Claudio
Alemanno a colloquio con il prof. Antonio Pedone. responsabile del Dipartimento
Economico presso la Presidenza del Consiglio, e con il prof. Salvatore
Cafiero, Direttore Generale della Svimez.
1) Ragioniamo
sul Mezzogiorno proiettato nel dopo-inflazione. Finora l'impegno legislativo,
riferendoci all'ambito della politica industriale, ha di fatto prodotto
un sostegno ad ampio spettro per le attività produttive del
Centro-Nord mentre per il Mezzogiorno si è pensato prevalentemente
ad un ancoraggio all'intervento straordinario. Non avverte un vuoto
di progettualità, una carenza di strategia verso il Mezzogiorno?
Io penso che l'intervento straordinario comunque va conservato. C'è
un'esigenza soprattutto in prospettiva per il fatto che nel Mezzogiorno
si vanno cumulando i grossi problemi strutturali dell'economia italiana
in termini di occupazione e di arretratezza di alcune strutture di
base. L'intervento straordinario credo che debba rimanere ma credo
anche che debba essere accompagnato e riorientato sia in ragione delle
modifiche sollecitate dalle forme ordinarie d'intervento, sia in ragione
dei correttivi richiesti dalla gestione propria, resa diversa da quella
tradizionale. E' innegabile comunque che occorre uno sforzo addizionale,
aggiuntivo all'intervento ordinario per il Mezzogiorno. Solo che l'intervento
ordinario va rimodificato in modo che non sia tale da privilegiare
come è accaduto finora la ristrutturazione e le varie forme
di riconversione.
2) Può precisare meglio il ruolo che dovrebbe svolgere l'intervento
ordinario ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno?
Personalmente lo vedo inquadrato in varie forme. Una prima forma della
quale ci siamo un po' scordati riguarda il ruolo delle amministrazioni
pubbliche e delle imprese pubbliche. Poi c'è il ruolo di quella
parte d'intervento ordinario erogato attraverso la politica industriale
(leggi generali d'incentivazione come quelle per la ristrutturazione,
la ricerca applicata, l'innovazione tecnologica).
L'amministrazione pubblica certo può svolgere un ruolo un po'
più incisivo attraverso tutta la domanda pubblica che non è
irrilevante e che può essere indirizzata non con i meccanismi
soltanto delle quote di riserva per il Mezzogiorno ma con obiettivi
particolari di incremento delle attività produttive che si
pensa possano svolgersi favorevolmente. Quindi un uso un po' più
accorto rispetto al passato e più coordinato della domanda
pubblica delle varie amministrazioni, ivi inclusi gli enti locali
meridionali che per molte cose non si rivolgono affatto al Mezzogiorno
ma al Nord. Ci saranno ragioni di convenienza sia chiaro, ma forse
con uno sforzo di maggiore coordinamento della loro azione possono
attivare una domanda che può concorrere a stimolare l'attività
di sviluppo nello stesso Mezzogiorno.
C'è poi l'impegno più rilevante che riguarda i grandi
gruppi d'imprese pubbliche e private. Consentire ad esempio maggiore
libertà alle aziende a partecipazione statale per operare anche
all'estero può essere un fatto positivo purchè però
ci sia una ricaduta attraverso commesse nel Mezzogiorno. Tra l'altro
le grandi imprese credo che dispongano di una certa organizzazione
e struttura per cui possono favorire uno sviluppo di attività
produttive da parte degli operatori del Mezzogiorno con consorzi in
cui possono entrare anche loro.
3) A questo proposito occorre però sottolineare che la crisi
delle partecipazioni statali ha fatto perdere alle aziende pubbliche
più di una battuta. Ancora non si so con precisione che cosa
si deve tenere dentro e cosa va portato fuori dal sistema a partecipazione
pubblica. Questo problema di chiarimento interno non limita l'azione
dello Stato nel Mezzogiorno?
Allo stato attuale certamente. Ma c'è di più. La crisi
della grande impresa, in particolare quella pubblica, può comportare
anche un peggioramento della condizione meridionale. Non solo perchè
i grandi impianti della siderurgia e della chimica sono in crisi ma
soprattutto perchè questo particolare aspetto della crisi fa
perdere battute anche alla piccola e media impresa che necessariamente
ne resta influenzata in negativo. In tutto il mondo ormai lo sviluppo
della piccola e media impresa è trainato da quello della grande.
E' vero che in Usa hanno la Silicon Valley, ma se non ci fosse la
IBM o la ITT vorrei capire.... ! Quindi preoccupa doppiamente la crisi
della grande impresa, di quella pubblica in particolare, perchè
ciò implica maggiori difficoltà d'intervento nel Mezzogiorno.
Il ruolo della grande impresa in prospettiva resta determinante. Se
pensiamo ad uno sviluppo industriale sano, basato sui settori più
impegnati nell'innovazione, dai grandi trasporti alle telecomunicazioni,
è difficile immaginare che questo possa avvenire senza una
capacità di indirizzo e di coordinamento da parte delle grandi
imprese, siano l'Olivetti o le imprese del gruppo Iri.
4) La grande impresa può essere sollecitata nell'immediato
da un'azione di stimolo della domando pubblica?
Io direi che dovrebbe essere sollecitata. Questi grandi programmi
che si pensa di incentivare in misura anche abbastanza rilevante con
fondi pubblici nei campi dove le tecnologie sono più avanzate
dovrebbero prevedere proprio il ruolo delle grandi imprese che inevitabilmente
sono le destinatarie delle prime commesse e quindi anche una diffusione
in forma di subcommesse in particolare nel Mezzogiorno. Le occasioni
credo ci siano; in molti settori questo è possibile farlo.
Oggi è possibile prevedere un decentramento delle produzioni
molto più facile di quanto non lo fosse per i grossi investimenti
degli anni 50-60. Faccio un esempio. Per un'acciaieria è difficile
immaginare un decentramento diffuso sul territorio, tra diverse imprese.
Nel settore delle telecomunicazioni questo è più facile
purchè ci sia un cervello di coordinamento. Lo stesso accade
in altri settori come la componentistica e i trasporti. Cioè
in tutti i settori a forte presenza innovativo le tecniche non obbligano
più la concentrazione in un posto. Proprio queste caratteristiche
richiedono inevitabilmente l'impegno della grande impresa; ma ciò
non vuoi dire che si richieda anche il grande impianto concentrato
in un posto.
Le nuove tecniche consentono una diffusione molto più articolata
del passato, fenomeno che peraltro ha effetti di germinazione e di
stimolo non indifferenti.
5) Nel quadro da lei delineato l'intervento straordinario viene comunque
a collocarsi in una posizione di supporto...
Questa era l'intenzione quando è stato proposto il Fondo di
sviluppo sostitutivo della vecchia Cassa. Riguardava non tanto uno
spostamento nel tipo delle forme d'intervento, ad esempio dalle opere
pubbliche ad interventi più differenziati nei settori industriali
e nei servizi. C'era tutto questo ma c'era anche il fatto che il Fondo
dovrebbe servire a finanziare quest'ultimo tipo di attività.
lo credo non integralmente nel senso che dovrebbero sempre esserci
programmi in questi settori in cui c'è un impegno ordinario
di risorse da parte dello Stato e delle imprese interessate. In aggiunta
però c'è in più un impegno a carico del Fondo
per lo sviluppo del Mezzogiorno.
6) Sappiamo tuttavia che sulla base delle erogazioni effettuate dalla
Cassa, - l'esperienza del passato - l'intervento ha finito per privilegiare
la piccola e media impresa. Questa logica dovrebbe essere rivista,
integrata in qualche modo con altri indirizzi?
Secondo me alla fine dovrebbe essere avvantaggiata la piccola e media
impresa, anche se è difficile immaginare che possa esserlo
direttamente.
Resta il fatto che il Fondo dovrebbe funzionare essenzialmente sulla
base di proposte provenienti dagli enti locali, dalle imprese, dalle
varie associazioni, ecc. E' sperabile che vengano molte proposte da
parte di tante piccole e medie imprese ma perchè sia assicurata
la loro vitalità, cioè la capacità a produrre
reddito nel tempo, mi sembra difficile immaginarle slegate, non coordinate
in qualche misura con l'azione trainante delle grandi imprese.
7) Poco fa accennava al ruolo di maggiore interesse assegnato agli
enti locali e alle regioni nell'ambito della nuova gestione dell'intervento
straordinario. Sembra tuttavia sussistere una carenza di organizzazione
presso queste amministrazioni. è anomalo ad esempio che la
spesa delle regioni meridionali sia orientata verso i servizi più
che verso le attività produttive, risultando addirittura residuale
all'interno di questo settore l'impegno per l'industria...
Si, questo è anomalo perchè risulta più difficile
a livello regionale rendersi conto delle complessità di un
progetto di sviluppo industriale, ad esempio nel settore delle telecomunicazioni
o nella predisposizione degli strumenti che servono per una piattaforma
di esplorazione sottomarina. Proprio per consentire questo spostamento
dai campi d'intervento tradizionali, sanità, assistenza, opere
pubbliche, trasporti, ai settori industriali e dei servizi funzionali
all'attività produttiva, cioè il terziario produttivo,
è importante che ci sia un centro autonomo di riferimento.
Questo può essere il Fondo di sviluppo, dotato della capacità
di filtrare i criteri d'indirizzo provenienti dal Ministero per il
Mezzogiorno o dal Ministero del Bilancio: comunque dal Governo, e
di predisporre progetti adeguati d'intesa con le Regioni. E' un po'
lo spirito con cui si è lavorato nel preparare il piano triennale.
Quindi le Regioni vengono in qualche misura invitate ad indirizzarsi
verso quei settori che il mercato considera più promettenti,
quelli cioè dove è più presente l'esigenza dell'innovazione.
Resta comunque essenziale che gli enti locali siano in grado di formulare
valide sollecitazioni, cioè progetti finanziabili dal Fondo
secondo criteri razionali e corretti che pur dovranno essere adottati.
8) La presenza del Ministero per il Mezzogiorno nell'ambito della
struttura di Governo la ritiene dunque ancora valida?
Come tutto, non è indispensabile. Questo ruolo potrebbe anche
essere svolto teoricamente dal Ministero del Bilancio; però
io ritengo ancora sia utile immaginare un Ministero per il Mezzogiorno
che abbia due compiti fondamentali. Quello di rappresentare le inefficienze
del Mezzogiorno complessivamente rispetto alle altre esigenze che
si manifestano nel Paese e quello di partecipare in ogni sede coordinata,
quindi anche presso il Bilancio ed il CIPE, per la ripartizione dei
fondi. Credo che vi sia ancora bisogno di un organismo centrale che
rappresenti in modo unitario gli interessi del Mezzogiorno.
9) Se torniamo agli elementi di stimolo a carattere ordinario forse
una riflessione ulteriore va portata sui provvedimenti di ordine monetario
e creditizio. Siamo in una fase di politica monetario restrittiva
e probabilmente siamo destinati a convivere con essa ancora un po'.
Nelle condizioni attuali quali possibilità ci sono da un punto
di vista strategico di utilizzare la leva monetaria e creditizia al
fine di ottenere il potenziamento dell'economia meridionale?
Gli spazi credo che siano limitati. E' difficile immaginare una politica
monetaria orientata verso il Mezzogiorno, pensare cioè di condizionarla
o indirizzarla a scopi specifici differenziati di sviluppo tra settori
o tra aree. Si avrebbero grosse complicazioni soprattutto tenendo
conto che la politica monetaria non può essere disgiunta dalla
politica valutaria. Questo non vuoi dire che non si possono fare alcune
cose. Si può cercare da un lato, lo ha incominciato a fare
già la Banca d'Italia in forma forse un po' silenziosa, di
ridurre un divario di efficienza che non è solo inefficienza
soggettiva ma può essere anche inefficienza imposta dalle circostanze
dell'ambiente in cui le banche operano nel sistema creditizio meridionale
rispetto a quelle che invece operano nel Centro-Nord. Il caso più
evidente è dato dai differenziali nei tassi d'interesse attivi
e passivi che nel Sud sono notoriamente più alti che nel Nord.
Ridurre questo fenomeno in qualche misura è possibile, almeno
per quanto riguarda i rischi connessi alla attività creditizia
in senso proprio e non a quelli derivanti dall'ambiente esterno che
invece vanno ridotti o compensati in altro modo.
Si può anche fare qualcosa rendendo più agevole e rapido
il credito agevolato. Credo che qualche forma di credito agevolato
debba rimanere anche se questa materia è fuori dalle competenze
della Banca d'Italia e va disciplinata con apposite leggi dello Stato.
Del resto in tal senso si trovano già indicazioni nel disegno
di legge per la nuova articolazione dell'intervento straordinario.
Le forme d'incentivo creditizio rimangono anche se si tratta non tanto
di incrementarle in quanto tali ma di renderle più efficaci,
cioè più rapide e dirette.
10) Negli ultimi tempi si è verificato una caduta dei finanziamenti
praticati con il credito speciale, quello mobiliare in special modo.
La nuova disciplina non dovrebbe tenere conto di un maggiore coordinamento
tra credito ordinario e credito agevolato? Avendo presente soprattutto
che l'azienda resta pur sempre un "unicum", quindi mai sopporta
un eccessivo frazionamento nel settore del credito in funzione dei
tipi di attività...
Certo, questo è vero. Però è vero anche che non
possiamo trasformare tutto il credito agevolato. Le erogazioni del
Fondo sono sempre orientate versi specifici progetti d'investimento.
E' vero che l'azienda è un "unicum" però può
fare investimenti che comunque avrebbe fatto, quindi la parte agevolata
deve restare circoscritta a quei settori dell'industria o dei servizi
produttivi che la mano pubblica intende potenziare. è difficile
trovare una soluzione unificante. D'altro canto se si vuole conservare
il credito agevolato, questo deve restare finalizzato a particolari
progetti. Non si può dare tout-court il credito agevolato all'impresa
che va nel Sud. Quindi la differenziazione delle forme creditizie
è inevitabile, il problema invece è quello di non rendere
troppo elevato il differenziale, cioè di non rendere troppo
costoso il credito ordinario.
11) Soffermiamoci un momento sull'organizzazione del mercato finanziario.
L'idea, sollecitata in più sedi dalla Banca d'Italia, di costituire
consorzi tra banche per agevolare la nascita di soggetti giuridici
distinti, atti a produrre determinati servizi, può avere a
suo avviso valore incentivante per l'economia meridionale?
Gli strumenti finanziari di per sè non provocano sviluppo reale
ma ciò non vuoi dire che disporre di certi strumenti finanziari
non agevoli lo sviluppo. Per esempio queste proposte della Banca d'Italia
o quelle di costituire banche d'affari, cioè banche in grado
di assumere loro inizialmente un impegno nel capitale d'impresa e
poi diffonderlo tra chi vuole investire in questa forma d'impiego
vanno considerate utilmente. Direi che bisogna creare un'offerta adeguata
alla domanda. E' bene che questi strumenti ci siano ma se si costituiscono
le merchant banks nel Mezzogiorno e poi le imprese non utilizzano
i servizi perchè non vogliono capitalizzarsi per questa via,
rimangono sottoutilizzate. le cose direi che debbono viaggiare abbastanza
contemporaneamente. Predisporre strumenti di facilitazione per l'aspetto
finanziario con l'intento di provocare uno sviluppo reale che altrimenti
non si avrebbe mi sembra un po' fantasioso. Significa non affrontare
i problemi reali. La spinta va data comunque alle imprese impegnate
nelle attività produttive. Oggi non mi pare che ci siano imprese
meridionali ansiose di raccogliere capitali di rischio attraverso
emissioni azionarie in borsa. Purtroppo non ci sono, questo è
il guaio!
A colloquio con Salvatore CAFIERO
1) L'ultimo rapporto
Svimez ha segnalato con forza la tendenza verso l'aumento del divario.
Non ritiene che ciò sia imputabile almeno in parte allo svuotamento
della politica di piano? Soprattutto alla mancanza di un'azione incrociato
tra un tipo di programmazione strategica propria dell'Amministrazione
Pubblica, Stato e Regioni, e la programmazione operativa svolta dalle
imprese?
Il metodo della programmazione nel governo dell'economia è
stato un punto fermo del meridionalismo. è attraverso di esso,
infatti, che può essere controllata la coerenza del complesso
delle politiche nazionali alla finalità dell'unificazione economica
del Paese. E tale coerenza è stata nel meridionalismo considerata
più importante ancora dell'intervento straordinario. Programmazione
intesa quindi non come predeterminazione, del resto impossibile, di
tutte le decisioni e azioni da prendere nel periodo di attuazione
del piano, ma come verifica ed eventuale correzione degli effetti
differenziati che gli eventi, e le misure da adottare di volta in
volta per fronteggiarli, provocano nei due sub-sistemi in cui si articola
l'economia italiana. Non mancano certo gli esempi di tali effetti
differenziati. le leggi per la ristrutturazione, per l'innovazione,
per il sostegno alla piccola impresa, così come la Cassa integrazione,
non hanno certo, e non possano avere, la stessa ampiezza di applicazione
al Nord e al Sud. Anche gli interventi sul territorio meridionale
debbono essere programmati perchè possano servire a colmare
il divario territoriale di convenienza all'esercizio di imprese, divario
in cui in ultima analisi si sostanzia la questione meridionale. Ma
anche in questo caso non si tratta di predeterminare scelte che spettano
alle imprese, ma di agire con la necessaria prontezza e flessibilità
sul contesto in cui esse devono operare.
2) Si ha la sensazione, anche attraverso le sue considerazioni, che
il Centro-Nord vada assumendo sempre più i caratteri di un
sistema chiuso, ripiegato su se stesso, sulla suo crisi. Questo fenomeno,
se reale, non acuisce la logica del doppio binario, dello sviluppo
a due vie, finendo in prospettiva con il penalizzare ancora di più
il Mezzogiorno?
Nell'ultimo decennio l'industria italiana, largamente concentrata
nel Nord, si è trovata, per i mutamenti intervenuti nelle tecnologie
e nei mercati, a dover conseguire recuperi di competitività
attraverso un grande processo di sostituzione di capitale che ha consentito
di ridurre l'impiego unitario dei fattori e segnatamente del lavoro.
Tale processo ha richiesto un rilevante impegno pubblico a sostegno
sia delle imprese, sia dei lavoratori espulsi dal processo produttivo.
Un impegno inevitabilmente concorrente con quello del Mezzogiorno.
Questa circostanza ha certamente contribuito a questa sorta di rimozione,
cui si è assistito negli ultimi anni, del problema meridionale
dalla coscienza collettiva. Ma ciò che soprattutto condiziona
il futuro del Mezzogiorno è che lo sfruttamento tempestivo
delle opportunità offerte dal progresso tecnico e dai continui
mutamenti del mercato è ormai il fattore decisivo di successo
nell'agone della concorrenza. Ne deriva che la produttività
dei fattori nell'ambito dell'industria esistente continuerà
ad aumentare a ritmi sostenuti anche nel medio e lungo periodo. L'aumento
della produttività potrebbe da solo rivelarsi sufficiente a
conseguire gran parte dell'aumento del prodotto interno che sarà
reso possibile dall'aumento della domanda mondiale e dalla capacità
della nostra economia di trarne vantaggio. Lo spazio per nuovi investimenti,
da localizzare con opportune politiche nel Mezzogiorno, potrebbe dunque
rivelarsi esiguo per non pochi anni.
3) Le sue considerazioni fanno pensare ai problemi della terziarizzazione
del sistema industriale e della nuova organizzazione del lavoro. Lei
trova elementi gravi di conflitto tra questa complessa problematico
e l'articolazione attuale del tessuto urbano nei centri più
popolati del Mezzogiorno?
Con l'avvento dei sistemi di produzione flessibile, la competitività
non dipende più soltanto dai costi e dall'efficienza delle
funzioni materiali di produzione, che tendono a perdere importanza
anche in termini di occupazione, ma soprattutto dai costi e dall'efficienza
delle funzioni immateriali di acquisizione e di elaborazione delle
informazioni. Dal loro sviluppo e dalla loro integrazione con la funzione
di produzione dipende la possibilità di assumere decisioni
corrette e tempestive su che cosa, come e per chi produrre. Queste
funzioni, siano esse interne o esterne all'impresa industriale, sono
oggi anche le più dinamiche in termini di occupazione. I limiti
al loro sviluppo nel Mezzogiorno sono però chiaramente connessi
alla cosiddetta "questione urbana".
4) Questo suo ultimo accenno mette in evidenza un elemento di grande
rilievo. Cioè che accanto alla crisi dell'impianto produttivo
nel Sud esiste anche un forte degrado del tessuto urbano e ambientale.
Questo fenomeno, grave in sè, quanto pesa a suo avviso sul
futuro del Mezzogiorno?
Con la nuova fase del progresso tecnico, tende a diminuire nei paesi
industrializzati la dimensione demografica e industriale della aree
urbane maggiori e i processi di industrializzazione e di urbanizzazione
tendono a diffondersi nel territorio. La possibilità di evitare
o superare la crisi derivante dalla contrazione della componente industriale
dell'economia urbana è essenzialmente affidata alla conversione
di tale economia verso funzioni direzionali e di terziario superiore.
In effetti la diffusione dell'industria nel territorio e la crescente
specializzazione direzionale e terziaria della città e delle
aree metropolitane sono due aspetti complementari del passaggio ad
una fase nuova di sviluppo dell'economia. Sotto questo profilo è
particolarmente evidente lo svantaggio del Mezzogiorno, dove le grandi
agglomerazioni urbane, la cui popolazione in molti casi è addirittura
in aumento, hanno una base produttiva, sociale, insediativa e di rapporto
col territorio scarsamente idonea allo sviluppo di funzioni direzionali
e di terziario superiore.
5) Dunque il tema dell'occupazione, prospettato con costante preoccupazione
dalla Svimez, non sembra sufficiente a motivare da solo l'afflusso
di nuovi investimenti nel Mezzogiorno. Creare ragioni di convenienza
per ulteriori impieghi industriali risulta più complesso rispetto
al passato...
Le imprese investono non per creare occupazione ma per realizzare
profitto. Le prospettive di aumento dell'occupazione produttiva dipendono
dal successo che potrà avere l'azione pubblica diretta a rendere
per le imprese la convenienza della localizzazione meridionale non
minore che quella al Nord. La difficoltà è che oggi
per colmare il divario di convenienza tra l'investimento al Nord e
quello al Sud non possono bastare, come nel passato, l'azione infrastrutturale
e la concessione di incentivi finanziari. Ho prima accennato ai motivi
che tendono oggi a identificare la questione meridionale con la questione
urbana. Posso aggiungere che un grande impegno pubblico volto al risanamento
e alla riqualificazione delle grandi aree urbane del Mezzogiorno risponderebbe
a una duplice esigenza. In primo luogo concorrerebbe a realizzare
le condizioni essenziali perchè possa riprendere su tutto il
territorio meridionale un processo di accumulazione di capitale produttivo
adeguato alla dinamica dell'offerta di lavoro. in secondo luogo sopperirebbe
a tale processo, per il periodo non breve in cui esso sarà
insufficiente, con un intervento che investirebbe proprio le aree
in cui la dimensione e la dinamica dello squilibrio tra offerta e
domanda di lavoro è di gran lunga più grave e socialmente
più sconvolgente.
6) In un contesto così disarticolato come quello da lei descritto,
gli stimoli della nuova disciplina dell'intervento straordinario non
rischiano di seguire tracciati già percorsi se non si accetta
con convinzione, a tutti i livelli, l'idea della necessitò
di uno sviluppo diffuso?
Per tutte le produzioni in cui le nuove tecnologie hanno fortemente
ridotto l'impiego di lavoro ed hanno reso non più necessaria
la prossimità fisica sia tra impianti complementari, sia tra
impianti e funzioni di programmazione, di progettazione, di finanziamento,
di vendita e di gestione amministrativa, viene meno il vincolo della
localizzazione urbana e metropolitana degli impianti. Questi anzi
trovano migliori condizioni di esercizio (maggiore produttività
e minori costi dei fattori) localizzandosi in centri minori o addirittura
in aree non urbanizzate, purchè siano garantite certe condizioni
minime di accessibilità alle reti internazionali di trasporto
e di comunicazione, di dotazione e di qualità dei servizi collettivi,
di modernità e di efficienza delle amministrazioni e dei servizi
locali, nonchè di ridotta conflittualità nelle relazioni
industriali e sociali. Nella fase attuale, se dovrà diminuire
la dimensione demografica e occupazionale delle città e aree
metropolitane maggiori, dovrà però accentuarsi la loro
funzione direzionale. Per le attività decisionali e innovative,
e per quelle ad esse strettamente complementari, nei vari campi dell'attività
economica, amministrativa e sociale continuano ad essere essenziali
la prossimità fisica e la centralità rispetto alle reti
di circolazione delle informazioni, delle idee e delle persone che
ne sono portatrici. Lo sviluppo diffuso degli impianti di produzione
e lo sviluppo delle funzioni di tipica pertinenza urbana sono insomma
due aspetti dello stesso problema di cui in tutte le sedi converrà
tenere conto.