§ LE RAGIONI DEL NOSTRO DEFICIT

NON E' SOLO COLPA DEL DOLLARO




Mario Talamona



Nonostante il suo volo oltre la quota delle duemila lire (e dei 3,30 marchi tedeschi), è ovviamente improbabile che la bomba-dollaro sia destinato ad un viaggio senza fine, come l'astronave di 2001: Odissea nello spazio, il famoso film di Kubrik. Un commento dell'ex Cancelliere tedesco Helmut Schmidt ha chiarito le drammatiche dimensioni mondiali del problema e l'urgente necessità, per tutti, di disinnescare la carica del dollaro, in una rinnovata solidarietà occidentale. La registrazione di un passivo di 19 mila miliardi di lire nella bilancia commerciale dell'Italia - con un incremento di oltre il 67 per cento in confronto al 1983 - può, a sua volta, sembrare una bomba. Meglio, la conseguenza devastante di una deflagrazione monetaria. Una scia, insomma, della salita della moneta USA verso quotazioni sempre più insostenibili rispetto a quelle europee.
Ma la connessione, anche se da non sottovalutare, è soltanto parziale. Dobbiamo perciò stare bene attenti a non confondere la realtà delle cose con "alibi" ingannevoli, pericolosi per le esigenze e le prospettive dell'economia italiana. Le spiegazioni puramente monetarie del nostro disavanzo non toccano, infatti le radici dell'insufficiente progresso delle esportazioni, nè dell'assai più rapido aumento delle nostre importazioni.
Un così grave squilibrio, naturalmente, può stupire. Soprattutto per l'entità degli scostamenti dalle previsioni di pochi mesi prima. Ancora a novembre, ad esempio, quando il disavanzo commerciale di gennaio-agosto segnava un incremento di poco più del 34 per cento, si prevedeva un saldo negativo di duemila miliardi, nelle partite correnti della bilancia valutaria, per l'intero 1984. Ma il meccanismo di fondo che opera nella dinamica dei nostri conti con l'estero è di carattere strutturale. Ed è noto.
Da un lato, l'elasticità delle esportazioni italiane rispetto al reddito è all'incirca pari ad uno, più o meno come negli altri Paesi. Vuoi dire che esse - a parità di condizioni nella domanda estera - tendono ad aumentare alla stessa velocità del reddito. Se mai, in fase di ripresa, il rilancio delle esportazioni è frenato dall'espansione delle componenti interne della domanda.
D'altro lato, l'elasticità delle nostre importazioni, sempre rispetto al reddito, è fortemente aumentata nell'ultimo decennio. Ha raggiunto un valore intorno a 2,5: fra i più elevati nelle economie industriali. Significa che, per ogni lira di maggior reddito, tendiamo ad acquistare di più, all'estero, per due lire e mezza.
In realtà, la propensione media ad importare con un incremento di circa 4 punti ha oltrepassato in Italia il 22 per cento del reddito nazionale.
Ecco dunque le due braccia del vincolo esterno che minaccia continuamente di soffocare le nostre potenzialità di crescita e che dobbiamo, perciò, allentare al più presto, con ogni sforzo. Per così dire, con le nostre stesse mani.
Esso riflette la struttura tipica di un'economia altamente (e inevitabilmente) trasformatrice e quindi la composizione del commercio estero italiano. Dove le importazioni di fonti energetiche, materie prime e derrate costituiscono oltre il 47 per cento del totale. Mentre più del 56 per cento delle esportazioni è rappresentato da prodotti dell'industria manifatturiera.
In questo quadro il super-apprezzamento della moneta USA come mezzo di scambio appesantisce i nostri conti con l'estero in ragione di un 6-9 per cento di eccedenza della quota di importazioni, regolate in dollari, su quella delle esportazioni.
Ma si deve tener conto anche di probabili effetti meno superficiali: un peggioramento delle "ragioni di scambio" e una compressione dei profitti dell'industria, derivante da incrementi nei costi mediamente superiori a quelli dei prezzi di vendita (rispettivamente sui mercati mondiali e su quelli dello Sme). E allora fin troppo evidente - tanto più di fronte all'escalation del dollaro - che l'Italia deve assolutamente puntare sulla massima riduzione reale dei costi di produzione e sul massimo recupero, anch'esso reale, di competitività internazionale. Per riconquistare quote di mercato all'esportazione e per "sostituire", in concorrenza, beni importati (soprattutto di consumo) sui mercati interni.
Che è quanto dire: per tener aperta l'unica via possibile allo sviluppo e alla difesa dell'occupazione. Senza deleterie illusioni di "scorciatoie" monetarie e senza suicide tentazioni protezionistiche ed autarchiche.

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