BOOM DEL DOLLARO: CHI GUADAGNA IN ITALIA




D.G., L.T.



Accanto a chi lamenta perdite per le importazioni o perché si è indebitato in dollari, e ora deve restituire una somma in lire più alta del previsto, c'è chi dal salto stratosferico della valuta americana trae enormi vantaggi. Si tratta, ovviamente, e in primo luogo, degli operatori che lavorano o vendono nell'area della divisa statunitense. 0 direttamente negli Stati Uniti, oppure in quei Paesi che comunque fatturano in dollari, da quelli arabi a quelli dell'America Latina e a quelli in via di sviluppo.
I vantaggi di un dollaro in rialzo, per chi esporta, sono diversi. Innanzitutto, la merce diventa più competitiva. L'operatore straniero che acquista in voluto americano da un venditore italiano ottiene una sorta di "sconto" sul prezzo delle merci, che diventano quindi più convenienti. Servono, cioé, meno dollari per comprarle. Questo, nel caso che il prodotto sia fatturato in lire.
Il vantaggio divento ancora più palese (e resta appannaggio intero dell'esportatore italiano), se il prezzo di vendita era già all'origine stabilito in dollari. L'importatore straniero che compra, paga sempre la stessa somma, ma per il venditore italiano che la riceve esso vale, convertita in lire, sempre di più. Aumenta, insomma, parallelamente alla crescita di valore della moneta americana.
Più spiccata competitività, dovunque. E maggiore convenienza degli operatori stranieri a rivolgersi al made in ltaly. Ecco, allora, spiegate le ragioni del nuovo boom delle esportazioni italiane negli Stati Uniti. Nel giro di un solo anno, dal 1983 al 1984, sono quasi raddoppiate, passando da circa 7.000 miliardi di dollari a oltre 13.000 miliardi, sempre di dollari.
Ma la tendenza all'aumento si è ancor più rafforzato negli ultimi mesi: trainate dall'effetto-dollaro, passato dalle 1.350 lire del 1983 alle oltre 2.000 lire dell'inizio 1985, tonnellate di prodotti italiani fanno la fila in tutti i porti per essere stivate nelle navi-containers dirette verso l'America. E le ditte più note e meglio pubblicizzate sono cariche di nuovi ordini fino a tutto il 1986.
La spinta più forte l'hanno avuta, naturalmente, i settori con una già collaudata penetrazione nel mercato americano: i gioielli, i mobili, i prodotti per l'abbigliamento, le calzature, la posta. Da un anno all'altro (sono state sufficienti le 300-400 lire di margine nel tasso di cambio lira-dollaro), le quantità esportate sono tutte più che raddoppiate. E in qualche caso (come nel settore dei mobili) persino triplicate, e addirittura quintuplicate (macchine per lavorazioni minerali). E, con esse, si sono gonfiati i profitti degli esportatori italiani: da 400 a oltre 700 miliardi per le gioiellerie; da 106 a 210 miliardi per i tessuti; da 55 a 732 per i mobili; da 14 a 19 per le paste di frumento; da 80 a 140 per i materiali da costruzione. Tanto per dire: mai esportato tanto marmo negli Stati Uniti!
Insomma, un altro sbarco in America. E profitti alle stelle. Persino dove le quantità esportate sono rimaste le stesse (ad esempio, le pelli lavorate) o sono diminuite (come nel caso dei vini), i ricavi, gonfiati dal rialzo del dollaro, sono risultati più alti. Di circa il 20-30 per cento. Ormai è iniziata la corsa all'apertura di veri e propri negozi sul posto. Tanto per citare qualcuno: la Benetton ne aveva uno solo nel 1983; oggi ne ha 200, e ritiene di arrivare a 400 agli inizi del 1986.
E negli altri Paesi dell'area del dollaro? I Paesi arabi, dell'America Latina, dell'Africa? In questo caso, il discorso è più articolato: è vero che i contratti, dallo grande commessa impiantistica alla piccola esportazione di merci (come la carne italiana inviata in Libia e in Iran), vengono ancora fatturati in dollari. E un certo guadagno sul cambio, rivalutandosi il dollaro, si spunta. Lo sanno bene tutte le grandi imprese, private e a partecipazione statale, che hanno avviato consulenze e lavori all'estero: solo l'Iri, nel 1984, ha preso nuovi lavori all'estero per 7.500 miliardi, guadagnandoci sul cambio di più di 700 miliardi di lire.
Ma il ciclone monetario sollevato dal dollaro, oltre a creare difficoltà in Europa (dove la lira all'inizio del 1985 si è rivalutata, rendendo più difficili le esportazioni), ha ridotto la capacità di pagare di questi Paesi. Alcune ditte stanno già pagando lo scotto: ordini cancellati e pagamenti rinviati. E chi aveva grandi debiti (Brasile, Polonia, Argentina, ad esempio) rischia la bancarotta.

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