§ QUELLO CHE ABBIAMO

L'ANONIMA CORROTTI




Alfredo Todisco



Nel momento in cui il losco intreccio di affari, politica e criminalità si manifesta in una fase particolarmente acuta, la nostra Repubblica sembra il Laocoonte stretto con i figli nelle spire dei serpentoni di Atena. Nell'arco della nostra storia patria forse non si sono conosciuti giorni più inquietanti di questi. Potremmo dire di avere toccato il fondo del pozzo se non avessimo il fondato sospetto che la "corruttela italiana", come la chiamava Machiavelli, è un pozzo senza fondo.
Mentre la denuncia di malversazioni, estorsioni, intrighi, complotti degni del Valentino, procede con un crescendo rossiniano, ciò che raggiunge il sublime nell'ipocrisia è la contemporanea controdenuncia dell'"uso strumentale degli scandali", come se ciò potesse attenuarne la gravità. Molti, mostrando di aver perduto ogni barlume di rettitudine, avvertono l'opinione pubblica che gli svelatori di abusi, illeciti, malversazioni, furti, non sono mossi da un desiderio di giustizia, ma da uno spirito ricattatorio e per insondabili vantaggi personali o di parte. Disonesti i ladri, disonesti due volte quelli che ne provocano la cattura.

E lo stivale non fa una piega
Di fronte allo spettacolo dell'"Italia della malavita", impressiona l'apparente indifferenza del grande pubblico. Gli italiani, non certo famosi per la loro flemma, che in ogni minimo scontro interpersonale inveiscono come dervisci urlanti, dirimpetto alle più sconvolgenti furfanterie a cavallo tra scena pubblica e privata, non battono ciglio. Mantengono una calma da fare invidia a un santone indiano. Ma è possibile che la anestesia italiana nei confronti dello scandalismo dilagante, più che a insensibilità civile, sia dovuta a una forma di difesa contro un eccesso di stimoli perturbanti. Invocare la questione morale, come fanno alcuni dei partiti minori, interpretando forse l'animo di tanti e tanti che hanno fame e sete di giustizia, è sacrosanto. Ma, di fronte a fenomeni di simile portata, urge interrogarsi sui motivi profondi che li hanno determinati.
Non si va lontani dal vero se, nel marasma che oggi ci affanna, si vede l'ultimo grado di dissoluzione del "sogno" che ha fatto l'Italia. Nel Risorgimento, infatti, l'indipendenza e l'unità della patria erano gli obiettivi evidenti: ma, ciò che contava non meno, era la mobilitazione morale, la tensione ideale, indispensabile a raggiungerli. In altre parole, l'indipendenza e l'unità presupponevano una rigenerazione etica e politica che portasse il Paese fuori dalla palude di ignavia, di lassismo, di egoismo, di doppiezza, di tornaconto immediato, di fazionismo, di astuzia e di cinismo che erano stati i fattori principali della nostra decadenza e che De Sanctis - uomo esemplare del Risorgimento - prese a partito nel mirabile saggio "L'Uomo del Guicciardini". Nello scagliarsi contro lo scettico cavaliere del "particulare". De Sanctis precisava lo spirito del Risorgimento in senso forte: come associazione stretta della causa morale e della causa nazionale.
La storia italiana dall'Unità a oggi non è, purtroppo, se non la storia della dissipazione di questo spirito. Al fallimento del sogno risorgimentale, sancito dall'avvento del fascismo, hanno tenuto dietro i fallimenti dei sogni più suggestivi del post-fascismo, quali si delinearono nelle due principali forze politiche affermatesi nel Paese, e che, piaccia o no, ne condizionano come nessun'altra l'atmosfera.
Per quanto riguarda i cattolici, non possiamo non notare il dislivello fra la proposta iniziale del partito democristiano e la realtà in cui si è andata consolidando. ispirata alla Enciclica di leone XIII, tale proposta puntava su una rinascita cattolica imperniata su valori tali da scongiurare i pericoli (paventati da una fila di pensatori che vanno da Platone a Mazzini) che insidiano la democrazia quando diventa di massa, puramente quantitativa, scevra dei fini che innalzano il profilo umano e sociale, e unicamente e afosamente fondata sul numero e sulla conquista dei voti.
Invece il ruolo dei cattolici (in politica) è stato quello di portare proprio cattolici nella democrazia senza aggettivi, con le conseguenze negati che sono sotto gli occhi di tutti.
Veniamo ai comunisti. Anche qui fossato che si manifesta fra il parti vagheggiato da Gramsci e quello odierno è grande. Davanti a un marxleninismo che si andava ghettizzando nell'Urss e che perciò stesso si avvia a perdere la sua carica liberatrice a trasformarsi in "instrumentum regni" di una potenza oppressiva e imperialistica, Gramsci sperava che l'apporto culturale del partito italiano avrebbe restituito al comunismo il respiro di una rivoluzione veramente mondiale.
Sogno svanito nel nulla. Lungi dall'avere occidentalizzato il comunismo grazie al suo "primato" intellettuale nell'orizzonte del marxleninsmo, il partito italiano oggi sente tutto il peso di quel colosso conservatore che l'Urss è diventata, chiudendo nella sua logica di potenza. Nel "realismo" dell'odierno, poi, di Gramsci si parla sempre meno. Il suo nome diventato quello di un istituto.

Risorgimento tradito
La dissoluzione dello spirito del Risorgimento, l'eclissi delle idealità originarie nelle maggiori formazioni politiche italiane, hanno avuto conseguenze gravissime. Perchè noi siamo diversissimi dai Paesi anglosassoni dove morale pubblica e morale privata sussistono separatamente. Da no se la causa morale si slega da una grande causa civile e ideale, non converte in morale privata, si disintegra e lascia il posto all'" Uomo del Guicciardini".
Su uno sfondo in cui impera l'individualismo sfrenato, il culto del potere e del benessere materiale, egoistico e fine a se stesso, non stupisce che la lotta di tutti contro tutti si scateni senza esclusione di colpi. L'"Uomo del Guicciardini", peggiorato e scorretto, domina la scena odierna. Lo incontri a ogni passo. E, come già di lui diceva De Sanctis parafrasando Cicerone, "non solo vive; ha il coraggio di presentarsi anche in Senato!".


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