SE IL FUOCO AIUTA IL SOLE




R. M.



Non so se la notte di San Giovanni si accendano ancora i falò, né se lo si faccia la sera di Cristo Re. E sempre più un ricordo dell'infanzia, quando in via del tutto eccezionale ci era permesso di vegliare fino alla mezzanotte, per vedere i fuochi che illuminavano la campagna e le piazze del paesi come lucciole giganti. Un rito che non era soltanto meridionale e italiano, ma diffuso, fino a qualche ,decennio fa, in tutta Europa: il contadino e il montanaro volevano "aiutare il Sole" perchè non li abbandonasse e continuasse a offrire la sua energia ai campi. Ma perchè volevano "aiutarlo", per San Giovanni, proprio al solstizio d'estate, quando giunge al punto più alto dell'orizzonte, al suo massimo fulgore? E quale rapporto può mai esservi tra questo rito agrario e la festa del Battista?
I due solstizi, l'invernale e l'estivo, sono due periodi cruciali dell'anno. Nel nostro emisfero il Sole sembra quasi morire giungendo, il 22 dicembre, al punto più meridionale dell'orizzonte, per poi rinascere e risalire da sud a nord dopo aver doppiato la boa del Capricorno. Il solstizio invernale è dunque tempo aurorale, e i Romani celebravano questa rinascita qualche giorno dopo il solstizio - quando il Sole stava già salendo - con la festa del Sol Invictus, del Sole bambino, in cui si onorava soprattutto la manifestazione visibile dell'Eterno.
Il 22 giugno l'astro giunge invece al punto più settentrionale dell'orizzonte, per poi discendere da nord a sud .dopo aver doppiato la boa del Cancro (o Granchio). Il solstizio estivo segna .cioè l'inizio del suo declino: ecco perchè scatenava l'angoscia di una possibile fine della vita sulla terra, il timore che il Sole potesse avviarsi verso un tramonto definitivo, che scomparisse dal mondo. Occorreva "aiutarlo", e i contadini aiutavano il Sole con il mezzo a loro disposizione, con il fuoco, cioè con l'elemento che più gli somiglia ed è, non dimentichiamolo, uno dei simboli dell'Eterno. il fuoco era un tempo un aiuto, un sacrificio, una preghiera.
Ma i due solstizi non erano soltanto punti critici dell'anno solare se, come dice San Paolo, il mondo visibile è un sistema di cose invisibili manifestate visibilmente: erano anche simboli dei legami strettissimi che legano il temporale all'eterno, le creature al Creatore. Ebbene, i due solstizi sono chiamati in ogni tradizione, dall'induismo al pitagorismo, le porte solstiziali: "porta degli dèi" quella invernale, "porta degli uomini" quella estiva, ovvero Janua coeli e Janua inferni (nel senso di ciò che sta sotto il cielo, non nel significato che ha poi assunto nella cristianità).
Nella religione romana - alla quale conviene riferirci perchè è quella dei nostri antenati, e ci è più familiare - il dio preposto alle porte sostiziali era Giano bifronte, con i due volti, l'uno di vecchio barbuto, l'altro di giovanetto imberbe, che rappresentano il passato e il futuro. Giano aveva però un terzo volto invisibile, che era l'eterno presente, ciò che è di là dal passato e dal futuro come dal presente inafferrabile della nostra vita quotidiana: di là, cioè, dal tempo lineare. Ecco perchè Giano come spiega Dumézil, era non soltanto il dio del passaggio da un tempo a un altro - apriva infatti l'anno con gennaio, Januarius, e ogni mese alle calende - ma, metafisicamente, da uno stato all'altra; ecco perchè era preposto ai solstizi, intesi sia come porte tra i due periodi dell'anno sia come porte attraverso le quali le anime scendevano nella "caverna (o grotta, o antro) del mondo", oppure ne uscivano, se lo meritavano, salendo nell'invisibile. Nell'Odissea, Omero descrive la grotta di ltaca dicendo che aveva due porte: "L'una, che scende verso Borea, è per gli uomini; l'altra, verso Noto, ha un carattere più divino: per di là non entrano gli uomini, perchè è la via degli Immortali". Da quanto abbiamo detto, è chiaro che cosa egli volesse significare con queste metafore. E se occorresse una conferma, la potremmo trovare nel celebre L'antro delle ninfe, di Porfirio, discepolo di Plotino. "Dicono - scrive - che anche Parmenide facesse menzione di questi due ingressi nella sua opera Sulla natura delle cose e che se ne serbi memoria presso Romani ed Egizi... Anche Platone parla di due bocche: attraverso l'una passano coloro che salgono al cielo, attraverso l'altra coloro che scendono in terra... Di queste - commenta - il Cancro è quella per cui le anime discendono, e il Capricorno quella per cui ascendono. Ma il Cancro è settentrionale e atto alla discesa, mentre il Capricorno è meridionale e atto all'ascesa. E le parti di Settentrione sono proprie delle anime che discendono verso la generazione".
Non casualmente al solstizio d'estate è associato simbolicamente il polpo, che rappresenta la prima comparsa della vita nel profondo delle acque, mentre il delfino, associato al solstizio d'inverno, rappresenta il passaggio dal mondo all'eterno, poichè è colui che conduce le anime al di là della Janua coeli. E, sia detto di passaggio, nell'iconografia cristiana medioevale il delfino era simbolo del Cristo salvatore.
Narra un mito greco che alcuni Cretesi si trovavano su una nave diretta in Grecia. D'un tratto, Apollo, dio solare per eccellenza, saltò sulla nave sotto l'immagine del delfino, vi si piazzò con il suo corpo gigantesco e la condusse a Crisa, porto di Delfi; e in greco "delfino" si dice, appunto, delfis. Arrivato lì, saltò come una fulgida stella direttamente nel tempio, ne uscì sotto forma di un giovane dai capelli lunghi e andò dai Cretesi esterrefatti, consacrandoli suoi sacerdoti. Ecco perchè il delfino e il polpo sono associati sotto il tripode di Delfi e sotto gli zoccoli del carro solare a indicare, da un lato, i due punti estremi del cammino del Sole e, dall'altro, le due porte solstiziali. Ed ecco perchè l'imperatore Giuliano, rivolgendosi a Helios Re, di cui il Sole visibile era la manifestazione, così pregava: "Egli mi accordi una vita virtuosa, una saggezza più compiuta, una intelligenza divina. Ed io possa lasciare questa esistenza in piena serenità, all'ora voluta dal destino. E poi mi elevi a Lui e mi fissi presso di Lui per sempre".
Nel Cristianesimo sono le feste di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista ad essere in rapporto con i due solstizi. Esse si situano in realtà poco dopo la data precisa dei due solstizi, l'una il 24 giugno, l'altra il 27 dicembre: "Il che - commenta Guénon - ne fa apparire ancora più chiaramente il carattere, poichè la discesa e la salita sono allora già cominciate effettivamente". Così, i due Giovanni hanno sostituito Giano, anche se la ricorrenza solstiziale di dicembre si è andata complicando, perchè alla festa giovannea si è sovrapposto lo stesso Natale e il Sole nascente è diventato, come doveva diventare, il simbolo del Cristo Bambino.
In latino, Johannes e Janus possono essere assimilati foneticamente, e questa assimilazione, pur essendo priva di qualsiasi rapporto con l'etimologia, è tuttavia una coincidenza sorprendente da un punto di vista simbolico. "Avvicinando il dio Giano ai due Giovanni - osserva Cardini - i primi cristiani facevano leva sulla casuale somiglianza fonetica dei rispettivi nomi solo per meglio meditare su un'altra e meno casuale somiglianza, quella delle funzioni cosmiche".
In realtà, Giovanni deriva dall'ebraico Jahanan che può significare sia "misericordia di Dio" sia "lode a Dio". Il primo significato, dalla direzione "discendente", si addice a Giovanni Battista che nasce al solstizio d'estate, quasi a sottolineare la natura dell'uomo destinato al declino e alla morte; è vestito di pelli di animali, che alludono al sacrificio; dice, alludendo al Cristo: "Egli deve crescere e io scemare", casi come il Sole estivo è destinato al declino prima dell'avvento del Sole nuovo; e infine si battezza con l'acqua - simbolo della vita terrena soggetta a corruzione e associata, come la luna, al segno del Cancro - annunciando però che giungerà presto Colui che "vi battezzerà con Spirito Santo e Fuoco".
A Giovanni Evangelista si addice invece il secondo significato, "lode a Dio", poichè la lode è "ascendente", come il Sole dopo il solstizio d'inverno. l'Evangelista nasce infatti con il Sole nuovo, con il Sol Invictus, con il Sole Bambino, è associato strettamente al Cristo, e quindi è l'archetipo dell'uomo che "rinasce" varcando la Janua coeli; e non a caso Gesù, affidandolo a Maria, dice: "Ecco tuo Figlio".
Così il Cristianesimo non soltanto non ha cancellato la tradizione pagana, ma ne ha accolto i suoi riti in un contesto rivelatore. E l'operazione, che a prima vista può apparire sconcertante, non lo è se si riflette su queste parole di Joseph de Maistre: "... le tradizioni antiche sono tutte vere; l'intero paganesimo non è altro che un sistema di verità corrotte e spostate; ed è sufficiente, per così dire, ripulirle e sistemarle al loro posto per vederle risplendere in piena luce".
Gabriele D'Annunzio, che se non era filologo sistematico, aveva tuttavia il dono di cogliere come poeta i fili pro,fondi del cosmo, intuì perfettamente queste corrispondenze tra mondo visibile e mondo invisibile, tra paganesimo e Cristianesimo, cantando ne La figlia di Jorio un'antica credenza abruzzese in una splendida immagine ierofanica:

E domani è San Giovanni
fratel caro; è San Giovanni.
Su la Plaia me ne vo' gire,
per vedere il capo mozzo
dentro il Sole, all'apparire,
per veder nel piatto d'oro,
tutto il sangue ribollire.


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