UN'ALTRA ITALIA




Aldo Bello



C'è un'altra Italia: un panorama diverso, una società più matura, misurata e consapevole. Condizionati come siamo da una cultura ancora in parte controriformistica, fingiamo di non accorgerci che intorno a noi, se non tutto, molta è cambiato. Ma sentiamo comunque che tira un'aria nuova, che non c'è più spazio per i catastrofisti, per i profeti dello scontro permanente, per i manovratori delle corporazioni, per i protettori dei furbi, per gli intellettuali organici, per i maîtres à penser che avevano nullificato proprio il pensiero, in nome di una collettiva imbecillitas vitae sulla quale avevano costruito atroci codici di comportamento ed effimere fortune. Alle spalle ci siamo lasciato un mondo desolato e quindici anni di luoghi comuni. E i luoghi comuni non servono più a definire questo paese.
Il Sessantotto era stato una splendida stagione, librata sul vuoto delle riforme e uccisa dal massimalismo degli anni Settanta. Chi volle il terrorismo, progettò un rabbioso sistema di restaurazione. Il disegno era quasi perfetto: mentre si alzava il tiro, una coltre di sangue copriva la zona dei poteri occulti. La teatralità dei delitti mirati e le dimensioni delle stragi facevano velo all'idea golpista. Chi ha vissuto i giorni del furore, ancora non so rispondere a domande su parallelismi, incroci, innesti, complicità interne e internazionali. Ma può testimoniare due fatti: l'Italia, come paese libero e con politica autonoma, non ha avuto molto spazio; chi muove le pedine della destabilizzazione non ha interesse a smettere. Del resto, si fa ricorso alla memoria storica: da sempre conviviamo col terrorismo; sempre abbiamo importato ed esportato terroristi. Roma, oggi, è diversa dalla Tangeri del '40, ed è già tanto che non sia un'altra Beirut contemporanea. Ma è una città sporca, nella quale agiscono (forse noti, certamente indisturbati) cospiratori, spie e stragisti di tutte le latitudini e di tutte le fedi. Pronti a qualsiasi misfatto e ad ogni tradimento. Per un prezzo in dollari o per un prezzo politico.
Accanto al terrorismo politico, quello mafioso. Ci son voluti magistrati votati alla morte, che vivono in bunker e perdono il sonno su centinaia di migliaio di verbali e su intricatissime piste finanziarie, per mettere le mani sulle cosche e portare allo scoperto non solo i manovali, i killer, le fasce medie, ma anche il "terzo livello" della criminalità organizzato: politici, amministratori, magistrati, avvocati, banchieri, carabinieri, agenti di polizia, uomini che rappresentavano le istituzioni, e che erano schierati contro le istituzioni.
Ma chi, o che cosa ci vorrò, per smantellare gli interessi dei grandi speculatori, dei dilapidatori della ricchezza pubblica, dei corruttori e dei corruttibili, degli evasori? E chi fermerà quelli piccoli e persino microscopici, che negli enti regionali e locali accentuano spinte di parte, personali e di gruppo, sperando risorse e frenando lo sviluppo?
La forza della legge, certo; purchè le leggi siano chiare e non pletoriche. Ma ci vuole qualcosa di più. Gli inglesi hanno coniato un termine, megatrends, che più o meno corrisponde alle nostre "grandi linee di tendenza" sottendono i risultati economici, ma anche le scelte di costume morale, con assestamento su tempi medio-lunghi nel terreno della società civile. E non si tratta di un progetto di una qualche forza politica, ma di un fatto culturale: è un contesto che tende a garantire al paese una continuità creativo, al di là delle fortune di uomini o di gruppi, e all'interno di grandi interessi collettivi, della moralità pubblica, dell'efficienza dei servizi, della sconfitta della burocrazia borbonica e lassista, di un nuovo rapporto col lavoro, con il guadagno, col merito.
C'è, nel nostro paese, una nuova vitalità, e c'è una diffusa pratica di legalità. Sono due fenomeni che - lontani dal riflusso o dal disimpegno - possono essere alla base di megatrends come unica via d'uscita, senza scorciatoie. Mai come in questi tempi tanto gente ha recuperato una centralità nelle relazioni con gli altri, mai ci sono stati tanto richiesta e tanto bisogno di pulizia, e mai tanto volontà di fare, e di far bene. Fra persistenti contraddizioni, fra zone grigie e zone d'ombra e zone d'indifferenza, si radicano aree propositive, emergono forze pragmatiche, nascono condizioni nuove. La stessa geografia socioeconomica è cambiato.
Non c'è più un Mezzogiorno, nel senso tradizionale del più grande continente depresso europeo. Lo sviluppo della "linea adriatica", dal Capo di Leuca all'Emilia-Romagna, e alla regione lombardo-veneta, è una realtà. Quasi non c'è più "questione", lungo il sud di questa "linea". Ma c'è, ed è aggravato, per la "linea tirrenica", che dalle isole alla Calabria, alla Campania e a parte del basso Lazio ha perso tutti gli appuntamenti con la storia. Come mai? Nel bene e nel male, la Cassa per il Mezzogiorno è stata uguale per tutti. Ovunque ha acceso speranze, ha creato strutture, ha bruciato illusioni. Perchè, allora, l'est del Sud è in pieno decollo, e l'ovest è ancora negli hangars? Perchè la mappa della criminalità organizzata coincide con quella dell'arretratezza, la mappa della povertà con quella dell'illegalità diffusa. Chi vuoi tenerne conto, in questi tempi di Europa allargata, forse manderò in soffitto lo stupidario del separatismo.
Nella prospettiva di fine secolo-millennio, abbiamo anni difficili. è in pieno evoluzione il mondo del lavoro, si riduce la forza delle tute blu mentre cresce quella dei servizi, consumeremo più ricerca, lavoreremo meno ma lavoreremo tutti, entreremo in pieno nell'informatica e nella robotica (ma adesso siamo indietro di trent'anni rispetto agli Stati Uniti), avremo più tempo libero.
Il passaggio non sarà senza traumi. Cadranno miti pervicaci, muteranno mentalità e comportamenti. è l'uomo dovrò crearsi lo spazio per le nuove abitudini. E a che altro tendono, infine, al di là d'ogni considerazione riduttiva, gli ecologisti? E come non tenerli in gran conto? Penso a certi scempi perpetrati in Calabria (centinaia di ettari di fragoleti primaticci distrutti per un'acciaieria fantasma; il porto di Sibari che il mare insabbia ogni anno; il rastrellamento di migliaia di miliardi per industrie chimiche mai sorte, consentito a un bandito in doppiopetto, Nino Rovelli) e in Sicilia (Valle dei Templi assediata dall' edilizia intensiva; le mani della mafia sulle città; una quantità di capitali pubblici e di appalti pubblici e di pubblici servizi in pugno alla criminalità) e in Campania (attività della camorra speculari a quelle della mafia) e in Sardegna (col turismo miliardario che ha butterato le coste e non produce ricchezza interno; con la militarizzazione anche nucleare; con la distruzione di preziosi habitat). E collego la caduta di tensione e di partecipazione ai partiti politici (nessuno escluso) all'indifferenza progettuale, alla impermeabilità alle idee nuove, allo schematismo di strategie complessive futuribili. Non dovrebbe esistere un "partito dei verdi", perchè tutti i partiti dovrebbero essere verdi. Croce diceva che un partito liberale era inutile, perchè ciascun partito doveva esser percorso dall'idea liberale. La storia si ripete, da noi, con prevedibile puntualità. E anche per questo, maturando la società civile, i cittadini vivono anche intensamente la vita politica, ma prendono le distanze dagli apparati politici. Anche questa è una crisi, e la speranza è che "crisi" significhi proprio "passaggio", e non altro.
Forse tutto questo, ed altro ancoro, dipenderà dall'esito dell'evoluzione in otto. Se prevarrà il paese vitale, e legale, che oggi sto per prendere quoto, verremo fuori da un'età un poco vile, e in fondo assai più tragica che grande. Altrimenti, saremo il confine settentrionale tra Europa e altri mondi.

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