§ USI E COSTUMI

MALANTICHITA'




R. M.



Storici, sociologi, antropologi della scuola che fa capo alla rivista Les annales, interessati ai fattori economici .della società e alla cultura materiale, hanno promosso l'indirizzo prevalente della storiografia moderna. Come è noto, essa trascura statisti, condottieri, diplomatici e pontefici, sorvola su battaglie, trattati e spartizioni di territori, e si sofferma invece a raccogliere minutamente i dati inerenti al quotidiano, al "vissuto", termini entrati ormai nel lessico usuale. Tecniche agricole e artigianali, attrezzi, alimentazione, alloggi, tasse, dogane, salari, contratti, prestiti, interessi e tutte le minuzie che è possibile rintracciare negli archivi - là dove esistono - costituiscono il campo preferito delle indagini. Altri studiosi esplorano la psicologia collettiva, il subconscio, la mentalità delle maggioranze silenziose, vale a dire le classi ignorate dalle fonti, classi che hanno lasciato soltanto testimonianze indirette: zone d'ombra e zone buie, dalle quali affiorano indizi rivelatori, credenze religiose, superstizioni, pratiche magiche e rituali, festività, cerimonie, spettacoli, maschere, tradizioni. Con questo spirito (e con questi intenti) una studiosa francese, docente all'università di Paris-Nanterre, Catherine Salles, nell'indagine su I bassifondi dell'antichità, ha esaminato l'aspetto sordido e crudele di quel mondo antico che ci appare monumentale e solennemente togato attraverso le sue maestose vestigia e le opere prodotte dalla cultura egemone, dietro le quali si nascondono miseria e depravazione.
L'autrice si contraddice quando, nell'introduzione, afferma che è possibile intravedere la malavita di Atene e di Roma soltanto attraverso indicazioni fugaci, spiragli che si schiudono sulla scena dove si svolge la rappresentazione declamata dai grandi. In realtà, le testimonianze dirette e ,indirette sull'esistenza grama e abietta dei "Miserabili" sono innumerevoli, se non altro a giudicare dalla documentazione raccolta dalla stessa Salles in questa ricerca, che è ricca di cultura e di calore umano; il fine dell'opera è di interesse politico .e sociale, poiché vuoi dimostrare quanto fosse vasto e doloroso il vuoto abitato dai diseredati in quei grandi imperi che hanno lasciato la loro impronta sul mondo. Un vuoto che fu, forse, la causa principale del loro decline and fall.
Per il mondo ellenico, due opere recenti (L'amore in Grecia, di Claude Calame, e La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, di Robert Flacelière) offrono uno spaccato sui vari aspetti dell'esistenza in Grecia nel secolo della sua massima gloria militare, potenza politica ed eccellenza culturale. Era un'esistenza grama, ma - alla distanza di due millenni e mezzo - sembra meno sordida e feroce di quella romana.
Che vi fossero ladri e avventurieri in una città marinara non può stupire. I postriboli erano stati istituiti da Solone per preservare la purezza della stirpe e la continuità delle famiglie; quando la pornè, la donna in vendita, riusciva a trasferirsi al rango dell'etèra, diventava la compagna di uomini eminenti, ne divideva i viaggi e i passatempi (e magari veniva dalla strada, o aveva fatto la flautista o la danzatrice noleggiata nei conviti). Chi se la passava male, erano le ragazze e le signore perbene, chiuse a vita nei ginecei.
Dilatandosi gli orizzonti, gli edonisti si fecero esigenti; in età ellenistica il piacere degenerò in depravazione, piacquero le megère, i nani, i deformi: abbiamo visto a New York un poster con il nudo d'una donna obesa: lo stesso fenomeno, la stessa deviazione.
Più colorito, più vario, più torbido il mondo della malavita romana. "L'Urbe - scriveva Seneca - rigurgita della feccia del mondo". Era una città sovrappopolata, ma priva di attrezzature edilizie, igieniche e assistenziali adeguate a fronteggiare l'afflusso impetuoso di immigrati da ogni parte del mondo. i più abili trovavano lavoro al servizio dei ricchi, svolgendo mansioni innumerevoli, che oggi si chiamerebbero terziarie: cuochi, massaggiatori, parrucchieri, tintori, sarti, mimi, musici, danzatori, che venivano considerati più o meno alla stessa stregua dei medici o dei pedagoghi. C'erano, ovviamente, anche prestazioni a livello più basso: la prostituzione maschile e femminile in tuguri della Suburra e del Velabro, o quella sotto i fornici degli archi, o quella lussuosa, che a volte si svolgeva in quartierini eleganti, nelle case stesse dei signori, come la Casa del Menandro a Pompei: qui le testimonianze - scritte e disegni osceni - sono numerose ed eloquenti.
Dalle campagne affluivano i braccianti, disoccupati per il gran numero di lavoratori schiavi, i piccoli proprietari espropriati per l'estendersi del latifondo, gli avventurieri in cerca di fortuna, che vivevano di espedienti spesso immondi, ingrossavano le bande di quelli che Manzoni chiama i "bravi", incaricati di proteggere come "gorilla" i ricchi e le personalità politiche, o di aggredire i loro avversari e di far fuori i competitori. Tra questi sciagurati abbondavano gli schiavi fuggiti dai loro miseri alloggi, le "carceres": e dovevano essere tanti, se Augusto nel rendiconto delle proprie gesta - che fece incidere nel bronzo davanti al suo Mausoleo (e oggi si legge in via Ripetta, sul basamento marmoreo dell'Ara Pacis) - si vanta d'averne riconsegnati 30.000 ai proprietari, "ad supplicium sumendum", vale a dire ad esser crocifissi. Avevano capelli rasati e il marchio a fuoco sul braccio e un collare di ferro, sul quale era scritto il nome del padrone; ce n'è uno nell'Antiquarium Capitolino, dov'è incisa la frase: "Sono fuggito. Custodiscimi. Quando mi avrai riconsegnato al mio padrone Zonino riceverai un compenso" (volle forse riecheggiare, questa formula, l'autore d'una iscrizione funeraria che si conserva nei Musei Vaticani? "Sono evaso. Sono fuggito", dice di sé il defunto, "Fortuna, Speranza, statemi bene. Non ho più nulla da spartire con voi. Prendetevi gioco di qualcun altro").
Prima di Augusto, le donne colpevoli di liberi costumi erano sottoposte alla giurisdizione familiare: il padre, il marito avevano diritto di vita e di morte su di loro e sui loro complici. Con la Lex Julia del 17 avanti Cristo, Augusto, amaramente ferito dal contegno della figlia, fece dell'adulterio un reato d'azione pubblica; la donna colta in flagrante poteva essere uccisa dal padre (ma non dal marito, al quale però spettava l'obbligo di ripudiarla, se non voleva incorrere a sua volta nell'imputazione di lenocinio). Denunciata e sottoposta a giudizio, era condannata alla deportazione in un'isola (Ponza, Ventotene, le Tremiti ospitarono adultere illustri) e privata di metà della sua dote; altrettanto accadeva al suo amante.
Queste misure produssero però un effetto impensato: per sottrarsi all'autorità paterna o del marito, e sfuggire alle sanzioni previste dalla legge, figlie di famiglia minorenni e matrone onorate preferirono iscriversi pubblicamente nella lista delle prostitute: in questo modo non perdevano né la residenza né il patrimonio.
Quanto ai bambini, era lecito abbandonare non solo i "frutti della colpa", ma anche i legittimi, esponendoli sui gradini di un tempio; chi li raccoglieva poteva farne uno schiavo. Benché Plutarco, nella Vita di Romolo, accenni ad antichissime limitazioni per quest'uso, e sebbene esista una legge dei primi anni del III secolo, forse interpolata, che considera reato l'esposizione dei neonati, - fu necessario arrivare al IV secolo, agli imperatori cristiani, per avere, da Costantino a Valentiniano, una legge che equiparasse l'esposizione alla soppressione della prole.
Nella capitale d'un mondo eterogeneo e turbolento, si agitava una folla disordinata di emarginati, di fuorilegge, nutriti da largizioni imperiali e distribuzioni di grano, o da compensi illeciti. Tra loro si reclutavano i gladiatori, gli aurighi, i saltimbanchi, gli astrologi che si spacciavano per Caldei, i negromanti: ingombravano strade quasi impraticabili per il traffico caotico, il chiasso, il sudiciume; commettevano rapine, sequestri di persona e assassinii per ordine di mandanti rispettabili e intoccabili; affollavano gli stadi e spesso, a sostegno delle rispettive squadre, si abbandonavano a violenze e ad omicidi a danno dei tifosi della squadra avversa; il discredito dei mores antiqui e dei sacri principi d'un tempo era tale, che l'omosessualità era ostentata come un vanto e si celebravano matrimoni tra persone dello stesso sesso: "Non era così corrotto come dicevano - scrive Tacito di un personaggio dei tempi di Nerone - ma fingeva di esserlo per farsi strada nel bel mondo". Non è il caso di confondere: stiamo parlando di duemila anni fa.

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