Che
la società italiana fosse definibile dualistica, con altre parole
che tra Mezzogiorno e resto del Paese vi fosse un divario sensibile
nelle condizioni di vita, sono enunciazioni che non hanno mai suscitato
obiezioni: correnti di pensiero definibili meridionalistiche si formano,
può ben dirsi, in modo deciso subito dopo l'unificazione politica
del nostro Paese. E si riconosce che il meridionalismo classico - come
oggi si dice - ci ha dato opere che si annoverano tra le manifestazioni
piú alte del nostro pensiero politico. Quando oggi si parla di
nuovo meridionalismo - non si sa quando e come sia nata questa locuzione
- non si deve intendere nulla che non continui, o addirittura si opponga
o superi, quella grande manifestazione della cultura italiana.
Il nuovo meridionalismo nasce nel 1944 come ricerca di un modello di
sviluppo economico del nostro Paese che fosse alternativo a quello secondo
il quale si avviava la ricostruzione postbellica, piú precisamente
alternativo al modello che aveva governato la nostra economia dal sorgere
dello Stato Unitario. Si ritenne allora che, ove fosse mancato un profondo
cambiamento, il modello tradizionale di sviluppo del nostro Paese avrebbe
regolato solo la ricostruzione postbellica, ma anche l'espansione della
nostra economia al di la della ricostruzione. I nuovi meridionalisti
passarono pragmaticamente, senza soluzione di continuità, dai
ragionamenti sugli elenchi delle merci da importare per la riattivazione
della nostra industria (il cosiddetto "Piano di primo aiuto")
allo studio delle politiche e delle relative istituzioni che fossero
in grado di rendere non piú possibile il genere di soluzione
ai nostri problemi che si dovette adottare per l'utilizzo delle prime
importazioni di materie di base, o quanto meno consentissero la formulazione
di sensate alternative a quell'utilizzo.
Nel dicembre 1946 nascerà casi la Svimez; presso di essa si concreteranno
l'idea di intervento straordinario e, in seguito, una serie di prese
di posizione che, condivisibili o non condivisibili, appartengono alla
tematica dello sviluppo e non a quella dell'assistenza.
Due opposte
posizioni
Quanto alla posizione del nuovo meridionalismo rispetto al meridionalismo
classico, si potrebbe argomentare nel modo seguente. Nel meridionalismo
classico sono identificabili fondamentalmente due posizioni. Secondo
la prima, il meccanismo di mercato porterà al superamento della
situazione di dualismo e l'azione pubblica faciliterà quel
superamento, s'intende con misure conformi al tipo di economia di
mercato in cui si sarebbe intervenuti. l'altra posizione ha come presupposto
che sia di importanza pregiudiziale, per il progresso del nostro Paese,
un mutamento radicale o addirittura rivoluzionario degli equilibri
politici e dell'ordinamento dello Stato; in un quadro profondamente
mutato, i problemi del Paese, inclusa tra essi la questione meridionale,
si sarebbero presentati in termini ovviamente dei tutto nuovi, e in
quei termini essi sarebbero stati affrontati.
Sembra evidente che le due opposte posizioni hanno come comune caratteristica
un limitato interesse per l'identificazione di processi che, avviati
immediatamente nel sistema di rapporti esistente, concorressero all'unificazione
economica e sociale del Paese. Fu invece questa l'impostazione data
dal nuovo meridionalismo alla sua proposta; lo indica chiaramente
l'idea di intervento straordinario. Tra i maggiori esponenti del meridionalismo
classico è forse nel solo Nitti che si possono trovare in nuce
spunti che, in una mutata situazione culturale, saranno poi al centro
del nuovo meridionalismo.
Quanto al carattere pragmatico del nuovo meridionalismo, giova sottolineare
l'ascendenza che esso senza dubbio trova negli uomini del primo Iri;
carattere pragmatico, infatti, ha certamente l'intervento effettuato
dall'Iri nel 1933 nei riguardi delle grandi banche del nostro Paese.
Quell'intervento non si può certo riferire a correnti politiche
del tempo: ad esempio, semplificando, liberisti, socialisti e - allora
-corporativi. In sostanza, la pratica disastrosa dei salvataggi bancari,
iniziatisi nel primo dopoguerra, fu fatta cessare trasferendo dalle
banche all'Iri tutte le partecipazioni di comando di imprese, anche
se in profitto, che le banche possedevano. Casi il nuovo meridionalismo
intese, con l'intervento straordinario, far cessare la pratica delle
politiche assistenziali seguita nel Mezzogiorno dopo l'unificazione.
Le iniziative
dell'Iri
Il nuovo meridionalismo non ebbe quindi motivo di far riferimento
all'una o all'altra delle due concezioni che, come detto sopra, avevano
ispirato il meridionalismo classico e che si risolvevano in posizioni
di sostanziale attesa, l'una degli svolgimenti del mercato, l'altra
di un cambiamento rivoluzionario. Si volle semplicemente cominciare
una politica intesa a far cessare la situazione di attesa con l'impiego
di nuovi strumenti di governo che la nuova situazione culturale del
dopoguerra aveva reso disponibili.
La riflessione sul destino del Mezzogiorno che si inizia nel corso
della elaborazione del programmi di utilizzo dei primi materiali che
si sarebbero importati è collegabile direttamente a studi e
progetti che avevano molto impegnato l'Iri prebellico. Giova ricordare
che l'Iri, costituito come Ente temporaneo avente il compito di risolvere
la grave crisi bancaria di quegli anni, superata nel 1937 quella crisi,
viene convertito in Ente permanente per la gestione del patrimonio
industriale che la crisi bancaria aveva lasciato nelle braccia dello
Stato.
Orbene, tra le prime iniziative prese dall'Iri vi fu quella di procedere
al riordino e allo sviluppo di un complesso di impianti industriali
di cui aveva il controllo nell'area napoletana, un progetto ispirato
dal pensiero che il sistema industriale del nostro Paese, come quello
del resto degli altri Paesi dell'Europa occidentale non mediterranea,
si sarebbe nel corso del tempo esteso dall'area nella quale era sorto
il triangolo industriale al resto del Paese e quindi anche al Mezzogiorno;
si noti che il Mezzogiorno forniva anche allora circa due terzi dell'aumento
della forza di lavoro italiana. Ora, quando nel 1944, dopo la liberazione
di Roma, fu costituito presso il Ministero dell'industria il nucleo
per lo studio del problemi della riattivazione dell'industria italiana,
si fece largo ricorso ad esperti dell'Iri; e ovviamente, nella formulazione
del piano di primo aiuto, si parti dai risultati della riflessione
iniziata presso l'Iri già nel 1936-37.
Le radici del nuovo meridionalismo si trovano quindi già nell'esperienza
prebellica dell'Iri: questa ascendenza è confermata dalla circostanza
che la Svimez, che viene costituita a Roma nel dicembre 1946 e presso
la quale verrà elaborata l'idea di intervento straordinario
nel Mezzogiorno, nasce dall'incontro di Rodolfo Morandi, Ministro
dell'Industria del tempo, con gli uomini del primo Iri: Giordani,
Menichella, Cenzato, e lo scrivente; ad essi si era unito Paratore,
primo Presidente dell'Iri postbellico (Beneduce era scomparso nel
1944).
Significativo, in tema di relazioni tra primo Iri e nuovo meridionalismo,
il fatto che alla presidenza della Svimez, dopo il ritiro di Morandi
nel 1948, sono stati eletti solo uomini del gruppo ora ricordato.
Nella cultura dell'Iri prebellico era dunque presente l'urgente necessità
della industrializzazione del Mezzogiorno, e ciò non tanto
per sollevare le condizioni di vita della popolazione meridionale,
che era posizione politica non pertinente a un ente di gestione, quanto
di rendere piú intenso e comunque piú ordinato il progresso
industriale del Paese.
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