Un
dato di fondo che in se stesso sarebbe abbastanza ovvio, ma non lo è
poi tanto, rispetto a certe tendenze tuttora largamente presenti, se
non ancora dominanti, nel dibattito politico e culturale: è la
conferma che nella sua stragrande maggioranza la popolazione italiana,
compreso il grosso della classe operaia, si dimostra - e si considera
abbastanza consapevolmente - ormai "integrata" nel modello
di vita tipico delle democrazie industriali (inteso il concetto di democrazia,
se occorre precisarlo, nella sua accezione "occidentale" del
termine).
Da una parte, non vengono sostanzialmente contestate, nè comunque
rimesse in discussione quelle che sono "oggettivamente" le
strutture di un sistema economico-sociale di tipo capitalistico. Dall'altra
parte, al tempo stesso, vengono difese ad oltranza tutte le garanzie
ed in genere gli istituti di quello che è il sistema politico-istituzionale
del Welfare State, perfino l'attuale sistema di assistenza sanitaria,
per quanto notoriamente funzioni casi male. Questo atteggiamento di
fondo, come atteggiamento di "integrazione", non è
affatto una novità ma, appunto, una conferma. E non sarebbe neppure
un dato significativo se non fosse che basta già da solo ad escludere
che possano trovare oggi, nel contesto della società italiana,
una sufficiente base di consenso tutte quelle proposte dirette ad affrontare
la crisi attuale in una prospettiva di carattere regressivo, almeno
sul piano concettuale - ma in realtà anche sul piano sociale
- non importa se di stampo "socialista" o al contrario "liberista".
La percezione della crisi economica agisce sui meccanismi dell'integrazione
sociale. E, sotto questo profilo, il dato piú vistoso che emerge
da un sondaggio Doxa - ma anche quello piú emblematico - è
un clima diffuso di disorientamento che sembra dipendere principalmente
da due fattori.
In primo luogo, agisce come fattore di disorientamento una conoscenza
assai scarsa di quella che è, per così dire, la situazione
sul campo, di che problemi effettivamente si tratta, che dimensione
hanno, come si sta cercando di affrontarli, quali sono in materia le
posizioni a confronto. In fondo, a ben vedere, anche questo stato diffuso
di ignoranza è un aspetto di quella "crisi della rappresentanza"
- ecco l'altro fattore principale di disorientamento - che il sondaggio
della Doxa viene a confermare con tutta una serie di dati, in qualche
caso perfino impressionanti. Crisi della rappresentanza sindacale, in
modo piú pesante e diretto, ma anche in generale di tutto il
sistema della rappresentanza politica.
Per ciò che riguarda i sindacati, non c'è solo il fatto
che, insieme con la maggioranza della popolazione, gli nega "simpatia
e fiducia" anche la maggioranza degli operai, con punte che nel
caso della Cisl arrivano fino al 68%. C'è però anche il
fatto che in tutta una serie di questioni, oggi materia di dibattito,
sia il complesso della popolazione che gli operai sono schierati in
maggioranza su una posizione opposta a quella dei sindacati. Per esempio,
considerano necessaria una qualche regolamentazione dello sciopero non
solo nei servizi pubblici, ma anche nell'industria, valutano negativamente
l'attuale sistema di collocamento che impedisce alle imprese assunzioni
dirette, non vogliono il cosiddetto "fondo di solidarietà",
sono contrari alla riduzione dell'orario di lavoro con la proporzionale
riduzione del salario, e via di seguito.
Quanto alla rappresentanza politica, le indicazioni che si ricavano
dal sondaggio sono piú indirette, ma non meno significative.
Intanto, quando si tratto di dire "chi ha fatto piú errori",
rispetto alla crisi economica, la maggioranza della popolazione e la
stragrande maggioranza degli operai indicano senz'altra "il governo"
(e poi, nell'ordine, i sindacati - rispettivamente il 25 e il 22% -
mentre gli industriali appaiono "colpevoli" agli occhi di
uno scarso 7%, cui corrisponde un 4% della popolazione complessiva).
Nè il giudizio sul governo sembra fondamentalmente condizionato
dalla sua formula politica, se poi solo una piccola quota dei soggetti
interpellati (il 6% della popolazione complessiva e il 9% degli operai)
cita il problema degli equilibri politici tra quelli "piú
gravi e urgenti".
Sarebbe un errore, e anzi una falsificazione, ricavare meccanicamente
da questi dati una condanna generalizzata del sistema dei partiti in
quanto tale. Nonostante tutto, i partiti non sono uno uguale all'altro.
La questione è piú sottile, nel senso che la "crisi
di rappresentanza" consiste essenzialmente nella difficoltà
di trovare un codice di rapporti, una chiave di traslazione tra gli
interessi del singoli (come individui o come gruppi) e l'interesse generale.
E la mancanza di questo rapporto -che è poi mancanza di una proposta
politica globale, un "disegno" in cui riconoscersi - spinge
a cercare rifugio in tutti quei meccanismi di protezione automatica
degli interessi costituiti che sono per loro stessa natura, in un senso
o nell'altro, meccanismi statalistici. La difesa ad oltranza della scala
mobile si combina in questo modo non solo con la richiesta di "bloccare"
l'equo canone nonchè in generale i prezzi di certi beni e servizi,
ma anche con l'idea che il problema della disoccupazione - percepito
ovviamente in questo contesto come il problema piú acuto - può
essere risolto con le assunzioni nella Pubblica Amministrazione.
Si viene a determinare in questo modo una situazione abbastanza simile
a quella che verso la metà degli anni '70 James M. Buchanan,
il capofila piú autorevole della scuola liberale di "Public
Choice", descriveva come il "paradosso di essere governati".
Un atteggiamento di insoddisfazione verso il governo e in generale verso
l'attività pubblica finisce per dare esca a un'ulteriore espansione
dell'intervento statalistico. Il fatto è che, tra false istanze
liberiste e false soluzioni stataliste, viene inevitabilmente a stabilirsi
il circolo vizioso di un rapporto perverso. Si tratta quindi di spezzare
questa spirale. Ma come, e in che direzione? Con quali strumenti d'intervento?
E quali campi scegliere? Noi abbiamo rivolto queste domande ad economisti,
a scrittori, a filosofi, a sociologi, a saggisti, a giornalisti, a politologi.
Un'antologia di opinioni, per un dibattito che può restare aperto
a tutti i contributi.
Giuseppe Are
Non c'è dubbio che la priorità suprema della nostra
politica resta oggi, e resterò ancora a lungo, quella di abbattere
gli attuali tassi d'inflazione fino a un livello comparabile con quelli
che si sono ottenuti negli USA, in Inghilterra, in Germania. Senza
un successo su questo fronte, è vano pensare di poter ristabilire
tassi di investimento quali sono richiesti dalle sfide concorrenziali
esterne, di poter mantenere le conquiste fondamentali dello Stato
sociale, di poter arginare la frantumazione corporativa della comunità
nazionale, di poter restaurare una moralità pubblica capace
di preoccuparsi del destino delle generazioni future.
Giovanni Arpino
C'era una volta un uomo che viveva solo, si accontentava di poco,
guardava il cielo, rispettava i disegni delle stelle e coltivava il
proprio orto con diligenza. Un potente venuto da lontano lo guardò
a lungo, prima di parlargli. Infine gli disse: "Hai un bell'orto,
hai buona volontà, perchè tu e il tuo orto non passate
al mio servizio? Sarete salvi da ogni grandinata, da uragani e siccità,
dalle cavallette e dalle talpe".
L'uomo che viveva solo sorrise, scuotendo la testa. Rispose: "La
vostra grazia è magnifica. Lo so da tempo. Avete sedotto non
solo il povero proprietario di un orto isolato, ma interi popoli,
bianchi e neri e rossi. Ma io me ne sto bene nel mio cantuccio. Temo
la grandine, le cavallette, le talpe e la siccità. Ma mi diverte
anche porvi' argine con le mie forze". Il potente venuto da lontano
non riuscì a nascondere una smorfia di disappunto. Replicò:
"Un uomo solo è come un grano di ghiaia errante su questa
terra. E tu lo sai. Vieni sotto le mie bandiere. Mi consiglierai.
Giuro di prestare ascolto ad ogni tuo parere". L'uomo che viveva
solo sorrise dolcemente e disse: "E' vero. Sono un isolato chicco
di ghiaia. Vengo con te, se accetti questo chicco come primo inciampo
nei raggi della tua ruota. E' anche un consiglio. Ma so che ti è
impossibile accettare". Il potente sferzò il cavallo e
sparì. Ancora sta galoppando, e nutre invidia, ammirazione,
rabbia per quell'uomo solo, casi come nutre apprensione e timore e
sgomento per la ruota su cui gira e non gira il mondo.
Rosario Assunto
Quel che non va è certo sessantottismo in ritardo, e il permissivismo
anche in fatto di pornografia, e certi commenti beffardi a provvedimenti
repressivi e giustissimi di magistrati. Insisto nel chiamarli giustissimi,
come autore anche di un libro sulla censura, nel quale contemporaneamente
difendevo la libertà dell'arte e la necessitò di un
severo controllo sui mass-media. Non per nulla quel libro dispiacque
a tutti i filistei, laici e confessionali, di sinistra e di destra,
autoritari e libertari. Perchè, sicuro, c'è un filisteismo
libertario che nulla ha a che fare con la libertà. Il libertario
vuole imporre agli altri ciò che agli altri non piace, con
la scusa che nulla deve essere proibito. Mentre la libertà,
a mio parere, esige la proibizione di tutto ciò che offende
gli altri, li disturba, reca loro nocumento. Da lettore, traduttore
e commentatore di Kant, quale sono da piú di trent'anni, non
amo l'etica permissivista, ma l'etica del Dovere e dell'Imperativo
Categorico, che è poi l'etica della libertà del pensiero
signoreggiante il meccanismo edonista degli istinti.
Franco Barone
Parliamo di welfare state. E' piuttosto ragionevole chiedersi se le
degenerazioni dello Stato assistenziale dipendano, anzichè
da errori nella sua realizzazione, proprio della sua stessa natura,
dall'assunzione da parte dello Stato di responsabilità morali,
tipiche invece degli individui. Cosicchè la proliferazione
dei compiti che lo Stato si attribuisce non può essere limitata
ad un certo punto: diventa inarrestabile quando si fa dello Stato
una persona morale in grande. C'è una logica delle cose, che
non possiamo fermare ad arbitrio. E lo Stato assistenziale, una volta
avviato, diventa un Leviatano che inarrestabilmente cresce e stritola
gli individui.
Domenico Bartoli
Croce sosteneva che un regime politico fondato sulla libertà,
da lui esaltata come principio animatore della storia, poteva reggersi
e convivere con qualunque sistema economico. Einaudi replicava che
un regime di libertà politica per vivere aveva bisogno dell'economia
di mercato, del liberalismo economico. Difficile confutare la posizione
teorica di Croce. Come principio di ordine morale, la libertà
non può essere condizionato, effettivamente, dall'esistenza
dell'uno o dell'altro regime economico. Ma nella pratica delle cose,
nella storia, nel mondo che oggi vediamo e viviamo, quel che diceva
Einaudi mi sembra confermato dai fatti. I regimi autoritari, prima
o poi, anche se nascono sotto una costellazione di destra, finiscono
per manipolare l'economia, per tentare di impadronirsene o almeno
di regolarne il gioco a modo proprio. I regimi liberaldemocratici,
invece, devono lasciare una larghissima sfera all'iniziativa dell'individuo,
all'impresa privato, sia perchè altrimenti le libertà
sfioriscono e la strapotenza dello Stato finisce per schiacciare i
cittadini, sia perchè è ormai provato che questo tipo
di economia si rivela piú efficiente, piú benefico per
i lavoratori, piú capace di rinnovarsi tecnicamente.
Giulio Cattaneo
Fare politica non significa soltanto partecipare alle alchimie di
governo o proporre l'ennesima verifica, ma guardare con coraggio alle
realtà piú guaste e dolenti del Paese con la volontà
di affrontarle nella tradizione della difesa dei diritti civili. Mentre
la demagogia dei radicali impone istericamente all'attenzione la fame
nel mondo, in Italia è una realtà amara di milioni di
poveri, senza protezioni corporative, dei quali si sa ben poco e che
sono del tutto trascurati dai governi, dal complesso delle istituzioni,
dai partiti e dalle organizzazioni sindacali. Ne fanno parte anche
innumerevoli famiglie dove la presenza di un handicappato o di un
malato cronico porto alla distruzione di modeste risorse economiche
e al precoce logoramento di energie fisiche e morali. Tutto questo
assume aspetti di particolare gravità di fronte al fenomeno
italiano, e specialmente meridionale, dell'assistenzialismo clientelare,
a favore di milioni di casi di false invalidità. Altro abuso
da combattere è l'evasione tributaria di massa al di fuori
del lavoro a reddito fisso, l'unico che alimenti lo Stato e sia soggetto
immancabilmente alle richieste di nuovi e sproporzionati sacrifici.
Gian Franco
Ciaurro
Il modello leninista del "partito-milizia", del "partito-religioso",
del "partito-concezione-deI-mondo" è ormai quasi
ovunque in crisi. E' in crisi nei Paesi industrializzati dell'Occidente,
dove il sistema politico tende a dislocarsi in due-tre partiti schieramento
"a largo spettro", i cui connotati ideologici vanno progressivamente
impallidendo a mano a mano che si perfeziona la loro efficienza di
macchine di potere. Ma è in crisi anche nei Paesi del cosiddetto
"socialismo reale", nei quali il partito finisce spesso
per confondersi con l'apparato militare e repressivo dello Stato (Polonia,
Cuba) oppure sopravvive stancamente nel museo delle anticaglie della
storia (Urss, Jugoslavia, Cina), dove la nomenklatura, i giovani intellettuali,
i tecnocrati non ne vogliono nemmeno sentir parlare. E' in crisi anche
in Italia, dove pure il partito si era affermato nella prassi politica
degli ultimi decenni come strumento essenziale per interpretare le
esigenze, le aspirazioni, la volontà del popolo sovrano e trasfonderle
nei processi decisionali dello Stato. I partiti avvertono questa situazione
e cercano di correre ai ripari con procedimenti difensivi come il
finanziamento pubblico, operazioni di ampliamento della base sociale,
frequenti e faraoniche iniziative ludiche, revisioni critiche, tentativi
di rifondazione, spazi agli "esterni", forme di "partito
aperto". In questa materia, come sempre in politica, si deve
guardare la realtà senza preconcetti, debolezze, illusioni.
Sarebbe solo una battaglia di retroguardia quella che puntasse su
un rinnovato impegno per inseguire ancora i miti invecchiati dell'organizzazione
e dell'efficientismo. Così come sarebbe una battaglia del tutto
sterile quella che si attardasse sulla sopravvivenza di un partito
come micro-struttura per qualche seggio in Parlamento o qualche posizione
di potere in piú all'interno della stanza dei bottoni. Il problema
è diverso e va inserito in un discorso che cerchi di anticipare
le possibili linee di sviluppo della nostra democrazia.
L'importanza preminente del massmedia, il sempre piú ampio
ricorso alle iniziative legislative popolari, al referendum e ad altri
strumenti di democrazia diretta, l'ormai irreversibile espansione
delle autonomie territoriali e del pluralismo associativo, lasciano
pensare che queste linee di sviluppo evolvano verso una forma di democrazia
delle leghe, in cui, secondo l'auspicio di Costantino Mortati, il
monopolio dei partiti venga ridimensionato dall'insorgere nella società
di leghe e di clubs per il conseguimento di obiettivi politico-legislativi.
Clubs intesi come laboratori di idee e centri di collegamento di circoli
politici e di iniziative culturali.
Mario Deaglio
Occorre l'inizio di una dura riflessione intellettuale, in cui si
accetti fino in fondo di "sapere di non sapere" e non ci
si illuda di avere in tasca alcuna magica ricetta. lo strumento per
questa riflessione non può che essere una rivista economica,
con ad essa collegato un centro studi che dibatta di temi e problemi
specifici. Mentre casi si lavora "dal basso" per singoli
problemi e settori, la riflessione deve coinvolgere anche i piú
generali problemi di lungo periodo e dello sviluppo ottimale dell'economia
italiana. Occorre, cioè, costruire quello schema di riferimento
macroeconomico e chiedersi che tipo di Italia si vuole.
Franco Ferrarotti
Vi è un'area di discrezionalità del burocrate, che si
apre fra l'istituzione e i bisogni del cittadino, la quale si configura
come una terra di nessuno. Il cittadino fa la fila allo sportello;
aspetta che gli venga restituito il biglietto; attende paziente il
cenno positivo o negativo che gli apre o gli chiude certe porte; è
un essere che vive in anticamera, nelle mani di un potere burocratico
impersonale, per definizione lontano, ma dalle cui misteriose decisioni
dipende: per la caso, per la visita medica, per il salario, per il
passaporto, per la licenza, ecc. Paradossalmente, l'allargamento della
protezione sociale, invece di aiutare concretamente l'individuo, ha
semplicemente allargato l'area di discrezionalità del potere
burocratico. La volontà di difesa dei diritti sociali in realtà
si è tradotta nella politicizzazione totalitaria della società,
e quindi nel suo soffocamento e nella liquidazione di quei margini
di "indeterminazione" che sono essenziali per lo scambio
libero e imprevedibile, non burocratizzato e socialmente creativo
delle opinioni e del servizi fra cittadino e cittadino. Lo Stato sociale
è fallito, non solo fiscalmente (come O'Connor e altri hanno
dimostrato), ma proprio socialmente.
Piero Ostellino
Per risolvere la "questione morale" (che è politica),
occorre ridefinire i limiti della rendita politica, cioè distribuire
in altro modo il potere a dispetto, e se necessario persino contro,
la classe politica. Occorre cioè che la società civile
riacquisti il pieno ed autonomo controllo del "meccanismi che
producono ricchezza e benefici", attraverso la riattivazione
dell'unico canale che è la fonte di efficienza e, non ci si
scandalizzi, anche di moralità: il mercato. La società
civile ha la forza sufficiente per farlo? C'è da dubitarne.
Lo Stato è nato, in Italia, prima che si sviluppasse una società
civile solida e autonoma, cosicchè gli italiani, soprattutto
dopo la caduta del fascismo, sono diventati "cittadini",
cioè hanno acquisito quei valori, quelle credenze, quelle aspettative
nei confronti della società e del potere politico che ne costituiscono
la cultura politica, unicamente attraverso i partiti, e soprattutto
attraverso quei partiti che tradizionalmente erano avversari e nemici
dello Stato Liberale e che hanno finito, casi, con l'assumere piú
potere di quanto non dovessero. La nostra democrazia rischia di morire
per asfissia della società civile. A chi pensasse che questa
potrebbe essere la "terza via" al socialismo, è bene
dunque dirlo subito. Può darsi, e non è affatto detto,
che essa sia "una via al socialismo". Certamente, non lo
è alla democrazia e alla libertà.
Geno Pampaloni
In termini culturali, vale a dire in termini essenziali e conclusivi,
l'antitesi fondamentale alla libertà, nel mondo moderno, è
il clericalismo: il prevalere di interessi, ideologie, dogmi, finalismi
e strumenti di potere di tipo settoriale è in qualsiasi modo
privilegiato e discriminante sulla libera circolazione, con pieno
e uguale titolo di legittimità e di cittadinanza, di tutti
gli orientamenti presenti e possibili nella collettività umana.
La libertà, si diceva una volta, è la libertà
degli altri. Com'è ovvio, i condizionamenti che un simile principio
subisce nel quadro storico sono innumerevoli: primo fra tutti, il
condizionamento imposto dal dovere della difesa del sistema democratico,
nel suo elementare significato di non totalitario. Un condizionamento
specifico nell'attuale congiuntura è dato dalla ferrea struttura
partitocratica che regola la nostra Repubblica, e che impone, al di
là delle verbosità "pluralistiche", una convivenza
conflittuale fra i gruppi del clericalismo. L'obiettivo? Ogni partito
dovrebbe uscire tra la gente, sollecitare opinioni, seminare dubbi,
chiarire le scelte, animare lo spirito di libertà. Liberarsi,
cioè, dell'inguaribile clericalismo che irrigidisce e strumentalizza.
Carlo L. Ragghianti
Si è ultimamente scoperta la diaspora dei grandi tecnici, degli
uomini di cultura disinteressati, e la perdita di forza generale che
ne deriva. E si è detto: occorre recuperarli con la partecipazione.
Quale partecipazione? Agli apparati politici per la cultura. Non si
è detto: restituiamo la competenza istituzionale al dissanguato
CNEL, facciamo del CNR un organo autonomo di programmazione dello
sviluppo scientifico e tecnologico. E' rimasto intero il primato del
politico sul culturale e lo scientifico. Allora è necessario
liberare il potere culturale autonomo: seppure ne sarà difficile
l'inizio e contrastata la prassi, anche perchè gli apparati
e le pressioni o soverchianze politiche non vorranno cessare. Solo
l'esercizio diretto e responsabile del sistema culturale procurerò,
con le debite forme e garanzie, una partecipazione veramente costruttiva.
Giovanni Russo
Lo sviluppo caotico ha dato luogo a un urbanesimo caratterizzato da
tutti i fenomeni negativi, senza i vantaggi dei "servizi"
che la città offre nei Paesi industrializzati. Ceti un tempo
subalterni hanno ottenuto una promozione sociale e un benessere sconosciuti
fino a venti anni fa, tranne in alcune zone montone o del Mezzogiorno.
Ma, nello stesso tempo, le Istituzioni pubbliche, entro cui il corpo
vivo della società deve essere incanalato, sono rimaste immobili
o si sono profondamente corrotte. Comunque, non svolgono piú
il ruolo di "servizio" per cui si giustificherebbe la loro
esistenza. Di queste novità enormi, avvenute in uno spazio
di tempo molto breve rispetto ad altre società europee, i partiti
politici non sono stati protagonisti, ma spettatori sostanzialmente
passivi. La causa principale è che, a poco a poco, la concezione
del partito come strumento di trasformazione della società,
e quindi luogo di confronto anche ideale oltre che politico, si è
convertita nella "prassi" del "partito-macchina-di-potere",
un potere che però non riesce piú a esercitarsi attraverso
canali trasparenti, legali e costituzionali. All'origine ideologica
del terrorismo (e si prescinde qui dalle cause sociali ed economiche)
c'è anche quello che chiamerei "l'arbitrio" dei partiti.,
che non esercitano piú il loro potere attraverso il Parlamento
e le istituzioni, ma al di fuori di esse.
Giuliano Zincone
Le cosiddette "libertà borghesi" sono, per la grande
maggioranza, un patrimonio irrinunciabile: libertà tout court.
L'aspirazione a un benessere non soltanto materiale, la terziarizzazione,
la scolarizzazione di massa, l'accesso pressochè generalizzato
alla cultura del tempo libero, il livellamento di molte fasce retributive,
la "koinè" televisiva e perfino taluni aspetti dell'economia
sommersa, hanno seminato nel nostro Paese comportamenti e progetti
che un tempo erano tipici del ceto medio. Nasce, dunque, un'Italia
borghese o picco lo- borghese, sempre meno interessata alle parole
d'ordine millenarie, sempre meno disposta all'esercizio della fede
e disponibile, semmai, alla fiducia. Ora si tratta di restituire dignità
e ruolo di protagonista a una borghesia produttiva ormai estesa e
potenzialmente vivace e di affermare un primato (non un'egemonia)
che, di fronte al fallimento di tante ipotesi antagoniste, oggi appare
piú che legittimo.
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