )
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