DISOCCUPAZIONE A LECCE DURANTE IL FASCISMO MURATORI E TABACCHINE




Luigi Panareo



Il problema della disoccupazione, assunse a Lecce, nel corso del ventennio fascista, e soprattutto nella seconda metà di quel periodo, aspetti spesso drammatici e ancora pochissimo noti, nella loro ampiezza e nelle loro articolazioni. Le difficoltà economiche che investirono l'intera Provincia, non diversamente da quello che avvenne nel resto della penisola, interessarono tutti i comporti produttivi dell'industria e dell'agricoltura. Di conseguenza, la grande maggioranza dei lavoratori, era costantemente esposta al pericolo di perdere il posto di lavoro, a causa delle oscillazioni della congiuntura economica. A questo va aggiunto, naturalmente, il contemporaneo incrociarsi della stagionalità di alcuni tipi di lavorazioni, soprattutto di quelle legate alle attività agricole, e che accentuavano, nei momenti di arresto del lavoro, lo stato di crisi.
Nel Capoluogo salentino, le categorie socialmente più deboli, nel senso che si è detto, erano quelle dei muratori e dalle tabacchine. L'attività lavorativa dei primi dipendeva dal lavoro disponibile nell'ambito nell'edilizia locale, così come, per le seconde, dalla quantità di tabacco destinato alla lavorazione. Per entrambi i settori lo stato di incertezza in cui si dibatteva l'economia salentina in quel periodo produsse, nel corso degli anni, frequenti fenomeni di malcontento che, senza assumere quegli aspetti più eclatanti che si manifestarono, in molteplici occasioni, nei comuni della provincia, restano però a dimostrazione del fatto che, neppure Lecce, fu immune dai turbamenti sociali dell'epoca.
La questione più delicata, relativa al problema della disoccupazione dei muratori, era quella dell'assunzione di manodopera forestiera nell'edilizia leccese. Numerose imprese di costruzioni di Lecce erano solite servirsi di operai residenti nei comuni limitrofi, per lavori edili, stradali e nelle fognature della città. Questa prassi generava evidentemente grande disappunto tra i lavoratori del capoluogo, a causa della sgradita concorrenza effettuata dai manovali esterni ai danni della manodopera locale.
La mattina del 4 novembre 1929, circa 60 muratori disoccupati si riuniscono davanti alla loro sede, in via della Saponea, protestando riguardo al problema degli operai forestieri. Ad essi si rivolgono, il Segretario del Sindacato Muratori, Gaetano Greco, e il marchese Bozzicorso, della Segreteria Generale dei sindacati, esortandoli a sciogliersi e promettendo che avrebbero interessato il Prefetto sulla questione. Nell'incontro del giorno dopo, tra il marchese Bozzicorso e il Prefetto, ci si accorda per l'assunzione di parte dei disoccupati, nei diversi lavori edilizi e nelle fognature (1). Il fenomeno del reclutamento di lavoratori dalla Provincia, prosegue comunque nel corso degli anni, tanto che più volte, il Questore sarà costretto a diffidare le imprese edilizie leccesi, dall'assumere manodopera forestiera o che almeno questa sia in quantità pari a quella locale. Malgrado le diffide però, varie imprese persisteranno nello stesso atteggiamento. I sindacati e gli stessi muratori, si lamentano di questa situazione e, sotto l'incalzare della crisi economica, diventa quasi scontato l'esplodere di piccoli episodi di violenza.
Nell'ottobre del 1932, una cinquantina di individui aggrediscono e percuotono quattro muratori di S. Pietro in Lama, mentre questi erano intenti nel lavoro di scavo delle fondazioni di una palazzina, sito nel Capoluogo in via 47° Rgt. Fanteria. Non solo. I malcapitati sono anche minacciati di maggiori bastonate, nel caso di prosecuzione dell'opera (2). Le rivalità non sono soltanto però tra lavoratori locali e lavoratori esterni. Il 27 febbraio 1936, perviene al Questore una lettera anonima da parte di un gruppo di operai leccesi, che fanno presente come, mentre esiste una grave disoccupazione a Lecce, ci sono delle imprese appaltatrici che, pur lavorando in altri posti, impiegano i sabati fascisti e le domeniche, per fare lavori in alcune zone della città. Le indagini compiute, ridimensionano parzialmente la portata dei fatti, relativi a lavori in corso in due diverse vie del Comune; resta però la constatazione dell'esistenza di screzi, anche all'interno della categoria leccese (3).
Analogamente alle situazioni suddette, anche se in forme più moderate, disagi e conflitti si verificano anche tra le tabacchine di Lecce, pure loro strette dalla morsa della crisi. Il 20 marzo 1932, anch'esse si rivolgono al Questore, con una lettera molto sgrammaticata, per esporre il loro caso. Si trovano in deposito, sulla strada di S. Cesario, 200 q. di tabacco, che deve essere trasferito da lì ad altra sede, per essere lavorato. Le operaie chiedono accoratamente che la lavorazione avvenga invece nel Capoluogo, per avere loro la possibilità di impiegarsi, tenendo presenti le stringenti necessità familiari e lo stato di disoccupazione che c'è in giro.
Dalle indagini subito effettuate, risulta in modo chiaro come stanno effettivamente le cose. Il tabacco, di proprietà della Ditta Sailer e Porta, con magazzino a Ugento, si trovava nel magazzino della ditta di tabacchi Saod solo provvisoriamente, essendo destinato a Ugento. Le tabacchine di quel Comune infatti , disoccupate, hanno richiesto ai sindacati di inviare il tabacco presso di loro. L'esito della vicenda, taglia corto ad ogni soluzione in merito, perché si è già provveduto a compiere l'operazione di trasferimento (4). Non è difficile, a questo punto, affidandosi ad una normale sensibilità, immaginare quale possa essere stata la reazione interna delle operaie tabacchine, messe di fronte al triste fatto compiuto.
Come si è accennato prima e come si intuisce da questi fatti, le relazioni reciproche tra le "parti sociali": autorità governative, sindacati e operai, imprese, furono impostati su più piani tra loro diversi, che erano il risultato di spinte originariamente divergenti. Da un lato non si poteva seriamente attentare agli interessi della classe padronale e alle sue aspettative nei confronti del regime, ma contemporaneamente, era indispensabile assicurare un minimo e sufficiente grado di consenso sociale tra gli strati subalterni; infine, non andava dimenticata la costante, onnipresente necessità, di garantire dovunque l'ordine pubblico. Da qui il fondamento di quel delicato gioco delle parti, che si instaurò in quegli anni, nelle relazioni sociali e che, per un certo aspetto, ha delle attinenze con quello tipico anche di una società democratica. I luoghi dove avvenivano altri frequenti episodi di microconflittualità, erano i cantieri in cui venivano realizzate le locali opere pubbliche del regime, e dove i disoccupati speravano di trovare una, anche provvisoria, occupazione. Nel corso di settembre del 1932, presso il cantiere delle fognature sito in Viale Taranto, fuori Porta Napoli, diretto dagli ingegneri Wagner e Belardinelli, era normale assistere alla quotidiana venuta di gruppi di disoccupati, via via decrescenti di numero con il passare dei giorni, che richiedevano un lavoro: tanto che i Carabinieri, preferirono disporre un servizio di vigilanza, al fine di prevenire eventuali incidenti (5).
Le maggiori occasioni di disordini, erano però quelle che avevano come teatro, la strada Lecce-S.Cataldo. In quel luogo, erano in corso importanti lavori di ristrutturazione del tratto, affidati alla filiale di Puglia e Basilicata dell'impresa Gola di Milano. L'impresa lamentava al Questore i periodici incidenti, dovuti alle insistenze di operai che chiedevano di poter lavorare, malgrado le disposizioni esistenti sull'assunzione di manodopera (6).
Il Questore comunque, che era in quegli anni il dottore Li Voti, ben conscio della gravità del problema e dei suoi complessi risvolti, ebbe più volte occasione di informare i Prefetti, del fermento dei cavamonti e muratori, come conseguenza dello stato di disoccupazione. Egli stesso premette spesso, nei confronti delle imprese edili, perché queste aumentassero i propri organici. In qualche caso, arrivò fino al punto di pretendere delle esplicite dichiarazioni scritte, in cui venivano presi precisi impegni in questo senso. Allo stesso modo, identica politica stabilì verso le ditte di lavorazione del tabacco, che furono tenute periodicamente a chiamare al lavoro un certo numero di tabacchine, proprio in seguito alle promesse che furono costrette a dare al Questore.
Queste misure tuttavia, come si comprende bene, furono sempre dei modesti ripieghi, che non toccarono la sostanza della situazione. I piccoli casi di malcontento, continuarono comunque a verificarsi, praticamente fino allo scoppio della guerra e alla caduta del fascismo. Il 9 gennaio 1939, una ottantina di operai si accalca davanti al Municipio, chiedendo lavoro e assistenza e provocando il deciso intervento del Podestà; il 15 marzo 1940, un altro centinaio di operai si reca nell'atrio della Prefettura, per ottenere lavoro straordinario in occasione delle feste pasquali e, cacciati dagli agenti, si trasferiscono all'Ufficio di collocamento per fare analoga richiesta (8). Quindici giorni dopo, il 30 marzo, una nota della Questura informa dell'esistenza di scontento tra i muratori, causato dalla prossima cessazione dell'assistenza invernale e dalla sospensione di vari lavori edili, che hanno già prodotto numerosi licenziamenti (9). La crisi sociale del fascismo è alle ultime battute. Il ricambio politico ormai prossimo, riproporrà gli stessi problemi, in termini istituzionaImente diversi.


NOTE
1) Cfr. ASL, Questura, Atti di Gabinetto, categoria All, busta 408, fascicolo 55.
2) idem
3) idem
4) Cfr. ASL, Questura, Atti di Gabinetto, categoria All, busta 407, fascicolo 9.
5) idem
6) idem
7) Cfr. ASL, Questura, Atti di Gabinetto, categoria All, busta 408, fascicolo 55.
8) idem
9) idem


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000