§ L'ILLUMINISMO NEL SALENTO

FRANCESCO ANTONIO ASTORE DI CASARANO




Aldo Vallone



"Nacque il nostro Francesco Antonio Astore in Casarano nell'anno 1742 [28 agosto] da' coniugi Andrea Astore e Domenica Cezza, una delle più distinte famiglie di Maglie e che vanta uomini distinti nella cultura e nelle Lettere (tali sono in Maglie l'arcidiacono D. Pasquale Cezzi, D. Oronzo Cezzi, D. Francesco Cezzi, D. Nicola Cezzi, tutti zii del nostro F.A.A.). Il nostro F.A. fu istruito né primi rudimenti di leggere e scrivere e di abaco dall'ottimo e pio sacerdote D. Giuseppe Metafuni, un de' più culti e de' più illuminati di quel Clero. Egli istruì il suo allievo specialmente nell'Istoria della Sacra Scrittura e conducendolo sempre con lui nella Chiesa ad assistere alle sacre funzioni, alle messe, alle solennità, alle prediche, talchè il suo allievo in poco tempo, mediante il zelo del Maestro, si rese istrutto nell'Istoria Sacra, nelle Sacre Cerimonie e nella morale, per quanto quell'età comportava; ed imparò quasi a memoria i Libri :del Vecchio e Nuovo Testamento. Per la Lettura Italiana si serviva per Maestro delle Opere dei P. Francesco Pepe Servita e di quelle dei P. Rodriguez e delle Vite di S. Domenica e di S. Francesco di Paolo. Per la spiega latina si adoprava da lui la Sacra Scrittura. La Grammatica fu pria il lumen grammaticale, che portò molte tenebre nella mente di F.A. Ma tutto era compensato assai da' progressi del suo allievo nelle cose sacre e nella morale, avendo egli educato il suo allievo pria nel timor del Signore, indi nelle scienze profane. Tardi infatti spiegò al suo allievo gli scrittori profani, cominciando da Fedro e indi agli altri che il nostro F.A. tutto imparò a memoria, specialmente Orazio. Circa l'anno 1754 il nostro F.A.A. fu mandato a studiare a Strudà, villaggio vicino alla città di Lecce, in casa di un dottissimo Arciprete chiamato D. Pasquale Perrone. Era costui versatissimo in tutte le lingue dotte e nelle Antichità Greche e Latine, nell'Istoria, nella Geografia, nella Cronologia ed avea una sceltissima Libreria. Quanto era dotto altrettanto era di un carattere filosofico-stoico poco curante de' commodi e trascurato all'estremo nelle vesti e nelle abitazioni. Dimorava in poche stanze dirute di un rovinoso disabitato Convento, ove vi erano più nottole e gufi che in Atene. Poteva infatti dirsi quel luogo essere sotto la particolare protezione di Minerva, sì per essere quel Piovano dottissimo in tutte le scienze, come per essere circondatissimo delle nottole consacrate a Minerva. Egli però tra quelle nottole e tra quelle ruine era nel tempo medesimo il Socrate, il Platone, il Grevio, il Gronovio, il Sigonio e il Petavio di Strudà ed era versatissimo in tutte le cognizioni umane e divine.
Ebbe il nostro F.A. la disgrazia d'incontrare troppo avversa alla sua salute l'aria di quel clima, onde dopo lunghissima malattia ebbe dopo un anno, con suo infinito dispiacere a dividersi dal suo Maestro e tornarsene in Casarano verso l'anno 1755. Dimorò per poco tempo nel Seminario di Nardò mentre vi era Vescovo Monsignor Petrucelli e vi studiò Lettere Umane sotto gli auspicii di D. Luca Piccione, Sacerdote versatissimo nella Poesia e nelle Antichità, ma molto inferiore all'Arciprete di Strudà. L'aria della città di Nardò si scoverse ancora avverso al nostro F.A.A.; onde sì per sul motivo, come per approfittarsi de' lumi che spargea il dotto Maestro di Lettere Umane D. Giovanni Cocchiara, si trasferì in quel Seminario il nostro F.A.A. verso l'anno 1757 e vi dimorò fino all'anno 17[60], ivi, sotto quel celebre Maestro, ripigliando tutto il corso delle Lettere Umane e studiando e traducendo e spiegando sotto sì degno Maestro i migliori classici. Ivi studiò la Poesia, la Rettorica, l'arte Logicocritica, l'Istoria, la Geografia, la Cronologia, la Lingua Greco, e mediante l'amicizia e la famigliarità, con le quoti fu onorato dal suo Maestro, studiò tali facoltà in unione col medesimo, si di giorno come di notte, e divenne suo Intimo amico. Il Sacerdote D. Giovanni Cocchiara ero un uomo probo, morigerato, allegro, studiosissimo, laboriosissimo, scrupolosissimo nel correggere, limore e pulire per più mesi le poesie e le prose de' discepoli. Spiegava pochissimi righi de' Classici e sopra quei pochi righi profondea inesausti fiumi di universale dottrina. Mangiava nel Seminario nel Refettorio co' suoi discepoli in qualità di lor compagno. Un errore di Lingua latina o di gravitò di sillabe, che sentiva, lo facea montare in atrocissime furie e buttava per aria il cappello, il collare e quanto gli veniva alle mani. Era sincerissimo e gli piacea alquanto il vino Falerno e il Cecubo, forsi ad imitazione del suo Orazio. Portava in certe sue sacche alcuni cibi da potergli servire per un pranzo portatile in campagna e dicea in tal occasione "Omnia mea mecum porto". L'anno 1760 giunse il nostro F.A.A. in Napoli per attender meglio agli studi filosofici e legali. Ivi vidde in materia di scienze "coelum novum et terram novam" per così dire. Non gli giunsero nuove le dottrine filologiche e antiquarie de' Martorelli, de' Mazzocchi nelle quali era stato bastantemente versato sotto i suoi dottissimi antecedenti Maestri; ma gli giunsero sorprendenti e nuovi i lumi che nelle Facoltà Filosofiche spargeano l'acutissimo Genovesi, il dottissimo P. Della Torre; onde sotto il primo volle studiare la Logicocritica, la Metafisica, il Dritto Naturale, il Commercio; ed entrato col dotto suo Maestro in intima amicizia, colui in suo caso la sera l'istruiva negli studi! teologici ed in altre dottrine. Infatti il nostro F.A.A. dall'anno 1760 fino al 1769, epoca della morte dei Genovesi, mai lasciò di andarlo a trovare a trattenersi in sua casa fino alle ore più tarde della sera, ivi trattenendosi in eruditi discorsi. [Nell'ottobre 1763 si laurea "doctor utriusque iuris"]. Non occorre dir nulla delle dottrine e vastità de' talenti dei Genovesi, essendo cose assai note al publico e parlando le sue immense opere date alla luce.
Il nostro F.A.A. studiò le Leggi Civili sotto la disciplina del celebre giureconsulto Giuseppe Cirillo, le Leggi Canoniche sotto la scorto del famoso D. Domenico Cavallaro, tutti famosi e celebri nella Republica Letteraria, onde non occorre altro dire, essendone bastantemente noti al publico. Il Precettore di Dritto del regno fu il famoso Alfani. E quando cominciò a pratticare nel foro frequentò gli studii del nominato Cirillo e del Signor Palmieri ora Caporuota della Real Camera di S. Chiara. Esistono alcuni tomi di stampate allegazioni [Napoli, 17801 del nostro F.A.A. Ma i tumultuosi stridii del foro e il far da Cerbero nè Tribunali non troppo accordandosi col temperamento e col modo di penzare del medesimo, riservandosi di far per se solo e nelle cause proporsi il Tribunalista, si rivolse sin dall'anno 1780 ad altri studii più tranquilli; e tra le sue molte meditazioni e letture publicò nell'anno 1783 la suo Filosofia dell'Eloquenza in 2 vol. in 8° e nel 1792 il primo volume dello suo Guida scientifica: opere che gli procurarono l'amicizia di moltissimi Valentuomini dell'Europa e gli aprirono le porte di varie dotte accademie" (1).
La vita serena e dedita agli studi, come le molte lettere edite e inedite ci documentano, è improvvisamente scossa dalle pretese del figlio Gennaro (e ne scrive, amaramente, a Domenica Briganti e a Giacinto D'Elia) (2), "snaturatissima da' genitori, anzi nimico de' medesimi e capace d'ogni inganno, artificio, finzione e tradimento", "irrispettosissimo", "cancrena, uno sfacelo di tal'ingratissimo figlio [ ... ] intento a spogliarci e privarci anche dell'aria, se fusse possibile". L'Arcadia è finita per sempre. "Un cumolo di mali domestici mi duce al colmo della disperazione e delle disgrazie d'ogni genere" (3): la lettera è del 22 dicembre 1798. E si è alla vigilia della Rivoluzione. Opere, come il Catechismo repubblicano e la traduzione De' diritti e de' doveri del Cittadino dell'abate Mably, ed atti di adesione al nuovo corso delle idee, formano un tutt'uno. Il 1° giugno 1799, già segretario dell'Alta Commissione Militare, è nominato "giudice" della commozione (4). Ma poco dopo, restaurata la monarchia, l'A. è condannato a morte il 27 settembre: la sentenza è eseguita il 30 dello stesso mese (5).
Si avvia e procede l'opera di persecuzione (6). Il 7 novembre 1799 da Ruffano F.A. Pinto comunica a Gaetano Ferrante, amministratore dei beni dei rei in .Napoli, che l'ordine di confisca è stato portato a termine. E seguono gli atti, continui, dettagliati con precisione burocratica.
"Contro il ribelle Francesco Astore di Casarono si è proceduto secondo gli ordini di V. E. alla confisca di tutti i di lui beni nel modo più esatto e regolare. Si sono eziandio formati gli atti necessari, che rimetterò alla G. le Amministrazione unitamente al volume delle corte presentate nel mio ufficio da Credito ed interesse abenti sul Patrimonio del detto d. Astore, per esaminarsi in Napoli il dritto e la ragione di ciascheduno. La rimesso della sopraddette carte eseguirò nella settimana entrante [ ... ]" (7).
Il 23 novembre si dà riscontro da Napoli e si scrive al Pinto, tra l'altro:
"Lodo, infinitamente il suo zelo ed accuratezza affinchè non si occultino i beni de' Rei di Stato di codesto dipartimento":
seguono poi consigli e norme sui vari "generi" (animali, mobili, ecc.) sequestrati o confiscati ai rei (8).
Il 6 dicembre Maria Teresa Bisogni,
"avendo esposto come ella si trova da circa anni sette contratto matrimonio con D. Gennaro Astore, chiede innanzi di V.S. con suo ricorso gli alimenti, comecchè si trovano tutti i beni sequestrati ad istanza del Regio Fisco in somma di docati quarantamila, per essere stato il padre di suo marito D. Francesco Astore fellone al Real Trono" (9).
Si allega copia dell'atto di matrimonio, avvenuto il 29 nov. 1793, rilasciato a Napoli il 3 dicembre 1799, dal parroco della Chiesa di S. Liborio, Gabriele Caruso. Il 6 dicembre il Ferrante accetta l'esposto e dispone, scrivendo al Razionale Gennaro Paziente
"che dall'introiti pervenuti per conto del detto D. Francesco Antonio si paghino l'indicati trenta all'accennato Bisogni in conto degli alimenti ad essa forse spettanti qual moglie del detto D. Gennaro Astore figlio dell'indicato D. Francesco Antonio" (10).
E non basta. La Bisogni ricorre ancora, essendo
"prossima la Santa Pasqua", "comecché la medesima non può più vivere per ritrovarsi priva di ogni umano sussidio e senza abitazione per il già prossimo mese di maggio, e deve vedere di unirsi con qualche gentil Donna acciò non rimane la povera supplicante colla suo famiglia in mezzo alla strada". Il 7 aprile il Ferrante dispone che siano pagati "alla detta D. Maria Teresa Bisogni docati cinquanta effettivi con dire pagarseli dal ramo delle confiscazioni de' Rei della Provincia di Lecce [ ... ] ed essere a compimento di docati ottanta, stanti docati 30 li furono con altro mandato antecedentemente pagati, e tutti in conto degli alimenti ad esso forse prestandi qual moglie di D. Gennaro Astore figlio dell'accennato Francesco Antonio Astore e non essendovi tal summa nella confidenza del detto Francesco Antonio" (11).
La cultura di Astore è vasta e di dimensioni, certo, superiori a quella che si può riscontrare nei salentini del tempo. Palmieri, i Briganti, Andria, Marugj, Falconieri e, naturalmente, i tre "agronomi" - Presta, Moschettini, Gagliardi - lavorano intensamente su molti testi; ma, nel vario arco delle letture, danno assestamento solo ai loro studi e li confortano, in ragione delle scelte, di precipui orientamenti. Anche Arditi, che pure attende a molte cose, o Milizia, in cui il fervido temperamento è pari alla vivida curiosità intellettuale, hanno un centro o almeno un punto di convergenza dei loro interessi: né questo genera meraviglia, poiché l'uno e l'altro, nei modi che il tempo seppure confusamente andava prefigurando, intendono l'arte come confluenza o semenza delle arti. Astore più volte e in più luoghi confessa e sottolinea che coltivare gli studi è per lui una "inclinazione", libero com'è (almeno fino agli anni del dissidio col figlio che, peraltro, sono gli ultimi della sua vita) da preoccupazioni pratiche o disagi economici (12). Si trova, a Napoli, al centro di una produzione editoriale notevole e al centro di richieste che dalla provincia continuamente lo sollecitano (si pensi a F. e D. Briganti, G. B. Lezzi, G. D'Elia, ecc.); assapora, così, un po' tutto e a tutto si dispone. Legge e s'informa; valuta le richieste e dà giudizi; medita e incasella i dati. Lo scrive al D'Elia il 2 agosto 1782.
"Nuovi libri, che escono giornalmente da' torchi, come i venti escono dalle caverne dei P. Eolo [ ... ]. Ma oggidì altro non si fa dagli autori e dagli stampatori se non un monopolio e una confusione, e solo si bada a far Dizionarii, Estratti, Spiriti, Essenze, Elementi, Istituzioni, Giornali et cet., a migliaia [ ... ]. La letteratura dunque è ridotta a un fanatismo di bibliomania, come direbbe un antiquario, cioè al desiderio di scriver molto e legger molto, ed intanto si penza poco o nulla" (13).
Il caso di Astore non è però a sè (e si pensi almeno all'Arditi) e certo può far capire meglio le vie o le ragioni di talune presenze nelle Biblioteche del Salento e, ad esempio, in quelle dei Briganti o di Papadia o di Arditi (14). La varietà delle richieste e la provenienza diversa delle stesse possono, almeno in parte, dare un senso a certi giudizi disseminati dall'Astore lungo le opere e nelle lettere, ed anche una qualche ragione delle discordanze che compaiono non di rado. Rousseau, ad esempio, è presentato come "selvaggio e fanatico", "ciarlone", in quanto, contrariamente a quel che lui professa, "le scienze migliorano, perfezionano, rendono culto l'intelletto e il cuore di una persona ben nata, ben educata e ben formata dalla Natura" (15); ma Rousseau compare, ovunque a segno di lunga lettura, nella Filosofia dell'eloquenza e nei Dialoghi Elisiani (e qui accanto a Mably Genovesi Filangieri Montesquieu Ascanio e Clemente Filomarino). La diffusa riluttanza ad accettare Rousseau, nel Salento almeno, è da porsi in relazione all'umore e agli amori profondi e nutritissimi nelle scuole e nelle professioni per la storia e la letteratura del mondo antico e a quel rapporto di immediatezza, creatosi per istinto e abitudini, tra studi filosofici-letterari e natura. L'elogio della campagna e della vita rustica, ch'è un tema particolare nel secondo Settecento, percorre tutta l'opera di Astore (16) ma potrebbe anche allargarsi e coinvolgere, al di là dei disagi del provvisorio spesso lamentati, tutta la cultura salentina da Galateo a Corvaglia (17). Più temperato è invece il giudizio su Montesquieu, ch'è presente ovunque nelle opere e a lungo nella Filosofia dell'eloquenza (18). Scrivendo direttamente a D'Alembert l'8 agosto 1778 esalta in lui, associate a Voltaire e Diderot, "le Triumvirat de la Vérité, de la Raison, de la Philosophie; et la Nature, en vous donnant au Monte, a fait à l'Humanité le présent le plus précieux" (19). Ritorna l'elogio del concetto di "Natura", ch'è stato negato a Rousseau. In una lettera infine a G.B. Lezzi del 24 settembre 1785 tutto sembra andare alla deriva: la Storia, perché "è un chaos di errori e di delitti dell'umanità"; la Filosofia, perché è "un pelago di dolori, assurdità, incertezze"; la Letteratura, resa "superficiale", perché "annebbia l'Europa ragionevole". Non si vede scampo, se non nelle "grandi e belle speranze della religione", nelle "certezze della fede". E qui c'è da stare all'erta.
"Un nembo di fanatici, inglesi e francesi supposti Filosofi, han voluto, per quanto era dal canto loro, strapparci dalle mani tali sacri libri e svellerci le lettere scritteci dall'Onnipotente Eterna Padre a noi suoi figli. Qual motivo vi è dunque di esser lieti in tali tempi, ne' quali il deismo e l'irreligione disonorano il secolo, e le scienze, e i Filosofi. I Letterati, che dovean medicare le piaghe dell'umanità co' farmaci della ragione e co' rimedi della religione, han corrotto l'uomo con l'empietà, collo scetticismo, per eterna vergogna del secolo 18°. Bisogna dunque piangere le disgrazie del genere umano, del secolo e dell'Europa" (20).
Tutto è coinvolto in una generale condanna. Ma quanto è da attribuirsi alle ragioni del filosofo o al fastidio del letterato, scomodato nella sua fiducia e nelle abitudini? (21) Forse è difficile scindere l'uno dall'altro aspetto. Sembra tuttavia costante il fatto che egli scrivendo a letterati della sua terra e delle sue condizioni, tendo a mettere in rilievo soprattutto malumori e disinganni e ad evocare l'olimpo della pace e delle belle lettere.
Entro questa tela intessuta s'inseriscono, con maggiore o minore avvedutezza, ma non sempre in armonia, taluni elementi genovesiani e vichiani (rinvio particolare alle Indic. esegetiche). Ai Genovesi e alla sua età, certo, può risalire .il concetto, secondo il quale per un "esatto sistema di legislazione" o di "agricoltura" non occorrono "metodi teoretici e generali, ma vuolci un ottimo agricoltore e un profondo filosofo legislatore [ ... ]. Manca spesso a' Filosofi la pratica esperienza dell'uomo sociale; e manca a molti legislatori la conoscenza teorica della Filosofia" (22). Al Vico risalgono molti temi come quelli sull'origine dell'epica o sull'infanzia dei popoli e soprattutto il concetto di Filosofia e Filologia "geminae ortae", da altri (avverte) non sempre bene intese.
"Nel mio libro poi io, a dirla sinceramente, non riconosco verun preggio, fuorché quello del desiderio di giovare a' giovani filologi, facendo vedere i loro studii inseparabili da' filosofici e così cercando di giovare alla Filosofia colle dottrine filologiche e alla Filologia colle dottrine filosofiche, traile quali e la Filosofia taluni han voluto porre un lungo intervallo; eppure non vi è tale intervallo, giacchè la Filosofia regolando i penzieri e le idee, e la Filologia, insegnando il modo da esprimere tali idee, ed occupandosi circa i mezzi tutti, che abbracciano l'espressione dell'idee e penzieri, sono perciò inseparabili compagne" (23).
Le idee di Genovesi e di Vico, le tracce dei filosofi e giusnaturalisti del tempo o i segni delle letture e degli studi storico-letterari, meditati a lungo o anche semplicemente assaporati, non vengono meno nell'opera più significativa di Astore: La filosofia dell'eloquenza o sia l'eloquenza della ragione (1783). Antichi e moderni, greci e latini, italiani francesi inglesi sono coinvolti dalla poesia alle scienze nel lungo testo, quasi sempre per diretta conoscenza (l'utilizzazione di enciclopedie e dizionari sembra assai ridotta a fronte di altri autori del tempo) e più specificamente: Vico, Condillac, Bayle e Montaigne, Locke e Pufendorf, Hume, Pope, Addison, Batteux, Helvetius, Montesquieu, Diderot, Voltaire, D'Alembert, Buffon, Muratori, Beccaria (24) e così via di seguito. Ovunque riassume idee e teorie, confuta (più spesso) o approva (qualvolta), discute: sempre egli è presente e al centro, in prima persona: gli appoggi, quando siano invocati, sono scelti tra i testi dei grandi, magari di poeti e oratori antichi: l'erudizione (e vi si ferma G. Gentile) (25), molta e varia, come si è detto, non ingorga (se mai, qualvolta, non si sottrae alla tentazione di porsi in mostra). L'opera parte da Napoli e giunge a Napoli nelle mani dei Filangieri, "del Sebeto il Platone", presentata da Filippo Briganti, che avvedutamente sottolinea, sì, l'erudizione, ma anche "i gran lumi di Filosofia, in una materia che si credeva esausta".
Eccellenza
Permette l'Ecc.za V.a che i miei caratteri vengono a raggiungerla, nel ritira delle sue delizie Filosofiche, per farle un presente degno di richiamar l'attenzione di un Genio Sublime e di un'anima sensibile? Il dono, questa volta, non è lavoro de' miei scarsi talenti, ma di un Letterato, che onora le scienze e le arti in cotesta metropoli, e che le comunica alle altre Nazioni con applauso non ordinario. D. Francesco Antonio Astore mio patriota ha dato alla luce la Filosofia dell'eloquenza in due tomi in 8° e sarebbe venuto di persona a presentarne una copia all'Ecc.a V.a, se la sua dimora nella Cava e le di lui domestiche occupazioni non li vietassero di esibir colla propria mano il suo dono. Or ciò che non può adempir la suo mano, eseguisce la mia penna, supplicandola di leggere, di gradire e di proteggere il libro ed il dotto Autore, che ha versato torrenti di erudizione e vibrati gran lumi di Filosofia, in una Materia, che si credeva esausta. Compatirò l'Ecc. a la libertà che mi prendo di farmi onore delle fattighe altrui, e si degnerò, in retribuzione di questa indiscretezza, onorarmi colla frequenza de' suoi venerati comandi, col vivo desiderio de' quali m'inchino al b[acio] della m[ano].
Gallipoli le 18 7.bre 1783
Di V.a Ecc.a Div.mo serv.e V.o obb.mo ed osseq.mo Filippo Briganti (26).
L'opera si dispone con un centro, largamente genovesiano: l'attenzione all'uomo, quello ch'è e quello che dovrebbe essere, nel concreto della sua realtà, non nei sogni dell'immaginazione. Ne fissa il concetto nella Prefazione ("Non abbiamo avuti, né abbiamo per veri savj, se non coloro che han cercato di migliorar l'uomo in rapporto alla sua temporale ed eterna felicità" (27) e lo riprende un po' ovunque nel testo e nelle lettere di quegli anni collegandolo alle ragioni e allo spirito dell'"eloquenza" (28). Il fine è nel "migliorare noi stessi e gli altri" (29). L'obiettivo è rivolto all'"utile", perché "si è molto pensato, si è molto discusso e pure non si è molto giovato all'Uomo" (30): contro lo "scrivere libri e trattati di educazione, Emilii, Contratti sociali e volere sconvolgere e diroccare le basi più salde dell'umana felicità" si esaltano "le scienze, le arti, i libri, la religione, la società, le città capitali, la cultura" (31). La polemica contro Rousseau mette in luce, per contrasto, il precipuo carattere della civilità meridionale, che si estende dal culto delle origini patrie alla forza della tradizione latino-mediterranea, dal convincimento delle ragioni morali alla esaltazione delle capacità. Non v'è forse in Astore un'intelligenza piena dei principi sociali nel grande e continuo elogio delle virtù religiose; ma v'è certo un'apertura incondizionata alle doti di senso e di ragione, che l'uomo deve comunque possedere se vuoi essere artefice di storia. Nè della società, pur conoscendone tutti i testi da Pufendorf a Montesquieu e utilizzandoli, delinea in concreto le strutture e l'organizzazione. Il ricorso a poeti e letterati di gran nome, che in questo contesto egli fa, precisa proprio che la fondamentale vocazione di Astore è per gli studi di letteratura e di storia delle idee. E qui si colgono alcune felici intenzioni, dentro il clima genovesiano, che faranno strada nella storia della dottrina estetica, come la rivendicazione dell'originalità dell'arte contro il concetto di "imitazione" del Cinquecento o il ricupero contro il concetto dei nomi di deità antiche nel loro valore di "idee generiche, astratte e metafisiche", o ancora il giudizioso rispetto della retorica contro il mai uso del tempo (32). Lungo questo complesso e suggestivo cammino, egli trova la porta d'ingresso (e non secondaria) dell'illuminismo (33). In definitiva si ribadisce il concetto che la cultura salentina, entro la vasta vicenda dell'illuminismo napoletano, non assurge mai a stadi di rottura, ma percorre tratti mediani accordando, ad un tempo, il rispetto alle tradizioni e agli usi religiosi (34) con la minuto e lucida attenzione al progresso scientifico e filosofico. Così è per Tommaso e Filippo Briganti, Giovan Battista Gagliardi, Ignazio Falconieri e gli altri; così per Giuseppe Palmieri, anche se con incidenze diverse e, soprattutto, con più diritto e personale ripensamento della lezione della realtà. La segreta lezione delle cose e l'ardore delle idee, c he permeano La filosofia dell'eloquenza (e per il titolo cfr. indicazioni esegetiche, n. 28), germogliano e rinvigoriscono decisamente nelle ultime e conclusive opere (1799): la traduzione e il commento al testo dell'abate Mably, un vecchio amore dell'Astore (35), De' dritti e de' doveri, e Catechismo repubblicano. Scompaiono, naturalmente, le soste letterarie ed erudite, il ricorso spesso dilettantistica mente suggestivo di filosofia, diritto, scienze ed arti e, in primo luogo, la sostenuta e dichiarata professione di fede e di lealismo istituzionale. Le parole possono anche essere le stesse; ma, dentro, attingono a una diverso sostanza. "Religione, ragione, patria, libertà, giustizia", proprio come nella premessa alla traduzione dei Mably (36), hanno ben altro spessore e significano una realtà calata profondamente nella "cronaca". Il "tiranno", ch'era nella storia del passato, come vicenda nefasta posta all'origine di lutti e sciagure e come lezione negativa sul piano morale, ora ha un volto suo, si muove nella realtà, lo si fronteggia per smascherarlo: si registra così, nell'età di Alfieri, l'urto tra il "tiranno" e il "popolo". E allora penetrano, accanto ai vecchi testi (Wolff, Pufendorf, Grazia, Pope, ecc.), altri, vecchi o nuovi che siano, con nuovo volto: Voltaire, la Rivoluzione Francese e così via. E di Voltaire riporta ad effigie del Catechismo repubblicano l'espressione dal Discours III sur l'Homme: "Si l'Homme est créé Libre, il doit se gouverner. Si l'Homme a des Tyrans, il les doit détronner". il titolo parte da Voltaire (37), ma èassunto da Rousseau, Catechismo del cittadino (1755). La stessa dedica ("AI cittadino Mario Pagano, rappresentante del Governo provvisorio della Repubblica napoletana") a fronte di quella de La filosofia dell'Eloquenza (a Papa Pio VI) ne sottolinea i contenuti. Intanto alla prima domanda "Cosè l'Uomo?" si risponde aristotelicamente: "un animale ragionevole"; alla seconda "Da chi è stato creato?" "Da Dio Ottimo Massimo". E al più genuino fondo settecentesco si attinge nel considerare "la libertà inseparabile dalla natura umana" (38). Di qui provengono gli "stati" dell'uomo: il naturale, "in cui L'Uomo godea l'indipendenza, la libertà, l'uguaglianza", e il sociale, che stabilisce "l'unione dell'Uomo in Società semplice o composta" (39): entrambi costitutivi del "patto o contratto sociale" (40). L'intervento - aggressione del tiranno pone "un denso velo per ingannare l'uomo" e provocarlo "a combattere contro se stesso" (41). A questo punto èbene che il popolo sorga e impari "a conoscere i suoi dritti datigli da Dio" (42). Filosofi francesi e Francia (Rivoluzione Francese) divengono modelli in assoluto (43).
Non v'è dubbio che i testi prima discussi, come Voltaire e Rousseau soprattutto, divengono ora matrice feconda di idee o suggestioni nuove. Né a schermarle può servire la Guida scientifica (1791) ch'è lungo il cammino; né, meno che mai, L'eroismo delle Sicilie. Eiresione poetica (1796): l'una in lode della religione e l'altra in esaltazione di Ferdinando IV, il "Gran Re, che a grand'imprese hai l'alma avvezza!" (44). La realtà politica di quei mesi (a cui, forse, può aver dato qualche impulso la situazione familiare che dal pieno benessere va precipitando in un temuto dissesto economico; ma non ne calcherei le ragioni) scuote profondamente l'Astore. Il concetto dell'uomo, a cui punto tutta la sostanza del suo pensiero, rinasce in Astore più vigoroso. I libri lo hanno prima educato: la realtà, dopo, gli propone un modello vivo palpitante e insostituibile: ed egli lo fa proprio. Non mette da parte la religione da cui pur sempre discende l'uomo e che mai gli si presenta oppressiva (45): mette da parte l'oppressore "politico" dell'uomo (e lì, in quella realtà, non può che essere il monarca). Si passa dalla letteratura alla vita; ma, nella sostanza più profonda, non cambia l'idea centrale, che è alla base della meditazione sull'origine e sul destino dell'umanità. E' l'anello, all'interno del pensiero, che dà ragione e congiunge La filosofia dell'eloquenza e il Catechismo repubblicano. Ed anche quando l'ossequio alla dinastia è aperto e senza infingimenti, esso sempre si configura come tributo alla regalità e alla dignità della carica e del senso universale che essa ancora rappresenta, non mai segno di esaltazione encomiastica e irrazionale o di cieca sudditanza al potere. E' un atteggiamento di fierezza che si irradia dalla matrice stessa, morale e culturale, di tutto il Sud, e che intende confermare i valori costitutivi della civiltà. Filippo Briganti e Ignazio Falconieri (46), come Astore, pur per vie diverse, si ritrovano integri in questo tema.


NOTE
1) Arch. Bardoscia, cit., ms. s. colloc., cc.8 recante il titolo (a c.8, però) Memorie riguardanti la famiglia Astore e la persona di D. Francescantonio Astore. Propongo questo brano perché dà in dettaglio temi e dati solo in parte presenti nelle biografie di F.A.A. In un altro ms. (s. colloc., cc.4) dello stesso Archivio si danno, in sintesi, però, gli stessi elementi, che corrispondono (e non compiutamente) a quelli delle quattro biografie, utilizzate da G. Jaccarino (F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., p. 163, n. 2) e rinvenute, due presso l'Arch. Stajano di Sannicola e due presso la Biblioteca "De Leo" di Brindisi. -Credo che dalla presente biografia derivino le suddette, più brevi, biografie (quattro, dunque, più una quinta): si può anche ipotizzare che sia di diretta ispirazione di F.A.A. presentandosi, appunto, più ricca di particolari precisi e più varia di elementi. Tutte queste biografie si fermano al 1792 (e cfr. lettera di F.A.A. al Lezzi del 9 giugno 1792, laccarino, cit., p. 246 ss., in cui l'A. parla di un articolo del Lezzi "intorno alla mia persona, che farà vergogna in quella raccolta istorica"). Né basta: l'articolo che presento è preceduto dalla cronistoria genealogica della famiglia Astore, che ha pure qualche utilità e che riporto qui di seguito. "La famiglia Astore deriva il suo nome dall'uccello di rapina detto Falcone ed in latino Astur. Quella famiglia fu antichissima in Mantova e diramossi ancora in Venezia. Virgilio, mantovano anch'esso, ci parla di un certo Astore bellissimo di volto e famoso nell'arte del cavalcare ("... seguitur pulcherrimus Astur", ecc.: Aen. X, 180). E' da osservarsi che questo cognome di Astur fu comune a molti antichi popoli primitivi, che si dissero Astures, Asturicani, Asturii (Astures si dissero gli antichi abitanti delle Asturie nella Spagna. Ebbero Asturica per Capitale, che fu poi detta Astorga. Furono popoli feroci, che avrebbero trucidati i Romani se non fussero stati traditi da' Brigantini [ ... ]). Da un ramo de' quali nazioni e popoli trasse la sua origine in Mantova questa famiglia, che ivi fu molto antica e molto distinta, per persone applicate alle scienze, e molto onorate e distinte dalli Signori Gonzaghi, promotori antichissimi delle scienze e della cultura nella città di Mantova; dalla quale si diramò in Venezia l'istessa famiglia Astora, ed ivi produsse Uomini distintisi assai nelle scienze ed amici delle Belle Arti. Tra questi si conta per un de' più celebri Giovanni Antonio Astore, giure-consulto veneto ed autore di molte opere e tra le altre, di una sopra gli antichi Dei Cabiri [Venezia, 1703] e di un'altra diretta al celebre letterato Apostolo Zeno, che ha per titolo De Deo Brotonte [Venezia, 1705], ambedue produzioni eruditissime e ricercatissime [ ... ]. L'altro ramo della famiglia Astore si trasferi nella Provincia del Salento nel Regno di Napoli. Giorgio Astore, cultissime giureconsulto in Mantova, fu mandato da' Signori Gonzaghi al governo de' loro stati in Alessano e fissò la sua dimora in Scorrano. Ebbe per figli Andrea e Giuseppe Astore, celebre giureconsulto in Legge, ove fu ascritto alla nobile cittadinanza di quella Città, ov'ebbe nella Chiesa de' PP. detti Antoniani una Cappella Gentilizia con sepoltura ed iscrizione che comincia: Franciscus Antonius Astore Civis Lyciensis allectione Mantuanus origine et cet. Da questo Francesco Antonio nacque Giuseppe Astore, che fu padre di Andrea Astore dal quale nacque il vivente Francesco Antonio Astore, che ha per figlio Gennaro Astore, tutti originarii di Mantova ed ascritti cittadini di Lecce, ed esso Francesco Antonio e Gennaro cittadini di Napoli. L'avo del presente Francescantonio, cioè Giuseppe Astore per esser più vicino a'suoi molti stabili, che possedea ne' feudi di Casarano e di Ugento, si trasferì ad abitare in Casarano, ove anche ebbero domicilio il suo figlio Andrea ed il presente Francescantonio per qualche tempo, con aver sempre in quella terra pagato i pesi universali in qualità di forestieri abitanti, ed esso Francescantonio in qualità di forestiero non abitante, dimorando in Napoli colla casa e famiglia", cc. 1-3 - Per l'origine mantovana della famiglia Astore (di cui più volte lo stesso A. mena vanto: e si veda la lettera del 12 genn. 1785 a G. Carli, "Ho avuto origine mantovana" in: Bi.CO.SI., ms. E.VII.10, c. 175 e per il tutto cfr. particol. M.D'AJALA, cit., pp. 35-41; ed anche MORELLI DI GREGORIO, cit.; b. TERRIBILE, Uomini e cose, cit.) rinvio a: L. TASSELLI, Antichità di Leuca, Lecce, Micheli, 1693, p. 538; A. FOSCARINI, Armerista e Notiziario delle famiglie nobili ecc. [1927(2)], Bologna, Forni, 1971, p. 34. Tuttavia nel 1543 un Astore è già attestato in Casarano: Arch. Bardoscia ms. Inventario de' beni baronali di Casarano del 1503 e 1543.
2) Cfr. rispettivamente: lettere a D.B. del 28 apr. e 12 maggio 1798 (in Lettere inedite a c. di G. Iaccarino, pp. 338-43) e lettere a G.D'E. e a G.B. Lezzi dal 3 marzo 1798 al 22 dic. 1798 (F.A.A. attraverso ecc., a cura di G. Iaccarino, p. 259 ss.).
3) Ibid., rispettivamente, p. 260, 261, 265.
4) Il Monitore napoletano a cura di M. Battaglini, Napoli, Guida, 1974, p. 632.
5) Per questi dati, cfr. part.: B. CROCE ... S. DI GIACOMO, La Rivoluzione del 1799. Albo, Napoli 1899, n. 75; B. CROCE, La Rivoluzione napoletano cit.
6) Cfr. partic.: A. LUCARELLI, La Puglia nel Risorgimento, cit.; N. VACCA, I rei di stato ecc., cit. Ma cfr. soprattutto la nostra Introduzione, E'.I, pp. 49, 70-75, ecc.
7) A.S.Na, Rei di Stato, b. 193, inc. 12, c. 3r.
8) Ibid., inc. 37, cc. 1r - 4r.
9) Ibid., b. 190, inc. 30, cc. 1r - 2r.
10) Ibid., c.3r.
11) Ibid., inc. 31, cc. 1r-2r. - Ibid., b. 190, inc. 59 v'è il "Conto generale in denaro de' Beni confiscati e sequestrati a' Rei di Stato della Provincia di Lecce in Amministrazione del Regio Incaricato D. Francesco Antonio Pinto, residente nella terra di Ruffano, da Agosto 1799, epoca della principiata Amministrazione a tutto Decembre 1801 ", con i dati relativi a F.A.A., c.lv, 3r-3v, 4v-5r, 6v-7r (qui i dati dei "Dissequestri particolari de' Beni compresi nella confisca generale del reo Astore"), 10r-v, 12r, 14r (l'A., insieme a G. Paladini di Lecce, risulta sempre nella "voce" - "Confische"; per altri rei i "sequestri" e sono "liberati" e sono sotto "disimpegno", cui seguono i "sequestri esistenti" e i "sequestri quoad proprietatem"). Ibid., b. 193, inc. 40, cc., 1r-2r, vi figura i "Mandati d'Introito della Provincia di Lecce" relativi a F.A.A., del 19 agosto e del 7 sett. 1800. - Nel DE NICOLA, op. cit., si seguono i fatti giorno per giorno: il 30 maggio 1799, "un certo Astorre, che non si sa chi sia", è chiamato a far parte dei tribunale, I, p. 159; il 1° giugno con E. Mastelloni, F. Pirelli, V. Paternò e altri è insediato al tribunale di Cassazione, I, p. 162; il 23 sett. sono condannati ad essere "decollati" F. e M. Pignatelli Strongoli, F. Marini, G. Riario Corleto e altri; condannato ad essere "afforcato" invece è l'A. con Prosdocimo Rotondo, Fr. Grirnaldi ed altri, I, p. 322: il 28 sett. è posto "in cappella", I, P. 327; il 30 sett. è "afforcato" insieme a Prosdocirno Rotondo, p. Crocifero De Meo, I, p. 389.
12) Al Paciandi, il 5 luglio 1784 scrive: "L'esercizio della Giurisprudenza il fò per qualche occorrenza della propria Casa, e di qualche amico, non vivendo, lode al cielo, con tale preoccupazione, ma dalle proprie sostanze, ond'è che io tra' miei pochi libri, e tralla mia famiglia, coltivo per mia inclinazione, e per giovare quanto so e posso, a me ed agli altri, le scienze miglioratrici dell'Uomo" (F.A.A. attraverso lettere indite, cit., p. 221).
13) Ibid., p. 212.
14) Per quella dei Briganti, cfr.: Introduzione, vol. I, pp. 78-83; per quella di Papadia, G. VALLONE, G.B. Tafuri e B. Papodia e l'ideale della civica amministrazione in "Arch. st. pugliese", XXXV (1-4, 1982), pp. 257-59; per quella di Arditi, "voce" Arditi.
15) Lettera al D'Elia del 24 dicembre, 1783 in F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., p. 216. E cfr. la nostra Introduzione, E'. I, p. 10 ss. - Più in generale: R. ROTA GHIBAUDI, La fortuna di Rousseau in Italia: 1750-1815, Torino, Giappichelli, 1961.
16) F.A. Astore attraverso lettere inedite, cit., lettera a G. D'Elia, del 26 maggio 1780, p. 186; allo stesso, del 7 ottobre 1781, p. 206 ("nei piccoli paesi l'aria è più pura, i cibi più salutari, il corpo più vegeto, onde l'uomo fisico almeno è più felice e più sano").
17) Cfr., rispettivamente: A. VALLONE, Galateo letterato in Civilta meridionale, Napoli, Giannini, 1978, p. 23 ss.; Luigi Corvaglia ecc. in Nuovi studi di storia letteraria napoletana, Napoli, Ferraro, 1982, p. 279 ss.
18) P. BERSELLI AMBRI, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze, Olscki, 1960, p. 162; cfr; nostra Introduzione, E'. I, p. 10 ss. (e partic. per l'opposizione di E. Personé, pp. 16-20).
19) F.A. Astore attraverso lettere inedite, cit., p. 185. Ne La filosofia dell'eloquenza, cit., vede "le immense collezioni compite del Voltaire" come "perniciosissime agli incauti lettori", I, p. 372 n. 1 l.
20) Ibid., pp. 228-29.
21) In una lettera a G.B. Lezzi, del 4 dic. 1784 (e non è il solo luogo) scrive: "Un pezzo di Cicerone De legibus, De senectute, De divinazione, De officiis, un dialogo di Platone, un libro dell'Eneide, un canto dell'Ariosto, una scena del Metastasio" rendono "più grande, più felice di tutte le cariche dell'Universo, che tutte si riducono a splendide bagattelle", in F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., p. 233.
22) Lettera a G. B. Lezzi, del 23 ag. 1788, ibid., pp. 243-44. Nel difendere il suo stesso verso "De Sebeto onorate il gran Platone", in occasione della morte di G. Filangieri (lo stesso son. è in: Bi. Vat., Ferr. 366, c. 164) annota, tra l'altro: "le cose più belle in idea son le più ineseguibili in prattica spesso spesso, onde se Platone e Filangieri fussero ancora in tutto simili, il non potersi eseguire certi loro progetti bellissimi, fa vedere la sublimità de' loro intelletti, la rettitudine de' loro cuori e la corruttela della natura umana, che non può pervenire a quella perfezione, che si vorrebbe", lettera a G.B. Lezzi, del 9 agosto 1788, ibid., pp. 241-42.
23) Lettera a P.M. Paciandi, del 23 marzo 1784, ibid., p. 218. - Per la "contaminazione" "del vichismo con l'illuminismo", cfr. CROCE-NICOLINI, Bibliografia vichiana, cit., I, p. 341; (P. BERSELLI AMBRI, cit., p. 162, lo accoglie); B. CROCE, Varietà di storia letteraria e civile, cit., I, p. 143 ("il libro, se vi si cita molto il Vico, non è di un vichiano"); F. ZERELLA, F.A.A. ecc., cit., pp. 126-36 (ha oneste pagine su A.-V.).
24) La filosofia dell'eloquenza ecc., cit., rispett.: I, p. 38 ss., 47 ss., 180 ss., 206 ss., 223 ss., 235 ss., 238 ss., 242 ss., 246 ss., 257 ss., 264 ss., 270 ss., 281 ss., 291 ss., 320 ss., 324 ss.; ecc. Dell'opera furono fatte edizioni a Napoli, a Venezia e a Yerdon (cfr. lettera a G.B. Lezzi del 29 sett. 1792 in F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., pp. 250-51).
25) Studi vichiani, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 307-308, che però sottolinea "lo strano miscuglio che ... si fa delle idee del Vico con quelle dei sensisti".
26) La lettera, inedita, è del 18 sett. 1783: Mu. Fil. Na, Archivio Filangieri, Cart. 28-5, cc. 18-29 (cfr. E'.I, Profilo di F.B. n. 75). Il Filangieri, dal 1783 al 1787, si era ritirato nella campagna di Cava.- Per la morte del Filangieri A. scrisse un son. e un art. per il "Giorn. letterario d'Italia", cfr. Bibliografia e n. 22: Bi. Vat., Ferr. 366, c. 164r-v, 180r-182v: eccone le parti più significative: "I genitori dell'anzidetto Gaetano Filangieri, imbevuti di una rigida educazione, l'obbligarono fin dai primi suoi anni a un genere di vita che appena può sostenersi nella età più vigorosa [ ... ]. Si univa in lui un trasporto poco comune per lo bene degli uomini, un odio per la violenza, un certo spirito di beneficienza, che appariva in tutte le sue operazioni [ ... ]. Spese sette anni continui nell'idear semplicemente un imperfetto piano di un'opera su questa vasta e complicata materia. Una immensa lettura degli antichi e moderni scrittori a questo oggetto diretta occupò questo intervallo di tempo. Avendo finalmente stabilito di dare all'opera sua il titolo Scienza della Legislazione incominciò a metter mano al lavoro, e dopo cinque anni di tempo verso la fine del 1780 ne pubblicò i due primi volumi [ ... ]. La venerazione che egli aveva per questo degno Prelato [lo zio Serafino Filangieri arciv. di Napoli] e il timore che non gli venisse da lui sconsigliata la pubblicazione dell'opera sua, lo indussero a nascondere i suoi scritti, non solo a lui, ma ben anche a tutti gli suoi amici, che avrebbero potuto spaventarsi alla ingenuità, che ci regna. Non mancò per altro chi, pubblicato l'opera, cercato avesse di metterlo in dissensione con lo zio. Ma la lettura del libro smentì la calunnia e rendé vani questi iniqui disegni [ …]", cc. 180r-182r.
27) La filosofia dell'eloquenza, cit., p. XIII.
28) A G. CARLI, ad esempio, scrive il 12 genn. 1785: "Vedrà che, dal canto mio, in quest'angolo dell'Italia [è l'espressione che per primo usò il Galateo], ho cercato, per quanto ho potuto e saputo, l'eloquenza universale e particolare", Bi.CO.SI., ms. E.VII 10, c. 174.
29) La filosofia dell'eloquenza, cit., p. XI; così anche altrove (e con le stesse parole: II, p. 529).
30) Ibid., II, p. 91 (cfr. anche lettere a G.B. Lezzi, cit., a n. 22).
31) Ibid., II, 102.
32) Cfr. rispettivamente: ibid., II, p. 72; - lettera a G. B. Lezzi del 18 dic. 1784 a proposito del carmen al Conte d'Oëls: "Ma una poesia tutta profana e che niente ha di sacro non dee esaminarsi con tanto rigore. Inoltre le voci Muse, Minerva, Venere, Giunone, oggi non dinotano in poesia Deità credute, e supposte degl'idolatri; ma sono divenute certe idee generiche, astratte e metafisiche di taluni prototipi astratti di scienze in grado eminente, bellezze grandi, prudenza somma, per generali caratteri insomma", F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., p. 225; - per "l'eloquenza", v. infra, nota 28. - Per le idee "estetiche", crf. anche le "voci" Falconieri e Milizia.
33) B. Salvemini, Propaggini illuministiche ecc. in "Lavoro critico", 20 (4, 1980), p. 178, n. 100, tende invece a sottolineare la "violenta posizione antilluministica", accostando l'A. in qualche modo a Giovine, pure egli in "posizione sostanzialmente reazionaria". F. ZERELLA sostiene invece che l'A. "appartiene alla vasta schiera dell'illuminismo napoletano", op. cit., p. 145. Opportunamente N. CARDUCCI fa risalire "la moralità astoriana" all'Illuminismo, op. cit., p. 41.
34) E intanto nella Prefazione, secondo l'uso e il gergo degli antichi e moderni (come anche in Boccaccio, commentatore di Dante, e in altri molti, cfr. A. Vallone, Storia della critica dantesca, Milano, Vallardi, 1981, I, passim) si dichiara "espressamente di non riconoscere per nostri, se non i soli sentimenti della nostra Madre, l'Apostolica Romana Chiesa, alla quale, come far dee ogni zelante cattolico, sottoponiamo tutte le nostre idee", op. cit., I, p. IX.
35) Nella lettera dell'11 agosto 1781 dà notizie al D'Elia, F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., pp. 198-99.
36) De' dritti e de' doveri, cit., p. 1 n.n.
37) Catechismo repubblicano, cit.: a firma di C. Pisciotta si legge che l'opera si richiama ai "veri Catechismi di Voltaire, che però non ha un Catechismo del Cittadino". D'altronde la parola "catechismo", forse assunta dall'uso religioso senza particolare spirito di polemica, è presente anche nell'Esame economico di F. Briganti nell'espressione: "Ragione è il catechismo" dell'uomo: passa poi anche nel campo agrario (cfr. Gagliardi, E'.I; ecc.), e giunge, ad esempio, ad A. Di Domenica Antonelli, che scrive un'opera dal titolo Pensieri da servire per un catechismo costituzionale (L'Aquila, St. del Municipio, 1848) e via via di questo passo.
38) Ibid., p. 4
39) Ibid., p. 5.
40) Ibid., p. 7, 38 ss.
41) Ibid., p. 24
42) Ibid., p. 31 (ed è il tema del IV Trattenimento).
43) Ibid., pp. 63-64.
44) L'eroismo delle Sicilie ecc., cit., è il primo sonetto, cui seguono altri tre, un carmen parainétikon, "Parthenope loquitur", "Perifrasi" (25 ottave), "Epigrammata", "Perifrasi italiana", con la lettera-imprimatur di N. Valletta del 2 luglio 1796 con cui si scusa "l'ardire di chi con poetici ornamenti, se non può adeguarne le imprese, tenta almeno di spiegare il suo attaccamento al miglior de' Governi ed al miglior de' Principi". I molti scritti poetici, sparsi un po' ovunque (e di cui ho cercato di dare un qualche esempio) non si distaccano da un generico tono encomiastico-evocativo: re, vescovi, festività religiose sono tutte occasioni buone per scrivere versi. Al vescovo di Oria Kalefati rivolge, ad esempio, un'anacreontica in lode della poesia, "L'Estro Poetico / Gran Kalefati / Famosi e celebri / Fa i sacri Vati", che si conclude "D'ognuno i cantici / Le voci, il cuore / Tutti lo lodano / E tace Astore?" (Bi. Pr.LE, ms. 4, vol. IV, pp. 27): vi sono dentro dei e miti greci, eroi omerici, tempi e luoghi antichi ecc. Né ci si deve meravigliare conoscendo i corsi scolastici del tempo e il carattere dell'insegnamento impartito dai religiosi e poi le stesse predilezioni poetiche di Astore, che vedeva nelle ariette del Metastasio "il Pindaro e l'Orazio de'Latini e Greci", La filosofia dell'eloquenza, cit., II, p. 566, n. 39.
45) C. DE GIORGI, La provincia di Lecce, cit., scopre in Astore "tanti punti di contatto con Vanini", II, p. 152: è l'esagerazione, in uno studioso pur cauto e attento, di chi ama collegare, al di là delle situazioni reali, i nomi "illustri" della propria terra. E di "conversione alle ideologie rivoluzionarie" parla (e non è il solo) N. CORTESE, cit., p. 485. Più cauto F. ZERELLA, cit., p. 51. Il LEZZI postillò l'ultima lettera di Astore, del 22 dic. 1798, con queste amare parole: "L'infelice autore di questa lettera, forsi per la miseria, essendo entrate le armi francesi in Napoli, si prestò alle mire de' patriotti, e quindi si preparò la strada a finir la vita con un capestro. Sapea di tutto fuori di quello, che era necessario sapersi", in F.A.A. attraverso lettere inedite, cit., p. 265 (ma cfr. per questi giudizi G. IACCARINO, ibid., pp. 177-82). Più opportunamente G. DE RUGGIERO sottolinea la deleteria azione della monarchia borbonica "nell'ultimo decennio del secolo XVIII", a causa della quale "la trasformazione dei razionalisti umanitari in patrioti era la necessaria trasformazione del pensiero politico settecentesco sotto l'impulso rivoluzionario", in Il pensiero politico meridionale, Bari, Laterza, 1946(2), p. 114; cfr. anche Introduzione, E'. I, p. 49 e "voce" Falconieri, n. 16. -Ad ogni modo l'opera di A., come quella di I. Falconieri, è opportuno considerarla nel gruppo dei pugliesi a Napoli, dalla congiura giacobina del 1794 in poi (con S. Buonavoglia, E. De Deo, B. e M. Del Re, I. Ciaia), cfr. M. ROSSI, Nuova luce risultante dai fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, Firenze, Barbera, 1890; A. SIMEONI, La congiura giacobina del 1794 a Napoli, in "Arch. stor. per le Prov. Napol.", 1914, pp. 304-14; P. PALUMBO, Risorgimento salentino, cit. (per I. Faiconieri, F.A. Astore, A. Sardelli di San Vito de' Normanni) (e poi ancora: N. De Donno, O De Donno, N. Antonazzo di Specchia, N. Lionetto, fabbro di maglie, O. Massa, ecc.), p. 90 ss. Cfr. "voce" Falconieri, n. 16.
46) Cfr. le rispettive "voci" (e partic. per Filippo B., I, p. 206, n. 55).

NOTA BIBLIOGRAFICA
a) Opere:
La gloria fuggitiva [capitolo], A Michel Arditi [sonnet, in francese] A Dryden's Imitation [epigramma, in inglese; con traduzione], Cristo parla al Capece. quando fu eletto vescovo [sonetto], in Componimenti per la morte di don Giovanni Capece ... raccolti da M. Arditi, Napoli, Raimondi, 1771, pp. 31-38.
Allegazioni diverse, Napoli, s.l. 1780.
Viro preclarissimo Natali Saliceto Pii VI P.M.[ .. ] Elegia, [s. ind.], pp. 4: Bibl. Vat., Ferrajoli V. 7868, int. 7.
La filosofia dell'eloquenza o sia l'eloquenza della ragione, Napoli, Orsino, 1783, voll. 2 (altre ed.: Venezia e in lingua francese a Yverdon in Svizzera).
lnceleberrimi Montgolferii Machinam ecc. in "Novelle letterarie", XV (1784), pp. 172-3 (e "Giorn. encicl. del R.d.N.; ott. 1785; e B. CROCE, Due carmi latini in compianto del primo eroe dell'aeronautica ecc., a cura di, Bari, Laterza, 1936, pp. 40: ed. di 200 esempl.).
Pro-felici magni et celsissimi Domini Comitis de Oëls in Galliam et urbem Parisiorum adventu Carmen, s.l. e a. [1785].
Per la venuta In Napoli dell'Eminentissimo porporato Sig. don Domenico cardinale Orsini nel luglio 1785. Napoli, s.l., 1785.
La guida scientifica. Napoli, Sangiacomo, 1791.
[Son. in morte di G. Filangieri: Vidde il gran Filangieri e a noi lo tolse in:] Bi. Vat., Ferr. 366, c. 164 (lo stesso figura anche in Lettere Inedite. cit., cfr. n. 22), cui è accodato l'art. sulla "Morte del cav. Filangieri", di F.A.A. pubbl. sul "Giorn. Letterario", cc. 164r-v, 180r-182r.
Dialoghi sul Vesuvio in occasione dell'eruzione della sera del 15 giugno 1794. Napoli, Orsino, 1794, pp. 51 (e ancora: ibid., 1796, pp. 55).
L'eroismo delle Sicilie. Eiresione poetica. Napoli, Songiacomo, 1796, cc. 12.
Pro solemni festo die Sanctorum Apostolorum Petri et Pauli 29 Junii 1797 Hymnus: "Petre, qui caulae decus atque custos!", [in lettera al card. S. Borgia, del 27 giugno 1797], in: Bibl. Vat., Borg. lat. 288, cc. 154r-155v.
Ob Anglorum ovis Phari victoriam duce et auspice viro ter maximo at incomparabili Nelsono in "Giorn. enciclopedico del R.d.N.", 15 nov. 1798.
De' diritti e de' doveri del Cittadino dell'abate Mably tradotto in italiano ecc., Napoli, Sangiacomo, [1799], pp. 8 n.n. - 228.
Catechismo repubblicano in sei trattenimenti a forma di dialoghi. Napoli (a spese del cittadino C. Pisciotta), nella stamperia de'cittadini Nobile e Bisogno, Anno I della Repubblica Napoletana [1799], pp. 79. Per le lettere, cfr.: Lettere Inedito di F.A.A. a F. e D. Briganti a cura di G. Jaccarino in "Boll. di Storia d. Filosofia" (Univ. di Lecce), V (1977), pp. 315-46 (sono 14 lettere: indirizzate a F. e D. Briganti dal 9 genn. 1779 al 12 maggio 1798 e rinvenute "presso una famiglia galatinese" [Bardoscia], p. 315); e ancora F.A.A. attraverso lettere inedite in "Studi Urbinati", LII (1-2, 1978), pp. 163-265 (delle 161 lettere, autografe o in copia, rinvenute presso l'Archivio della famiglia Stajano di Sannicola, si pubblicano 40 "a nostro giudizio fra le più interessanti", p. 169). E ancora: F. DE SIMONE BROUWER, cit., pp. 303, 307-308; B. CROCE, Varietà di storia civile ecc., cit., p. 153 (sono quelle della Bi.CO.SI, ms. E.VII. 10); F. ZERELLA, cit., pp. 57-58 (per la stessa); A. PACE, B. Franklin and Italy. Philadelphia, 1958, pp. 397-98 (è una lettera del maggio 1779); G. IACCARINO, F.A. Astore, cit., p. 169 (per 18 lettere a G.B. Bodoni e P.M. Paciandi in Bibl. Palatina di Parma); id. (per 7 lettere a G. Tiraboschi presso la Bibl. Estense di Modena); id., (per 14 lettere a M. Lastri) in Bibl. Moreniana di Firenze, Frull. 40, E'. II, III e IV); e infine: lettere al card. Stefano Borgia (dell'11 aprile, 27 giugno 1797, in Bibl. Vat., Borg. lat. 288, cc. 126r-127r, 153r-v; e quelle che l'A. stesso indica nella lettera al Lezzi del 9 giugno 1792, F.A. Astore ecc., 246 ss., e cioè: F.J. De Bernis, G. Garampi, F.S. Zelada, L.O. Pallavicini, D'Orsini D'Aragona, R. Onesti-Braschi, G.F. Albani, C. Rezzonico, A.M. Durini (tuttavia nelle Lettere di particolari dell'Arch. Segr. del Vaticano, non sono presenti).
b) Bibliografia:
G. ARDITI, La corografia fisica e storica, Lecce, "S. Ammirato", 1879, p. 117.
P. BERESELLI AMBRI, L'opera di Montesquieu nel Settecento Italiano, Firenze, Olschki, 1960, pp. 162-64.
W. BINNI-N. SAPEGNO, Storia letteraria delle regioni d'Italia, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 686-88.
N. CARDUCCI, L'illuminismo meridionale e l'itinerario di F.A.A. in "L'Albero", XXXII (65, 1981), pp. 29-65.
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G. COMPAGNINO, Il Settecento. L'Arcadia e l'età delle Riforme, Bari, Laterza, 1974, VI (E'.II), p. 151.
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B. CROCE La 'Filosofia dell'Eloquenza' [1928] in Varietà di storia civile e letteraria, Bari, Laterza, 1949(2), I, pp. 145-54; Conversazioni critiche, ibid., 1951(2), III, p. 322; Aneddoti di varia letteratura, Napoli, Ricciardi, 1942, II, pp. 12-15; 282-85; La Rivoluzione napoletana del 1799 [1887-1896], Bari, Laterza, 1968, p. 150, 151.B. CROCE - F. NICOLINI, Bibliografia vichiano. Napoli, Ricciardi, 1947, I, p. 341; ibid., 1948, II, p. 617.
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C. DE NICOLA, Diario napoletano dal 1798 al 1825, Napoli, "Soc. Nap. di St. Patria", 1906, I, p. 159, 162, 322, 327, 389 (e p. 137 per la trad. del Mobly, attribuita a Lomonaco).
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G. GENTILE, Studi vichiani a cura di P. Bellezza, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 307-308.
G.B. LEZZI, Vite dei lett. salentini: Bi.Pr.LE, ms. 52, pp. 187-89 (ivi anche Cenni biografici di F.A.A., ms., vol. 12, n. 37).
F. LOMONACO, Rapporto al cittadino Carnot in: V. CUOCO, Saggio storico sulla Rivol. Napol. del 1799, cit.
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M. VITERBO (Peucezio), Gente del Sud. Da Masaniello ollla Carboneria. Pref. di R. Ciasca, Bari, Laterza, 1962, pp. 161-208 (per il 1799 e le figure preminenti).
F. ZERELLA, F.A.A., martire e pensatore in "Rinascenza salentina", VI (1938), pp. 41-68, 122-47.
A parte le segnalazioni sulla stampa dell'epoca, per cui cfr. almeno:
"Effemeridi letterarie" (Roma), 1783, p. 308. "Novelle letterarie di Firenze", n. 3 (16 genn. 1784) col. 42. "Antologia romana", X (1784), pp. 331-32; 415. "Giorn. enciclopedico d'Italia", VII (1786), p. 87. "Nuovo Giornale letterario d'Italia" (Venezia), XVIII (E'.1, 1788), p. 205. Arch. Bardoscia = Archivio privato avv. A. Bardoscia di Galatina.
A.S.NA = Archivio di Stato di Napoli
Bi.CO.Si. = Biblioteca Comunale di Siena
Bi.Pr.BR = Biblioteca Provinciale di Brindisi
Bi.Pr.LE = Biblioteca Provinciale di Lecce
Bi.Vat. = Biblioteca Vaticana
Mu.Fil.NA = Museo Civico G. Filangieri di Napoli
Per integrazioni al presente saggio cfr.: A. VALLONE, Illuministi e riformatori salentini (a cura di) Lecce, Milella, 1983 (Biblioteca Salentina di Cultura diretta da M. Marti).


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