Ricordando Giorgio Primiceri




Aldo Bello



Una sera di tanti anni fa - l'estate ritardava i colori dell'autunno - mi convocò in presidenza. Veniva da Leuca, dove fingeva di trascorrere le ferie, mentre in realtà restava chiuso per buona parte del giorno nel suo studio, alle prese con carte, con fascicoli, con istruttorie. L'attività bancaria ce l'aveva nel sangue, e un'idea severa del lavoro gli dava la misura pieno della vita. Mi parlò, ovviamente, di quella che era stata la "Agricola di Matino" e che era diventata la "Agricola e Popolare di Matino e Lecce". E di alcuni progetti futuri. Con poche parole, com'era solito fare. E col suo modo tipico di rivolgere la parola: mai una sbavatura, meno che mai un'espressione ambigua. Andava diritto al cuore delle cose, guardandoti negli occhi, in questo modo pretendendo brevità di risposte e chiarezza di pensiero. Se affrontava un problema non apprezzava soluzioni interlocutorie. Non era disponibile con i rinunciatari. Ogni incontro con lui era un esame, dal quale, con serena fermezza, si aspettava conferme, non delusioni.
"La banca - mi disse - è diventata un'altra cosa. Ora si devono usare strumenti diversi per proiettare la sua immagine".
Non era nuovo ad iniziative del genere. Nel '73 aveva voluto la pubblicazione del "Raffaele Gentile", con le lettere e i documenti inediti di questo grande matinese. Il volume era diventato subito una rarità, ma ingegneri, architetti, urbanisti, storici continuavano a richiederlo.
"Consideriamolo una prova generale riuscita - aggiunse - e mettiamoci al lavoro. Una rivista trimestrale può andar bene, per ora. Pensi di farcela? Al più presto, intendo dire".
Intendeva, dire proprio nel giro di poche settimane. Approvò il progetto, la presenza di Guglielmo Tagliacarne e dei suoi studi statistici in esclusiva gli diedero sufficienti garanzie. Tre mesi dopo, la distribuzione del primo numero della "Rassegna" colse tutti di sorpresa. Anni dopo, altri avrebbero tentato di imitarla, ma la primogenitura resta in ogni caso di chi per primo intuì che il pensiero economico crea e rigenera solo se è percorso dall'umanesimo.
Qualche volta si lasciava prendere dai ricordi. Allora emergeva un mondo sconosciuto. Strade provinciali in terra battuta, corse in biroccio verso la remota Lecce, la crescita del Consorzio Agrario, la sua presenza sui mercati tedeschi per il collocamento delle patate, la trasformazione in banca dopo la legge del '36, il tenace lavoro d'avvio, la vigilanza sulla concorrenza, e il risparmio all'osso emblematizzato dai rotoli di carta della calcolatrice meccanica già usati, avvolti a rovescio e riutilizzati, e il sodalizio con le forze vive dell'area, e i sogni di espansione... Non ho memoria di una sua parentesi di relax. Ne avrà avute, certo. Ma credo che le ritenesse utili a riaccumulare energie da spendere, e persino da scialare, per la banca e per gli altri. Da Roma, dove restò per qualche tempo per cure speciali, scrisse a tutti di tutto ciò che coinvolgeva l'operatività bancaria. Ho visto, indirizzate ad Alberico Provenzano, allora presidente dell'"Agricola", lettere che erano fogli di extra-strong o di carta rigata da notes, lembi di modulo continuo o quadrati di paglierina, vergati con la stilografica, con la biro, anche con la matita. Ero in università, a quei tempi, da poco assistente di Sapegno. Gli parlai delle mie ricerche storico-letterarie, delle collaborazioni al "Giornale d'Italia", degli sbocchi professionali che cercavo. Mi ascoltò in silenzio, poi scrisse su una striscia: "Si deve credere in quello che si fa". Solo molto tempo dopo avrei saputo che, per restare insieme con me, aveva rinunciato alla terapia pomeridiana, meritandosi i fulmini del medico curante. E non avrei dimenticato quella lezione.
Quanta imprenditorialità ha suscitato? Quanti cervelli ha valorizzato; quante coscienze in bilico ha indirizzato per il verso giusto; quante inquietudini ha cancellato? Quanti uomini gli devono la nuova pelle che hanno indossato? I conti non sono la somma di aride cifre, né solo l'enumerazione di risultati concreti, che ci sono, e sono sotto gli occhi di tutti. Sono soprattutto dati percepibili in un clima mentale mutato, in un'etica imprenditrice nata da zero, in un'eredità intellettuale che ci rimane (il meglio che poteva darci) come rigoroso punto di riferimento. Profondamente cristiano, ebbe del lavoro e dell'impegno civile un macerante concetto calvinista, nel senso del perseguimento del benessere della comunità come dovere morale degli spiriti attori. Anticipatore di problemi attuali (esemplari certe sue prese di posizione, nelle "Relazioni" annuali, sulla spesa pubblica, sull'assistenzialismo, sulla Comunità economica europea allargata, sulla crisi del settore primario, sulla necessità dello sviluppo del terziario, sull'occupazione giovanile, e via dicendo) stimolò vocazioni di arti e mestieri, diede fiducia a chi si indirizzava all'intrapresa, da vicino seguendone progetti e fasi operative. Credette nella funzione sociale del risparmio e dell'investimento. E se un cruccio, un'inquietudine ebbe, nella sua vita professionale, furono quelli di agire in un'area eccentrica, in una periferia italiana nella quale, per decenni, l'agricoltura aveva rappresentato l'unica fonte di reddito, legata - come aveva scritto Young - alla volontà di Dio e alla volubilità del clima, e dalla quale troppa gente era partito per un'avventura migratoria come stato di necessità. E proprio i prodotti della terra e i rivoli delle rimesse venivano trasformati dalla banca in accumulazione, in reimpiego, in ricchezza collettiva, in strumenti trainanti dell'economia agricola, artigianale e microindustriale. Il pionierismo ha le pietre miliari in una cronaca apparentemente scorno di mutamenti di ragione sociale. E "Sudpuglia" è il più recente, ma probabilmente non l'ultimo punto d'arrivo, di una storia che viene da lontano.
Resta, ora, il vuoto dell'uomo, perché l'uomo - a modo suo - è irripetibile. Ma non c'è il vuoto dell'opera, che è cultura visibile e in atto. Anche perché l'uomo, che sempre si identificò con la banca, fu sostanzialmente schivo e riservato. Tant'è che la saldatura fra l'uno e l'altra, sul piano della testimonianza scritta, non è stata storica o diaristica, ma di natura astratta, poetica cioè, d'una poesia tutta intimistica, ultimo rifugia intellettuale di chi riteneva che "i numeri non atrofizzano necessariamente i moti del cuore", Così, segno immanente e reale di una sofferta vicenda propositiva, la banca è là, concreta, silenziosamente attiva. Compiuta. E sull'altra sponda, quella del ripiegamento di uno spirito artefice e solitario, la riflessione poetica (in dialetto, in lingua), tutt'altro che remota dall'armonia dei numeri, ci svela almeno in qualche misura il mistero dell'uomo, delle sue interne emozioni, dei suoi affetti, delle sue passioni e ragioni. Così il ciclo si conclude. E un'esistenza si fa, nobilmente, memoria storica.

Banca Popolare Pugliese
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