§ IL PROBLEMA "DOLLARO"

MERCATO SENZA FRENI




Paolo Savona



Il valore del dollaro sui mercati valutari ha perso ormai ogni legame con gli andamenti comparati delle economie reali sottostanti. Le quotazioni, sospinte da aspettative che si alimentano per diversi rivoli politici e psicologici, sono diventate un fatto puramente monetario, risultato dello spostamento delle ingenti masse di dollari per uso internazionale (gli eurodollari del passato, per intenderci) che le autorità hanno permesso si accumulassero presso banche multinazionali.
L'economia mondiale si trova oggi a dover fronteggiare una situazione non dissimile, ma di segno opposto, da quella creatasi tra il 1968 e il 1971, culminato nella declaratoria di non convertibilità del dollaro in oro e nella fine del sistema dei cambi ideato a Bretton Woods.
Non è certo nè una sorpresa né una novità il fatto che senza controllo monetario si perde anche il controllo dei rapporti di cambio. Gli Stati Uniti hanno accentuato fin dal 1980 il controllo monetario interno, ma non hanno voluto né vogliono fare lo stesso per l'uso bancario internazionale del dollaro. Poichè, come indica chiaramente l'ingente disavanzo commerciale con l'estero, gli Stati Uniti vivono al di sopra delle proprie risorse, essi sono costretti a reimportare i dollari di cui si è permesso in passato l'accumulo all'estero presso banche internazionali nel periodo ricordato come quello di benevola disattenzione ("benign neglect").
Le stime di questi "eurodollari", al lordo degli scambi interbancari, danno un importo di circa 1.800 miliardi (tremilaseicento trilioni di lire, o, se di più facile lettura, sei anni di Prodotto Interno Lordo italiano!). Se, come è successo e continuo a succedere, questi "dollari esteri" continuano a perdere le pur tenui rodici con l'economia reale, l'ascesa della loro quotazione è possibile non essendoci limite d'intervento delle autorità sul mercato dei cambi che posso fronteggiare i loro possibili ingenti spostamenti.
Il mercato ha quindi preso il sopravvento sulle autorità, come era facile prevedere, dato il rifiuto persistente, al quale hanno dato mano anche le potenze europee, di controllare la formazione di dollari per uso internazionale. Le autorità, tuttavia, non passano dire che questa è la volontà del mercato, ma devono riconoscere che questa è la loro volontà - del passato e del presente - di non regolare la quantità di moneta internazionale.
La condizione del mercato valutario è oggi equivalente a quella che si determinerebbe all'interno di un qualsiasi paese se la Banca Centrale ed il Tesoro non controllassero la base monetaria e la moltiplicazione del credito e dei depositi. Queste autorità non sarebbero legittimate a sostenere che il disordine monetario conseguente sia il riflesso della "volontà del mercato"; ma anche se lo dicessero, resterebbe pur sempre vero che il disordine sarebbe invece il risultato della volontà delle autorità di non controllare la creazione monetario. Questo è quanto accade al dollaro per usi internazionali; il suo comportamento di mercato risponde a canoni razionali e coerenti: riflette, cioè, lo stato della domanda e dell'offerta monetaria che si viene a determinare a seguito delle scelte - buone o cattive che siano, e quelle attuali negli Stati Uniti sono buone per l'interno e cattive per l'esterno - fatte dalle autorità. Come dimostrano la crisi del dollaro dell'agosto 1971, le crisi petrolifere dal 1974 al 1979 e la deflazione del 1980-82, chi semina vento prima o poi raccoglie tempesta. Se è vero che il rapporto lira-marco e gli altri rapporti di cambio con il dollaro hanno perso ogni contatto con gli andamenti reali delle economie sottostanti, sia pure sospinti dalla scarso credibilità dei singoli governi europei e della Comunità, è pur vero che i fenomeni monetari possono presentare, diversamente da quelli dell'economia reale, dei rovesci repentini. Operare oggi sul dollaro può anche consentire per lungo tempo altri elevati guadagni, ma a rischio progressivamente crescente per gli operatori. Giungerà il momento in cui l'economia reale si vendicherò: è incerto solo quando ciò accadrà.
Salvo che gli Stati Uniti non accettino - con una scusa o con l'altra, peraltro facile a trovarsi, dato il comportamento degli altri paesi - di codificare in norme le pressioni protezionistiche provenienti dai settori della propria economia colpiti dalla rivalutazione del dollaro, rendendone accettabile il suo nuovo valore fuori equilibrio. Ciò equivarrebbe a praticare una politica difensiva dei prodotti americani non liberista che, se attuata in presenza di disavanzi con l'estero e disavanzi pubblici delle dimensioni di quelli ora accettati dagli Stati Uniti, ha sempre fruttato ai paesi che l'hanno praticata - Italia sovente in testa - pesanti sgridate e pedanti sermoni da parte americana.

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