§ RITI SACRIFICALI

IL CAPRO ESPIATORIO




R. M.



Provate a immaginare una squadra di pallacanestro. Una squadra che ha investito un'iradiddio di quattrini nella cosiddetta "compagna-acquisti" e che, di conseguenza, si presenta con palesi ambizioni di classifica davanti agli occhi dei tifosi. Supponiamo che alla decima giornata di campionato questa squadra, formata per fare sfracelli, si trovi in penultima posizione. Secondo voi, che cosa succede?
L'esperienza insegna che il primo atto riparatore di una situazione del genere è la rimozione dell'allenatore. Domanda: è giusto che il primo, e quasi sempre l'unico, a pagare sia il tecnico della società? L'azione esercitata nei suoi confronti può risultare ingiusta; senza dubbio è, quantomeno, incompleta. E tuttavia è in utile. Si potrà obiettare: in che senso un provvedimento, che è insieme ingiusto e parziale, può essere utile? Dipende dai risultati che dà. E' chiaro che, se l'atto di rimozione dell'allenatore è servito a placare l'ostilità dei tifosi, a tacitare la stampa e a rallegrare gli sponsorizzatori, allora il "sacrificio" ha funzionato: è stato, appunto, "utile" al gruppo (nel nostro caso, la squadra di pallacanestro), in quel momento minacciato.
Mi accorgo di avere usato la parola "scicrificio". E' una nozione impegnativa, soprattutto una nozione che implica molte cose. La prima è che il lettore metta le mani su quello straordinario testo di Renè Girard, dal titolo La violenza e il sacro (pubblicato nel nostro Paese da Adelphi): "Funzione del sacrificio - scrive Girard - è quella di placare le violenze intestine, di impedire lo scoppio dei conflitti".
Egli si riferisce alle società primitive, società "sacrificali". Ma in società moderne, come le nostre, che non hanno riti propriamente sacrificali, che cosa può accadere?
Può succedere che il sacrificio continui la sua opera simbolica, ma che lo faccia di nascosto. All'insaputa, per casi dire, dei membri che la compongono. Queste cose ci sono venute in mente, sottoponendoci alla lettura di un libro intelligente, pubblicato dal Mulino, e dal titolo leggermente oscuro: Colpa e potere. Ma il sottotitolo è ben esplicito: "Sull'uso politico del capro espiatorio". L'autore, Giuseppe Bonazzi, insegna Sociologia dell'Organizzazione (è una disciplina della quale ignoravamo persino l'esistenza) all'Università di Torino. Di lui non sappiamo altro.
Più o meno, tutti noi abbiamo un'idea di che cosa sia, o possa essere, un capro espiatorio. E' colui che, ad un certo punto di una situazione complicata, finisce per pagare per tutti. E' l'allenatore della squadra di pallacanestro, è il funzionario del partito, è il manovratore di un treno, è l'uomo politico in vista, è il tecnico di una società mineraria, è l'impiegato di una banca, è il direttore di un giornale, è il Prefetto di una provincia (mi fermo qui, ma ciascuno naturalmente può allungare come crede l'elenco, all'infinito). Sono persone che possono, a certe condizioni che esamineremo fra poco, finire coi pagare per errori commessi, oltre che da loro stessi, anche da altri. Possono cioè trasformarsi in capri espiatori.
Perchè una società organizzata, con delle regole precise, in parte rigorose, in parte almeno minimamente flessibili, comunque fornita di un'autorità legislativa e giudiziaria, consente, o meglio, tollera l'uso del capro espiatorio? Perché è utile. Perchè se il capro espiatorio è credibile, si trasforma nel responsabile effettivo. Perchè, in una società complessa, la legittimazione del potere politico in casi di particolare conflitto può passare anche attraverso il "rito sacrificale"
C'è un vecchio racconto popolare ungherese che recita press'a poco così. "In un villaggio viene uccisa una donna. Vengono avviate le indagini, e alla fine i sospetti cadono sul fabbro del paese. Messo alle strette, il fabbro confessa il proprio delitto. Si celebra il processo e l'omicida viene condannato a morte per impiccagione. A questo punto della storia, il borgomastro si accorge che, se il verdetto fosse eseguito, il villaggio perderebbe l'unico fabbro dell'intero circondario. Il borgamastro sa altresì che la comunità dispone di due sarti. Il colpevole, quindi, sarà estratto a sorte tra questi due artigiani. In questo modo il fabbro continuerà a fornire gli strumenti di lavoro, di cui il villaggio ha assoluto bisogno, e l'esecuzione di uno dei due sarti appagherà la "sete di giustizia" della comunità". Quello dei due a cui è toccato in sorte di morire giustiziato sulla forca non è il colpevole, ma il capro espiatorio.
A questo punto, se la questione fosse semplicemente l'alternativa fra giusto e ingiusto, non c'è alcun dubbio che la conclusione dei racconto popolare apparirebbe tout court aberrante. E' infatti aberrante che un innocente paghi, e paghi con la vita, al posto di un colpevole. Ma la questione è un'altra. Anche l'aberrazione ha le proprie regole sociologiche, e di conseguenza finisce con lo svolgere una funzione. Di che tipo? Tutto il libro di Bonazzi ruota intorno a questo interrogativo.
Ora, la nozione di capro espiatorio - vale a dire, qualcuno che paghi per tutti - può ricondursi concettualmente alla seguente relazione: un potere minacciato da una richiesta ostile esige un mutamento, cioè un'azione riparatrice, che lasci tuttavia inalterato la posizione del potere minacciato. Ma affinchè questa relazione sia soddisfatta, sono necessari almeno due requisiti. Il primo è che la "vittima prescelta" occupi nella scala gerarchica una posizione tale, che non mini le basi stesse del potere. Il secondo requisito è che il capro espiatorio sia sufficientemente espressivo da appagare la richiesta ostile.
Esempi ricorrenti li riscontriamo con oggettiva frequenza nel mondo politico. Si verifica una crisi di governo. L'opposizione ne minaccia la caduta. Il capo del governo non può chiedere a questo punto le dimissioni di un usciere (una vittima, cioè, poco espressiva), ma può - ad esempio - imporle a uno dei ministri del proprio gabinetto, scongiurando in tal modo la caduta dell'intero staff esecutivo. Il ministro sacrificato avrà, molto probabilmente, delle colpe; molto più spesso si tratta di colpe da dividere insieme con gli altri. Ma è il solo a pagare.
L'uso politico della colpa implica in chi lo gestisce evidenti capacità tattiche e strategiche, una buona dose di calcolo, una notevole carica di cinismo. Si tratta, in ogni caso, di "virtù" che, se esercitate con disinvoltura, sconvolgerebbero le garanzie tipiche dello Stato di diritto. Sta di fatto che il capro espiatorio trova un terreno particolarmente fertile nei Paesi a regime totalitario e, in parte almeno, all'interno di democrazie più o meno autoritarie. E' in Italia?
Da noi, dove la democrazia, come il patrimonio boschivo-faunistico, ha subito un degrado, paradossalmente l'uso politico della colpa ha una credibilità ridotta rispetto agli altri Paesi. Decine di esempi sono citabili in proposito, tratti dalle cronache degli ultimi vent'anni. Questa è la conclusione alla quale perviene il docente di Sociologia dell'Organizzazione con la sua originale ricerca. Sorprendente quanto si vuole, ma con un fondo di verità.

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