PROCESSO AL DEFICIT




Carlo Azeglio Ciampi



I progressi che l'economia italiana ha conseguito negli ultimi anni sono notevoli. L'inflazione è diminuita dal 21,7% nel 1980 all 8,3% d'oggi. Le imprese produttive si sono profondamente ristrutturate e rafforzate rispetto agli anni '70. Il clima delle relazioni industriali è migliorato. I mercati finanziari, interno e internazionale, hanno registrato questi progressi.
Nel 1985, però, il risanamento dell'economia è proceduto con fatica e l'anno si è chiuso con risultati meno buoni di quelli posti ad obiettivo della politica economica tracciata nel settembre '84. In termini reali, il prodotto interno lordo è cresciuto quasi come previsto; ma l'inflazione è stata maggiore di oltre un punto. Il tasso di crescita degli investimenti ha superato quello dei consumi; ma, rispetto agli obiettivi, la differenza fra le due componenti della domanda interna è stata inferiore. La bilancia dei pagamenti correnti ha registrato un passivo di circa 12 mila anziché di circa 3 mila miliardi di lire.
Quali le cause di questi scostamenti? Il dollaro forte ha frenato la discesa dell'inflazione. La debole crescita delle principali economie europee e i riflessi entro il Sistema Monetario Europeo della posizione del dollaro hanno influito negativamente sulla bilancia dei pagamenti. Questi fattori esterni sfuggono al controllo della nostra politica economica, ma sono anche d'importanza relativamente minore di quelli interni.
Tra i fattori interni è stata la finanza pubblica ad esercitare il più forte impulso negativo. Lo squilibrio tra le entrate e le spese dello Stato ha fatto crescere la domanda oltre il limite compatibile con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti; ha spinto la domanda nel settore dei consumi, dove essa meno contribuisce a creare posti di lavoro; ha esercitato sui mercati finanziari una pressione che ha tenuto alti i tassi d'interesse reali e nominali; ha reso più costoso il credito per la produzione e gli investimenti; ha gonfiato le attività finanziarie e aumentato le disponibilità liquide dell'economia; riversandosi sul debito pubblico, ha gravato di oneri gli esercizi finanziari futuri.
La legge finanziaria presentata due anni fa aveva stabilito che nel 1985 il fabbisogno del settore statale avrebbe superato quello del 1984 solo di mille miliardi. Nei primi otto mesi dell'85, il superamento è stato di 16 mila miliardi; secondo il pre-consuntivo della nuova legge finanziatrice, a fine anno si sarebbe ridotto, ma restando pur sempre di 11 mila miliardi circa. Ai 106.700 miliardi di fabbisogno previsti si sono aggiunti altri 13 mila per regolazione di debiti pregressi, che si sono tradotti anch'essi in attività finanziarie che hanno premuto sul mercato. Il rapporto tra il fabbisogno e il prodotto interno lordo è stato pari al 5,7%; questo rapporto è di poco superiore al 5% sia nella media dei sette principali Paesi industriali sia per l'insieme dei Paesi della Comunità economica europeo.
Il debito pubblico ha continuato a crescere a un tasso del 21 % e il suo ammontare ha raggiunto alla fine dell'anno il valore del prodotto nazionale. L'onere per interessi è salito di circa 6 mila miliardi rispetto all'84, rimanendo stabile in rapporto al prodotto interno lordo; il suo aumento è dovuto allo sviluppo del debito. Sempre secondo il pre-consuntivo sopra indicato, il fabbisogno statale, al netto degli interessi, è risultato pari a 44.400 miliardi, contro i 37.800 nell'84, riprendendo la dinamica ascendente interrotta due anni fa.
Il credito totale interno è la somma del fabbisogno statale e del credito al settore non statale. La prima di queste due componenti è determinata dalle leggi approvate dal Parlamento; per la politica monetaria essa è un dato esterno. Sulla seconda, il credito al settore non statale, la Banca Centrale può influire attraverso la creazione di base monetaria e i tassi d'interesse. Il fabbisogno statale rappresenta oggi il 75% del credito totale interno, mentre era il 34% nel 1973: compensare appieno la maggior crescita rispetto agli obiettivi, restringendo i finanziamenti al settore non statale, è diventato pressoché impossibile.
Il credito totale interno trova contropartita nelle attività finanziarie complessive dell'economia e nel debito estero del Paese. Nel corso di quest'anno entrambe queste grandezze hanno registrato ulteriori, rilevanti incrementi.
Le attività finanziarie dell'economia sono rappresentate dal circolante, dai depositi bancari, dai titoli pubblici e privati. La componente più liquida di esse, costituita dal circolante e dai depositi bancari e postali e comunemente designata come moneta (M2), è quella che la Banca Centrale è più in grado di controllare, perché direttamente collegata con la base monetaria che essa crea. La politica monetaria cerca di contenerne la crescita: nel quinquennio 1980-84, M2 è aumentata in media del 13% all'anno, mentre le altre attività finanziarie sono cresciute al ritmo del 37% e il prodotto interno lordo a prezzi correnti del 18%.
Nella sua azione, la Banca Centrale ha pluralità di punti di riferimento: tra questi sono specialmente importanti il credito all'economia, la moneta (M2), i tassi d'interesse reali, il cambio. Nessuna di queste variabili è assunta singolarmente come una guida da seguire in modo assoluto. Su nessuna di esse la politica monetaria ha un controllo pieno. Di tutte la Banca Centrale segue l'evoluzione, graduando i propri interventi al fine ultimo del raggiungimento degli obiettivi posti di anno in anno dalla politica economica.
Come sono state esercitate queste facoltà di controllo nel 1985 e come lo saranno nel 1986?
Nel 1985, il credito all'economia si è sviluppato meno degli obiettivi. Nei primi otto mesi dell'anno, lo sconfinamento del fabbisogno statale è stato compensato, per circa metà del suo importo, da una minor crescita del credito erogato al settore produttivo, il quale ha beneficiato di un maggior autofinanziamento, di più ampie emissioni di azioni. La minore disponibilità di credito non ha impedito che continuasse la ripresa degli investimenti in macchine e in attrezzature, che si stimano cresciute nell'anno di oltre l'11% in termini reali. Se la politica monetaria avesse perseguito la complessa compensazione dal maggior fabbisogno statale, avrebbe dovuto chiacciare la crescita del credito all'economia al di sotto del 5%.
I tassi d'interesse reali sono stati elevati, ma in media non più alti di quelli dei principali Paesi industriali. Ciò è stato reso necessario dalla forte pressione esercitata dal bilancio pubblico sui mercati finanziari, dal perdurare squilibrio dei nostri conti con l'estero, ed è nella fisiologia dell'uscita dall'inflazione. Il livello dei tassi d'interesse reali non è stato però tale da impedire che nella ripresa economica gli investimenti avessero parte predominante.
La gestione del cambio è stata condizionata dall'andamento del dollaro. Finché il prezzo del dollaro saliva, la lira tendeva a rafforzarsi nel Sistema monetario europeo e la Banca D'Italia è intervenuto per moderare la spinta al rialzo. Quando il dollaro ha cominciato a registrare una spinta cadente, la lira ha potuto riguadagnare i margini di competitività persi nei confronti dei partners europei. Il riallineamento di luglio '85 ha permesso di recuperare spazio in un momento nel quale l'effetto negativo sui prezzi era praticamente nullo. Le scelte fatte hanno conciliato l'esistenza di contenere l'inflazione importata con quella di preservare la competitività delle merci italiane.
La moneta si è sviluppata, ancora una volta, a un tasso nettamente inferiore a quello delle attività finanziarie complessive, sebbene superiore a quello indicato nel settembre '84. Soprattutto nei primi mesi dell'85 l'impennata del fabbisogno pubblico, la scelta del Tesoro di far ricorso al conto corrente di tesoreria contenendo l'offerta di titoli di Stato, una politica bancaria di incentivazione della raccolta hanno spinto il pubblico più verso i depositi bancari e meno verso i titoli, Già in aprile, una correzione dei rendimenti offerti sui titoli pubblici e una più attenta considerazione dei costi della raccolta da parte delle banche hanno diminuito il rendimento dei depositi relativamente a quello dei titoli, contribuendo a riportare verso questi le preferenze dei risparmiatori.
Per il 1986 le recenti, sommarie previsioni macroeconomiche consentono di indicare solo le linee generali della politica monetaria.
Lo sviluppo del credito interno al settore non statale dovrebbe essere mantenuto in linea con quello programmato per il prodotto interno lordo in termini nominali, cioè il 9% circa, continuando la tendenza della seconda metà dell'85. Nell'ipotesi di un fabbisogno statale di 110 mila miliardi, che comporta un'espansione del debito pubblico interno del 18% circa, il credito totale interno dovrebbe aumentare di circa il 14%.
Analogo tasso di crescita avrebbero le attività finanziarie dell'economia. Alla fine del 1986 la loro consistenza complessiva salirebbe, in rapporto al Pii, di oltre 7 punti rispetto all'85, toccando quasi il 140%.
Quanto alla moneta, anni di espansione delle attività finanziarie ad un tasso multiplo di quello del reddito hanno reso sempre più arduo mantenere la crescita nei limiti degli obiettivi posti al reddito nominale. Per raggiungere un tale risultato anche nell'86, le altre attività finanziarie dell'economia, in massima parte titoli pubblici, dovrebbero aumentare ancora una volta a un tasso pressoché doppio, superiore al 20%. L'assorbimento da parte dei risparmiatori di un tale volume di titoli richiederà l'aspettativa di un ulteriore calo dell'inflazione e una manovra attiva del differenziale di interesse fra i depositi bancari e i titoli pubblici mirante a favorire il collocamento di questi ultimi.
Lo scenario macroeconomico preso a base della Relazione previsionale e programmatica indica per l'86 un disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti in diminuzione, ma non molto minore di quello atteso per l'85. Disavanzi così elevati aggravano il già pesante debito estero e sono preoccupanti per la stessa credibilità del Paese sui mercati dei finanziamenti internazionali.
La posizione finanziaria netta dell'Italia nei confronti dell'estero, ancora in avanzo nel 1980, si è progressivamente deteriorata e a fine 1984, al netto delle riserve auree, era negativa per 23,5 miliardi di dollari. Alla fine dell'85, l'indebitamento netto con l'estero ha toccato i 30 miliardi di dollari, superando il valore di mercato delle riserve in oro, che è attualmente di quasi 21 miliardi di dollari.
Rimango convinto che nella presente situazione possono essere accettati limitati disavanzi correnti, finanziati con afflussi di capitale, alla condizione che siano temporanei e che vi corrispondano investimenti volti ad accrescere la competitività e la capacità produttiva.
La via del debito estero sembra inizialmente indolore rispetto a una politica di risanamento, che richiede azioni incisive sia sul fronte della finanza pubblica sia su quello dei costi. Ma l'esperienza recente di molti Paesi conferma che essa conduce inevitabilmente a sacrifici più duri e riduce la sovranità delle scelte.
Nella presente situazione della nostra economia, gli spazi di manovra della politica monetaria sono stretti e limitato è il suo ruolo nell'azione volta a restituire alla nostra moneta la solidità di cui ha goduto in un passato non lontano e che gli altri Paesi industriali hanno faticosamente riconquistato. Non è agendo solo sulle leve monetarie che si può completare sul piano finanziario il risanamento che l'economia italiana ha operato nel campo della produzione e così spianare la strada per una nuova fase di sviluppo e di riassorbimento della disoccupazione.
Al cuore del problema sta il crescente disavanzo dello Stato, con la conseguente esplosione del debito pubblico. Anno dopo anno, lo Stato spende più di quanto incassa, anche se non si tenesse conto del fatto che, come ogni debitore, deve compesare coloro ai quali chiede a prestito. La differenza tra le entrate e le spese viene coperta con nuovi debiti, il cui flusso domina tutto il mercato monetario e finanziario.
Bisogna agire per ridurre il disavanzo pubblico al netto degli interessi, mirando in un orizzonte pluriennale al suo azzeramento. Ciò indurrà l'ulteriore discesa dei tassi d'interesse nominali e di quelli reali, innescando un circolo virtuoso. E' questa una via difficile da imboccare e in forte pendenza nel tratto iniziale, ma è l'unica che conduca alla progressiva riduzione dell'onere reale del debito pubblico che rischia altrimenti di soffocare le potenzialità di crescita della nostra economia.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000