QUALE PUGLIA




T. Caputo, G. Langatta, A. Provenzano



Puglia, o Puglie? E se di Puglie si tratta, quante sono? E come si sono determinate? In realtà, la regione è come un gran contenitore: una scatola che, al modo di quelle cinesi, ne contiene altre, quasi all'infinito. Casi, il paese viene prima della provincia, e questa viene prima dell'area, e quest'ultima viene prima della regione. Dall'assemblaggio di queste infinite (e spesso impalpabili) entità, emerge una regione che è "unitaria" solo se vista dall'esterno, e semmai dall'alto. Perchè dentro gli incerti confini terrestri e alle spalle degli ottocento chilometri di coste Dauni, Peuceti e Messapi saranno saldati dalla comune civiltà neolitica, ma non rinunceranno facilmente alla specificità etnica, culturale, economica. E Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto (che può farsi coincidere piú o meno col Salento Grande) parleranno sempre lingue diverse. Avranno pensieri diversi e persino in contrasto. Agiranno in modo differente di fronte a problemi politici, sociali e morali di identica natura. Ciascuno fermo sulle proprie posizioni. E si tratta di difese accanite.
Nulla, del resto, può unire il Subappennino alle Serre, o lo sperone roccioso del Gargano alle pianure leccesi. Nè la natura geopedologica del terreni, nè le vocazioni produttive, nè le stesse espressioni d'arte. la stessa architettura s'illumina, a nord e al centro della regione, con gli splendidi "a solo" del Romanico, culminando nell'area dei trulli come limite estremo della razionalità creativa; e subito dopo esplode, da Martina Franca a Lecce, e da qui al Capo, con il Barocco, quello della pietra dipinta piú che scolpita, o della pietra che si è scolpita quasi da sè, come diceva Aldo Calò: con la massima manifestazione in quella Santo Croce che è solo una gran facciata, che ha alle spalle una fabbrica di modestissime dimensioni. Tanto che c'è chi ha ipotizzato che quella fabbrica poteva non esserci, come massimo della fantasia artistica, l'arte essendo finzione, cioè convenzione: bastava la facciata, il resto non conta.
Allora, quante Puglie? Almeno una per ogni area etnica, topografica, altimetrica, economica, religiosa, culturale: prodotte da una stessa storia, in fondo assai piú tragica che grande. L'immagine, dunque, è quella di una regione che trova unità solo in questa storia, e nella civiltà contadina che ha determinato. La fame di terra, il possesso della terra, lo sfruttamento della terra hanno tenuto insieme popoli di origini varie. E la difesa della terra da invasioni, rapine, guerriglie corsare, sovrapposizioni di genti, innesti da emigrazioni, feudalesimi antichi e nuovi. Il miracolo è proprio questo. Latifondo, paludi, distanze, paesi-dormitorio, monadismo contadino avevano creato una babele fonetica; c'era già una babele razziale, di ceppi etnici. Li ha federati la storia, e li ha federati la cultura popolare. L'una e l'altra, contadine.
Lo snodo si ebbe tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Allora si verificarono due fenomeni sconosciuti nel passato. l'emigrazione e la calata delle "cattedrali". La prima fu la piú radicale e silenziosa rivoluzione, che prese tutti in contropiede, mise in scacco politici, economisti, sociologi, meridionalisti. Una lavina demografica: allora si alleggerí la pressione sulle campagne, si mandò in barocca la questione della riforma fondiaria, sulla quale si erano attardate le forze di rinnovamento, e si cominciarono a fare i conti con le rimesse dal "triangolo industriale" e dall'estero. Mille rivoli di sudore trasformati in valuta pregiata diedero respiro, e poi spinte, a una inedita qualità della vita (con tutte le distorsioni, con gli errori, con le rovine di chi, comunque, restava abbandonato a se stesso; o era organico a un boom fulmineo e disordinato che presto avrebbe portato alla caduta in vite). Le cattedrali, poi: nel deserto quanto si vuole, incapaci di indurre un tessuto di piccole e medie imprese, chiuse come cittadelle, tant'è che Taranto fu detta la Sheffield del Sud, e suggerí l'immagine dickensiana di Tempi difficili e quella del mitico elefante bianco, che non prolificava; ma che fu, insieme con Brindisi, lungo l'asse acciaiopetrolio, creatrice di un impatto, stimolatrice di mentalità e comportamenti industriali. L'Italsider fu certamente una malizia della programmazione economica: il Nord voleva liberarsi delle mega-acciaierie (e della petrolchimica, come nel caso di Brindisi) e il bisogno di lavoro determinò, insieme con la posizione geografica, la scelta di Taranto. Ma dall'inganno emerse il dato positivo: il sogno della tuta blu, non piú a Torino, a Milano, in Francia, in Germania o in Svizzera, ma in Puglia. La stessa Cassa per il Mezzogiorno, che con la politica degli interventi a pioggia aveva completato il quadro delle devastazioni economiche e culturali del Sud, dovette cambiare rotta, e passare alle grandi infrastrutture. Bari sviluppò tecnologia diversificata; in Capitanata e nel Salento nacquero i Nuclei di Sviluppo Industriale; l'asse Taranto-Brindisi continuò a funzionare, trasformando però il discorso costi-benefici nel discorso costiricavi.
L'altro snodo lo stiamo vivendo. E' il passaggio dalla tuta blu al colletto bianco, dalla società industriale alla società di servizi. Che cosa possono offrire le Puglie? Molto, con i centri di ricerca (Bari all'avanguardia, Taranto e Brindisi in retroguardia, Lecce e Foggia inesistenti); altrettanto con la specializzazione, se le Università saranno in grado di creare quelle "figure intermedie", che stanno tra l'ingegnere e il perito, alle quali i Paesi avanzati hanno affidato le strutture operative da almeno dieci anni; e piú di tanto, se le risorse locali saranno valorizzate programmaticamente e se tutte le Puglie saranno portate non solo alle soglie dell'Europa, ma anche a quelle dell'Africa e del bacino orientale mediterraneo con un sistema di comunicazioni (trasporti, telex, informazioni, produzioni specializzate. tecnologia avanzata) efficiente ed efficace.
Quante e quali Puglie, quante e quali vocazioni, quale passato e quale futuro? Lo abbiamo chiesto a diciotto persone, di professioni diverse, che sono però legate da un identico, invisibile filo: tutte hanno scritto su questa regione. Dinu Adamesteanu èarcheologo di fama mondiale, ha insegnato all'Università di Lecce, continua a scavare in Puglia e in Basilicata; Cassieri è uno scrittore di rodici garganiche, raffinato autore di saggi sulla Puglia, oltre che narratore di rango; Giacovazzo dirige il massimo quotidiano regionale; Gabrieli è il piú noto orientalista europeo; Spagnoletti è saggista e docente universitario; Montinaro si interessa da tempo di antropologia; Salvatore ha il folk nel sangue; Cantatore e Mandorino sono due punti di riferimento della pittura contemporanea; Laterza a Porzio, tra Bari, Roma e Milano, sono esponenti di rilievo del mondo editoriale; Maria Corti si è portata nel Nord la fragranza della nostra (e sua) terra d'origine; Bene e Cucciolla sono uomini di teatro; Magnifico, della Banca d'Italia, è europeista attivo e creatore dell'Ecu; Fiore è notissimo meridionalista; Pedone un caposcuola dell'economia; Sette un manager pubblico. A tutti abbiamo chiesto della Puglia, o delle Puglie: un ricordo, un giudizio, un'immagine, e, quando è stato possibile, una provocazione, una premonizione. Spesso sorpresi, non sono stati mai reticenti. Il quadro che emerge è composito, forse incompleto, certamente sincero. Sappiamo qualche cosa di piú su noi stessi: su chi siamo, soprattutto su dove possiamo andare, se lo vogliamo. Diversi, ma insieme.

Dinu Adomesteanu
Il Salento non ha colonie greche, come la Lucania, che ha Metaponto e Siris, o come la Calabria che, da Sibari, Copia e Thurii, fino a Pixus, nel Golfo di Policastro, ha una fittissima colanizzazione. Il Salento era il territorio dirimpettaio di una colonia che si chiamava Korcyra, odierna Corfú. Tale rimase a lungo. il materiale archeologico che si trova ad Otranto èquello del primo momento della colonizzazione greca in Italia. Intendo dire: della colonizzazione "storica". Perchè la stessa zona di Otranto e tutta la costa pugliese, fino al Gargano, erano ben conosciute anche da quel mondo miceneo che comincia nel 1300 prima di Cristo e cammina fino al XII secolo. Cioè: quando in Italia ha avuto inizio la colonizzazione storica, il Salento specialmente era un punto di approdo di coloro che si trovavano a Korcyra, o che vi transitavano; era un momento di passaggio sia per i Micenei sia per i Greci dell'età storica, che si apre con la seconda metà dell'VIII secolo. E poco piú tardi, oltre ad Otranto, altro riferimento fu anche Porto Saturo (antica Satyrion), presso Taranto, noto però anche in epoca micenea. E ancora piú giú, Torre Castelluccia, che ha un'importanza straordinario. Il Salento èstato dunque un'area di periferia (lo dico in senso non negativo) che apparteneva al mondo miceneo e ci quello greco.


Giuseppe Cassieri
"Con le mura megalitiche (e si pensi a Manduria) si diradano le ombre della preistoria e prende corpo una civiltà autoctono, sensibile ai valori formali e pittorici: la civiltà dei Messapi, uno del popoli piú estrosi e affabili che precedono la colonizzazione greca. Molteplici le località che presentano tracce messapiche nella loro parabola evolutiva: e intanto, sotto il profilo urbanistico, le mura ciclopiche, spesso a triplice cerchia, sono ardite stratificazioni di massi e baluardi pressochè imprendibili. All'esterno delle mura, la necropoli con innumerevoli fosse, geometricamente squadrate e un tempo ricoperte di lastre ornamentali. Specialisti in terracotta, forse insuperabili tra il popoli coevi, i Messapi non erano autarchici nel l'elaborazione dei loro prodotti. Le *relazioni con l'Illiria, l'Asia Minore e , il Mediterraneo Orientale dovettero essere intense, come dimostrano alcune collane, una ,stele votiva con figure umane, monete di diverso conio trovate nelle tombe. Ebbero contatti non fugaci anche con i Micenei, dando sempre piú ragione a chi teorizza un ceppo megalitico ad ampio spettro europeo con un epicentro difficile da localizzare, poi frantumatosi per varie sollecitazioni e in direzioni opposte. E inventarono un'economia lavorando con infinita umiltà, su misure ridottissime: liberando il terreno dai sassi e utilizzando nel contempo i sassi; creando appezzamenti che sembrerebbero difesi da un morboso spirito di paura e di possesso, mentre sappiamo che i muretti a secco, piú che contenere e difendere la proprietà privata, servivano a smaltire la zavorra dei campi. E diedero vita a quella che si può definire la civiltà del bianco. Una civiltà puntigliosa, minuziosa e vagamente esorcizzatrice che non accenna a tramontare. Il moresco uguaglierò, ma non supererà questa concertata monodia.

Giuseppe Giacovazzo
Sulla storia del triangolo pugliese non so se essere piú scettico o piú malinconico. Bari ha uno realtà industriale piú sana ed equilibrato. Chi ha vissuto la sua crescita tra gli anni '50 e '60 sa bene che si è trattato di un fenomeno molto piú spontaneo di quanto si creda. Bari, cioè, non ha creduto a quel momento di decentramento dell'industria di Stato che fu una malizia della programmazione nazionale, e meglio ancora, una malizia del Nord, che voleva disfarsi dei centri siderurgici e petrolchimici. In Puglia era forte la richiesta di occupazione. Allora fecero credere che quelle erano grandi intraprese industriali, induttive di nuova circolazione di manodopera. In realtà, si sapeva che si trattava dello sfruttamento di alcune aree costiere e portuali. Il disegno preciso fu questo. E per Taranto, il Siderurgico è stato la rovina di una città stupendo, che aveva ben altre vocazioni. Queste cose dobbiamo dircele, perchè fanno parte del gap culturale di cui noi stessi ci accusiamo.
La città bimare è la somma di un'isola piú una penisola. E' tutta protesa sullo Jonio. Sicchè l'entroterra, invece di assicurare l'espansione urbanistica, è diventato una cintura di blocco. Al di là, una volta, c'erano belle terre. Sono state cancellate. I vigneti di Rutigliano, di Noicattaro, del Barese in genere, producono 150-200 quintali di uve per ettaro. Ma sotto Ginosa si arriva a 600 quintali! Terra e clima erano una ricchezza inesplorata. Adesso, per chilometri e chilometri quadrati, c'è la zona di rispetto del Siderurgico. E Taranto, antica capitale di Magna Grecia, oggi è una delle sette città siderurgiche del pianeta. Questo è, di per sè, culturalmente devastante.

Francesco Gabrieli
Nel 725 il bizantino imperatore Leone III Isaurico (l'Iconoclasta) emanò un editto con il quale ordinava la distruzione delle immagini sacre in ogni luogo pubblico. le persecuzioni scatenate furono cosí violente, che i calogeri basiliani migrarono a torme, trovando rifugio in Puglia e in Calabria, portandovi gli ideali della loro fede e il culto dei loro santi. Ma neonche qui ebbero vita agevole: erano braccati dagli eresiarchi, stanati e uccisi dai Saraceni, tormentati dalla Chiesa di Roma. Cosí furono costretti a vivere in grotte e caverne naturali o scavate nella roccia lungo le coste alte o sui fianchi delle Serre; a volte, in aperta campagna, in antri simili a pozzi e in abitacoli ricavati dal tufo. I rifugi vennero chiamati "laure". Costituiva una "laura" un complesso di celle annesse alla cripta. le immagini dei santi venivano tracciate sui muri con tecniche anche originali. Nell'843 cessarono le persecuzioni iconoclaste. Allora i monaci emersero dall'ombra e il monachesimo laurita si sviluppò in forme di vita organizzata. Tra il IX e l'XI secolo nacquero i cenobi, alcuni dei quali subirono devastazioni saracene. I piú importanti, proprio nel Salento: S. Maria a Cerrate, tra Lecce e Squinzano, recentemente restaurato, con magnifici affreschi, e Càsole, dalla storia luminosissima. E' proprio da Càsole si divulgò il pensiero greco-bizantino, filtrato dalle istanze cristiane; li si svolse una fervida opera di conservazione del sapere classico e medioevale; lì Oriente e Occidente si fusero; lì insigni umanisti si formarono, prima di migrare nell'Italia Centrale, dove diedero nuovo impulso alla riscoperta e al l'interpretazione degli autori antichi, in gran parte dimenticati a causa delle invasioni.

Giacinto Spagnoletti
Il fenomeno è particolare. i dialetti pugliesi sono molto diversi tra loro, a differenza di altri dialetti di regioni che sembrerebbero storicamente piú ricche, quali la Sicilia, la Toscana, il Veneto, la Lombardia, dove i linguaggi delle varie aree presentano notevoli affinità. Attraverso i dialetti, la Puglia dà l'immagine perfetta delle separazioni determinate dal latifondo e dalle grandi distanze, che hanno impedito l'unificazione in gruppi omogenei delle lingue popolari. Dobbiamo anche ricordare che i pugliesi discendono per grandi linee da Messapi, Peuceti e Dauni: hanno tre profonde caratterizzazioni etniche. Secondo la felice intuizione di Parlangeli, non si può parlare di una, ma di piú Puglie. Cosí, anche dal punto di vista delle lingue questa terra non ha un philum da nord a sud. Càpita di essere tarantini e di non capire i dialetti che si parlano a pochi chilometri di distanza, a Manduria o a Martina Franca, che sono in provincia di Taranto. Questo vale in particolare per la Puglia adriatica, la piú vessata dalle invasioni e incursioni; ma pure per quella jonica, anche se le differenze sono meno vistose.

Brizio Montinaro
Tante tradizioni e riti e culti sono il segno della povertà e dell'arretratezza. Ma sono stati anche lo strumento di dominio sulla gente povera e incolta. I mestieri aboliti dal mondo che va avanti: si lavora di nuovo la terracotta, ma per turisti raffinati e a prezzi da vertigine. I bambini non raccolgono più sterco di cavallo, ritenuto concime organico per eccellenza. Pressochè scomparsi i cavalli e i "traini", e i carradori che modellavano i carri con l'ascia. Non ci sono più i venditori di acqua. Gli ultimi fabbricanti di tamburelli sono a Nociglia. Quando si prese a discutere se fosse il caso di fare i santi anche con fogli di giornali di sinistra, i cartapestai leccesi erano già in declino. I barbieri sono ormai coiffeurs, non più geniali caricaturisti e piasmatori di argille, salassatori e cerusici, maestri di bassa chirurgia. Scomparsi dai paesi gli uomini con le bilancine che prendevano l'oro vecchio in cambio di un ugual peso di oro nuovo, ma con conguaglio in denaro, e gli altri rapinatori a mano disarmata, che prendevano mobili d'epoca in cambio di mobili svedesi e antichi oggetti di arredamento in cambio di recipienti di latta e di plastica, utensili da cucina, chincaglierie. Quante masserie sono state spogliate, quante case depredate! Quanti tesori sono scomparsi I E spariti dalla circolazione i carbonai di Calimera, celebri in tutto la Puglia: accaniti disboscatori, hanno cancellato bellissimi boschi salentini. Ora riprende l'artigianato, come fonte di ricchezza: legni lavorati e dipinti, ricami, mobili, ferro battuto. In quota anche l'arte figula: trozzelle, anfore, orci, brocche, piatti, bicchieri, e capase, quartare, furuni, 'mmili, bacili, vozze, ursuli, stangati, testi, graste... Veniva De Chirico, prima che morisse, e viene Cantatore, a Cutrofiano, a Lucugnano, a Grottaglie, capitali della creta, a prendere grandi piatti grezzi che, dipinti, sono capolavori.

Matteo Salvatore
I forestieri. Scendevano dal promontorio garganico tutto roccia e senz'anima. Sembravano stranieri, invece venivano da Sannicandro, da Rodi, da Peschici, da Vico, da Cagnano, da Ischitella. Giungevano e si fermavano con le falci nella piazza, una cinquantina ad Apricena, un duecento a Sansevero, altrettanti a Torremaggiore, altri nei centri medi della pianura. Fermi nella piazza grande, staccati da noi, dalle prime luci del mattino. Arrivava il "soprastante" e gridava: "Ohèeee! Cinquanta qui!". I forestieri, di fronte a noi, non fiatovano. Ci guardavano con gli occhi a noce, sapevano di farci concorrenza per bisogno. li guardavamo anche noi. Il "soprastante" diceva: "Oggi ci sono i forestieri; chi vuoi lavorare, a mezza paga, altrimenti ci rivolgiamo a loro". I forestieri abbassavano la testa per la vergogna e per la paura. Noi facevamo i primi passi, ci mettevamo insieme con loro: "Sono nostri fratelli", dicevamo, "forse i loro figli hanno più fame del nostri". Così andavamo a lavorare tutti, con mezza paga, alle masserie. Di notte dormivamo insieme. lo avevo la chitarra, e cantavo:

Lu furastiere dorme stanotte sull'aja
dorme sull'aja a la frescura.

Pe' cuperta la raccanella,
pe' cuscine la sacchettola.

Lu furastiere dorme sull'aja...

Domenico Cantatore
E' vero. Cesare Brandi ha scritto che l'unica lacuna artistica di questa regione è la "scarsezza di pittura". Neanche un pittore volante come il Tiepolo, e tanto meno uno di quei fertili napoletani, come il Solimena o il De Mura, mentre anche nei piú piccoli borghi rurali c'è una straordinaria ricchezza di chiese e di palazzi. Tranne poche eccezioni, le loro pareti sono nude. Ma attenzione: se risaliamo all'epoca di Magna Grecia una pittura la ritroviamo, quella dei vasi apuli. Anzi, Ruvo fu un centro artigianale (allora si parlava di attività artigianale, non artistica) molto attivo. Poi, per una lunga età, c'è stata la scarso pittura prodotta dalla regione, per lo più iconografica: modesti affreschi, qualche nome di medio calibro, Tiso di Lecce, Coppola di Gallipoli, il Ribera-Spagnoletto, e le grandi figure dei Toma, di De Nittis, di Re, di Barbieri, di Ciardo. Ma c'è anche un fenomeno da non sottovalutare: i pugliesi, in campo artistico, si sono sempre espressi a modo loro; c'è un'antica tradizione di artigianiartisti, di gente che ha costruito le case in una certa maniera, che si è espressa con originalità, (si vedano le strutture urbanistiche dei nostri paesi; e si vedano i trulli), che ha dipinto il Romanico marittimo e interno e il Barocco salentino. Ogni giorno hanno dipinto coralmente, i pugliesi. Si tenga anche conto che da parecchi anni i pittori che sono rimasti in Puglia esprimono un personale tormento, svolgono ricerche interessanti, realizzano un'attività artistica vivace e aggiornata. E, insieme con loro, quelli - e sono tantissimi - sparsi per il mondo.

Lionello Mandorino
I Calvari e le Viae Crucis, sempre attigue alle chiese, vite di Cristo espresse - fatte le debitissime differenze sull'esempio giottesco della basilica padovana degli Scrovegni. Le produzioni pittoriche religiose pugliesi hanno sempre cercato il contatto con la gente oltre le mura dell'edificio sacro. L'ecclesia, la comunità, coinvolgeva paese e campagna, riti e cerimonie diventavano teatro popolare, recitazione di tutti, in uno scenario totale. Detto questo, dobbiamo chiarire che possediamo affreschi, come quelli bizantini, e mosaici, come quelli di Casaranello e di Otranto, che sono opere superbe. E, attentamente rivisitati, gli affreschi di Santa Caterina d'Alessandria, a Galatina, non hanno nulla da invidiare a quelli di Giotto o dei Cimabue d'Assisi. Esempi rari, perchè non abbiamo avuto una tradizione di mecenati. Qui non è Roma o Firenze, eravamo remoti dai Medici e dai Papi-Re. Abbiamo avuto solo storie di distruzioni, e abbiamo devastato noi stessi. E per la scultura: dalle chiese paleocristiane a quelle romaniche, agli edifici del Sei-Settecento, le pietre di Cursi, di Gallipoli, di Lecce, di Trani, si sono quasi scolpite da sole. Con pietre del genere l'architettura stessa si è manifestata nelle forme di un'unica, articolata scultura. La scultura ha vestito la pelle delle chiese e delle case: come per far gustare queste immagini di pietra. Una pittura solare. Un paesaggio. Dunque: non l'ambiente interno e forzato, ascensionale e in penombra, del Trecento, che quasi annullava il fedele, riscattandolo solo con la preghiera e con la sofferenza come atti assoluti di elevazione. la singolare semplicità dei nostri interni è ben altra cosa. La luce stessa, che non piove, ma si irradia, lascia libero lo spirito, non impone nulla, semmai propone e invita ad accettare spontaneamente il rapporto col Cristo. Ecco: religiosità e superstizione restano fuori, nelle strade nei paesi nelle contrade. l'incontro col Cristo, senza contaminazioni, senza intermediazioni, èdentro la nudità della chiesa. Un canto quasi pagano all'esterno. Una poesia pura all'interno.

Vito Laterza
Che cosa è rimasto e che cosa è cambiato? In un certo senso è rimasto tutto, sotto un altro aspetto è cambiato tutto. Senza dubbio, è rimasta una storia antica di gente legata alla terra, che concepiva la città come rifugio notturno, di ritorno dalle grandi campagne deserte, soprattutto a nord di Bari. E' rimasto il senso della fatica e del sacrificio. Su tutto questo sono andate a sovrapporsi, come una maschera o come un cappuccio, quelle che sono le mode, amplificate anche dai mass media. In realtà, la vecchia anima è rimasta. Anche nei giovani, nei quali, alla prova dei fatti, riemerge. E' un'antica, rispettabile anima con un senso severo del lavoro, con una forza che ha dato risultati positivi per tutti. E' vero che molti, non riuscendo a sopravvivere, hanno preso le vie del l'emigrazione. Ma dalla Puglia se ne sono andati meno di quanti abbiano abbandonato la Campania, la Basilicata, la Sicilia, la Calabria, la Sardegna o l'Abruzzo e Malise. E dove sono giunti, hanno trasferito soprattutto quella religione del lavoro che li distingueva nella terra d'origine, e che ha fatto della nostra una delle regioni più ricche e piú dinamiche del Sud. Il pugliese lavora come un tedesco. Non so quanti altri meridionali abbiano un analogo senso del lavoro, della disciplina, dell'impegno. Il pugliese Gastarbeiter non gioca mai a fare il furbo, è una figura emblematica del lavoro meridionale oltre frontiera.

Domenico Porzio
A Mestre-Marghera hanno fatto altrettanto. E così in alcuni centri costieri dell'Adriatico e della Toscana. Non si tratta solo di Brindisi e di Taranto, della Puglia e del Sud. Fabbriche (anche inutili) e speculazione edilizia hanno devastato dappertutto. Ma quello del Sud è soprattutto un problema di educazione, di cultura. i giovani meridionali stanno troppo lontano dalla scuola, anche se poi il Sud e la Puglia danno personalità e studiosi di rilievo. Ma direi: c'è un gap, un dislivello, un fossato che ancora non si riesce a colmare. Non credo che nel Sud ci siano problemi maggiori di quelli del Nord, come non credo che i meridionali siano inferiori ai settentrionali. Il Nord è invaso da meridionali eccezionali, con grandi energie creative. In qualsiasi azienda settentrionale, a livello di dirigenza, ormai il cinquanta per cento è di gente che viene dal Sud. Anche le sottolineature che si accentuano spesso, gli stereotipi della "mentalità sbagliata", dei pensieri, dei comportamenti, sono sciocchezze. le ondate razziste emergono perchè purtroppo, dal Sud, insieme con persone di qualità, vengono anche quelli della mafia, della camorra, che si inseriscono in un ambiente ricco, produttivo, e in un contesto di arte e di educazione sociale elevato. Di qui, il rigetto. Dicevamo della scuola. Puglia e Sud non hanno Università fondate e sostenute da privati, da industrie e da banche. Si aspetta tutto dallo Stato. La Bocconi e la Cattolica di Milano sono nate per iniziativa privata e locale, e questi sono esempi da seguire. La Puglia è regione ricca, ormai fuori dal circuito della povertà meridionale. Perché non si muove? Perché gli imprenditori pugliesi non creano un Politecnico, una Luiss? perché devono aspettare sempre una Cassa per il Mezzogiorno? Questo, della Puglia e del Sud, non mi piace. Non è possibile che per decenni e decenni regioni ricche di potenzialità imprenditoriali, abitate da persone intelligenti, non prendano iniziative, non creino in proprio, senza l'ombrello pubblico.

Maria Corti
Se l'intera regione ha abitanti molto attivi e in un certo modo più vicini ai centrosettentrionali nei rapporti con il lavoro e le strutture sociali, probabilmente vi gioca la sua parte prima di tutto il sostrato. Non erano Italici, come nel Sud occidentale, gli abitanti della Puglia anteriori alla conquista greco-romana, ma Messapi, cioè di origine illirico-veneta; vari studi antropologici e linguistici hanno provato come la civiltà messapica aveva caratteristiche originali e di avanzato sviluppo e soprattutto una forte capacità di lavoro. Nel Salento, al sostrato messapico si deve aggiungere, come per il sud della Calabria, la colonizzazione greca, alla quale i salentini amano fare risalire un certo prestigio culturale e artistico che li distingue dai restanti pugliesi. La situazione di area laterale, quindi marginale, dell'intera Puglia non solo durante l'occupazione romana, ma anche in epoca moderna, per esempio sotto il dominio angioino, aragonese, borbonico, ha contribuito certo a conferire alla Puglia una fisionomia inconfondibile, alla quale senza dubbio vanno riportati certi caratteri distintivi della popolazione.

Carmelo Bene
"V'è una nostalgia delle cose che non ebero mai un cominciamento. Affondare la propria origine ... ": in Sono apparso alla Madonna parlo di Otranto. Ma non è Otranto che mi attrae. lo sono stato attratto, che è diverso. Si è sempre attratti, appunto. Ma è passivo. Nascere è già un fatto passivo, quando si è nati, o meglio, quando si è stati nati. Così, Otranto c'era prima e ci sarà anche dopo. Non si passa. E questo vorrei capire io: che male ho fatto per essere qua. Non ècolpa nemmeno di Otranto. Gli è che queste terre producono, producono, producono: vomitano i morti, li rivomitano. E uno, invece di essere il morto che era, si trova come i fiori che spuntano di nuovo. Sui poveri morti spuntano spesso i fiori, no?, i fiorellini di campo, teneri, veri, ma molto belli. Nei cimiteri dei paesini, dei borghi. E anche nel nostro Sud ci sono dei cimiteri e ci sono anche dei morti. E così si rimuore come si rinasce. Si è rivomitati fuori. Anche in Solento. E il Salento non è da confondere con la Puglia, che non m'interessa punto. Non vedo che possa interessarmi Bari: quella è Puglia, una specie di Milano in brutto, come Taranto è ormai una non-città, e Brindisi anche. E non m'interessano per niente. il Salento è un'altra cosa. Una volta si chiamava Magna Grecia. E' tutto un fatto speciale, un fatto a sé, una culla-bordello, diciamo, con un cattolicesimo tollerante che poggia sul vuoto. E quindi, forse è stata una sventura nascere, ma la provvida sventura manzoniana ti può far nascere lì, piuttosto che a Bari, poniamo, o a Molfetta, oppure - e sarebbe tremendo -a Cerignola. Uno è travolto, travolto dalla non-storia di quella terra. Perchè, quando tante storie confluiscono, fanno un gran casino e non si dà storia alcuna. Dunque: Otranto come antistoricismo, se vogliamo. Martiri compresi, intendiamoci, morti chissà perchè. Gli Ottocento: proprio quelli. E' la fede come paradosso della vita, nel senso kirkegaardiano. Quelli sono morti per ignoranza, ecco: la santa ignoranza che una volta faceva anche dei martiri. Illetterati, analfabeti, ma martiri. Forse allora si stava meglio, perchè poi si era in meno. Oggi, questa fede come paradosso della vita, questa fede in tutti i sensi, come il Cavaliere della Infinita Rassegnazione, non c'è più. E noi, qui, siamo quasi settanta milioni. Di baraccati. Mancano i Turchi dei resto. Mancano i Turchi, e nessun governo potrà risolver niente. Ci vorrebbe ancora una volta un'invasione moresca, islamica. Ma non credo proprio che l'avremo. Ora stanno impiantando le basi missilistiche, c'è questa collaborazione internazionale alla morte, che io non depreco affatto. Trovo che sia giusto che avvenga a sud del Sud, terra votata alla morte.

Riccardo Cucciolla
Napoli recita e si espone. La Puglia è seria, molto seria. La Puglia è antica, seriamente antica. La terra emana civiltà. Gli ulivi sono pieni di civiltà. Sono gli alberi di Minerva. La gente è serissima. Intendo dire la gente minuta. I borghesi sono i contadini, gli artigiani evoluti sotto il profilo del censo, non della civiltà, perchè la civiltà l'hanno posseduta sempre, dal Gargano al Capo di Leuca. Ed è gente che ha conquistato il mondo con l'ingegno, con l'intrapresa. Sconvolge il fatto che oggi Mesagne, Fasano, Galatina, Monopoli, o altri centri pugliesi siano considerati roccaforti della droga. Queste sono intraprese alla rovescia, e comunque vengono dall'esterno, hanno stimoli esterni. Ben altra cosa, la Puglia seria. Ecco: tempo fa, di mattina presto, andavo a prendere l'aereo a Palese, a piedi. E' stata una sola cosa uscire ed essere aggredito da una meravigliosa ondata di profumo di campagna, da uno struggente odor di nidi di passeri, forse gli stessi che ero andato a contaminare da bambino. Ad un certo punto ho incominciato a respirare forte. E poiché sono cattolico, ho detto: "Mio Dio, ti ringrazio". Respiravo sempre più profondamente. "Forse è perché sono vecchio", riflettevo, "o forse no, è perché non sono ancora bruciato". Mi sono girato, ho visto una gran distesa di papaveri e i mandorli tra gli ulivi: una gioia così intensa da far venire le lacrime. Era goffaggine, oppure un modo di riassaporare quanto avevo vissuto un tempo, e volevo rivivere? Ecco i miei ritorni: in quel paese straordinario che èTorre a Mare, e a Bari Vecchia, dove ho vissuto la mia stagione felice, la mia delinquente fanciullezza.

Giovanni Magnifico
Dati i livelli di reddito, la Puglia ha un'elevata propensione al risparmio. Di qui, anche una tenacia intellettuale e pratica, operativa, che si è confrontata con il perseguimento di certe iniziative, anche nella consapevolezza del propri limiti. Non mi sembra di ricordare, nella storia economica pugliese, episodi di grandi errori imprenditoriali, di fallimenti catastrofici. C'è, nel l'antropologia pugliese, un grande senso della misura. Quel che si riconosceva al Governatore Menichella, pugliese di razza, era la perseveranza nel tendere all'obiettivo istituzionale sommo della Banca Centrale: la difesa della stabilità monetaria. Obiettivo da contemperare con altri, ma nelle sedi opportune. Menichella agí in questa direzione, con la percezione di ciò che è essenziale nel comportamento degli agenti e degli operatori economici, senza lasciarsi sedurre da costruzioni eleganti, ma a volte fuorvianti. Ora, quello europeo è un contesto di maggiore concorrenza. lo credo nel beneficio della concorrenza. Sono certo che in un ambito casi ampio gli elementi positivi, di fermento, saranno incentivati ad emergere. Naturalmente, ciò richiede un'attenzione notevole, anche da parte degli organi centrali ed eventualmente da parte degli organi di uno Stato federale europeo, ancora una volta non tanto nella forma di sussidii sui singoli progetti, ma nella forma di contributi a miglioramenti di fondo. Ad esempio, per migliorare l'istruzione in generale, e quella tecnica in particolare; per migliorare le infrastrutture, per ridurre le diseconomie esterne a vantaggio di chi voglia esercitare l'attività d'impresa in questa regione. Mi riferisco alla creazione di un quadro generale in cui l'attività produttiva possa esercitarsi e sia comparabile qualitativamente a quello delle altre regioni. Per questo l'aiuto esterno è auspicabile, oltre che necessario. E la Puglia ha le carte in regola per continuare ad essere una regione-guida.

Vittore Fiore
L'emigrazione, per come si è svolta, ha rappresentato la piú grande rivoluzione autonoma e silenziosa della Puglia e del Sud. I meridionalisti, allora, non erano in linea di principio contrari all'esodo: volevano spostamenti controllati, assistiti, canalizzati programmaticamente dallo Stato, unico modo per impedire ai nostri contadini e braccianti e artigiani di andare allo sbaraglio. Cioè: tutti si rendevano conto che era necessario alleggerire la pressione demografica sulle campagne; che sulla terra non potevano restare torme di lavoratori; che si doveva raggiungere un equilibrio agricoltura-addetti. Si tenga conto che noi venivamo dalla legislazione fascista, quella dei servi della gleba: non ci si poteva spostare da un'area all'altra. Un principio, sia pur generico, di liberalizzazione nel campo dello spostamento della manodopera era già un fatto democratico. Solo che non bastava predicare si o no all'emigrazione, perchè l'emigrazione la realizzavano le masse per proprio conto. Inoltre, si deve tener conto del tipo di ricostruzione che aveva preso piede in Italia. In quegli anni, infatti, si ricreò un tipo di sviluppo dualistico, perchè le strutture dell'economia erano consolidate in senso dualistico: industria a Nord, agricoltura a Sud. C'erano, inoltre, motivazioni di ordine morale: gli operai, ad esempio, avevano difeso le fabbriche dai tedeschi. Ma c'era soprattutto una palese impreparazione da parte delle forze di rinnovamento. Non dobbiamo dimenticare - e questo è un errore che si fa spesso - che l'antifascismo fu un fenomeno di minoranza, che non aveva mai permeato, se non in modo generico, nel senso di un'aspettativa, le masse. Per cui le idee critiche, che pure avevano dato vita alle nuove formazioni politiche che sboccarono nella Resistenza, e prime fra tutte le idee di Salvemini, di Gramsci, di Dorso, di altri meridionalisti che volevano la trasformazione dello Stato, l'abbattimento della monarchia, il riequilibrio fra le "due Italie", quelle idee centrali al momento giusto non funzionarono che in parte. Gramsci non era un personaggio popolare. Le idee del nostro Salvemini le conoscevano pochissime persone. Salvemini era noto come un grande fuoriuscito: ma il suo meridionalismo rivoluzionario, alternativo, per molti era una scienza d'un altro pianeta. E anche le altre forze politiche erano impreparate ad affrontare lo sviluppo in termini di superamento del divario Nord-Sud. Per concludere: in pochi, o pochissimi, chiedevamo che l'emorragia di braccia fosse per lo meno contenuta nella misura in cui si spostavano processi di industralizzazione che mantenessero in Puglia e altrove, nel Sud, cervelli e lavoratori. Inattuato in tempi brevi questo progetto, l'emigrazione prese spontaneamente le vie del "triangolo" del Nord e quelle dell'Europa.

Antonio Pedone
Ci sono dati preoccupanti, che riguardano la necessitò di tenere vincolata all'agricoltura una forte quota di popolazione pugliese. Ricordiamo che la produttività per addetto nell'agricoltura pugliese è molto piú bassa della media nazionale, e questo spiega anche il bisogno di integrazione al di fuori del settore agricolo di coloro che sono prevalentemente o stagionalmente dediti al settore primario. Non si deve perdere di vista questo aspetto, anche perchè alcune colture tipiche pugliesi, dalla vite all'olivo, dal tabacco agli ortofrutticoli, ricevono in qualche misura aiuti comunitari che sono oggetto di ricorrenti contestazioni e che soprattutto sono esposte alla concorrenza della Grecia, ma anche della Spagna e del Portogallo. Ci sono dati positivi in questa forte presenza agricola. Se noi guardiamo al reddito medio pugliese degli ultimi anni, vediamo che, proprio per il forte peso del l'agricoltura, ha subito oscillazioni maggiori di quelli medi italiani, che sono generalmente piú stabili. In Italia abbiamo avuto una caduta solo nel '75 e poi all'inizio degli anni '80. Ma, in genere, abbiamo registrato crescite anno per anno. In Puglia, no: perchè tutto, o molto, è legato all'andamento del raccolti agricoli e alla possibilità di ottenere reddito dalla loro vendita a buon prezzo. Dunque: questa maggiore instabilità dei redditi annuali va valutata negativamente, nel senso che occorre sempre garantire la continuità di entrate minime, ma porta anche ad una capacità di assorbire meglio i cicli economici e una maggiore predisposizione alla flessibilità operativa, alla previsione, alla compensazione delle difficoltà di bilancio tra annate buone e annate meno buone. E' la vicenda storica dell'economia di un popolo di formiche. Una vicenda che rende meno drammatiche le crisi a cui, ad esempio, i settori industria-li non sono abituati, e nei quali la chiusura di una fabbrica, un ciclo di crisi settoriale, creano subito tensioni non facilmente assorbibili. Il trenta per cento dei pugliesi addetti all'agricoltura, in pratica, ha abituato la popolazione ci queste maggiori fluttuazioni, creando un'originale antropologia economica. Nel senso che questo fenomeno rende la struttura economico, nel complesso, un po' piú pronta non ad accettare le crisi, ma ad attutire chocs, e a farvi fronte col risparmio, con la previdenza, con il reddito piú equamente e piú uniformemente distribuito negli anni. E questo è uno dei comportamenti tipici del carattere economico del pugliesi.

Pietro Sette
Per l'industrializzazione c'è tuttora una spinta, non posso dire unitaria, perchè ciascuna area cerca di attrarre piú industrie che può. Ma è una spinta univoca nella direzione. Il problema è stato sentito come necessità di alleggerire la pressione sulle campagne e di creare nuovi posti di lavoro nel secondario e nel terziario. Altro elemento unificante, del quale i pugliesi si sono accorti da poco, e un po' tardi, tant'è poi che questa regione non ha avuto una grande storia marinarci, è il mare, con tutto ciò che comporta: coste lunghissime, ottime possibilità portuali. L'industria turistica ha cominciato ad essere qualcosa di serio in Puglia negli ultimi vent'anni, e in questo ci hanno aiutato molto gli stranieri, antichi visitatori della regione. E il turismo ha enormi potenzialità. Dal punto di vista industriale, ho sempre pensato alla realizzazione di impianti che non creassero squilibri ecologici. Per quanto ci è stato possibile fare, abbiamo anche creato un tessuto manifatturiero di dimensioni medio-grandi, con impianti "a misura d'uomo", piú tendenti al medio che al grande, e molto differenziati (la diversificazione è elemento di forza in tempi di crisi) sotto il profilo merceologico, con l'associazione di capitale straniero e locale, con la valorizzazione di forze interne. E a proposito di queste forze, spesso si sono fatti discorsi semplicistici. Si è detto e si continua a dire che non si è sviluppata un'agguerrita imprenditoria. A parte il fatto che non è possibile generalizzare questo discorso, guardiamo altrove, nelle aree a industria matura: ebbene, lì l'imprenditoria ha alle spalle l'esperienza di centinaia di anni. Allora, diamo almeno qualche decennio ai pugliesi, consentiamo loro di formarsi una piú solida mentalità d'intrapresa, che si ponga accanto a quella promozionale, qual'è e deve essere quella delle Partecipazioni Statali, e accanto alla grande imprenditorialità nazionale ed estera. Allora si vedrà.


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