LE RADICI DEL MERIDIONALISMO




Pasquale Saraceno



Che la società italiana fosse definibile dualistica, con altre parole che tra Mezzogiorno e resto del Paese vi fosse un divario sensibile nelle condizioni di vita, sono enunciazioni che non hanno mai suscitato obiezioni: correnti di pensiero definibili meridionalistiche si formano, può ben dirsi, in modo deciso subito dopo l'unificazione politica del nostro Paese. E si riconosce che il meridionalismo classico - come oggi si dice - ci ha dato opere che si annoverano tra le manifestazioni piú alte del nostro pensiero politico. Quando oggi si parla di nuovo meridionalismo - non si sa quando e come sia nata questa locuzione - non si deve intendere nulla che non continui, o addirittura si opponga o superi, quella grande manifestazione della cultura italiana.
Il nuovo meridionalismo nasce nel 1944 come ricerca di un modello di sviluppo economico del nostro Paese che fosse alternativo a quello secondo il quale si avviava la ricostruzione postbellica, piú precisamente alternativo al modello che aveva governato la nostra economia dal sorgere dello Stato Unitario. Si ritenne allora che, ove fosse mancato un profondo cambiamento, il modello tradizionale di sviluppo del nostro Paese avrebbe regolato solo la ricostruzione postbellica, ma anche l'espansione della nostra economia al di la della ricostruzione. I nuovi meridionalisti passarono pragmaticamente, senza soluzione di continuità, dai ragionamenti sugli elenchi delle merci da importare per la riattivazione della nostra industria (il cosiddetto "Piano di primo aiuto") allo studio delle politiche e delle relative istituzioni che fossero in grado di rendere non piú possibile il genere di soluzione ai nostri problemi che si dovette adottare per l'utilizzo delle prime importazioni di materie di base, o quanto meno consentissero la formulazione di sensate alternative a quell'utilizzo.
Nel dicembre 1946 nascerà casi la Svimez; presso di essa si concreteranno l'idea di intervento straordinario e, in seguito, una serie di prese di posizione che, condivisibili o non condivisibili, appartengono alla tematica dello sviluppo e non a quella dell'assistenza.

Due opposte posizioni
Quanto alla posizione del nuovo meridionalismo rispetto al meridionalismo classico, si potrebbe argomentare nel modo seguente. Nel meridionalismo classico sono identificabili fondamentalmente due posizioni. Secondo la prima, il meccanismo di mercato porterà al superamento della situazione di dualismo e l'azione pubblica faciliterà quel superamento, s'intende con misure conformi al tipo di economia di mercato in cui si sarebbe intervenuti. l'altra posizione ha come presupposto che sia di importanza pregiudiziale, per il progresso del nostro Paese, un mutamento radicale o addirittura rivoluzionario degli equilibri politici e dell'ordinamento dello Stato; in un quadro profondamente mutato, i problemi del Paese, inclusa tra essi la questione meridionale, si sarebbero presentati in termini ovviamente dei tutto nuovi, e in quei termini essi sarebbero stati affrontati.
Sembra evidente che le due opposte posizioni hanno come comune caratteristica un limitato interesse per l'identificazione di processi che, avviati immediatamente nel sistema di rapporti esistente, concorressero all'unificazione economica e sociale del Paese. Fu invece questa l'impostazione data dal nuovo meridionalismo alla sua proposta; lo indica chiaramente l'idea di intervento straordinario. Tra i maggiori esponenti del meridionalismo classico è forse nel solo Nitti che si possono trovare in nuce spunti che, in una mutata situazione culturale, saranno poi al centro del nuovo meridionalismo.
Quanto al carattere pragmatico del nuovo meridionalismo, giova sottolineare l'ascendenza che esso senza dubbio trova negli uomini del primo Iri; carattere pragmatico, infatti, ha certamente l'intervento effettuato dall'Iri nel 1933 nei riguardi delle grandi banche del nostro Paese. Quell'intervento non si può certo riferire a correnti politiche del tempo: ad esempio, semplificando, liberisti, socialisti e - allora -corporativi. In sostanza, la pratica disastrosa dei salvataggi bancari, iniziatisi nel primo dopoguerra, fu fatta cessare trasferendo dalle banche all'Iri tutte le partecipazioni di comando di imprese, anche se in profitto, che le banche possedevano. Casi il nuovo meridionalismo intese, con l'intervento straordinario, far cessare la pratica delle politiche assistenziali seguita nel Mezzogiorno dopo l'unificazione.

Le iniziative dell'Iri
Il nuovo meridionalismo non ebbe quindi motivo di far riferimento all'una o all'altra delle due concezioni che, come detto sopra, avevano ispirato il meridionalismo classico e che si risolvevano in posizioni di sostanziale attesa, l'una degli svolgimenti del mercato, l'altra di un cambiamento rivoluzionario. Si volle semplicemente cominciare una politica intesa a far cessare la situazione di attesa con l'impiego di nuovi strumenti di governo che la nuova situazione culturale del dopoguerra aveva reso disponibili.
La riflessione sul destino del Mezzogiorno che si inizia nel corso della elaborazione del programmi di utilizzo dei primi materiali che si sarebbero importati è collegabile direttamente a studi e progetti che avevano molto impegnato l'Iri prebellico. Giova ricordare che l'Iri, costituito come Ente temporaneo avente il compito di risolvere la grave crisi bancaria di quegli anni, superata nel 1937 quella crisi, viene convertito in Ente permanente per la gestione del patrimonio industriale che la crisi bancaria aveva lasciato nelle braccia dello Stato.
Orbene, tra le prime iniziative prese dall'Iri vi fu quella di procedere al riordino e allo sviluppo di un complesso di impianti industriali di cui aveva il controllo nell'area napoletana, un progetto ispirato dal pensiero che il sistema industriale del nostro Paese, come quello del resto degli altri Paesi dell'Europa occidentale non mediterranea, si sarebbe nel corso del tempo esteso dall'area nella quale era sorto il triangolo industriale al resto del Paese e quindi anche al Mezzogiorno; si noti che il Mezzogiorno forniva anche allora circa due terzi dell'aumento della forza di lavoro italiana. Ora, quando nel 1944, dopo la liberazione di Roma, fu costituito presso il Ministero dell'industria il nucleo per lo studio del problemi della riattivazione dell'industria italiana, si fece largo ricorso ad esperti dell'Iri; e ovviamente, nella formulazione del piano di primo aiuto, si parti dai risultati della riflessione iniziata presso l'Iri già nel 1936-37.
Le radici del nuovo meridionalismo si trovano quindi già nell'esperienza prebellica dell'Iri: questa ascendenza è confermata dalla circostanza che la Svimez, che viene costituita a Roma nel dicembre 1946 e presso la quale verrà elaborata l'idea di intervento straordinario nel Mezzogiorno, nasce dall'incontro di Rodolfo Morandi, Ministro dell'Industria del tempo, con gli uomini del primo Iri: Giordani, Menichella, Cenzato, e lo scrivente; ad essi si era unito Paratore, primo Presidente dell'Iri postbellico (Beneduce era scomparso nel 1944).
Significativo, in tema di relazioni tra primo Iri e nuovo meridionalismo, il fatto che alla presidenza della Svimez, dopo il ritiro di Morandi nel 1948, sono stati eletti solo uomini del gruppo ora ricordato. Nella cultura dell'Iri prebellico era dunque presente l'urgente necessità della industrializzazione del Mezzogiorno, e ciò non tanto per sollevare le condizioni di vita della popolazione meridionale, che era posizione politica non pertinente a un ente di gestione, quanto di rendere piú intenso e comunque piú ordinato il progresso industriale del Paese.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000