150 ANNI FA LA PRIMA CONQUISTA: 12 ORE PER I BAMBINI




Franco Ferrarotti



Come cambia lo spirito del tempo! E come è necessario, per un giudizio equilibrato sulle nuove circostanze, non perdere di vista il quadro globale e saper approfittare della memoria storica! Può ben dirsi che la "base", come si dice, delle potenti Gewerkschaften tedesche - i sindacati della Germania Federale - non approvi l'accordo faticosamente raggiunto dai suoi rappresentanti, dopo un mese di latta durissima per le 38 ore e mezza settimanali.
Ma non bisognerebbe dimenticare che, centocinquant'anni fa, nell'Inghilterra ancora coloniale, era ritenuta una grande vittoria operaio l'aver stabilito in dodici ore la giornata lavorativa dei ragazzi al di sotto dei quattordici anni. Guardandosi alle spalle, il movimento operaio odierno, al di là delle divisioni contingenti, può essere orgoglioso delle conquiste ottenute. La giornata lavorativa che un tempo era di sedici, quattordici ore, è giunta oggi in molti casi al di sotto delle otto ore. E sono cresciuti in concomitanza i provvedimenti legislativi di natura sociale.


In quei mirabili capitoli dodicesimo e tredicesimo del Libro primo del "Capitale", che mi ostino a considerare l'atto di nascita della sociologia industriale, Marx non si stanca di insistere sull'importanza dell'accorciamento della giornata lavorativa, ma mette inoltre in rapporto diretto il tempo di lavoro e la velocità delle macchine. Che senso ha ridurre la giornata lavorativa, se poi aumenta la velocità delle macchine al di là dei limiti umanamente tollerabili? Ciò era soprattutto vero allora, quando donne e bambini, manodopera docile, erano in maggioranza impiegati nell'industria tessile. Con una preoccupazione pedagogica che non si sospetterebbe nel fondatore del materialismo storico, Marx sottolinea la "desolazione intellettuale prodotta artificialmente con la trasformazione di uomini immaturi in semplici macchine per la fabbricazione di plusvalore". Sono queste preoccupazioni a farci capire che, prima di essere ideologia e struttura organizzativa specifica, il movimento operaio è un'esperienza esistenziale, un atto di solidarietà.
Oggi la situazione, dopo duecento anni di lotte, si presenta radicalmente mutato. E' caduta la concezione biblica del lavoro come espiazione e pena. Si va profilando una concezione ottimistica, positiva, che scorge nel lavoro umano l'occasione di un'espressione dell'individuo, di un suo apporto unico alla convivenza di cui è parte. Ciò che agli occhi del benpensanti di oggi appare scandaloso, vale a dire che i giovani non cerchino e non accettino qualsiasi lavoro, bensì solo quello che corrisponde ai loro bisogni espressivi, che consente loro di esprimere al meglio le loro doti, la loro personalità, è in realtà uno stimolo profondo di progresso per tutta la società. Con la rivoluzione telematica, fondato sull'elaborazione rapida dei dati e la loro trasmissione istantanea a distanza, scompare la tuta blu e fa il suo ingresso, al posto del proletariato classico, l'operatore in camice bianco, lo specialista di informatica e di elettronica. Non si creda con ciò che i problemi si risolvano automaticamente. Richiedono un supplemento di istruzione, di flessibilità e di dinamismo, una responsabilità aggiuntiva sia da parte degli operai che degli imprenditori.


l dati visualizzano l'orario settimanale secondo i principali contratti di categoria. Ma una cosa sono i contratti, un'altra la pratica. Su base annuo, ad esempio, le ore possono mediamente essere di più, se si considera il lavoro straordinario, o essere di meno, se "depurate" dall'assenteismo o dalle assenze per motivi vari.
Quel che è certo, è che adesso si lavora quasi la metà rispetto ai tempi dei nostri bisnonni. Per loro, circa 3.000 ore annue, contro le nostre 1.600-1.700. Fatta la tara delle assenze per motivi diversi, siamo sulle 36 ore medie settimanali (38 per i metalmeccanici).


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