I
mercati dei cambi
Anche nell'anno che volge al termine i mercati dei cambi sono stati
segnati dalla forza del dollaro. Dopo un indebolimento nel primo trimestre,
la valuta americano ha ripreso la suo ascesa, a ritmi talvolta convulsi.
Rispetto alla media delle altre monete, il rialzo è stato dell'8
per cento nel corso dei primi dieci mesi del 1984; dal 1980 esso ha
raggiunto il 37 per cento. l'ulteriore apprezzamento del dollaro è
avvenuto nonostante la dilatazione del disavanzo della bilancia dei
pagamenti americana di parte corrente. Quest'anno lo sbilancio sfiorerà
i 100 miliardi di dollari, contro i 42 del 1983. La forza del dollaro
è dunque riconducibile agli ingenti afflussi di capitali negli
Stati Uniti, che trarranno nuovo stimolo dall'abolizione della "witholding
tax" e dall'emissione di titoli espressamente destinati a non residenti.
I differenziali dei tassi di interesse in favore del dollaro, che si
erano ridotti negli ultimi mesi del 1983, sono tornati ad ampliarsi
nel 1984. Negli Stati Uniti la sostenuta domanda di credito da parte
dei privati, connessa con la ripresa economica, si è sommata
alle esigenze di finanziamento del disavanzo pubblico. A settembre il
prime rate, in aumento dall'inizio dell'anno, superava il 13 per cento
e il tasso sui federal funds eccedeva di quasi due punti il livello
raggiunto nel dicembre del 1983. Queste variazioni al rialzo avvenivano
mentre il tasso d'inflazione restava pressochè invariato, sul
4,5 per cento. In ottobre si sono avuti segni di attenuazione; il prime
rate è disceso al 12 per cento e il rendimento del federal funds
è tornato sui livelli della fine del 1983.
Il sistema bancario americano, a differenza del passato, è dal
marzo del 1983 prenditore netto di fondi all'estero. Questa condizione
atipica è dovuto anche a un piú contenuto aumento delle
attività sull'estero, in relazione alle difficoltà finanziarie
attraversate da numerose economie in via di sviluppo. Gli accadimenti
negli Stati Uniti hanno posto gli altri Paesi di fronte all'alternativa
fra il sostegno alla domanda interna e la difesa contro l'inflazione
importata. In Europa e in Giappone la risposta all'ascesa del dollaro
non è consistita nel l'inasprimento delle condizioni monetarie.
I tassi di interesse su quei mercati hanno mostrato una relativa stabilità.
Un loro aumento avrebbe interrotto la moderata ripresa in atto. Le recenti
vicende confermano che i mercati valutari, se lasciati a se stessi,
sono esposti nel breve periodo a forte erraticità e, nel lungo
periodo, a deviazioni del cambi dai livelli ritenuti compatibili con
condizioni di equilibrio negli scambi di beni e servizi.
Dall'inizio del periodo di fluttuazione, le oscillazioni dei corsi delle
monete sono state piú frequenti e ampie di quanto previsto dai
fautori del sistema dei cambi flessibili. Esse si sono accentuate dopo
il 1980. In assenza di interventi stabilizzatori che si inseriscano
in un insieme coordinato di politiche economiche nei diversi Paesi,
i mercati reagiscono agli impulsi in misura eccessiva. Fluttuazioni
così rilevanti e una struttura di tassi di cambio non correlata
alle condizioni delle variabili economiche fondamentali in ciascun Paese
non sono senza conseguenze per l'economia mondiale. l'effetto netto
di variazioni del cambio di segno opposto e di eguale ammontare è
inflazionistico, a causa di rigidezze e asimmetrie, istituzionali e
di mercato, nella formazione del prezzi interni. L'incertezza sull'andamento
dei prezzi relativi frena gli investimenti e disturba l'allocazione
delle risorse. Le alterazioni nei rapporti concorrenziali rilanciano
le spinte protezionistiche; attualmente, queste stanno rafforzandosi
proprio negli Stati Uniti, dove i produttori avvertono il peso di un
dollaro sopravvalutato. Se è vero che non sussistono le condizioni
per un ritorno a un sistema di cambi fissi, è manifesta l'inopportunità
che si prolunghi l'attuale fase di erraticità e di distorsioni
nei rapporti fra le monete. Occorre ricercare soluzioni basate sul riconoscimento
della interdipendenza delle economie, e quindi su un coordinamento che
iscriva la cura del cambio nella piú ampia strategia di politica
economica seguita da ciascun Paese.
Questa ricerca è in atto all'interno del Gruppo dei Dieci. Per
statuto, il Fondo Monetario Internazionale ha compiti di sorveglianza
sulle politiche di cambio dei Paesi membri. Ma l'attuazione delle disposizioni
statutarie è stata sinora carente, allorquando si è trattato
di passare da un'impostazione a livello di singola economia a una che
affrontasse il problema del coordinamento internazionale delle politiche.
L'Italia si è fatta promotrice, nell'ambito dei Sostituti del
Gruppo del Dieci, di un'iniziativa intesa ad avviare l'esame su base
multilaterale delle interazioni e delle compatibilità fra le
politiche economiche del principali Paesi, in funzione di una maggiore
stabilità dei cambi. Si fa strada, sia pure tra difficoltà,
l'esigenza di rafforzare l'azione di sorveglianza del FMI e di coordinare
piú strettamente, in tema di politica del cambio, l'opera di
questa istituzione con quella dell'OCSE.
Nonostante gli elevati livelli di reddito e di ricchezza, gli Stati
Uniti continuano ad assorbire risparmio dal resto del mondo, attuando
tecniche di finanziamento che riducono il ricorso all'intermediazione
bancaria internazionale, e in particolare all'euromercato. L'obiettivo
è quello di stimolare la domanda estera di titoli di stato americani,
per abbassarne i rendimenti e contenere il costo del debito. Ma se contemporaneamente
non viene perseguita la riduzione del disavanzo federale, per l'economia
mondiale tenderà a prevalere, nel piú lungo periodo, l'effetto
negativo del drenaggio di fondi. Di qui l'importanza che anche alla
politica economica degli Stati Uniti si applichi l'azione di riscontro
e di raccordo in sede internazionale.
La fase di ascesa del dollaro ha coinciso con il piú lungo periodo
di stabilità che il Sistema Monetario Europeo abbia conosciuto
dalla sua istituzione. L'ultimo riallineamento risale al marzo del 1983.
La forza del dollaro, riverberandosi in primo luogo sul marco tedesco,
ha costituito indirettamente un elemento di coesione nello SME. Ma un
ruolo fondamentale è stato esercitato dai progressi compiuti
dai Paesi membri del Sistema verso piú equilibrate condizioni
interne ed esterne. Nel 1982, il tasso medio di inflazione nella CEE
fu del 10 per cento, con un divario di circa 12 punti fra l'economia
a piú alta e quella a piú bassa inflazione. Nell'anno
in corso il tasso medio è inferiore al 7 per cento e il divario
massimo è sceso a 8,5 punti. Le partite correnti della bilancia
del pagamenti hanno segnato miglioramenti rilevanti. Nel 1982 tre Paesi
della CEE ebbero avanzi correnti; gli altri accusarono disavanzi compresi
fra l'1,6 e il 10, 1 per cento del prodotto interno lordo. Nel 1984,
i Paesi in avanzo sono rimasti gli stessi, ma i disavanzi degli altri
saranno compresi fra lo 0,4 e il 4,7 per cento del prodotto.
L'esperienza dello SME offre utili elementi al dibattito sui modi di
accrescere la stabilita del sistema monetario internazionale. l'armonizzazione
delle politiche monetarie è stata ricercata anche in funzione
di una appropriata struttura dei cambi. Gli interventi sui mercati delle
valute sono stati opportunamente inseriti nella linea di politica monetaria
prescelta, affinchè combinandosi si rafforzassero reciprocamente.
Nelle relazioni di cambio all'interno dello SME sono stati evitati fenomeni
di erraticità. Questa esperienza conferma che la presenza delle
Banche Centrali sui mercati esercita un'influenza stabilizzatrice e
favorisce l'ordinata attuazione di correzioni nella parità, che
gli andamenti di fondo delle economie dovessero rendere necessarie.
La maggior coesione delle monete dello SME, data la limitata dimensione
dell'area economica europea, non può evitare che nel mondo i
mercati dei cambi siano sempre piú influenzati da operazioni
finanziarie o di pura speculazione, slegate dal commercio internazionale.
l'instabilità dei corsi, in presenza di una politica di astensione
delle autorità americane da ogni intervento equilibratore, amplia
gli spazi per operatori fortemente propensi ad assumere rischi in orizzonti
temporali anche brevissimi. In questo quadro di accresciuta alea nelle
relazioni fra le principali monete e il dollaro, le banche devono improntare
a cautela i loro comportamenti. Ancor piú che in passato, gli
amministratori bancari devono vigilare affinchè la propria azienda,
anche nelle sue diramazioni estere, rifugga dall'assumere rischi la
cui entità non sia valutabile sulla base di elementi analitici.
le occasioni di profitto devono essere ricercate affinando i servizi
resi alla clientela, piuttosto che perseguendo un'espansione indifferenziata
delle contrattazioni, con gradi di rischio crescenti. Fra le qualità
professionali dell'operatore in cambi, la prudenza rappresenta il parametro
ultimo di riferimento nel valutare l'opportunità di compiere
negozi che pure siano consentiti dalle norme valutarie e dalle stesse
disposizioni interne della banca.
L'ampio dibattito in corso, che impegna organismi internazionali e le
autorità dei maggiori Paesi, dovrà permettere di progredire
nel coordinamento delle politiche economiche. Dal consolidamento delle
basi decisionali e da una piú precisa definizione del ruolo stabilizzatore
delle autorità trarranno vantaggi i mercati dei cambi.
La congiuntura
internazionale
La ripresa dell'economia mondiale, iniziata l'anno passato, si è
irrobustito nel 1984. In Europa essa si è avviata piú
tardi; il tasso di sviluppo è inferiore a quello giapponese
e, ancor piú, a quello statunitense. la fase ciclica in corso
riflette e conferma, anche per altri aspetti, la presenza nelle economie
europee di elementi di debolezza nel tessuto produttivo e di rigidità
nel mercato del lavoro. Negli Stati Uniti l'espansione ha interessato
tutte le componenti della domanda interna, gli investimenti in particolare.
Dagli ultimi mesi del 1982, il grado di utilizzo della capacità
produttiva è cresciuto rapidamente e il tasso di disoccupazione
è sceso di 3 punti. l'intensità della domanda interna
e l'ulteriore erosione della posizione concorrenziale derivante dall'apprezzamento
del dollaro hanno provocato, come già si è detto, un
rilevante peggioramento della bilancia commerciale. In Europa, con
l'eccezione del Regno Unito, la componente estera ha fornito il contributo
maggiore alla formazione del reddito, sulla spinta dell'espansione
americana. la ripresa non è stata tuttavia sufficiente a migliorare
la situazione depressa del mercato del lavoro. Un progressivo attenuarsi
delle tensioni sui prezzi è stato realizzato in Europa, in
particolare nella Germania Federale, e ancor piú in Giappone,
nonostante il piú rapido aumento dell'attività economica.
la situazione di eccesso d'offerta di lavoro e le aspettative di piú
bassa inflazione hanno moderato l'aumento delle retribuzioni. Un forte
sviluppo della produttività, associato alla ripresa produttiva,
ha ulteriormente contenuto l'ascesa dei costi e dei prezzi. Recenti
calcoli dell'OCSE indicano che l'apprezzamento del dollaro ha prodotto
all'interno degli Stati Uniti, attraverso i soli impulsi diretti,
una riduzione dell'inflazione di circa un punto nel 1982 e di altrettanto
nel 1983. Negli altri Paesi industriali, le conseguenze inflazionistiche
del l'apprezzamento del dollaro sono state mitigate dall'andamento,
dapprima stazionario, poi flettente, dei prezzi in dollari delle materie
prime.
L'abbassamento strutturale dell'elasticità della domanda di
inputs rispetto ai livelli produttivi; la minore richiesta di materie
prime, imposta dagli elevati tassi d'interesse reali; il rafforzarsi
della relazione inversa tra prezzi dei prodotti primari e corso del
dollaro, anche in seguito all'intensificata concorrenza tra Paesi
esportatori di materie prime con un elevato debito estero: questo
complesso di elementi ha allentato il legame esistente tra l'evoluzione
ciclica della domanda mondiale e quella del prezzi in dollari dei
prodotti primari. Le politiche economiche restano improntate alla
cautela in Europa e in Giappone, dove condizioni monetarie restrittive
continuano ad affiancarsi a indirizzi tesi a ridurre strutturalmente
i disavanzi di bilancio. Negli Stati Uniti, al contrario, la finanza
pubblica ha stimolato la crescita. Solo di recente il Congresso ha
approvato provvedimenti diretti a contenere, nei prossimi anni, il
disavanzo federale, con effetti peraltro che si prevedono limitati.
In assenza di una manovra di bilancio correttiva, la politica monetaria
difficilmente potrà divenire meno rigida; gli alti tassi di
interesse americani continuerebbero a vincolare le politiche economiche
degli altri Paesi, con effetti particolarmente gravi per le economie
in via di sviluppo piú indebitate. Il disavanzo corrente con
l'estero di queste economie, pur se dimezzato rispetto a due anni
fa, rimane elevato. Il rapporto fra oneri per il servizio del debito
e ricavi da esportazioni si è ridotto, anche in virtú
delle rinegoziazioni concluse con il sistema bancario privato. Ma
i finanziamenti concessi dal mercato internazionale del capitali sono
rimasti relativamente modesti e sarebbero risultati ancora minori,
se non fossero state raggiunte intese con il FMI, sotto la cui egida
sono stati approntati importanti "pacchetti" di sostegno.
Le istituzioni internazionali, e in particolare il FMI, hanno operato
attivamente, sia impegnando proprie risorse, sia favorendo l'afflusso
di capitali privati a medio e lungo termine. La capacità di
finanziamento del Fondo rimane elevata, sebbene nell'ultima riunione
del Comitato interinale siano stati leggermente ridotti i limiti di
accesso alle sue risorse per il 1985. La situazione debitoria resta
tuttavia preoccupante. Essa si configura come un problema di lungo
periodo. I Paesi a piú alto debito sono chiamati, in condizioni
sociali ed economiche molto difficili, a ulteriori rilevanti sforzi
per correggere i disavanzi con l'estero. Le soluzioni tecniche dovranno
ricercarsi e attuarsi tenendo conto delle specificità di ciascuna
economia. Gli uni e le altre non potranno avere efficacia se, su scala
internazionale, mancherà il sostegno di una crescita equilibrata
del reddito e degli scambi.
Piú in generale, anche se con tempi e intensità diversi
da Paese a Paese, la composizione della domanda e la struttura devono
completare il processo di adeguamento a un sistema di prezzi relativi
profondamente mutato. Solo in tal modo il rientro dall'inflazione
potrà rivelarsi duraturo.
L'economia
italiana
Nel 1984, l'economia italiana ha ripreso a crescere, dopo un triennio
di ristagno e di recessione. Secondo le stime piú recenti,
il prodotto interno lordo dovrebbe aumentare del 2,8 per cento, un
tasso moderato eppure superiore a quelli dei maggiori Paesi europei.
Per la prima volta da undici anni, nel settembre scorso, l'aumento
dei prezzi è sceso sotto le due cifre; dal dicembre del 1983
all'ottobre del 1984 il tasso di incremento del costo della vita,
calcolato sullo stesso periodo dell'anno precedente, è diminuito
dal 12,8 al 9,1 per cento. Raffreddare l'inflazione mentre la domando
interna è in ascesa ha in Italia, nell'ultimo quindicennio,
un solo precedente nel 1978.
Con la produzione è tornata a intensificarsi l'accumulazione
di capitale, diretta principalmente all'ammodernamento degli impianti.
In diversi settori, l'industria italiana ha saputo rispondere alla
sfida di una concorrenza serrata. Come in tutta l'area europeo, la
risposta ha imposto al sistema il costo di una accresciuta disoccupazione,
dovuta al risparmio di personale e aggravata dalla spinta demografica
sul numero dei giovani in cerca di lavoro. Nel primo semestre di quest'anno
la maggiore occupazione nel settore dei servizi, pur rilevante, non
ha compensato le flessioni negli altri settori. Nell'industria sono
aumentate le ore lavorate mensilmente per operaio, ma il calo nel
numero degli addetti è stato il piú elevato dal dopoguerra.
il fenomeno riflette anche gli ostacoli che le rigidità istituzionali
e di mercato frappongono all'aumento del l'occupazione. L'area dei
senza lavoro si è estesa e sfiora i due milioni e mezzo di
persone. Sempre nel primo semestre, il saldo di parte corrente dei
conti con l'estero si è chiuso con un disavanzo di 4.500 miliardi;
esso si confronta con lo squilibrio di 1 .000 miliardi dello stesso
periodo del 1983. le previsioni per l'intero 1984 indicano un saldo
negativo dell'ordine di 2.000 miliardi, che segue all'avanzo di 1.158
miliardi dello scorso anno. l'apporto del servizi' e trasferimenti
dovrebbe risultare leggermente piú elevato; il peggioramento
è, quindi, attribuibile alla bilancia commerciale. il risveglio
delle componenti interne della domanda ha limitato il rilancio delle
esportazioni e ha elevato il volume delle importazioni, ulteriormente
accresciute in valore dall'apprezzamento del dollaro. I dati piú
recenti, relativi al periodo gennaio-agosto, segnalano che il disavanzo
mercantile è passato da 8.200 miliardi nel 1983 a 11.000 miliardi.
Nei primi sette mesi dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 1983,
la competitività, tenendo conto dell'andamento comparato dei
prezzi all'ingrosso dei manufatti, è rimasta praticamente invariata
nei confronti dei Paesi europei, ed è migliorato dell'1,5 per
cento rispetto al totale dei principali Paesi concorrenti; in corso
d'anno si è avuto, invece, un peggioramento del 2 per cento.
I guadagni di competitività nei confronti dell'area del dollaro
sono stati particolarmente rilevanti; la nostra posizione si è
avvantaggiato nell'interscambio commerciale con gli Stati Uniti anche
per la diversa condizione ciclica delle due economie, favorevole alle
esportazioni italiane; il saldo è migliorato di 1.900 miliardi.
L'interscambio con i Paesi della CEE ha subito invece un peggioramento
di 1.100 miliardi; quello con i Paesi dell'Est di 1.300 miliardi.
Nei confronti degli altri Paesi, soprattutto quelli fornitori di fonti
di energia e di materie prime, il deterioramento ha superato i 2.000
miliardi. le maggiori importazioni, sollecitate anche dal ripristino
di scorte, si sono avute nei settori delle fonti di energia, della
chimica, della metallurgia e delle materie utilizzate nelle produzioni
piú tradizionali del nostro sistema industriale.
Nell'ultimo decennio l'elasticità delle importazioni rispetto
al reddito è significativamente aumentata, raggiungendo negli
anni recenti un valore di 2,5 che èfra i piú elevati
nelle economie industriali. La propensione media a importare, valutata
a prezzi costanti, è salito di circa 4 punti, superando il
22 per cento del reddito. Vi hanno concorso tutti i tipi di prodotti,
ma in maggior misura i beni di consumo finale. Le determinanti di
questo fenomeno, che rende piú stringente il vincolo della
bilancia commerciale, sono oggetto di approfondimento sul piano analitico.
Nel breve periodo il ricorso ai mercati creditizi internazionali concorre,
insieme con l'utilizzo delle riserve ufficiali, alla copertura dei
disavanzi correnti. La posizione finanziaria del Paese, al netto delle
riserve auree, è passata fra il 1980 ed il 1982 da una situazione
di equilibrio a un saldo negativo di 21 miliardi di dollari. Alla
fine di giugno di quest'anno lo sbilancio era valutabile in 23 miliardi,
pari al 7 per cento del prodotto interno lordo.
Le condizioni dei mercati internazionali, influenzate dai problemi
finanziari delle economie in via di sviluppo, sono attualmente favorevoli
ai Paesi con un buon merito di credito come l'Italia; ne stiamo traendo
vantaggio nel rinnovo dei prestiti. Ma l'entità del debito
in essere sconsiglia di rinviare il completamento della correzione
degli squilibri nei nostri conti con l'estero, ricorrendo ulteriormente
al finanziamento internazionale. Al ristabilimento di una piú
solida posizione della nostra economia è legata, infine, la
riduzione dei vincoli ai movimenti del capitali. La politica di liberalizzazione,
i cui principi sono alla base della legge valutaria in discussione
al Parlamento, deve essere attuata con realistica gradualità,
in modo da assicurarne la durevolezza.
Le linee della
politica economica
I risultati ottenuti nel 1984 nel combinare la ripresa produttiva
con una apprezzabile decelerazione del moto inflazionistico confermano
la validità di un metodo, e tracciano la vie da seguire nel
prossimo futuro. Si è potuto ridurre l'inflazione, senza impedire
la ripresa produttiva perchè a un governo non permissivo della
moneta e del cambio si sono uniti l'avvio di una politica dei redditi
e il contenimento del fabbisogno pubblico. l'operare congiunto degli
strumenti della politica economica accresce l'efficacia della manovra
stabilizzatrice, ne limita tempi e costi, consente di raggiungere
obiettivi in potenziale contrasto.
All'azione volta a regolare i redditi nominali ha corrisposto, pur
nella difformità dei comportamenti, una piú estesa sensibilità
al problema dei nessi tra inflazione, redditi e occupazione; sono
state raggiunte significative concordanze sulla sua rilevanza ai fini
dello sviluppo e su alcuni fondamentali criteri di soluzione. Nella
determinazione del salario si è posta un'attenzione nuova alle
compatibilità generali del sistema; si è tornati a fare
riferimento alla professionalità e alla produttività
del lavoro, respingendo il principio del livellamento generale. La
struttura del salario viene analizzata nelle sue diverse componenti,
automatiche e discrezionali, di stato e di progressione. Al centro
del dibattito sta la necessità di una distribuzione meno iniqua
del peso fiscale tra categorie dipendenti e lavoratori autonomi. Sul
piano delle realizzazioni, attraverso decreti poi convertiti in legge,
è stata predeterminata la progressione della scala mobile nel
primo semestre. Ancorchè limitata nel tempo, questa misura
ha contribuito a frenare i costi e a ridurre l'inflazione; non ne
ha sofferto il livello delle retribuzioni per dipendente in termini
reali.
Il blocco per il 1984 dell'indicizzazione degli affitti abitativi,
il vincolo del 10 per cento all'aumento dell'insieme delle tariffe
pubbliche del prezzi amministrati, l'attivazione di strumenti e di
accordi di autodisciplina nel settore della distribuzione commerciale
hanno integrato questa prima fase della politica del redditi. Alcuni
fra questi provvedimenti, per loro natura, hanno effetti limitati
nel tempo; il loro contributo al contenimento dell'inflazione dipende
dai comportamenti che prevarranno oltre il breve periodo. Il principio
di non accrescere la remunerazione reale media, pur cercando di dare
spazio a diversificazioni che premino la professionalità, è
stato sostanzialmente rispettato nel settore privato. Nella Pubblica
Amministrazione, invece, l'aumento delle retribuzioni nominali ha
superato, di circa due punti, il tasso d'inflazione. Nell'industria,
i processi di ristrutturazione, in corso da alcuni anni, e un più
efficiente utilizzo dei fattori, consueto nelle fasi iniziali di ripresa,
hanno permesso di conseguire forti guadagni di produttività.
Per l'intero 1984, l'aumento del prodotto per ora lavorata è
stimato pari al 4,5 per cento e quello per occupato al 6,4.
L'incremento annuo del costo dei lavoro per unità di prodotto
supererà di poco il 5 per cento, valore inferiore di due terzi
a quello medio del precedente quinquennio. Il contenimento dei costi
è derivato dalle componenti interne. Quelle estere, nonostante
una gestione del cambio orientata ad assecondare il rientro dell'inflazione,
hanno operato in senso opposto, per il forte rincaro del dollaro.
L'ascesa dei costi complessivi di produzione per unità di prodotto
è risultata inferiore a quella dei prezzi. I margini di profitto
si sono ampliati dopo un triennio di tendenziale compressione; i profili
globali hanno beneficiato dei crescenti livelli di produzione, favorendo
la ripresa degli investimenti. In ogni settore, ampie ristrutturazioni
sono richieste dalla pressante concorrenza internazionale, dal mutamento
dei prezzi relativi, dalla instabilità della domanda finale.
Lo sviluppo tecnologico le rende possibili, accrescendo al tempo stesso
la flessibilità degli impianti.
La riduzione dell'intensità di capitale per unità di
prodotto, che è stata realizzata nell'industria, difficilmente
potrà protrarsi nel medio periodo. L'allentamento di vincolo
esterno e una piena valorizzazione delle potenzialità di sviluppo
e di occupazione presuppongono un deciso orientamento delle produzioni
all'esportazione e un massiccio impiego di risorse in investimenti
a redditività differita.
In più occasioni ho avuto modo di rilevare come la formazione
di risparmio lordo si sia ridotta, rispetto al prodotto, dal valore
medio del 23 per cento dell'inizio degli Anni Settanta al 18 del triennio
1981-83; ciò è avvenuto soprattutto per il dilatarsi
del disavanzo corrente della Pubblica Amministrazione. E' una tendenza
che le esigenze dello sviluppo e dell'occupazione impongono di rovesciare.
I gravi squilibri nei conti pubblici rendono inconciliabili l'intensificazione
degli investimenti e l'equilibrio dei conti con l'estero. Le valutazioni
ufficiali indicano in 95.800 miliardi il fabbisogno del settore statale
per il 1984. Il dato consuntivo potrà essere minore. La crescita
del fabbisogno dovrebbe in ogni caso risultare inferiore a quella
del reddito: è un risultato positivo, che interrompe una serie
preoccupante. Le dimensioni del fabbisogno e della distruzione di
risparmio da parte dell'operatore pubblico restano, tuttavia, eccezionalmente
elevate, e altri significativi indicatori continuano a dare segnali
negativi. In percentuale del prodotto, il disavanzo complessivo della
Pubblica Amministrazione, al netto delle partite di natura finanziaria,
segna un aumento, con e senza le spese per interessi; quello di parte
corrente, pari al 6 per cento nel 1983, potrebbe superare il 7 per
cento quest'anno: la maggiore formazione di risparmio del settore
privato è stata ancora una volta in parte assorbita dalle spese
pubbliche correnti, a scapito del l'accumulazione di capitale. Alla
fine del 1984 il debito pubblico risulterà cresciuto del 22
per cento circa, otto punti in più del reddito nominale.
Nel corso dell'anno, la politica monetaria e quella valutaria hanno
accompagnato la ripresa, secondo una linea di disinflazione attenta
a prevenire il riaccendersi di spinte speculative e le aspettative
di un rimbalzo inflazionistico. L'andamento del tassi d'interesse
reali è stato tale da lasciare margine al ricupero ciclico
della redditività netta degli investimenti e da sostenere al
tempo stesso la propensione al risparmio finanziario. Dal dicembre
scorso, la lira si è deprezzata del 12 per cento rispetto al
dollaro, e dell'1,5 nei confronti delle valute comunitarie.
Nel primo semestre la graduale discesa del tassi d'interesse nominali,
consentito dalla decelerazione dell'inflazione, è stata assecondata
dalle diminuzioni del saggio ufficiale di sconto attuate in febbraio
e in maggio.
Sino alla primavera lo sviluppo dei finanziamenti al pubblico, del
credito totale interno e della quantità di moneta restava entro
le linee programmate. Dall'aprile la dinamica creditizia accelerava
sensibilmente. Mentre l'espansione monetaria continuava a mantenersi
inferiore all'aumento del prodotto in termini nominali, quella dei
finanziamenti al pubblico, pur depurati degli effetti statistici connessi
con la rimozione del massimale, eccedeva gli obiettivi indicati all'inizio
dell'anno. Particolarmente rapida appariva la crescita degli impieghi
bancari, il divario rispetto a quella della moneta confermava il formarsi
di squilibri nei rapporti con l'estero.
Forte domanda di credito, tassi d'interesse nominali superiori a quelli
internazionali e aspettative di stabilità della lira nel sistema
monetario europeo inducevano le aziende di credito ad accrescere l'indebitamento
netto all'estero. Nei mesi di maggio e giugno, esso aumentava di 3.500
miliardi e poneva problemi di controllo del credito nell'immediato,
e del mercato dei cambi in prospettiva: veniva stabilito un limite
massimo alla posizione debitoria netta sull'estero delle banche.
Nel corso dell'estate, l'espansione creditizia e il disavanzo corrente
della bilancia dei pagamenti continuavano a superare le previsioni.
Particolarmente rapida risultava la crescita dei prestiti bancari
in lire. La domanda di impieghi, oltre che ad alimentare transazioni
correnti e investimenti fissi e in scorte superiori alla attese, era
diretta all'acquisizione da parte delle imprese di attività
finanziarie su larga scala; veniva soddisfatta a tassi d'interesse
decrescenti, con costi per le imprese ulteriormente ridotti dal margine
di denunciabilità fiscale degli oneri finanziari consentito
dal ricupero dei profitti. Ma la stesso offerta di impieghi era sollecitata
dalla liberalizzazione di un mercato costretto per anni da vincoli
amministrativi e quindi alla ricerca di nuovi assetti, in un sistema
bancario che vede strutturalmente intensificarsi i fattori concorrenziali.
Negli attivi bancari, l'espansione degli impieghi avveniva, sino a
giugno, in sostituzione di titoli pubblici. in luglio l'accelerazione
si estendeva ai depositi, suscitando la preoccupazione che anche gli
aggregati monetari tendessero a superare il limite programmato. Dall'inizio
dell'anno alla fine di agosto, la crescita dei finanziamenti al pubblico
e quindi quella del credito totale interno, corrette per gli aggiustamenti
contabili degli impieghi bancari e depurate dalla stagionalità,
avevano assunto la tendenza che le portava a superare di 4,3 e di
1,2 punti i limiti annui indicati nel settembre del 1983, rispettivamente
pari al 12,3 e al 17,4 per cento. L'accelerazione era interamente
dovuta agli impieghi bancari, cresciuti del 21,5 per cento in ragione
d'anno. Gli aumenti della moneta e della base monetaria erano rispettivamente
dell'11 e del 9,5 per cento. Considerato l'evoluzione della domanda
interno e quella dell'interscambio commerciale, la prosecuzione della
ripresa e l'ulteriore discesa dell'inflazione rischiavano di essere
compromesse da deviazioni troppo ampie dell'espansione del credito
dal sentiero prefissato. E' pur vero che il reddito e gli investimenti
in termini reali crescevano in misura superiore alle previsioni iniziali;
ma la tendenza del credito all'economia eccedeva nettamente anche
i nuovi limiti, spostati verso l'alto per tener conto del maggior
sviluppo reale. Un segnale netto e una misura restrittiva, temporanea
quanto più pronta ed efficace, dovevano essere specificamente
rivolti al sistema bancario. Rimosso il massimale sugli impieghi,
la regolazione dei finanziamenti al pubblico è ora affidata
a un più intenso utilizzo dello strumento della base monetaria
e a una maggiore mobilità dei tassi d'interesse, le cui variazioni
sono rese più pronte da modifiche nelle condizioni del credito
di ultima istanza.
All'inizio di settembre il tasso ufficiale di sconto veniva portato
dal 15,5 al 16,5 per cento. Nelle aste immediatamente successive a
quella data, i tassi di rendimento offerti sui BOT a 3 e a 6 mesi
venivano elevati di circa mezzo punto; una variazione di poco inferiore
veniva applicata alla prima cedola delle nuove emissioni di CCT. Le
condizioni di offerta dei prestiti bancari tra l'ultima decade di
agosto e di settembre hanno presentato un rialzo dei tassi medi di
0,6 punti, con una soluzione di continuità nella tendenza flettente
che era in otto. Alla riunione del Comitato Internazionale per la
Programmazione Economica di fine settembre, che precede l'approvazione
governativa della Relazione previsionale e programmatica, venivano
sanciti i nuovi limiti di crescita degli aggregati monetari e creditizi
per il 1984: il tasso di sviluppo dei finanziamenti al pubblico veniva
portato dal 12,3 al 14,3 per cento. E' compatibile con questo nuovo
obiettivo un aumento dei prestiti bancari del 18 per cento, al netto
degli aggiustamenti contabili. L'espansione del credito totale interno
potrà giungere al 19 per cento; uguale incremento è
previsto per le attività finanziarie. Il rapporto tra ricchezza
finanziaria dell'economia e prodotto interno lordo si aggirerà
alla fine dell'anno sul 125 per cento, un valore di 5 punti più
elevato rispetto a quello già eccezionalmente alto, raggiunto
nel dicembre del 1983.
Una valutazione degli effetti della manovra del tasso di sconto non
è ancora possibile, anche perchè voci di reintroduzione
del massimale sugli impieghi, del tutto prive di fondamento, hanno
ulteriormente sospinto, alla fine di settembre, l'offerta di credito
e l'intermediazione bancaria, alterando il significato delle informazioni
statistiche. La formazione negli ultimi due mesi di un fabbisogno
dello Stato inferiore alle previsioni implicite nella stima annuo
di 95.800 miliardi ha consentito in ottobre una lieve diminuzione
del rendimento delle nuove emissioni di titoli pubblici. la condizione
dell'economia continuo a richiedere tassi d'interesse che inducono
a una propensione al risparmio finanziario sostenuta e moderino la
domanda di fondi da parte delle imprese. Soprattutto, si fa ancora
più urgente la necessità di ridurre il disavanzo e di
frenare la dinamica del debito pubblico. Lo stato del conti pubblici
rende più pressante il fabbisogno di risparmio e restringe
lo spazio di manovra della politica creditizia. L'onere per interessi
di un debito pari al 90 per cento del prodotto interno lordo peserebbe
sulle finanze dello Stato, anche se l'incidenza del debito fosse stazionaria.
Ma se, come avviene, gli squilibri esistenti imprimono al debito una
dinamica fortemente ascendente, l'ambito entro cui la politica monetaria
si adopera per conciliare sviluppo e stabilità si restringe
e rischia di annullarsi. E' uno illusione pensare che la politica
monetaria stessa possa allargarlo. Da una maggiore creazione di base
monetaria l'inflazione e la crescita potrebbero non subìre
conseguenze nell'immediato; ma, oltre il breve periodo, l'economia
troverebbe nell'abbondanza di liquidità e di credito la condizione
permissiva per degenerare in rinnovato deprezzamento del valore interno
ed esterno della moneta.
Le prospettive
Gli indicatori congiunturali più recenti confermano la prosecuzione
di una espansione economica a ritmo moderato, eppure associata a un
disavanzo non grave, ma significativo nella bilancia dei pagamenti
correnti. In questa situazione, le possibilità di sviluppo
per il 1985 sono condizionate in primo luogo dagli andamenti dell'economia
internazionale. Si attende una decelerazione della crescita negli
Stati Uniti, non pienamente compensata dall'aumento dell'attività
economica nei Paesi Europei. I tradizionali mercati di sbocco delle
merci italiane dovrebbero presentare uno sviluppo inferiore, come
già nel 1984, a quello della domanda mondiale e una concorrenza
che si teme possa spingersi fino a produrre cali dei prezzi dei manufatti.
la crescita della domanda e quella della produzione dipenderanno così
dalla difesa delle condizioni di costo e di prezzo, su cui si fonda
la competitività.
Il tasso d'inflazione eccede ancora ampiamente quello degli altri
Paesi industriali. Il ricondurlo nel 1985 al 7 per cento è
l'elemento centrale della manovra disegnata nella Relazione previsionale
e programmatica. l'obiettivo non è realizzabile se ci si affida
alle tendenze in atto; il suo conseguimento richiede interventi correttivi
e comportamenti coerenti.
Le retribuzioni tendono a eccedere il limite del 7 per cento, in conseguenza
dei contratti già stipulati e degli automatismi in essere.
La crescita della produttività subirò un rallentamento
dopo l'accelerazione ciclica nella fase di avvio della ripresa. Il
contenimento entro il limite suddetto delle remunerazioni dei pubblici
dipendenti è essenziale perchè l'espansione dell'intera
spesa pubblica di parte corrente possa essere mantenuta, come previsto
dal progetto di legge finanziaria, entro il tasso d'inflazione programmato.
Un tale comportamento influirà positivamente sulla dinamica
dei redditi nel settore privato.
E' tempo di tradurre in pratica alcune concordanze generali in tema
di riforma della struttura del salario; le soluzioni tecniche possono
essere varie, ma la diversità di opinione su questo aspetto
non deve impedire che, attraverso il confronto, si compiano le necessarie
scelte. Una diffidenza reciproca rischia di rendere impossibili ulteriori
progressi verso la stabilità monetaria, inducendo gli imprenditori
a formare i prezzi in base a previsioni di costi elevati e le organizzazioni
sindacali a privilegiare, nella difesa del salario, gli aspetti nominali
rispetto a quelli reali. Una volta riattivate, azioni e reazioni possono
avvitarsi di nuovo in spirali perverse, di cui è facile perdere
il controllo.
La creazione di posti di lavoro esige che venga mutato le tendenza,
sinora prevalsa, di ripartire i frutti della ripresa interamente fra
le aziende e i già occupati.
La legge finanziaria e il bilancio per il 1985 indicano obiettivi
validi, inquadrati in un disegno pluriennale di risanamento. Per la
loro realizzazione occorre in primo luogo evitare, come fu possibile
lo scorso anno, i ritardi connessi con il ricorso all'esercizio provvisorio.
Un fabbisogno statale per il 1985, prossimo in valore a quello ufficialmente
previsto per il 1984, di per sè è conferma di un graduale
ridimensionamento del peso del settore pubblico nell'utilizzo delle
risorse finanziarie; esso assume poi significato nella misura in cui
sia la risultante di mutamenti di fondo nell'evoluzione delle componenti
del bilancio statale. Alle proiezioni al 1988 e alle linee di azione
prospettate dalla Banca nel maggio scorso è seguito un dibattito
che ha dato conferma della necessità di operare, in una visione
di medio periodo, sia nella direzione di frenare l'espansione della
spesa pubblica al di sotto di quella del reddito sia nel senso di
accrescere e perequare la pressione tributaria. Sono state altresì
approfondite le connessioni degli indirizzi di politica dei redditi
con la politica dei tributi e con lo stesso governo della spesa pubblica
di parte corrente.
Gli obiettivi di politica monetaria sottoposti al Comitato Interministeriale
di Politica Economica indicano, nell'ipotesi che il reddito nominale
superi del 10 per cento il livello del 1984, un incremento del credito
interno al settore produttivo pari al 12 per cento nel corso dell'anno
e una previsione di crescita della quantità di moneta sostanzialmente
in linea con quella del reddito. Questi obiettivi sono stati formulati
supponendo una piena realizzazione della manovra di politica di bilancio
e di regolazione del redditi; l'orientamento che essi esprimono sarà
perseguito anche qualora l'attuazione degli interventi in tali campi
dovesse essere incompleta.
Ma lasciare di nuovo il controllo del ciclo alla politica monetaria
significherebbe rinunciare consapevolmente a finalità da tutti
condivise. Equivarrebbe di fatto a subìre i costi di un'inflazione
elevata e di un bilancio pubblico che sottrae risparmio al l'investimento,
ed accettare, infine, minore sviluppo e minore occupazione. Sarebbe
amaro disperdere, proprio quando risultati significativi, anche se
parziali, sono stati raggiunti, i frutti di anni di impegno nel cammino
verso la stabilità.
A mano a mano che si intacca la pietra dura dell'inflazione, l'impegno
richiesto è maggiore perchè gli ulteriori progressi
sono legati alla rimozione delle cause strutturali e istituzionali;
ma il ricupero di una moneta stabile appare sempre più una
meta possibile, anche se difficile. La nostra società ha mostrato
di saper superare passaggi non meno ardui; è di tutti noi la
responsabilità del successo.
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