§ L'OCCUPAZIONE

35 ORE: SFIDA AL PASSATO?




M. C. Milo, A. Foresi



Il muro delle 40 ore è stato ufficialmente "perforato" in Germania. L'operazione era già avvenuta, con forme più o meno surrettizie, in altri Paesi (fra i quali l'Italia); ha avuto applicazioni diverse in alcune aree (ricordiamo la "formula olandese" della riduzione d'orario parallela al taglio del salario). In termini sociali, un nuovo traguardo è stato dunque conquistato dall'Europa, peraltro in un momento di profonde trasformazioni e di ricerca di diversi modelli di sviluppo. Allora, qualche riflessione si impone, per cercare di comprendere che cosa sta avvenendo e quali potrebbero essere i riflessi di una scelta che non potrà non avere conseguenze a livello europeo, e quindi mondiale.
L'Europa sceglie la strada del "lavorare meno per lavorare tutti", (una strada forse più teorica che pratica), nel momento in cui Stati Uniti e Giappone affrontano, e per molti versi risolvono, i problemi della ristrutturazione produttiva e della ripresa, allentando le briglie, deregolamentando, lasciando spazio alle iniziative. In queste aree nuovi posti di lavoro sorgono con la nascita di nuove imprese, di diverse attività, di produzioni innovative. L'Europa non sembra aver colto questa sfida. Ritiene di poter affrontare le nuove situazioni seguendo le regole che altri disdegnano. E' un dato di fatto.
Quali saranno le conseguenze? Non c'è dubbio che la disoccupazione rappresenta un problema drammatico per l'Europa; non lo è più per gli Stati Uniti. Da noi, quindi, va affrontato tenendo conto delle nuove attività che si profilano, della società post-industriale che si delinea, ma anche guardando i dati della popolazione e la sua composizione. Si scoprono, allora, ulteriori elementi di riflessione.
Puntiamo l'obiettivo sull'Italia. Stiamo vivendo un periodo particolarmente delicato, perchè si stanno sommando gli aspetti negativi dell'evoluzione demografica (offerta di lavoro della generazione del baby-boom) e quelli indotti dalla cosiddetta rivoluzione tecnologica, in una fase in cui l'espansione dei mercati è affidata soprattutto allo sviluppo della competitività. C'è inoltre da tener presente che l'antico parallelismo "maggiore produzione uguale più occupazione" è caduto, travolto dall'introduzione dei robot.
Ma è alle prospettive che si deve porre attenzione, quando si compiono scelte di fondo. Si può constatare, allora, dati alla mano, che la fase di "eccesso potenziale di offerta di lavoro", come la chiamano gli esperti, manifestatasi dopo il 1969, è destinata a contrarsi progressivamente. In pratica, questo "eccesso di offerta" culminerebbe col finire di questo decennio. E si tornerebbe ad un "eccesso potenziale di domanda" negli Anni Novanta.
Ovviamente, questo andamento, condizionato dai dati demografici, può essere più o meno accentuato da altri fattori. Pensiamo alla rapidità della crescita della società post-industriale, alla capacità imprenditoriale di esprimere nuove formule e attività, alle scelte di politica economica e salariale volte ad esaltare gli stimoli del mercato o a frenarli, imponendo vincoli. Sono tutti fattori da non trascurare, intorno ai quali è bene discutere. Anche la nostra società si sta trasformando lo sviluppo dell'occupazione dipendente nell'industria ha trascinato finora i cambiamenti del tessuto sociale. A metà degli Anni Novanta dovrebbe invece essere completata la transizione ad una società postindustriale con un nucleo decisamente ridotto, ma estremamente produttivo, di occupazione industriale, e con un'occupazione non-industriale molto ampia, ma forse più polverizzata. Il problema dell'occupazione è destinato, quindi, a mutare nel tempo, a modificare i suoi contorni. Mentre gli esperti (citiamo fra gli altri quelli del Gruppo Prometeia, di Bologna) si interrogano dubbiosi sulla validità di riduzioni di orario di lavoro ai fini di un aumento dell'occupazione. Dubbi e interrogativi sul domani, dunque. Ma anche qualche certezza. La "battaglia" che per molte settimane ha penalizzato l'industria tedesca (tanto clamorosa proprio perchè è stata la prima, dalla fine del secondo conflitto mondiale, in Germania Federale) ha inserito fattori di instabilità in una ripresa che negli Stati Uniti e in Giappone è robusta, ma che stenta a caratterizzare la realtà europea. Viene ora accantonato uno dei fattori più marcati di incertezza. La pace sociale, che ha sempre qualificato la "locomotiva tedesca", torna ad imporsi. Ed insieme alla pace sociale, una programmazione di crescita dei salari che, nei prossimi due anni, risulta essere mediamente inferiore al tasso di inflazione. E' un altro dato di fatto da non dimenticare. I tedeschi danno l'impressione di volersi rimboccare le maniche, dopo un periodo di apatia. E' questo un fattore positivo, in un'Europa alla ricerca di un ruolo.
L'Italia, da parte sua, ha vinto in silenzio la battaglia dell'orario ridotto. Abbiamo già, di fatto, un orario che sulla base di dati Istat è di 36 ore e 59 minuti nell'industria, con aree anche a più basso livello. Una nuova battaglia, in questo campo, appare quanto meno improponibile. Altre sfide specifiche ci attendono: sono quelle di una maggiore mobilitò, di una articolato flessibilità, di un recupero di produttività. Sono questi i campi dove dovremmo combattere (e vincere) la battaglia per l'occupazione.

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