§ CENTRO-NORD: TRA L'ANGOSCIA DEL DECLINO E LA RICERCA DI NUOVE FRONTIERE. MEZZOGIORNO: TRA L'INQUIETUDINE DEL MALESSERE E L'ATTESA DI MUTAMENTI.

IN MEZZO AL GUADO CON UN OCCHIO AL SUD DEL FUTURO




Claudio Alemanno



Claudio Alemanno a colloquio con il prof. Antonio Pedone. responsabile del Dipartimento Economico presso la Presidenza del Consiglio, e con il prof. Salvatore Cafiero, Direttore Generale della Svimez.

1) Ragioniamo sul Mezzogiorno proiettato nel dopo-inflazione. Finora l'impegno legislativo, riferendoci all'ambito della politica industriale, ha di fatto prodotto un sostegno ad ampio spettro per le attività produttive del Centro-Nord mentre per il Mezzogiorno si è pensato prevalentemente ad un ancoraggio all'intervento straordinario. Non avverte un vuoto di progettualità, una carenza di strategia verso il Mezzogiorno?
Io penso che l'intervento straordinario comunque va conservato. C'è un'esigenza soprattutto in prospettiva per il fatto che nel Mezzogiorno si vanno cumulando i grossi problemi strutturali dell'economia italiana in termini di occupazione e di arretratezza di alcune strutture di base. L'intervento straordinario credo che debba rimanere ma credo anche che debba essere accompagnato e riorientato sia in ragione delle modifiche sollecitate dalle forme ordinarie d'intervento, sia in ragione dei correttivi richiesti dalla gestione propria, resa diversa da quella tradizionale. E' innegabile comunque che occorre uno sforzo addizionale, aggiuntivo all'intervento ordinario per il Mezzogiorno. Solo che l'intervento ordinario va rimodificato in modo che non sia tale da privilegiare come è accaduto finora la ristrutturazione e le varie forme di riconversione.
2) Può precisare meglio il ruolo che dovrebbe svolgere l'intervento ordinario ai fini dello sviluppo del Mezzogiorno?
Personalmente lo vedo inquadrato in varie forme. Una prima forma della quale ci siamo un po' scordati riguarda il ruolo delle amministrazioni pubbliche e delle imprese pubbliche. Poi c'è il ruolo di quella parte d'intervento ordinario erogato attraverso la politica industriale (leggi generali d'incentivazione come quelle per la ristrutturazione, la ricerca applicata, l'innovazione tecnologica).
L'amministrazione pubblica certo può svolgere un ruolo un po' più incisivo attraverso tutta la domanda pubblica che non è irrilevante e che può essere indirizzata non con i meccanismi soltanto delle quote di riserva per il Mezzogiorno ma con obiettivi particolari di incremento delle attività produttive che si pensa possano svolgersi favorevolmente. Quindi un uso un po' più accorto rispetto al passato e più coordinato della domanda pubblica delle varie amministrazioni, ivi inclusi gli enti locali meridionali che per molte cose non si rivolgono affatto al Mezzogiorno ma al Nord. Ci saranno ragioni di convenienza sia chiaro, ma forse con uno sforzo di maggiore coordinamento della loro azione possono attivare una domanda che può concorrere a stimolare l'attività di sviluppo nello stesso Mezzogiorno.
C'è poi l'impegno più rilevante che riguarda i grandi gruppi d'imprese pubbliche e private. Consentire ad esempio maggiore libertà alle aziende a partecipazione statale per operare anche all'estero può essere un fatto positivo purchè però ci sia una ricaduta attraverso commesse nel Mezzogiorno. Tra l'altro le grandi imprese credo che dispongano di una certa organizzazione e struttura per cui possono favorire uno sviluppo di attività produttive da parte degli operatori del Mezzogiorno con consorzi in cui possono entrare anche loro.
3) A questo proposito occorre però sottolineare che la crisi delle partecipazioni statali ha fatto perdere alle aziende pubbliche più di una battuta. Ancora non si so con precisione che cosa si deve tenere dentro e cosa va portato fuori dal sistema a partecipazione pubblica. Questo problema di chiarimento interno non limita l'azione dello Stato nel Mezzogiorno?
Allo stato attuale certamente. Ma c'è di più. La crisi della grande impresa, in particolare quella pubblica, può comportare anche un peggioramento della condizione meridionale. Non solo perchè i grandi impianti della siderurgia e della chimica sono in crisi ma soprattutto perchè questo particolare aspetto della crisi fa perdere battute anche alla piccola e media impresa che necessariamente ne resta influenzata in negativo. In tutto il mondo ormai lo sviluppo della piccola e media impresa è trainato da quello della grande. E' vero che in Usa hanno la Silicon Valley, ma se non ci fosse la IBM o la ITT vorrei capire.... ! Quindi preoccupa doppiamente la crisi della grande impresa, di quella pubblica in particolare, perchè ciò implica maggiori difficoltà d'intervento nel Mezzogiorno. Il ruolo della grande impresa in prospettiva resta determinante. Se pensiamo ad uno sviluppo industriale sano, basato sui settori più impegnati nell'innovazione, dai grandi trasporti alle telecomunicazioni, è difficile immaginare che questo possa avvenire senza una capacità di indirizzo e di coordinamento da parte delle grandi imprese, siano l'Olivetti o le imprese del gruppo Iri.
4) La grande impresa può essere sollecitata nell'immediato da un'azione di stimolo della domando pubblica?
Io direi che dovrebbe essere sollecitata. Questi grandi programmi che si pensa di incentivare in misura anche abbastanza rilevante con fondi pubblici nei campi dove le tecnologie sono più avanzate dovrebbero prevedere proprio il ruolo delle grandi imprese che inevitabilmente sono le destinatarie delle prime commesse e quindi anche una diffusione in forma di subcommesse in particolare nel Mezzogiorno. Le occasioni credo ci siano; in molti settori questo è possibile farlo. Oggi è possibile prevedere un decentramento delle produzioni molto più facile di quanto non lo fosse per i grossi investimenti degli anni 50-60. Faccio un esempio. Per un'acciaieria è difficile immaginare un decentramento diffuso sul territorio, tra diverse imprese. Nel settore delle telecomunicazioni questo è più facile purchè ci sia un cervello di coordinamento. Lo stesso accade in altri settori come la componentistica e i trasporti. Cioè in tutti i settori a forte presenza innovativo le tecniche non obbligano più la concentrazione in un posto. Proprio queste caratteristiche richiedono inevitabilmente l'impegno della grande impresa; ma ciò non vuoi dire che si richieda anche il grande impianto concentrato in un posto.
Le nuove tecniche consentono una diffusione molto più articolata del passato, fenomeno che peraltro ha effetti di germinazione e di stimolo non indifferenti.
5) Nel quadro da lei delineato l'intervento straordinario viene comunque a collocarsi in una posizione di supporto...
Questa era l'intenzione quando è stato proposto il Fondo di sviluppo sostitutivo della vecchia Cassa. Riguardava non tanto uno spostamento nel tipo delle forme d'intervento, ad esempio dalle opere pubbliche ad interventi più differenziati nei settori industriali e nei servizi. C'era tutto questo ma c'era anche il fatto che il Fondo dovrebbe servire a finanziare quest'ultimo tipo di attività. lo credo non integralmente nel senso che dovrebbero sempre esserci programmi in questi settori in cui c'è un impegno ordinario di risorse da parte dello Stato e delle imprese interessate. In aggiunta però c'è in più un impegno a carico del Fondo per lo sviluppo del Mezzogiorno.
6) Sappiamo tuttavia che sulla base delle erogazioni effettuate dalla Cassa, - l'esperienza del passato - l'intervento ha finito per privilegiare la piccola e media impresa. Questa logica dovrebbe essere rivista, integrata in qualche modo con altri indirizzi?
Secondo me alla fine dovrebbe essere avvantaggiata la piccola e media impresa, anche se è difficile immaginare che possa esserlo direttamente.
Resta il fatto che il Fondo dovrebbe funzionare essenzialmente sulla base di proposte provenienti dagli enti locali, dalle imprese, dalle varie associazioni, ecc. E' sperabile che vengano molte proposte da parte di tante piccole e medie imprese ma perchè sia assicurata la loro vitalità, cioè la capacità a produrre reddito nel tempo, mi sembra difficile immaginarle slegate, non coordinate in qualche misura con l'azione trainante delle grandi imprese.
7) Poco fa accennava al ruolo di maggiore interesse assegnato agli enti locali e alle regioni nell'ambito della nuova gestione dell'intervento straordinario. Sembra tuttavia sussistere una carenza di organizzazione presso queste amministrazioni. è anomalo ad esempio che la spesa delle regioni meridionali sia orientata verso i servizi più che verso le attività produttive, risultando addirittura residuale all'interno di questo settore l'impegno per l'industria...
Si, questo è anomalo perchè risulta più difficile a livello regionale rendersi conto delle complessità di un progetto di sviluppo industriale, ad esempio nel settore delle telecomunicazioni o nella predisposizione degli strumenti che servono per una piattaforma di esplorazione sottomarina. Proprio per consentire questo spostamento dai campi d'intervento tradizionali, sanità, assistenza, opere pubbliche, trasporti, ai settori industriali e dei servizi funzionali all'attività produttiva, cioè il terziario produttivo, è importante che ci sia un centro autonomo di riferimento. Questo può essere il Fondo di sviluppo, dotato della capacità di filtrare i criteri d'indirizzo provenienti dal Ministero per il Mezzogiorno o dal Ministero del Bilancio: comunque dal Governo, e di predisporre progetti adeguati d'intesa con le Regioni. E' un po' lo spirito con cui si è lavorato nel preparare il piano triennale. Quindi le Regioni vengono in qualche misura invitate ad indirizzarsi verso quei settori che il mercato considera più promettenti, quelli cioè dove è più presente l'esigenza dell'innovazione. Resta comunque essenziale che gli enti locali siano in grado di formulare valide sollecitazioni, cioè progetti finanziabili dal Fondo secondo criteri razionali e corretti che pur dovranno essere adottati.
8) La presenza del Ministero per il Mezzogiorno nell'ambito della struttura di Governo la ritiene dunque ancora valida?
Come tutto, non è indispensabile. Questo ruolo potrebbe anche essere svolto teoricamente dal Ministero del Bilancio; però io ritengo ancora sia utile immaginare un Ministero per il Mezzogiorno che abbia due compiti fondamentali. Quello di rappresentare le inefficienze del Mezzogiorno complessivamente rispetto alle altre esigenze che si manifestano nel Paese e quello di partecipare in ogni sede coordinata, quindi anche presso il Bilancio ed il CIPE, per la ripartizione dei fondi. Credo che vi sia ancora bisogno di un organismo centrale che rappresenti in modo unitario gli interessi del Mezzogiorno.
9) Se torniamo agli elementi di stimolo a carattere ordinario forse una riflessione ulteriore va portata sui provvedimenti di ordine monetario e creditizio. Siamo in una fase di politica monetario restrittiva e probabilmente siamo destinati a convivere con essa ancora un po'. Nelle condizioni attuali quali possibilità ci sono da un punto di vista strategico di utilizzare la leva monetaria e creditizia al fine di ottenere il potenziamento dell'economia meridionale?
Gli spazi credo che siano limitati. E' difficile immaginare una politica monetaria orientata verso il Mezzogiorno, pensare cioè di condizionarla o indirizzarla a scopi specifici differenziati di sviluppo tra settori o tra aree. Si avrebbero grosse complicazioni soprattutto tenendo conto che la politica monetaria non può essere disgiunta dalla politica valutaria. Questo non vuoi dire che non si possono fare alcune cose. Si può cercare da un lato, lo ha incominciato a fare già la Banca d'Italia in forma forse un po' silenziosa, di ridurre un divario di efficienza che non è solo inefficienza soggettiva ma può essere anche inefficienza imposta dalle circostanze dell'ambiente in cui le banche operano nel sistema creditizio meridionale rispetto a quelle che invece operano nel Centro-Nord. Il caso più evidente è dato dai differenziali nei tassi d'interesse attivi e passivi che nel Sud sono notoriamente più alti che nel Nord. Ridurre questo fenomeno in qualche misura è possibile, almeno per quanto riguarda i rischi connessi alla attività creditizia in senso proprio e non a quelli derivanti dall'ambiente esterno che invece vanno ridotti o compensati in altro modo.
Si può anche fare qualcosa rendendo più agevole e rapido il credito agevolato. Credo che qualche forma di credito agevolato debba rimanere anche se questa materia è fuori dalle competenze della Banca d'Italia e va disciplinata con apposite leggi dello Stato. Del resto in tal senso si trovano già indicazioni nel disegno di legge per la nuova articolazione dell'intervento straordinario. Le forme d'incentivo creditizio rimangono anche se si tratta non tanto di incrementarle in quanto tali ma di renderle più efficaci, cioè più rapide e dirette.
10) Negli ultimi tempi si è verificato una caduta dei finanziamenti praticati con il credito speciale, quello mobiliare in special modo. La nuova disciplina non dovrebbe tenere conto di un maggiore coordinamento tra credito ordinario e credito agevolato? Avendo presente soprattutto che l'azienda resta pur sempre un "unicum", quindi mai sopporta un eccessivo frazionamento nel settore del credito in funzione dei tipi di attività...
Certo, questo è vero. Però è vero anche che non possiamo trasformare tutto il credito agevolato. Le erogazioni del Fondo sono sempre orientate versi specifici progetti d'investimento. E' vero che l'azienda è un "unicum" però può fare investimenti che comunque avrebbe fatto, quindi la parte agevolata deve restare circoscritta a quei settori dell'industria o dei servizi produttivi che la mano pubblica intende potenziare. è difficile trovare una soluzione unificante. D'altro canto se si vuole conservare il credito agevolato, questo deve restare finalizzato a particolari progetti. Non si può dare tout-court il credito agevolato all'impresa che va nel Sud. Quindi la differenziazione delle forme creditizie è inevitabile, il problema invece è quello di non rendere troppo elevato il differenziale, cioè di non rendere troppo costoso il credito ordinario.
11) Soffermiamoci un momento sull'organizzazione del mercato finanziario. L'idea, sollecitata in più sedi dalla Banca d'Italia, di costituire consorzi tra banche per agevolare la nascita di soggetti giuridici distinti, atti a produrre determinati servizi, può avere a suo avviso valore incentivante per l'economia meridionale?
Gli strumenti finanziari di per sè non provocano sviluppo reale ma ciò non vuoi dire che disporre di certi strumenti finanziari non agevoli lo sviluppo. Per esempio queste proposte della Banca d'Italia o quelle di costituire banche d'affari, cioè banche in grado di assumere loro inizialmente un impegno nel capitale d'impresa e poi diffonderlo tra chi vuole investire in questa forma d'impiego vanno considerate utilmente. Direi che bisogna creare un'offerta adeguata alla domanda. E' bene che questi strumenti ci siano ma se si costituiscono le merchant banks nel Mezzogiorno e poi le imprese non utilizzano i servizi perchè non vogliono capitalizzarsi per questa via, rimangono sottoutilizzate. le cose direi che debbono viaggiare abbastanza contemporaneamente. Predisporre strumenti di facilitazione per l'aspetto finanziario con l'intento di provocare uno sviluppo reale che altrimenti non si avrebbe mi sembra un po' fantasioso. Significa non affrontare i problemi reali. La spinta va data comunque alle imprese impegnate nelle attività produttive. Oggi non mi pare che ci siano imprese meridionali ansiose di raccogliere capitali di rischio attraverso emissioni azionarie in borsa. Purtroppo non ci sono, questo è il guaio!


A colloquio con Salvatore CAFIERO

1) L'ultimo rapporto Svimez ha segnalato con forza la tendenza verso l'aumento del divario. Non ritiene che ciò sia imputabile almeno in parte allo svuotamento della politica di piano? Soprattutto alla mancanza di un'azione incrociato tra un tipo di programmazione strategica propria dell'Amministrazione Pubblica, Stato e Regioni, e la programmazione operativa svolta dalle imprese?
Il metodo della programmazione nel governo dell'economia è stato un punto fermo del meridionalismo. è attraverso di esso, infatti, che può essere controllata la coerenza del complesso delle politiche nazionali alla finalità dell'unificazione economica del Paese. E tale coerenza è stata nel meridionalismo considerata più importante ancora dell'intervento straordinario. Programmazione intesa quindi non come predeterminazione, del resto impossibile, di tutte le decisioni e azioni da prendere nel periodo di attuazione del piano, ma come verifica ed eventuale correzione degli effetti differenziati che gli eventi, e le misure da adottare di volta in volta per fronteggiarli, provocano nei due sub-sistemi in cui si articola l'economia italiana. Non mancano certo gli esempi di tali effetti differenziati. le leggi per la ristrutturazione, per l'innovazione, per il sostegno alla piccola impresa, così come la Cassa integrazione, non hanno certo, e non possano avere, la stessa ampiezza di applicazione al Nord e al Sud. Anche gli interventi sul territorio meridionale debbono essere programmati perchè possano servire a colmare il divario territoriale di convenienza all'esercizio di imprese, divario in cui in ultima analisi si sostanzia la questione meridionale. Ma anche in questo caso non si tratta di predeterminare scelte che spettano alle imprese, ma di agire con la necessaria prontezza e flessibilità sul contesto in cui esse devono operare.
2) Si ha la sensazione, anche attraverso le sue considerazioni, che il Centro-Nord vada assumendo sempre più i caratteri di un sistema chiuso, ripiegato su se stesso, sulla suo crisi. Questo fenomeno, se reale, non acuisce la logica del doppio binario, dello sviluppo a due vie, finendo in prospettiva con il penalizzare ancora di più il Mezzogiorno?
Nell'ultimo decennio l'industria italiana, largamente concentrata nel Nord, si è trovata, per i mutamenti intervenuti nelle tecnologie e nei mercati, a dover conseguire recuperi di competitività attraverso un grande processo di sostituzione di capitale che ha consentito di ridurre l'impiego unitario dei fattori e segnatamente del lavoro. Tale processo ha richiesto un rilevante impegno pubblico a sostegno sia delle imprese, sia dei lavoratori espulsi dal processo produttivo. Un impegno inevitabilmente concorrente con quello del Mezzogiorno. Questa circostanza ha certamente contribuito a questa sorta di rimozione, cui si è assistito negli ultimi anni, del problema meridionale dalla coscienza collettiva. Ma ciò che soprattutto condiziona il futuro del Mezzogiorno è che lo sfruttamento tempestivo delle opportunità offerte dal progresso tecnico e dai continui mutamenti del mercato è ormai il fattore decisivo di successo nell'agone della concorrenza. Ne deriva che la produttività dei fattori nell'ambito dell'industria esistente continuerà ad aumentare a ritmi sostenuti anche nel medio e lungo periodo. L'aumento della produttività potrebbe da solo rivelarsi sufficiente a conseguire gran parte dell'aumento del prodotto interno che sarà reso possibile dall'aumento della domanda mondiale e dalla capacità della nostra economia di trarne vantaggio. Lo spazio per nuovi investimenti, da localizzare con opportune politiche nel Mezzogiorno, potrebbe dunque rivelarsi esiguo per non pochi anni.
3) Le sue considerazioni fanno pensare ai problemi della terziarizzazione del sistema industriale e della nuova organizzazione del lavoro. Lei trova elementi gravi di conflitto tra questa complessa problematico e l'articolazione attuale del tessuto urbano nei centri più popolati del Mezzogiorno?
Con l'avvento dei sistemi di produzione flessibile, la competitività non dipende più soltanto dai costi e dall'efficienza delle funzioni materiali di produzione, che tendono a perdere importanza anche in termini di occupazione, ma soprattutto dai costi e dall'efficienza delle funzioni immateriali di acquisizione e di elaborazione delle informazioni. Dal loro sviluppo e dalla loro integrazione con la funzione di produzione dipende la possibilità di assumere decisioni corrette e tempestive su che cosa, come e per chi produrre. Queste funzioni, siano esse interne o esterne all'impresa industriale, sono oggi anche le più dinamiche in termini di occupazione. I limiti al loro sviluppo nel Mezzogiorno sono però chiaramente connessi alla cosiddetta "questione urbana".
4) Questo suo ultimo accenno mette in evidenza un elemento di grande rilievo. Cioè che accanto alla crisi dell'impianto produttivo nel Sud esiste anche un forte degrado del tessuto urbano e ambientale. Questo fenomeno, grave in sè, quanto pesa a suo avviso sul futuro del Mezzogiorno?
Con la nuova fase del progresso tecnico, tende a diminuire nei paesi industrializzati la dimensione demografica e industriale della aree urbane maggiori e i processi di industrializzazione e di urbanizzazione tendono a diffondersi nel territorio. La possibilità di evitare o superare la crisi derivante dalla contrazione della componente industriale dell'economia urbana è essenzialmente affidata alla conversione di tale economia verso funzioni direzionali e di terziario superiore. In effetti la diffusione dell'industria nel territorio e la crescente specializzazione direzionale e terziaria della città e delle aree metropolitane sono due aspetti complementari del passaggio ad una fase nuova di sviluppo dell'economia. Sotto questo profilo è particolarmente evidente lo svantaggio del Mezzogiorno, dove le grandi agglomerazioni urbane, la cui popolazione in molti casi è addirittura in aumento, hanno una base produttiva, sociale, insediativa e di rapporto col territorio scarsamente idonea allo sviluppo di funzioni direzionali e di terziario superiore.
5) Dunque il tema dell'occupazione, prospettato con costante preoccupazione dalla Svimez, non sembra sufficiente a motivare da solo l'afflusso di nuovi investimenti nel Mezzogiorno. Creare ragioni di convenienza per ulteriori impieghi industriali risulta più complesso rispetto al passato...
Le imprese investono non per creare occupazione ma per realizzare profitto. Le prospettive di aumento dell'occupazione produttiva dipendono dal successo che potrà avere l'azione pubblica diretta a rendere per le imprese la convenienza della localizzazione meridionale non minore che quella al Nord. La difficoltà è che oggi per colmare il divario di convenienza tra l'investimento al Nord e quello al Sud non possono bastare, come nel passato, l'azione infrastrutturale e la concessione di incentivi finanziari. Ho prima accennato ai motivi che tendono oggi a identificare la questione meridionale con la questione urbana. Posso aggiungere che un grande impegno pubblico volto al risanamento e alla riqualificazione delle grandi aree urbane del Mezzogiorno risponderebbe a una duplice esigenza. In primo luogo concorrerebbe a realizzare le condizioni essenziali perchè possa riprendere su tutto il territorio meridionale un processo di accumulazione di capitale produttivo adeguato alla dinamica dell'offerta di lavoro. in secondo luogo sopperirebbe a tale processo, per il periodo non breve in cui esso sarà insufficiente, con un intervento che investirebbe proprio le aree in cui la dimensione e la dinamica dello squilibrio tra offerta e domanda di lavoro è di gran lunga più grave e socialmente più sconvolgente.
6) In un contesto così disarticolato come quello da lei descritto, gli stimoli della nuova disciplina dell'intervento straordinario non rischiano di seguire tracciati già percorsi se non si accetta con convinzione, a tutti i livelli, l'idea della necessitò di uno sviluppo diffuso?
Per tutte le produzioni in cui le nuove tecnologie hanno fortemente ridotto l'impiego di lavoro ed hanno reso non più necessaria la prossimità fisica sia tra impianti complementari, sia tra impianti e funzioni di programmazione, di progettazione, di finanziamento, di vendita e di gestione amministrativa, viene meno il vincolo della localizzazione urbana e metropolitana degli impianti. Questi anzi trovano migliori condizioni di esercizio (maggiore produttività e minori costi dei fattori) localizzandosi in centri minori o addirittura in aree non urbanizzate, purchè siano garantite certe condizioni minime di accessibilità alle reti internazionali di trasporto e di comunicazione, di dotazione e di qualità dei servizi collettivi, di modernità e di efficienza delle amministrazioni e dei servizi locali, nonchè di ridotta conflittualità nelle relazioni industriali e sociali. Nella fase attuale, se dovrà diminuire la dimensione demografica e occupazionale delle città e aree metropolitane maggiori, dovrà però accentuarsi la loro funzione direzionale. Per le attività decisionali e innovative, e per quelle ad esse strettamente complementari, nei vari campi dell'attività economica, amministrativa e sociale continuano ad essere essenziali la prossimità fisica e la centralità rispetto alle reti di circolazione delle informazioni, delle idee e delle persone che ne sono portatrici. Lo sviluppo diffuso degli impianti di produzione e lo sviluppo delle funzioni di tipica pertinenza urbana sono insomma due aspetti dello stesso problema di cui in tutte le sedi converrà tenere conto.


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