§ PROBLEMI ECONOMICI

LO SPETTRO DEL GRANDE CRACK




Rossana Livolsi



In quest'epoca di sindrome da missile, rischia di passare del tutto inosservato l'aggirarsi, convulso e sussultorio, attraverso tutte le frontiere, dell'insolvibilità internazionale. Oggetto di periodici consulti fra sacerdoti dei riti occulti e misteriosi della finanza internazionale, il vulcano del debito estero minaccia di esplodere trascinando con sè l'economia e la finanza mondiale. Sono in molti a credere che la causa di tutto risieda nella cupidigia dei banchieri internazionali o, alternativamente, nella irresponsabilità dei Paesi debitori. Questi stati d'animo, più simili a credenze che a fatti scientificamente analizzati, minacciano di diventare il quadro di riferimento privilegiato di decisioni pubbliche e private, "frenando" la possibilità di crescita dei Paesi in via di sviluppo. Il problema non va sottovalutato. Benchè siano ormai passati quasi due anni da quel giovedì nero del 12 agosto del 1982, giorno in cui il Messico informò il mondo di essere alla vigilia della bancarotta, la prospettiva non è rosea. Per mesi la possibilità di una dichiarazione formale di insolvenza da parte del Messico e degli altri grandi debitori del Terzo Mondo è rimasta sospesa, minacciosa, sull'economia internazionale. L'incubo è passato, ma non sono scomparse le ragioni che potrebbero nuovamente determinarlo: se la situazione del Messico e del Brasile è parzialmente tornata sotto controllo, non altrettanto può dirsi dell'Argentina, a cui la ritrovata democrazia non ha portato alcun sollievo, sotto questo profilo. L'annuncio di moratoria e le minacce di disconoscimento della validità dei contratti firmati dal precedente governo, che vengono da Buenos Aires, non contribuiscono certo ad allentare la tensione sui mercati finanziari internazionali, colpiti recentemente anche dalla crisi di illiquidità di alcune grandi banche private americane, tra cui la Continental Illinois Bank.
Lo spettro del grande crack finanziario è ricomparso a Wall Street per la caduta dei titoli bancari e per il costituirsi di una sorta di "fronte dei debitori", composto da Argentina, Brasile, Messico e Colombia, che hanno deciso di assumere un atteggiamento comune per fronteggiare il problema del debito estero.
"Certo il sistema finanziario ha superato la tempesta dell'indebitamento internazionale piuttosto bene. Ma le difficoltà provocate dai problemi dei debitori odierni ci accompagneranno per almeno un decennio". L'avvertimento è del Presidente della Banca Mondiale, Alden W. Clausen, un'autorità in materia, anche quando si dice convinto che "la ripresa non sarà sufficiente da sola a far ritrovare ai Paesi in via di sviluppo tassi di crescita simili a quelli registrati in passato". E il mancato decollo del Terzo Mondo condizionerebbe pesantemente i Paesi industrializzati, che indirizzano verso i PVS il 28 per cento del totale del loro export. Proprio l'indebitamento e i severi programmi d'austerità che molti Paesi hanno adottato si sono tradotti infatti in una drastica riduzione dell'import proveniente dal mondo industrializzato. Nei dodici mesi tra il luglio 1982 e il giugno 1983 i PVS hanno tagliato le loro importazioni di 43.000 miliardi di dollari. Ne ha fatto le spese il loro sviluppo, ma i Paesi industrializzati non sono rimasti indenni, pagando in termini di contrazione del tasso di crescita. E il discorso rimane di scottante attualità. Visto che per una serie di fattori, sempre legati alla posizione debitoria, i PVS sono stati costretti ad abbattere pesantemente le importazioni anche per il 1983, portando a 48 miliardi di dollari il disavanzo di parte corrente, rispetto agli 85 miliardi del 1982.


L'operare del vincolo finanziario esterno ha continuato a caratterizzare la situazione economica dei PVS non petroliferi. La ridotta possibilità di ricorso ai mercati finanziari internazionali e la scarsità delle riserve hanno costretto questo gruppo di Paesi a frenare gli insostenibili ritmi di crescita registrati nello scorso decennio e a ridimensionare anche nel 1983 le proprie importazioni, scese di oltre il 9 per cento nel corso degli ultimi due anni. le conseguenze negative che una tale evoluzione ha avuto sul potenziale di crescita sono di difficile valutazione quantitativa. Tuttavia, se consideriamo che le importazioni dei PVS sono prevalentemente costituite da beni intermedi e di investimento, per i quali non esistono validi sostituti interni, allora non possiamo non prevedere delle prospettive di sviluppo fortemente peggiorate.
Nel 1983, la crescita del PIL dei Paesi del gruppo, pari in media all'1,6 per cento, non si è discostata da quella realizzata nel 1982 determinando, per il secondo anno consecutivo, una riduzione del reddito pro-capite. L'organo della City londinese, The Economist, in una sua recente inchiesta, non lasciava spazio all'alternativa: import or die. La caduta dell'import significava di fatto la morte dei processi di investimento e di industrializzazione di quei Paesi e quindi anche delle speranze di trovare un'uscita dalla spirale dell'indebitamento crescente e del reddito calante.
Anche se le acute tensioni manifestate dalla posizione esterna dei PVS nel 1982 si sono gradualmente allentate nel corso del 1983, la ridotta disponibilità di finanziamenti esterni e la scarsità delle riserve hanno continuato a costituire un vincolo assai stringente. Allo stesso tempo sono divenute più evidenti la dimensione e la complessità dei problemi posti dal debito estero.
Il debito dei PVS non petroliferi, pur mostrando una crescita nettamente inferiore (6 per cento nell'anno, contro il 13 per cento dell'anno precedente e oltre il 18 del triennio 1979-81), ha raggiunto alla fine dell'anno scorso i 669 miliardi di dollari, importo pari al 37 per cento del reddito nazionale e al 150 per cento delle esportazioni dell'area. Il servizio del debito è stato di 97 miliardi di dollari, dei quali circa sessanta sono costituiti da pagamenti per interessi. Se al debito estero dei PVS non petroliferi si aggiungono i 100 miliardi di dollari dovuti dai Paesi esportatori di petrolio e gli 80 miliardi di Paesi dell'Est europeo, l'indebitamento complessivo del mondo non industrializzato raggiunge gli 850 miliardi di dollari.
Il massiccio afflusso netto di capitali bancari verso gli Usa, dal secondo trimestre dell'anno, ha presumibilmente compresso l'offerta di eurocrediti. I flussi lordi di crediti bancari annunciati hanno registrato un calo considerevole (da 103 miliardi di dollari nel 1982 a 80 nel 1983), che ha riguardato tanto i Paesi industriali quanto quelli in via di sviluppo; per contro, sono continuate a ritmo sostenuto le emissioni di obbligazioni, riservate a prenditori di qualità primaria.
Per i PVS non petroliferi, una parte rilevante dei crediti concessi (circa 15 su 25 miliardi) è legata ad operazioni di sostegno a favore dei Paesi maggiormente indebitati. La "dicotomizzazione" del mercato - con crescenti costi e difficoltà di accesso per la maggioranza dei PVS - è riflessa nell'evoluzione degli spreads e delle altre condizioni di prestito: in media i PVS hanno pagato uno spread vicino al 2 per cento, contro lo 0,5 rilevato per i Paesi industriali. Tale caratteristica del mercato, se da un lato risponde all'esigenza di correlare il costo del credito al rischio, dall'altro rende più difficile il riassorbimento dell'eccessivo debito estero accumulato da alcuni Paesi negli anni scorsi.
Nel corso dell'ultimo anno è migliorata la struttura per scadenza del debito dei PVS non petroliferi, a seguito della contrazione della componente a breve e delle operazioni di ristrutturazione del debito a medio e a lungo termine. Un elemento di fragilità è invece rappresentato dal fatto che una quota elevata del debito in essere è negoziata a tassi fluttuanti: essa rappresenta circa il 30 per cento del debito totale dei PVS e raggiunge il 70 per cento per alcuni Paesi dell'America Latina; tale quota è cresciuta rapidamente nel periodo più recente, in conseguenza degli accordi di rinegoziazione del debito bancario. Ciò espone questi Paesi alle conseguenze di possibili aumenti dei tassi di interesse.
Nel 1983 i PVS hanno sostenuto un costo medio di interesse sul debito in essere intono al 10 per cento; inoltre, per i Paesi più esposti, esso tende tuttora ad aumentare, essendo il tasso pagato sui nuovi prestiti superiore al 12 per cento. Va peraltro segnalato, a questo proposito, che nel recente accordo negoziato dal Messico per i debiti in scadenza nel 1984, le banche hanno accettato una riduzione di circa un punto dello spread rispetto alle condizioni dell'anno precedente; tale beneficio è stato concesso per i buoni risultati del programma di aggiustamento esterno realizzato dal Messico.
le difficoltà non possono tuttavia ritenersi superate. Anzitutto, perchè negli ultimi diciotto mesi il flusso di credito dai mercati internazionali ai Paesi maggiormente indebitati è divenuto sensibilmente inferiore ai pagamenti per interessi sul debito estero: in altre parole, il contributo netto dei mercati al finanziamento esterno di questi Paesi è diventato negativo. Secondariamente, l'analisi del profilo delle scadenze del debito estero dei Paesi maggiormente indebitati rivela una notevole concentrazione delle scadenze nel periodo 1985-86. Infine, gli effetti delle crisi debitorie del 1982 continueranno presumibilmente a pesare sulle prospettive dell'offerta di credito a questi Paesi per un periodo prolungato.
Le preoccupazioni per le prospettive future della posizione esterna dei PVS sono acuite dall'esame degli effetti della rinegoziazione del debito e dell'evoluzione dei finanziamenti esterni. Il miglioramento nel servizio del debito in rapporto alle esportazioni - sceso dal 25 al 22 per cento per il totale dei PVS non petroliferi e dal 54 al 44 per cento per i Paesi dell'America Latina - riflette largamente la caduta dei rimborsi, che è derivata dalla rinegoziazione dei prestiti (privati e pubblici) per circa 70 miliardi di dollari mentre i pagamenti per interessi sono scesi in misura modesta. Le elaborazioni del FMI per il resto del decennio indicano che, dopo essere rimasti stazionari nell'anno in corso, i pagamenti in conto capitale, in rapporto alle esportazioni, saliranno nel triennio successivo per il totale dei PVS non petroliferi dall'8 al 14 per cento e quasi raddoppieranno per i Paesi maggiormente indebitati (dal 10 al 19 per cento); un leggero miglioramento è previsto per la fine degli Anni '80.
I pagamenti per interessi dei PVS non petroliferi scaderebbero invece in modo graduale e continuo, dal 13 per cento delle esportazioni nel 1983 al 9 nel 1990. Per quel che riguarda la struttura della bilancia dei pagamenti e dei finanziamenti esterni dei PVS, il miglioramento dei conti correnti con l'estero nell'ultimo biennio è frutto quasi esclusivo della contrazione delle importazioni, mentre il saldo dei servizi è continuato a peggiorare per effetto dei pagamenti per interessi. Inoltre hanno ultimamente ecceduto, e per importi crescenti, i finanziamenti bancari netti ricevuti da questi Paesi dando luogo, per questa via, ad importanti trasferimenti netti di risorse all'estero. Insieme con la caduta dei finanziamenti privati, vi è stato un calo degli investimenti diretti (8 miliardi di dollari nel 1983 contro 11 nel 1982 e 13 nel 1981).
La caduta degli investimenti diretti e dei flussi privati è stata compensata solo in parte dall'aumento dei finanziamenti pubblici a lungo termine (da 22 a 23 miliardi di dollari) e dei crediti erogati dal FMI (oltre 10 miliardi contro i 7 del 1982 e i 6 del 1981). Circa tre quarti delle somme erogate dal Fondo sono state rese disponibili nell'ambito dei programmi di aggiustamento estero basati su severe condizioni di politica economica, contro i due terzi del 1982 e la metà nel 1981.
Il considerevole aumento delle erogazioni nell'ultimo triennio è stato finanziato per circa la metà con risorse proprie del Fondo e per la parte rimanente con fondi a prestito. Il debito presente del FMI verso Paesi membri - direttamente o attraverso la Bri - ha così raggiunto, alla fine del 1983, i 14 miliardi di dollari; le linee di credito negoziate e non utilizzate erano pari a circa 4 miliardi. A tale ammontare vanno aggiunti 6,5 miliardi di nuove linee di credito, negoziate recentemente con un gruppo di Paesi industriali e con l'Arabia Saudita.
Ancora per il 1984 le erogazioni nette del Fondo resteranno elevate, con un prevedibile declino per gli anni a venire, man mano che verranno a scadenza i finanziamenti accordati dal 1979.
La crescita dei finanziamenti delle banche multilaterali di sviluppo, il gruppo Banca Mondiale e le banche regionali, resta invece largamente insufficiente: nel 1983 queste banche hanno erogato complessivamente finanziamenti lordi per circa 11 miliardi di dollari, che scendono a 5 al netto dei rimborsi: il che rappresenta solo il 9 per cento del disavanzo corrente dei PVS non petroliferi e poco più dell'1 per cento delle loro importazioni. In termini reali, si è avuta una sensibile riduzione rispetto agli anni precedenti.
La causa prevalente di questa caduta delle erogazioni e da individuare nella compressione delle risorse complessive disponibili, determinata dalla contrazione dell'impegno finanziario dei maggiori Paesi a sostegno di queste Istituzioni. Vi è stata poi una caduta della domanda di finanziamento dei Paesi membri, dovuta all'abbandono di programmi già decisi, sia per l'attenuarsi delle ragioni economiche sia per il venir meno dei finanziamenti di altre fonti. La maggior creazione di liquidità internazionale, connessa al disavanzo corrente Usa, e il minor utilizzo delle riserve ufficiali nella copertura dei disavanzi esterni da parte degli altri Paesi industriali e dei PVS non petroliferi, hanno condotto ad una ripresa delle riserve totali, dopo la riduzione dei due anni precedenti. In rapporto alle importazioni mondiali, le riserve sono risalite al 22 per cento, dopo il minimo del 20 per cento toccato nel biennio 1981-82.
Il dato aggregato di questa crescita fornisce solo un'indicazione di massima sulle condizioni di liquidità del sistema, sia perchè cela ampie differenze nell'evoluzione dei gruppi e dei singoli Paesi sia perchè le riserve lorde non sono necessariamente legate da una relazione stabile con la disponibilità di credito esterno. L'accumulazione di riserve ha riguardato soprattutto i Paesi asiatici e il Sud-Africa. In America Latina alla considerevole performance del Messico fa riscontro la contrazione continua registrata in Argentina e in Colombia. Moderata è anche la crescita delle riserve dei Paesi esportatori di petrolio (circa il 3 per cento), un risultato aggregato che riflette soprattutto aumenti concentrati in tre Paesi (Arabia Saudita, Venezuela e Indonesia) e diminuzione nella quasi generalità degli altri.
Le esperienze più recenti dovrebbero essere di lezione. Un primo insegnamento da trarre riguarda la necessità di moltiplicare e diversificare le fonti di finanziamento, sviluppando un mix equilibrato fra istituzioni pubbliche e private. In secondo luogo, le "cure da cavallo" non vanno applicate indiscriminatamente, senza alcun riguardo per le conseguenze sul piano occupazionale, sugli investimenti, sugli standards di vita, già fortemente contratti dei PVS.
I finanziamenti dall'estero, specie se vi si associano iniziative private di grande respiro, possono rappresentare uno stimolo efficace per uscire dalla logica del "risanamento finanziario = contenimento dell'attività economica interna".


La sfida, che vede impegnati i più moderni tra i PVS, si misura sulla capacità di rispondere ad una accelerata crescita economica, che necessita di trasformazioni strutturali nell'ossatura dell'economia dei singoli Paesi, i quali si trovano ancora alle prese con problemi primordiali: dalla formazione di un originale nucleo industriale nazionale alla modernizzazione del l'agricoltura, alla completa monetizzazione dei rapporti economici, tuttora in parte fondati sul baratto, che caratterizza le società tradizionali.
A queste difficoltà strutturali, si aggiungono i problemi inerenti il perseguimento, da parte dell'azione pubblica, di impellenti obiettivi sociali. In molte delle capitali del Terzo Mondo il generico obiettivo del miglioramento della qualità della vita significa ancora spese per necessità primarie: scuole, ospedali, infrastrutture. Molte di queste società sono coinvolte in una guerra di trincea contro la fame, la mancanza di alloggi e la degradazione fisica degli individui. Una lotta che impegna quote rilevanti di risorse, sottratte al risparmio per investimenti. Tralasciando il giudizio di merito su queste politiche sociali, è fuor di dubbio che esse danno luogo ad economie strutturalmente in deficit, anche di fronte agli sforzi generosi ed onerosi per accrescere le quote destinate al risparmio interno. Deficit che possono essere espressi sia in termini reali (il gap in beni, servizi e tecnologia) sia in termini monetari (nel risparmio per investimenti o nel disavanzo della bilancia dei pagamenti). Comunque espressi, questi deficit possono essere soddisfatti nel breve periodo solo attraverso flussi di beni e servizi o di risorse finanziarie, nella forma di assegnazioni, prestiti, aperture di credito su linee commerciali da parte dei mercati privati dei capitali.
I gaps in quanto tali non sono un dato assoluto, ma esistono in un sistema di relazioni, di vincoli determinati; tuttavia è proprio la loro eliminazione che costituisce la questione centrale dello sviluppo. Troppo frequentemente l'inflazione è stata utilizzata come meccanismo di aggiustamento, dimenticando che essa stessa crea spesso problemi, scoraggiando il risparmio ed incoraggiando investimenti non produttivi. Oltretutto, essa produce distorsioni ed iniquità nella distribuzione del reddito e dei consumi. In queste condizioni la svalutazione può rappresentare un temporaneo beneficio - riducendo il fabbisogno di finanziamenti esterni - ma non porta alcuna risorsa aggiuntiva e non ne assicura un uso produttivo ed efficiente.
Gli eventuali risultati positivi dipendono dall'intero pacchetto di misure governative effettivamente realizzate. I deficit cronici nella bilancia dei pagamenti possono essere finanziati sia facendo affluire a titolo gratuito i beni necessari, sia attraverso una trasformazione in titoli azionari del monte-debiti.
Sul medio periodo, è possibile avanzare delle previsioni e stimare i relativi fabbisogni, sulla base dei quali disegnare scenari alternativi di misure di intervento.
Un'alternativa all'intervento finanziario estero è l'adozione di politiche monetarie e fiscali restrittive e di aggiustamenti nei tassi di cambio, che si possono accompagnare a contenimenti nei flussi commerciali e nei pagamenti internazionali. La manovra condurrebbe ad un declino degli investimenti e dei consumi interni e ad una riduzione del disavanzo nella bilancia dei pagamenti. Disavanzi di bilancio, anche di considerevoli dimensioni, sono piuttosto normali e, in sè, non significano necessariamente una cattiva gestione della situazione economica interno o dei rapporti commerciali con l'estero; ciò non toglie, comunque, che debbano essere finanziati.
Possibili alternative a questa manovra sono il ricorso alle riserve oppure una trasformazione profonda ed intensa delle linee di produzione interna, in modo da ridurre gli stock di beni importati. Nei PVS queste alternative sono entrambe poco praticabili e richiederebbero comunque tempi assai lunghi di attuazione.
La stretto relazione esistente tra le condizioni economiche interne e la situazione della bilancia dei pagamenti si conferma particolarmente valida per i Paesi in via di sviluppo. Inattese avversità possono "gonfiare" l'import bill, mentre un anticipato declino del flusso delle esportazioni, sempre possibile come risultato di un ciclo recessivo mondiale e del l'applicazione di più intense misure protezionistiche negli scambi commerciali, creano difficoltà aggiuntive a Paesi che già viaggiano a potenzialità ridotte, per effetto dell'adozione di misure di aggiustamento delle variabili economiche interne.
L'abilità dei governi nel gestire tali avversità viene messa a dura prova ed è spesso impedita dalle priorità di impegno verso le politiche sociali e di sostegno dei livelli di consumo e di investimento. Le condizioni economiche generali possono risultare ulteriormente aggravate dalla "fuga dei capitali", che segue all'erosione della fiducia nelle misure di politica economica del governo. Le strutturali caratteristiche di base dei PVS spiegano perchè i Paesi del Terzo Mondo, dalla fine del secondo conflitto mondiale, siano ricorsi in maniera massiccia e ripetuta ai prestiti di fonte esterna. Sono ormai quarant'anni che i Paesi industrializzati assistono i PVS nel loro sforzo per accelerare la crescita e modernizzare le loro economie attraverso sostanziosi trasferimenti di risorse. Inizialmente gli aiuti al Terzo Mondo rappresentavano la forma più diffusa di trasferimenti e ancor oggi costituiscono il principale strumento di assistenza per i più poveri tra i PVS. Con il tempo e lentamente, il prestito si è sostituito alle concessioni: un mezzo di sostegno che, grazie all'azione del DAC (il Comitato per l'Assistenza allo Sviluppo), si è diffuso su basi bilaterali e multilaterali, utilizzando l'impegno delle banche e di altre istituzioni ufficiali dei Paesi creditori a favore dello sviluppo, rispettando le esigenze regionali in un disegno mondiale.
Nello stesso tempo diventavano sempre più numerosi i Paesi in via di sviluppo che determinano al loro interno le condizioni per acquisire prestiti commerciali, prima attraverso i fornitori, poi direttamente dalle banche commerciali private. Dai tardi Anni '60, l'esposizione debitoria dei PVS verso i creditori mostrava un trend rapidamente crescente rispetto a quello verso gli erogatori pubblici di prestiti.
Il prestito commerciale attraverso le banche private si sta dimostrando cruciale all'evoluzione economica e sociale di molti Paesi in via di sviluppo. Queste fonti di finanziamento hanno permesso il processo di modernizzazione e di crescita nei PVS a dispetto dei ripetuti shocks petroliferi, degli ampi disavanzi nella bilancia dei pagamenti, del l'accelerazione del tasso di inflazione, della fase recessiva nei Paesi industrializzati e della inadeguatezza dei programmi ufficiali di assistenza allo sviluppo.
Nei primi Anni '80 le condizioni sono decisamente peggiorate. La depressione mondiale si è sostituita alla lunga fase recessiva, conservando alti tassi di inflazione, seppure con incrementi contenuti, specie negli Usa. Tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli Anni '80, i PVS hanno cominciato a sperimentare le prime difficoltà nel far fronte ai loro debiti esteri. I prestiti bancari ai PVS, escluse le obbligazioni e i crediti alle esportazioni (che sono maggiormente garantiti dai governi), sono cresciuti da 3.300 milioni di dollari nel 1971 a circa 25.000 milioni di dollari nel 1981. I ricevimenti netti di risorse finanziarie (inclusi gli aiuti, concessioni e gli investimenti diretti) sono aumentati da 21.000 milioni di dollari nel 1971 a 104.000 del 1981, con una crescita di cinque volte. Se ai crediti privati all'export e alle obbligazioni si aggiungono i prestiti bancari, allora il netto delle somme ricevute dai PVS da queste fonti ammonta a 6.300 milioni di dollari nel 1971: meno del 30 per cento del totale netto dei ricevimenti di quell'anno. Nel 1981, comunque, obbligazioni, crediti all'export e prestiti bancari hanno totalizzato 38.000 milioni di dollari, pari al 36 per cento del totale dei ricevimenti. Se le banche commerciali private dovessero chiudere od anche solo restringere i rubinetti dei flussi finanziari, i PVS verrebbero a perdere una risorsa vitale per continuare a perseguire i loro obiettivi di sviluppo. L'opzione privata per i PVS ha tuttavia radici ancora fragili e vulnerabili, perchè debole e instabile è la loro posizione nella comunità finanziaria internazionale: tale comunque da non preservare la continuità dei flussi al mutare del clima economico mondiale. In queste condizioni la fiducia diventa un aspetto essenziale ed indispensabile.
Finanzieri, banchieri, studiosi, tutti indistintamente, nell'analizzare l'attuale fase dell'economia mondiale, si richiamano all'esperienza della Grande Depressione e alla diffusa ed inquietante crisi finanziaria che ne seguì, prima di ritrovare la via della ripresa e della prosperità. Questo fantasma spiega i timori e le prudenze che caratterizzano l'attuale fase degli scambi finanziari internazionali. Un'ulteriore complicazione deriva dalla diffusa incomprensione delle politiche del credito, che si credono governate esclusivamente dalla logica del profitto o peggio ancora dallo strozzinaggio. La massimizzazione del profitto è stata assicurata fino a tutti gli Anni '50 e '60 per i Paesi erogatori di prestiti; oggi l'attenzione è focalizzata sui rischi potenziali e sui possibili abusi di tali prestiti: e del resto il ricorso ai finanziamenti pubblici è limitato dal razionamento dei fondi a disposizione, oltrechè degli alti tassi di interesse. Il finanziamento privato è reso più difficoltoso a causa degli stretti controlli che le banche operano sull'utilizzazione di tali prestiti e per l'imposizione di misure di aggiustamento interno, che si scontrano spesso con gli obiettivi di politica economica e sociale dei governi del PVS.
E' abitudine confrontare la crescita del debito del Terzo Mondo degli ultimi dieci anni e i crescenti servizi sul debito con altri indicatori economici nazionali ed internazionali, come ad esempio il volume del commercio mondiale, considerato per lo stesso periodo di tempo. Il debito estero del PVS in termini nominali è cresciuto, dal 1971 al 1981, ad una media del 20 per cento annuo che, depurata dei prezzi all'esportazione dei Paesi industrializzati, corrisponde ad una media annua del 7,5 per cento annuo: depurata dei prezzi all'importazione del PVS non petroliferi, corrisponde ad un 5 per cento annuo. Ciò significa che il debito estero del PVS è cresciuto, mediamente, in linea con la crescita delle loro economie. Per un confronto basta osservare che, tra il 1971 e il 1981, le esportazioni del PVS non petroliferi sono cresciute in termini reali ad una media dell'8 per cento annuo.
Le recenti esperienze accumulate, possono indurre le banche a ridurre la loro esposizione finanziaria sull'estero? Ed in questa eventualità, è credibile che altre fonti di credito integrino questa defaillance divenendo relativamente più importanti?
Recenti proiezioni statistiche hanno previsto per il debito del PVS uno sviluppo sino al livello di 1.500.000 milioni di dollari per la fine del decennio. Di questi, circa due terzi di provenienza bancaria. Questo significa che l'esposizione del sistema bancario privato sarà quadruplicata nel corso degli Anni '80, mentre quella delle "fonti diverse" sarà raddoppiata. C'è da chiedersi solo se la previsione è realistica alla luce dei recenti avvenimenti polacchi ed argentini. Molti banchieri hanno annunciato la loro volontà di ridurre i loro impegni sull'estero, mentre molti Paesi creditori hanno visto seriamente intaccata la loro credibilità internazionale.
Tuttavia le necessità finanziarie del PVS continuano a crescere, così come la domanda di capitali, al punto che la loro esposizione debitoria verso l'estero potrebbe superare la previsione di 1.500.000 milioni di dollari per la fine degli Anni '80. Il problema comunque resta: continueranno i privati a finanziare questo fabbisogno? Molto dipenderà dalla buona disposizione dei governi a partecipare maggiormente al fabbisogno totale dei finanziamenti allo sviluppo.
E' possibile che i governi dei Paesi industrializzati aumentino la loro quota di partecipazione, in particolare attraverso le agenzie multilaterali. Ma al momento questo avvicendamento nei flussi totali di finanziamento ancora non si vede. E' probabile comunque che, superata l'attuale fase di difficoltà, le banche private tornino sui loro passi e riprendano la politica dei prestiti ai PVS.
Nei primi Anni '70 questi ultimi hanno mostrato una capacità di assorbimento di capitali superiore a quella prevista dalle fonti di finanziamento pubbliche e, a quel punto, le possibilità di un crescente intervento delle banche commerciali si fecero attraenti. Tra il 1973 e il 1974 ci fu una vera e propria esplosione del sistema dei prestiti privati, e questo nonostante i molti richiami alla prudenza e gli avvertimenti sulle possibili conseguenze di questa espansione eccessiva ed anormale delle attività creditizie del sistema bancario privato.
Durante la seconda metà degli Anni '70 ci furono i primi segnali di allarme, quando si dovette garantire il riscadenziamento del debito di alcune banche commerciali private. Casi significativi di dichiarata insolvenza, come quelli dello Zaire e del Perù, furono risolti con l'obiettivo di ricostruire la credibilità internazionale di questi Paesi, insistendo sulle riforme economiche come precondizione per l'accensione di nuovi prestiti e il rinnovo di vecchi crediti.


Fu l'epoca in cui si avviò la collaborazione tra FMI e banche private, con il Fondo in posizione di garante delle operazioni di riscadenziamento del debito e come agenzia certificatrice che le riforme economiche intraprese erano finalizzate al risanamento e compatibili con l'uso dei fondi del FMI. l'emergenza del FMI come importante fonte di finanziamento e gli sforzi delle banche a sostegno dello sviluppo sono stati di grande aiuto; ma il miglioramento di alcune condizioni economiche generali non è stato sufficiente a fronteggiare la crescita continua dei tassi di interesse, che pesa soprattutto nel servizio del debito estero.
Gli alti tassi di interesse negli Usa influenzano la capacità dei Paesi di servire il proprio debito estero: è sufficiente ricordare che, secondo stime del FMI, ad ogni punto di incremento del tasso di interesse è associato un aumento nel servizio del debito estero, da parte del PVS, tra il 2 e i 3 miliardi di dollari. Da circa due anni ormai il flusso netto di credito bancario verso le nazioni maggiormente indebitate è inferiore al pagamento degli interessi da queste effettuato: in altre parole, queste nazioni stanno subendo un drenaggio di risorse di ampie dimensioni.
L'esperienza di questi anni ha ampiamente dimostrato che debitori credibili ed attendibili possono trasformarsi nell'arco di un breve periodo di tempo - per ragioni improvvise e diverse tra loro - in debitori inaffidabili: così come ha dimostrato l'impraticabilità della strada della dichiarazione d'insolvenza, con l'apertura delle pericolose procedure fallimentari. I Paesi con difficoltà nella bilancia dei pagamenti possono, assai più utilmente, rientrare in un efficiente meccanismo di rinegoziazione dei debiti che, diversamente dalla dichiarazione di default, può preparare la via al rinnovo dei prestiti, specie se le politiche di risanamento sono state sottoscritte da autorità esterne, come il FMI. Il Fondo si prepara a giocare un ruolo molto più attivo nella gestione delle crisi delle bilance dei pagamenti del PVS. Per gli erogatori di prestiti questo significa una notevole semplificazione delle operazioni dirette a prevenire le perdite, particolarmente se il debitore è un governo, un ente pubblico o comunque garantito dal governo.
Le banche non possono più sentirsi garantite dal sistema sanzionatorio esistente a carico dei debitori insolventi; in questi casi, più produttivo risulta il ricorso ad altre soluzioni: il preavviso, la diversificazione del portafoglio, diverse condizioni di riscadenziamento del debito, maggiore cooperazione con altre banche nello scambio di informazioni, introduzione di accurati sistemi di risk management. Non ultima, occorrerebbe una migliore conoscenza dei Paesi a cui favore vengono aperte linee di credito.
Il sistema bancario internazionale dovrebbe essere rafforzato per ristabilire la fiducia nelle sue capacità di fronteggiare le ripetute difficoltà, aggirando così l'ostacolo di un'ulteriore pubblicizzazione dei prestiti ai PVS. Un obiettivo che per essere perseguito dovrebbe ispirarsi ai seguenti principi:
1) preservare la piena responsabilità delle singole banche nella gestione del loro sistema di crediti;
2) i banchieri dovrebbero migliorare le loro capacità di valutazione della situazione nei vari Paesi e i sistemi di controllo delle crisi;
3) i Paesi che si rivolgono al sistema finanziario internazionale dovrebbero essere obbligati a fornire un quadro esauriente, obiettivo ed aggiornato sulla loro condizione economica;
4) sarebbe utile costituire una banca dati centralizzata che sia in grado di fornire tutte le informazioni utili sul sistema bancario internazionale, in modo da ridurre l'eccessiva frantumazione delle informazioni;
5) le attuali procedure per valutare la diversificazione del portafoglio dovrebbero essere riviste, e se ce ne fosse bisogno, dovrebbero essere rafforzate anche le riserve e le minacce di prestiti non performing;
6) la capacità finanziaria del FMI dovrebbe essere aumentata attraverso più ampie quote di partecipazione e un più ampio fondo - prestiti tratto da fonti private e pubbliche:
7) dovrebbero essere migliorati gli attuali meccanismi di rinegoziazione e ripianamento del debito estero;
8) l'impegno sulle linee di credito interbancario tra i maggiori erogatori internazionali di prestiti dovrebbe essere rafforzato, per assicurare la continuità di queste linee nelle fasi di difficoltà, in modo tale da ridurre la necessità del ricorso al supporto pubblico;
9) dovrebbe essere creata per le banche commerciali un equivalente della Bank for International Settlements (Bis), che preveda uno stabile meccanismo per scambi di valutazioni e giudizi, anche se in forma privata ed informale, tra i managers bancari;
10) i Paesi debitori dovrebbero dichiarare la loro disponibilità a non frapporre ostacoli nella gestione delle situazioni di crisi;
11) dovrebbe essere rilanciata la cooperazione e la possibilità di azioni simultanee tra creditori pubblici e privati nel provvedere di finanziamenti esterni i PVS;
12) il ruolo delle banche multilaterali allo sviluppo, sia nell'azione dei prestiti che nella stima delle condizioni di un Paese e nelle politiche per lo sviluppo, dovrebbe essere ampliato, stabilendo anche una stretta collaborazione tra ciascuna banca e l'FMI.
Si tratta di una serie di interventi migliorativi (rispetto all'attuale situazione di "governo" del debito estero), che non rientrano nella logica delle grandi riforme, che pure sono state in diverso misura prospettate, per far fronte alla crisi del debito estero. Tutti piani contratti sull'affidamento all'una o all'altra agenzia internazionale del carico debitorio, oppure sul l'allungamento dei termini di scadenza. Questo genere di proposte hanno l'handicap dell'impatto psicologico negativo che possono produrre, trasformando casi un buon debito in un cattivo debito. La maggior parte di questi schemi tendono infatti a scoraggiare nuovi prestiti e l'entrata sul mercato di nuovi erogatori di prestiti. Saranno poche infatti le banche disposte a rischiare capitali freschi, se è in vista la possibilità che questo capitale venga successivamente affidato ad un'agenzia internazionale, per la gestione di un programma che garantisce meno del 10 per cento, oppure viene convertito in attività a basso tasso di interesse. Oltretutto il trasferimento del carico debitorio alle agenzie disincentiverebbe l'emissione di nuovi prestiti. L'esistenza di debiti non onorati è la miglior garanzia per assicurarsi la continuità dei flussi finanziari. Scoraggiare nuovi crediti, attraverso questo trasferimento, farebbe precipitare quella crisi finanziaria che le proposte in questione vorrebbero evitare. Una diretta conseguenza dell'applicazione del piano sarebbe quella di una sostituzione del capitale e dei finanziamenti pubblici ai mancati prestiti bancari, per far fronte ai crescenti disavanzi del PVS. Un ulteriore effetto negativo si avrebbe sul piano dell'allentamento dei vincoli esterni a procedere in quella serie di autoriforme ed aggiustamenti interni che possono condurre ad una situazione economica più tranquilla. "Scaricare" tutto l'onere del debito estero sulle agenzie internazionali deresponsabilizzerebbe i governi dei Paesi debitori, allontanando il momento del necessario risanamento.
La situazione economica mondiale e soprattutto quella relativa al debito internazionale richiedono piani di emergenza piuttosto che piani di riforma che potrebbero aggravare il problema. Occorre una strategia generale di pianificazione congiunturale in grado di affrontare le situazioni caso per caso. Il riferimento alla condizione complessiva del PVS tende infatti a rappresentare come omogenea una realtà che nel corso degli ultimi anni si è andata viceversa differenziando, a seconda dei Paesi e delle aree geografiche. Nel complesso, appaiono più favorevoli le prospettive di quei Paesi che hanno basato la propria strategia di sviluppo sulla crescita delle esportazioni, anzichè sulla sostituzione delle importazioni con produzioni interne.
E' complessivamente soddisfacente la posizione esterna dei PVS dell'Asia, che continuano a godere di buon credito sui mercati internazionali. Per molti Paesi africani, invece, il livello del debito estero resta contenuto a causa della limitazione di accesso ai mercati finanziari. Le situazioni compromesse sono comunque concentrate in America Latina.


Quando un Paese si avvicina al rischio di illiquidità, è necessario che si avviino immediati negoziati con i creditori pubblici e privati, per mettere a punto un pacchetto di misure di salvataggio con supporti aggiuntivi da parte dei partners-chiave: banche private, interventi industriali diretti da parte dei governi e del Fondo Monetario Internazionale. In alcuni casi limite, può essere necessario che le banche capitalizzino una parte almeno degli interessi o che addirittura si debbano prevedere delle forme d'intesa analoghe ai procedimenti di bancarotta, per cui i creditori cercherebbero di riscuotere solo alcune frazioni del debito maturato nel periodo. Il punto centrale è che l'applicazione di queste misure congiunturali dovrebbe essere avviata all'interno di un contesto negoziale caso per caso, senza stabilire meccanismi internazionali che possono mettere in moto incentivi perversi.
Una possibile innovazione dei mercati finanziari internazionali è l'introduzione degli zero coupon bonds come strumenti creditizi privi di effetti immediati sul piano degli interessi. Così come le obbligazioni di risparmio americane, anche gli zero coupon bonds non pagano interessi sino alla maturazione completa del debito; essi vengono riscattati ad un valore fisso e stabile ed il loro prezzo iniziale di vendita è scontato, cosicchè possono rendere un interesse di mercato, sebbene maturato a scadenza del prestito. Gli zero coupon bonds hanno il merito di rientrare tra le attività normali del mercato di capitali, con il vantaggio di perfezionare il rinvio del pagamento degli interessi a un periodo successivo, quando la posizione esterna del Paese debitore dovrebbe essersi rafforzata. Gli zero coupon bonds potrebbero essere il veicolo per nuovi prestiti ai Paesi in difficoltà, anzichè ricorrere a nuove linee di credito a lunga scadenza, a tasso annuale Libor più 1,5 per cento.
In presenza di una ragionevole ripresa dell'economia mondiale, il problema del debito estero, dovrebbe dimostrarsi più controllabile e contestualmente dovrebbe ridursi il rischio per il sistema internazionale. L'adozione di appropriate politiche macroeconomiche per assicurare la ripresa globale è perciò importante non solo in sè, ma anche come soluzione al problema del debito internazionale. La causa di fondo dell'attuale situazione debitoria è infatti la recessione mondiale. I programmi di risanamento messi in atto dai singoli Paesi, con il supporto del FMI, dovrebbero continuare ad essere l'approccio di base provilegiato per una gestione provvisoria delle crisi, almeno finchè il naturale miglioramento, che seguirà alla ripresa internazionale, non avrà effetto.
Si tratta di un problema di illiquidità più che di insolvenza; ecco perchè diventa necessario approntare un pacchetto combinato di misure finanziarie che possano far superare la crisi temporanea e, nel giro di due o quattro anni, restituire solidità finanziaria ai Paesi in "sofferenza".
Un'analisi, quest'ultima, che è inadeguata per i Paesi grandi debitori, verso i quali è necessario che continui il flusso dei prestiti. Perchè una strategia di largo respiro abbia successo, bisogna che le agenzie internazionali abbiano i mezzi non solo per indirizzare la manovra, ma anche per sviluppare un clima psicologico favorevole alla gestione corretta del problema del debito estero. Clima che non può prescindere dalla solidarietà di tutti i partecipanti al gioco: del Paese che si sottopone alle misure di risanamento, delle banche che devono provvedere all'apertura di nuove linee di credito, dei Paesi industrializzati e delle agenzie internazionali. Per il Fondo Monetario Internazionale si può anche prevedere che "sfondi" il suo livello istituzionale di esposizione verso certi Paesi ad alto rischio. Per il successo di questa strategia è importante che i finanziamenti pubblici si mantengano elevati, ribaltando una recente tendenza che ha visto i capitali privati sostituirsi a quelli pubblici nei prestiti ai PVS, con il risultato di abbreviare i termini di scadenza e di alzare i tassi di interesse. Una tendenza che si spiega con la lenta capacità di adeguamento delle strutture pubbliche, a fronte di una immediata e pronta risposta da parte dei privati ai nuovi bisogni che man mano emergono.
Le opportunità di successo per questa strategia di base cresceranno, se un più ampio volume di prestiti sarà procurato attraverso la Banca Mondiale e altre agenzie finanziarie multilaterali. Due grandi incognite pesano sul successo della strategia. La prima riguarda la "forza" e l'intensità della ripresa economica internazionale. La seconda riguarda la tollerabilità, da parte dei PVS, dei programmi di austerità: è infatti importante che i governi di questi Paesi abbiano sufficiente tempo a disposizione per portare a termine la manovra di risanamento. Le prospettive sembrano abbastanza favorevoli per quanto concerne la crescita dei Paesi membri dell'Ocde, che dovrebbe raggiungere la soglia del 3 per cento. Con una crescita di queste dimensioni è possibile pensare ad un trend progressivamente declinante del deficit, e si dovrebbe riportare sotto controllo la situazione debitoria. Sarebbero benvenuti accorgimenti aggiuntivi di politica macroeconomica, in primo luogo una riduzione del deficit di bilancio, per consentire un'adeguata politica monetaria negli Usa, e politiche espansive di vario mix negli altri Paesi industrializzati.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000