LA VERA DIFESA DEI POSTI DI LAVORO




Mario Talamona



E' in atto nel mondo, in tutti i Paesi industrializzati - di cui facciamo parte, ancora, al settimo o all'ottavo posto - una vera e propria rivoluzione economica (e sociale) che va dalle nuove tecnologie ai cambiamenti, spesso radicali, nell'organizzazione produttiva, alle caratteristiche ed ai contenuti del lavoro nelle sue sempre più diverse applicazioni e mansioni. E' necessario rendersi conto che soltanto nuove capacità di adattamento e di iniziativa potranno consentirci di ricavarne tutti i potenziali benefici per il futuro.
Ma si tratta, al tempo stesso, delle condizioni fondamentali per evitarne gli effetti distruttivi che, altrimenti, finirebbero per emarginare e degradare l'economia italiana in una spirale di sottosviluppo irreversibile.
Dinanzi a questa realtà e a queste prospettive, il problema dell'occupazione si pone in termini (quantitativi e qualitativi) talmente gravi e preoccupanti, da imporre con urgenza riflessioni molto serie sull'esperienza dell'Italia nell'ultima decennio di ristagno e inflazione. Come in altri Paesi d'Europa, ma da noi soprattutto e con più ostinato "rigore", si è infatti insistito e ancora si insiste nell'invocare generiche politiche dell'occupazione in gran parte avulse dalle premesse economiche, istituzionali e culturali (in senso lato) dalle quali dipende ogni effettiva capacità di creare nuovi posti di lavoro: nelle indispensabili condizioni di efficienza produttiva e di competitività.
Politiche del genere, spesso velleitarie e puramente verbali se non nei risvolti negativi di una difesa ad oltranza dell'esistente e di opposizione talvolta suicida al cambiamento, finiscono tuttavia per negare se stesse. Non garantiscono affatto i posti di lavoro attuali - dei quali, anzi, rischiano di accelerare in molti casi l'ineluttabile contrazione - mentre tendono ad escludere sempre più l'accesso delle nuove leve al mercato del lavoro. Gli effetti negativi sono analoghi a quelli di politiche salariali che, spingendo verso l'alto il costo del lavoro, esasperano a svantaggio dell'occupazione la dinamica dei processi di sostituzione della manodopera: là dove s'introducono nuove tecnologie, ma gli spazi aperti dagli incrementi di produttività vengono immediatamente chiusi alle possibilità di nuovi posti di lavoro.
Si tratta di illusioni ed errori deleteri. li motiva, non di rado, un preconcetto ideologico. Una "politica dell'occupazione" in sè, per il semplice riferimento verbale ed emotivo ad un'indiscutibile priorità sociale, sembra a qualcuno più "avanzata" nel "garantire un obiettivo che può essere invece realizzato, in concreto, solo indirettamente. Predisponendone, cioè, mezzi e condizioni efficaci".
I fatti, comunque, sono più difficili da smentire delle opinioni e dei preconcetti. E tendono a dimostrare esattamente il contrario. Un confronto tra i risultati ottenuti, ad esempio, negli Stati Uniti (o in Giappone) anche in epoca recentissima, e quelli che l'Europa in genere, ma innanzitutto l'Italia non hanno saputo conseguire nella creazione di nuovi posti di lavoro è, in questo senso, più che eloquente.
Negli Stati Uniti, in particolare, dove non si è mai imposto alcun obiettivo "macroeconomico" di occupazione alla politica economica, si sono creati, soltanto da metà '83 a fine '84 nientemeno che sei milioni di nuovi posti di lavoro, occupati specialmente da giovani. Ma già nel decennio 1973-1983 gli USA avevano costruito ben 18 milioni di nuovi posti, mentre l'Europa (secondo l'Ocse) ne ha distrutti un milione e mezzo.
L'esperienza americana è dunque nettamente opposta alla nostra. E' però basata su un'elevatissima mobilità e flessibilità sia della forza lavoro, sia dell'iniziativa imprenditoriale. Quell'"infinita varietà di cose diverse" che è divenuto oggi il lavoro si riflette in nuove professioni manuali ed intellettuali anche attraverso un'accentuata flessibilità dei solari. La creazione di nuovi posti di lavoro corrisponde, a sua volta, ad opportunità d'investimento ad alta redditività, continuamente rinnovate ed intensificate da un ambiente economico in rapido cambiamento, secondo le indicazioni del mercato.
è il contrario delle nostre rigidità strutturali e dell'illusoria difesa dei posti di lavoro in termini statici - "come sono e dove sono", (anzi, in realtà, come erano e dove erano) - anche a costo di sacrificare la possibilità di uno sviluppo economico adeguato alle nostre esigenze di occupazione. Forse dovremmo deciderci a rammentare, a questo proposito, l'impegno dei francesi dopo Sédan: "Pensarci sempre e non parlarne mai". Pensarci, naturalmente, nel senso di agire con coerenza e determinazione nelle direzioni appropriate.

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