§ CREDENZE POPOLARI

TRADIZIONI PAOLINE




Brizio Montinaro



Il passo degli ATTI DEGLI APOSTOLI: 28, 2-6 in cui Luca racconta l'episodio della echidna (serpe velenoso, vipera) vinta da Paolo è uno fra i più chiosati e controversi.
Si è molto discusso della vipera maltese, soprattutto da parte delle due schiere di contendenti la paternità dell'isola, perchè questo argomento, a seconda delle soluzioni, 'poteva essere a parer loro estremamente importante per la dimostrazione delle proprie tesi.
Coloro che sostenevano il naufragio di Paolo essere avvenuto nell'isola di Mljet in Dalmazia - il Giorgio, capofila - erano interessati a dimostrare, producendo infinite prove e testimonianze di autori dell'antichità e loro contemporanei, che in Malta africana non sarebbe stato possibile alcun miracolo non essendovi mai esistiti serpenti velenosi, nè prima del presunto naufragio di Paolo in quell'isola nè dopo. I loro oppositori, producendo anch'essi infinite testimonianze e sostenuti dall'ardore della fede, sostenevano giusto l'opposto dicendo che proprio in Malta africana, prima di Paolo, vi erano stati serpenti velenosissimi che ben si adattavano alla vegetazione allora presente, al paesaggio pietroso e al clima eccessivamente caldo e che il miracolo di Paolo, e quindi il naufragio, sarebbe potuto benissimo avvenire nella loro isola, anzi, sicuramente era avvenuto.
Si rilegga quanto dice Luca negli ATTI:

"Usciti dal pericolo, sapemmo che l'isola raggiunta si
chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con tanta
cortesia; accesero un gran fuoco per asciugarci le ossa
bagnate e ristorarci dal freddo.
Anche Paolo raccolse una bracciata di rami secchi e,
mentre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, ne
sbucò fuori una vipera che gli si attaccò alla mano. Gli
isolani, vedendo la bestia penzolargli dal polso,
pensavano: "Costui dev'essere un poco di buono se,
appena scampato dal naufragio, la giustizia (divina) non
gli permette di vivere". Ma Paolo scosse la mano, e la
bestia finì sul fuoco, senza che lui ne avesse avuto il
minimo danno. E s'aspettavano di vedergli la mano
gonfiarsi per la morsicatura e lui cadere a terra e morire.
Visto che non gli accadeva nulla, cambiarono opinione e
dissero: "Costui dev'essere un dio"
(1)

Dunque, secondo una lettura realistica del passo, Paolo, subito dopo il naufragio a Malta, con l'intento di alimentare il fuoco che gli isolani avevano acceso per ristorare i naufraghi dal freddo, raccolse una bracciata di rami secchi da cui, mentre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, sbucò fuori una vipera che gli morse una mano.
Luca questo serpe lo chiama echidna. Quasi tutti i traduttori latini, italiani e di altre lingue, sono d'accordo nel tradurre il termine greco con la parola vipera o, più precisamente, serpe velenoso sottolineando così l'attributo essenziale dell'animale. Quindi a Malta, al tempo del naufragio di Paolo, esistevano serpenti velenosi. Lo dice Luca che, essendo medico, se ne doveva intendere, e lo conferma ancora la reazione degli isolani i quali, vista la bestia pendere dalla mano di Paolo e quindi - per l'esperienza che ne avevano - individuato il genere, pensarono che Paolo presto sarebbe caduto a terra morto.
Qualcuno ha sostenuto che la vipera poteva non essere maltese ma, sgusciata via da una nave straniera o da una delle tante navi granarie africane giunte nell'isola, importata (2). Questo non sposta per niente la questione del miracolo però; se così fosse stato, è certo che gli isolani, non abituati a vedere animali simili, non l'avrebbero immediatamente riconosciuta per velenosa e quindi non avrebbero avuto la reazione che ebbero e che Luca descrisse.
Paolo, con la semplicità e l'essenzialità dei grandi gesti destinati a rimanere, scosse la mano e la bestia finì sul fuoco senza che lui ne avesse avuto il minimo danno. Gli isolani a quel punto, vedendolo incolume, pensarono che Paolo doveva essere un dio. E furono proprio loro i primi a credere che quello stesso dio, che poi impararono a conoscere nei tre mesi successivi come l'Apostolo, dominando la vipera, avesse concesso la grazia, all'isola di essere immune dai serpi velenosi e, alla sua terra, di essere medicamentosa contro tutti i veleni. Credenza questa che è giunta fino ai nostri giorni, per via di una solida tradizione orale e di una nutrita serie di scritti.
Prescindendo però da ogni diatriba di ordine morale e religioso, rimane il fatto, comunque, che oggi, nell'isola di Malta, delle quattro specie di serpi classificate dai naturalisti nessuna è veramente pericolosa. Soltanto il serpente gatto (Tarbophis fallax) possiede veleno; ma la sua potenza è appena sufficiente per uccidere la preda di cui si nutre: lucertole, altre serpi e piccoli mammiferi (3).
Contro la pretesa immunità territoriale dai serpi velenosi, vantata dai maltesi, si pronunciò il Giorgio, nella Diatriva 1a della sua voluminosa opera, sostenendo che la terra dell'isola di Malta è "naturalmente" medicinale, che i suoi serpi "senza miracolo" sono privi di veleno e che nulla è da attribuire, per quanto concerne Malta africana, all'opera della divina beneficenza. Per avvalorare le sue idee fece gli esempi di altre terre simili a quella maltese e allora molto note: la Samia, la Chia, la Lemnia, la Gozzitana, la Galatese, l'Armenica ecc., tutte curative e tutte prive di serpenti velenosi e, per conferma, produsse ancora le testimonianze di Solino, Plinio, Lucrezio ecc. La mancanza di veleno nei serpenti di Malta l'attribuì con Aristotele al genio dei luoghi, con Beda alla salubrità dell'aria, con Cardano alle parti bituminose esistenti nel terreno e poi ancora alle esalazioni marine, alle aspirazioni saline e alle miniere di metalli. Bonaventura Attardi gli si oppose decisamente obiettando: "Che forse la Sicilia non abbonda ancor essa di miniere de' metalli, di particole bituminose, d'esalazioni maritime, d'aspirazioni saline? Pure velenosissimi sono i suoi serpenti; già si disse di sopra: ciò ch'è natura in un luogo esser grazia o privilegio in un altro" (4).
Per venire a capo della questione i contendenti di entrambe le parti si sfrenarono, con gli argomenti e gli strumenti propri del Secolo dei Lumi, nelle ricerche e difese più estenuanti; spaccarono, come si dice, il capello in quattro analizzando con la ragione le parole del racconto di Luca ma, forse proprio per l'uso di questo solo strumento, non giunsero ad una conclusione accettabile. Finirono quindi con il contestare, anche per non essere presenti negli ATTI e, quindi, non testimoniate da Luca, tutte le tradizioni dei privilegi maltesi. In effetti l'Evangelista, come si è visto, non ha fatto cenno dell'immunità concessa ai maltesi da Paolo con il dominio sulla vipera, delle qualità miracolose di sanare dai veleni elargite alla terra di Malta e di aver tolto il veleno dalle bocche dei serpenti, nè, forse, aveva particolare interesse a farlo. Il suo racconto, probabilmente, non andava interpretato alla lettera, con estrema razionalità, ma andava letto semplicemente come una grande allegoria, i cui termini erano rappresentati da Paolo, simbolo della nuova religione, e dal serpente, simbolo delle vecchie credenze pagane: da Paolo rappresentante di Cristo e dal serpente rappresentante di Satana. A Luca interessava soprattutto raccontare, e con termini inequivocabili per la loro semplicità, la vittoria strepitosa riportata dall'Apostolo sul demonio e la conversione degli isolani alla vera religione.
Ma, nell'isola di Malta, all'epoca del naufragio di Paolo, devono esserci stati veramente serpenti velenosi; anzi l'isola deve verosimilmente essere stata infestata da essi, se gli abitanti ebbero un culto speciale per Ercole - quel dio che, ancora nella culla, fece fuori due orribili serpenti sprizzanti veleno - e se a lui dedicarono un tempio bellissimo, situato nella parte meridionale dell'isola, nei pressi di MarsaxIokk. Di tale tempio danno notizie e Cicerone e Claudio Tolomeo. Marcantonio Hasciac, ancora nei primi del '600, riferendosi al tempio di Ercole, così scrive: "sontuosissimo era per li vestigii che oggi appaiono" (5).
Tale circostanza chiarisce senza equivoci la seguente frase degli ATTI che altrimenti trova difficile spiegazione: "Costui dev'essere un poco di buono se, appena scampato dal naufragio, la giustizia (divina) non gli permette di vivere". I maltesi cioè videro nel serpente che mordeva Paolo lo strumento di punizione attraverso il quale il loro dio Ercole, noto per essere giusto e punitore dei malvagi, castigava il naufrago straniero; ma il naufrago non morì e vinse così la vecchia religione decretando il trionfo della nuova, che da quel momento cominciò a predicare nell'isola.
L'episodio della vipera debellata, per i maltesi, diventa quindi l'atto di fondazione della loro nuova religione.
Questa interpretazione del passo viene confortata dalla ricchissima iconografia che rappresenta il santo con la vipera cadente dalla mano, o con la vipera accanto, o ancora con la vipera tra le fiamme vicine ai suoi piedi. Tutte le immagini conosciute tendono a porre in evidenza la vittoria dell'Apostolo sul demonio; vittoria che portò alla conversione dei maltesi. E di questo sono pienamente convinti anche tutti gli abitanti dell'isola.
E infatti: "Che cosa significa la vipera col suo veleno? Che cosa significa il fuoco? Nella vipera io vedo figurato Satana, che viene superato da Paolo; nel fuoco io ravviso l'inferno, dove Satana viene relegato, per dare luogo al vero Dio". Così si esprime Mons. Can. P. Gauci, pubblicamente, nel 1900, in occasione della commemorazione del naufragio paolino in Malta (6).
E ancora. Sintesi sublimata dell'episodio della vipera si trova nel simbolo della Chiesa di Malta: uno scudo con una vipera attorcigliata alla spada di San Paolo e un ramo di palma; questo per ricordare a tutti, e sempre, il dominio del santo sulla vipera, sul dragone infernale snidato da Malta con la conversione dei suoi abitanti. Lo stesso concetto è presente nella poesia popolare e colta. "L'idra fatal per sempre e sempre giacque" si dice in un verso di un poeta maltese al quale fa eco il coro del sacerdote Jos. Zammit:

" Tu che togliesti all'angue
La bava del veleno,
Spegni 'l maligni spirito
A quanti e' rugge in seno,
Ferme per Te trionfino
Religione e Fe'".

San Paolo, dunque, vincitore sulla vipera concede, secondo quanto, da sempre, dice la tradizione, alle zone sottoposte al suo patronato l'immunità da tutti gli animali velenosi.
Si ha notizia di due importanti aree sacrali ancora oggi ritenute immuni: quella di Malta, ovviamente, e quella di Galatina in provincia di Lecce. Per il passato, probabilmente, ne sono esistite molte altre, anche nella stessa Puglia, oltre quelle sparse nel resto d'Italia. Si ricordi per tutte quella di Solarino in Sicilia.
A questo punto viene spontanea la domanda: "Perchè, di tutte le aree sottoposte al patronato di San Paolo, solo alcune godono dell'immunità dai serpenti velenosi mentre le altre devono accontentarsi di una generica protezione?". Si ritiene che la risposta sia da cercare nelle condizioni reali, fisico-economiche, delle zone in oggetto. Non bisogna mai dimenticare infatti, come si è già detto, che alla base di ogni credenza vi sono esperienze reali connesse alla vita di tutti i giorni. Se a Malta si è potuta affermare la tradizione dell'immunità dai serpenti velenosi per interecessione di San Paolo e se prima ancora c'era stato il culto di Ercole, è solo perchè questi animali un tempo erano veramente esistiti mettendo in pericolo, di continuo, la vita quotidiana degli abitanti, sia in senso fisico che psichico. Lo stesso discorso può essere fatto per l'area pugliese dove esiste il "feudo" sacro di Galatina immune dal morso della taranta. Oggi il tarantismo, fenomeno mitico-culturale ben definito, è considerato non riducibile al latrodectismo ma certo non è indipendente da esso, in quanto il latrodectismo deve essere considerato, come dice Ernesto De Martino, "una importante condizione storica ed esistenziale per la genesi del tarantismo". Il simbolismo della taranta si è cioè "reso autonomo, nel corso di una certa storia culturale e religiosa, dai reali episodi di latrodectismo relativamente frequenti durante i lavori agricoli estivi (forse un tempo più frequenti di quel che non siano oggi)" (7).
Le aree di immunità furono presenti quindi, e in parte lo sono ancora, laddove condizioni storico-fisiche obiettive resero possibile la loro esistenza.
Il tema "dell'immunità eroicamente garantita dai santi cristiani ha - come dice Alfonso M. di Noia - una notevole frequenza agiografica, così da apparire... come il calco di un locus classicus di diffusione europea" (8).
San Paolo infatti non fu l'unico campione fra i santi a concedere ai fedeli la protezione dai serpenti e l'immunità ad aree ritenute poi sacrali. Per interventi vittoriosi di santi si riscontrano, nelle vaste agiografie medievali, moltissime aree che godono il privilegio d'essere state liberate dai serpenti (9). Nella contea di Somerset in Inghilterra - racconta F. Giacomo Buonamici - si crede che la S. Vergine Hilda abbia scacciato le serpi dal territorio e che alcune di queste si siano pietrificate nella fuga e le si trovi scavando, e siano "senza testa per esserglisi rotte precipitandosi dalle balze" (10). La stessa grazia fu concessa - secondo quanto scrive Vincenzo Caruana - ad altri paesi:

"Ai tempi dell'Imperatore Diocleziano S. Proto viene
esigliato nell'isola di Ercole, piena di animali feroci e
velenosi, per essere dagli stessi divorato, ed egli colle
sue orazioni ottiene di liberare l'isola e la vicina
Sardegna fino ai giorni nostri di tutti gli animali velenosi:
suis precibus impetrasse dicitur, ut omnes noxiae ferae
in ea Insula ac vicina Sardinia usque in praesentem diem
extinctae omnino fuerint"
(11).

Si può portare ancora l'esempio dell'Irlanda:

"dove parimenti nè vi nasce animal velenoso nè altronde
portato puoi vivere. Di Candia nella quale Eliano
conferma per esperienza... esser senza veleno le serpi...
D'Ivizza la cui terra similmente scaccia ed uccide i
serpenti. Dell'isola Majorca e Minorca"
(12).

Si potrebbe continuare a lungo e citare S. Winwaleo, abate nella Bretagna che, pregato dai fedeli, ottenne da Dio la grazia di liberare dai serpenti tutta quella regione, e ancora San Foca Martire (13) e San Vito (14); ma l'elenco diverrebbe inutilmente lungo e non lascerebbe spazio sufficiente per produrre gran parte dei documenti della tradizione scritta che nei secoli hanno provveduto a mantenere desta la tradizione maltese e a maggiormente consolidarla.
La più antica notizia circa l'immunità goduta da Malta, la si trova in quella che passa per essere la prima descrizione dell'isola che ci sia pervenuta, scritta da Giovanni Quintino Eduo e pubblicata nel 1536.
In essa si legge:

"Inoltre a Malta nessun genere dannoso di serpente
nasce nè nuoce portatovi da altro luogo"
(15)

e ciò ovviamente grazie al miracolo di San Paolo.
Nell'ARCHIVIO DELLA CORTE SUPREMA di Malta e precisamente nel Registrum Actorum originalium (vol. 15, anni 1570-1572) vi sono due fogli non numerati, con la data 26 marzo 1571, di estrema importanza sia per l'ufficialità che rivestono sia per la loro data sia per la serie di notizie in essi riportate. Di questo documento avremo modo di parlare ancora quando tratteremo della terra di Malta. Ora ci interessa semplicemente notare che anche in esso vi è coscienza dell'immunità visto quanto vi si dice:

" Facemo fede como in tutta la insula di Malta et del
Gozza niuna specie di Animali venenosi (c'è) et che
fussino venuti da fuor di Malta quelli venero in essa
subito perdino la lor primitiva et mortifera virtu, et per
loro morso non amazano, et saranno senza alcuni
remedij excepta per la gratia divina et intensa virtù per la
intercessione di esso glorioso san paulo apostolo".

Altre due notizie cinquecentesche ci provengono da due manoscritti: uno della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e uno dalla Biblioteca Nazionale di Parigi. Nel primo, anonimo, datato 1598, in una BREVE DESCRIZZIONE DELL'ISOLA Di MALTA è scritto: "Non vi sono serpi di sorte alcuna, e si vi si portano, perdono il veleno" (16). Nel secondo, anch'esso contenente una DESCRITTIONE DELL'ISOLA Di MALTA CON L'ASSEDIO Di SOLIMANO, di Anonimo, più o meno vi si ripete lo stesso concetto.

"Non nasce in questo luogo niuno animale o serpe
velenoso e portatovi d'altrove subito perde il veleno, il
che dicono che glielo tolse San Paulo, sendo quivi
morsicato da una vipera"
(17).

La tradizione dell'immunità di Malta è stata trasmessa anche attraverso il commento di moltissimi studiosi al cap. 28 degli ATTI DEGLI APOSTOLI. Per tutti, si riporta il brano dell'autorevole studioso belga Cornelis Cornelissen van den Staen (1567-1637) noto meglio come Cornelio A. Lapide. Questi certamente conobbe il testo del Quintino tanto da riferirlo pedissequamente nel corpo della sua nota. Qui la citazione è da noi messa in corsivo.

"Dal tempo in cui Paolo in Malta scosse via la vipera,
all'isola fu concesso dal cielo che in essa tutti i serpenti
siano privi di veleno e per quanto mordano qualcuno non
rechino per niente danno; gli isolani chiamano questa
concessione la grazia di San Paolo, il quale in questo
modo li compensò abbondantemente per la loro
accoglienza e ospitalità. A Malta dunque nessun genere
dannoso di serpente nasce nè nuoce portatovi da altro
luogo... Alcuni vogliono che questa immunità dai veleni
sia naturale a Malta... ma sbagliano; infatti gli abitanti di
Malta rimasero meravigliati che San Paolo toccato dalla
vipera non si gonfiasse e non morisse come avevano
visto accadere ad altri. Dunque prima di San Paolo Malta
non era immune dai veleni, a Paolo, di conseguenza,
deve questa immunità"
(18).

Da questo brano, ma non solo da questo, risulta che l'immunità concessa dall'Apostolo i maltesi la chiamano grazia di San Paolo ovvero gratia Sancti Pauli. In tale formula, come risulta da altri luoghi, è compresa sia l'immunità dai serpenti sia la terra di San Paolo utile contro i veleni. Giovanni Francesco Buonamici, comunque, pare convinto, da medico, che la grazia di San Paolo consista proprio nella virtù medicamentosa di tutta la terra dell'isola e che l'immunità dai serpenti velenosi sia solo una naturale conseguenza. Così scrive:

"Anzi io direi, salvo migliore parere, che il primo e
principal miracolo operato allora per mezzo dell'Apostolo
fu aver dotata questa terra della virtù alessifarmaca, e
che quello di spogliar le serpi del veleno fu un effetto
necessariamente consecutivo dell'altro, poichè le serpi
pascendosi, o almeno lambendo, come sogliono, la terra,
questa resa già alessifarmaca veniva in conseguenza a
trar loro il veleno. Muovemi a creder ciò perchè ovunque
le terre sono naturalmente alessiterie le serpi sono
altresì senza veleno e trasportatevi d'altronde o lo
perdono, o muoiono, come si legge d'Evisa isola di
Spagna, della Galita in Africa, di quella di Faros
nell'Egitto ecc."
(19).

Nel BULLARIUM CAPUCINORUM, sotto il titolo Custodia Melitensis, si ricorda la particolare grazia di cui gode l'isola di Malta per l'intervento del santo, il quale operò in modo "ut Serpentes omnes veneno carerent, et quantumlibet aliquem morderint nihil prorsus inferant detrimenti" (20). Marcantonio Hasciac infine, oltre a riportare nella sua RELAZIONE la solita notizia quasi cristallizzata in formula, aggiunge che i serpenti addirittura:

" ... se da poi fuor di questa isola di nuovo sono portati la
malignità de' loro veneni come prima si ripigliano"
(21).

E si potrebbe continuare ancora a produrre citazioni di documenti per dimostrare quanto la notizia dell'immunità di Malta fosse diffusa nell'intera Europa ed ancor oggi lo sia; ma ciò non aggiungerebbe nulla perchè tutti gli altri riscontri rinvenuti in più luoghi (22), dalla metà del '700 ad oggi, non fanno altro che ripetere, come un vero e proprio calco, quanto finora si è già detto.
L'episodio in cui si esplica il dominio di San Paolo sulla vipera costituisce anche il mito di fondazione del potere di quanti, in suo nome e per grafia gratis data da lui, operino liberando dal veleno dei serpenti - nei confronti dei quali hanno grande dimestichezza - con l'ausilio della terra di Malta e, in particolare, della terra della grotta di Rabat, resa curativa contro i veleni dalla presenza stessa del santo, che in detta grotta soggiornò per i tre mesi di sua permanenza nell'isola. Tale prodigiosa facoltà, secondo una tradizione popolare notissima, fu ereditata in modo particolare da una famiglia di consanguinei, di discendenti diretti di San Paolo, che ebbe ramificazioni in Sicilia e in Puglia e, inoltre, dai nati nella notte della Conversione.
Per quanto riguarda l'isola di Malta non esistono notizie esplicite di tradizioni orali o scritte circa operatori che abbiano agito in nome del santo e che abbiano costituito un vero e proprio gruppo, o meglio "clan", vista la loro discendenza divina, come invece è accaduto in Italia. L'unica notizia che si ha per Malta è tarda e viene fornita da Giovanni Quintino Eduo, il quale attribuisce la capacità di maneggiare serpenti senza danno a tutti indistintamente gli abitanti dell'isola e sin dalla nascita, se - come lui dice -, ancora bambini, giocano con gli scorpioni e, da adulti, addirittura li mangiano. Secondo Quintino, che fu testimone oculare di quanto scrive, i maltesi terrorizzavano i serpenti, e ciò non è incongruo visto che godevano del favore del santo. Ecco quanto scrive nella sua DESCRIZIONE DELL'ISOLA DI MALTA:

"Sunt indigenae quasi terrori serpentibus.
Scorpiones, dirum alibi animal, inter manus
lascivientium puerorum conspiciuntur innocui, vidi qui
manderet. Quod Paulo viperam admorso pendentem
digito citra noxam excutienti ferunt acceptum"
(23).

I maltesi quindi avevano l'attitudine a maneggiare gli ofidi indenni. Non si sa invece quando scoprirono la virtù curativa della terra di Malta e come, e in che modo poi se ne servirono, visto che nessun abitante dell'isola poteva rischiare di morire avvelenato per il morso di un serpente, dal momento che serpenti velenosi, per l'immunità concessa all'isola dal santo, non vi potevano esistere. Non è improbabile che queste loro virtù alcuni intraprendenti isolani - è un'ipotesi - abbiano potuto esplicarle emigrando in altre terre meno fortunate della loro. E dove per prima, se non nella vicinissima Sicilia in cui sicuramente erano presenti rettili velenosi? Ed è proprio da quest'isola infatti che giungono le prime attestazioni della presenza di uomini di San Paolo comunemente chiamati cirauli. Giuseppe Pitrè scrive che nelle Pandette dell'antico Protomedicato di Sicilia (secolo XV) - riformate e commentate da G.F. Ingrassia nell'opera CONSTITUTIONES ET CAPITULA, NECNON ET JURISDITIONES REGII PROTOMEDICATUS OFFICII (Palermo 1564) - a pagg. 6 e 7 si dice che nel '400 erano soggetti al protomedicato anche i Psilli "quos chiraulos vulgo nuncupamus (nisi ex pura Divi Pauli Apostoli virtute sibi a natalitiis indita, sine medicamentis operentur)" (24).
La convinzione che erano esistiti, e potevano ancora esistere, uomini che maneggiavano indenni i rettili e che avevano poteri speciali contro i veleni non appartiene quindi solo all'ambito popolare, ma anche all'ambito colto e alla classe egemone dell'epoca. E' proprio quest'ambiente ufficiale anzi, a cui certo non difettava la conoscenza di opere di storici e naturalisti di età classica, che crea la saldatura tra i nuovi serpari di ascendenza paolina e le vecchie stirpi di Psilli, Ofiogeni e Marsi e sostiene, almeno per un certo tempo, la loro figura magico-religiosa. La spia che suggerisce tale ipotesi la si può individuare proprio in quanto dicono le Pandette del Protomedicato di Sicilia, prima citate, quando uniscono in maniera indissolubile gli Psilli ai cirauli: "Psylli quos chiraulos vulgo nuncupamus". Ma non solo. Analogo innesto della tradizione dei sanpaolari a quella dei Psilli e dei Marsi viene operato, alcuni secoli dopo, anche da Ignazio Giorgio nel paragrafo IX della IV diatriba, considerazione III, in cui traccia le false origini degli uomini di San Paolo e, fatto molto importante che convalida la nostra ipotesi, e dice della protezione che essi goderono da parte di certi uomini dotti, protezione che procurò loro la fiducia anche dei più cauti fautori dell'autorità e, di conseguenza, un certo carisma.
Il Giorgio così si esprime:

"Tandem Psyllorum, Marsorumque familiam in sanctius
nomen mutarunt: cumque Divum Paulum, nossent post
morsum viperae in Melita incolumem superfuisse,
tanquam, ea virtus Apostoli foret naturalis, atque
haereditaria, quaeque in posteros per propaginem
dilataretur, sese haec nefaria mendicabula, irrisoresque
Superorum, ex Pauli familia, et cognatione dixerunt;
sacrae appellationis obtentu fraudibus fidem conciliari,
et facilius aeruscula e plebe corradi posse arbitrantes.
Erexere cristas, ubi doctorum quorundam hominum
patrocinium nacti sunt. Quippe hinc factum est, ut
ingenitae suis corporibus pharmaceutices, quam pridem
solis mulierculis et infimae multitudini insusurrabant,
apud quosdam etiam prudentiores ex fautorum autoritate
fidem invenirent"
(25).

Lo stesso Ignazio Giorgio poi, uno dei più accaniti oppositori della gratia gratis data ai sanpaolari, in altro passo della sua opera non mette certo in discussione l'esistenza di uomini idonei a ricevere in sé il beneficio suddetto. Nega assolutamente però che tale beneficio sia stato ricevuto dagli uomini di San Paolo: "affermo la possibilità - dice - non anche il fatto" (26).
A questo punto, prima di verificare quanto la stirpe dei sanpaolari si sia sovrapposta anzi, meglio, abbia ereditato l'immagine di antiche stirpi' che, come dice Plinio, "incutevano terrore ai serpenti", è opportuno forse dare qualche cenno su quelle etnie che tanto fecero parlare di sé gli antichi e si potrebbe dire fantasticare, per le qualità quasi sovrumane loro attribuite.
Psilli, Ofiogeni e Marsi furono molto noti nel mondo antico, almeno in epoca romana, per l'attitudine che possedevano di trattare serpenti pericolosi senza riportare nocumento alcuno e per la facoltà che avevano, per natura, di guarire i morsicati da animali velenosi.
Prima notizia dei Psilli pare si trovi in Erodoto, ma già al suo tempo (484-406 a.C.) sembra fossero scomparsi da un pezzo. Lo storico greco così descrive la loro fine anche se poi, da quanto riferisce, con un inciso prende le distanze:

"Vicino ai Nasamoni c'è il paese dei Psilli...
Il vento Noto soffiando disseccò loro le cisterne delle
acque, e il paese loro che è all'interno della Sirte, era
tutto senza acqua; essi allora, tenuto consiglio, di
comune accordo marciarono contro il vento (dico quelle
cose che dicono i Libici), e quando furono nel deserto, il
Noto spirando li seppellì"
(27).

La storia dei Psilli comincia dunque con la loro fine. Tutto ciò che di essi si dirà nei secoli successivi ha, quindi, obiettività e verità molto relative, per l'assenza di testimonianze sincrone. Varrone (116 a.C. - 27 d.C.), qualche secolo dopo, ci lascia intendere che Psilli e Ofiogeni facevano parte di un'unica stirpe d'uomini: i Parii, "i quali vengono chiamati Ofiogeni e, in Africa, Psilli" (28).
Strabone (66 a.C. - 24 d.C.) degli Ofiogeni racconta che erano "imparentati con i serpenti" (29) e che il loro potere antiofidico veniva trasmesso ai soli maschi della famiglia.
Per gli Ofiogeni si può avanzare l'ipotesi che costituissero un vero e proprio clan; ma la stessa ipotesi in verità può essere estesa ai Psilli e ai Marsi. Varrone conforta questa nostra idea rivelando la tecnica di controllo che essi usavano per verificare la purezza della razza:

"Se pensano ci sia nella stirpe qualcuno di loro non
puro, lo espongono perchè il serpente lo morda: se non
è, muore appena viene morso; vive, se discende dalla
stirpe"
(30)

La stessa tecnica, secondo quanto testimonia Plinio, fu utilizzata dai Psilli anche se, apparentemente, solo per verificare la fedeltà delle donne:

"Questi avevano per costume quando nascevano figli di esporli (ai più
velenosi serpenti) per provare la fedeltà delle loro donne: davanti ai
figli adulterini i serpenti non fuggivano"
(31).

Ulteriore conferma di questa tecnica si trova ancora in Eliano (32), scrittore greco vissuto a Roma nel 3° secolo d.C.
Psilli, Ofiogeni e Marsi avevano, per natura, notevoli qualità antiofidiche e curative; essi, secondo Plinio, provocavano la guarigione dei morsicati "con il solo toccamento o con un piccolo succhio della ferita" (33). Degli Ofiogeni, in particolare, Plinio dice che erano "capaci di sanare con il contatto il morso dei serpenti e, imponendo la mano, di estrarre i veleni dal corpo" (34). Eliano riferisce una interessante e particolareggiata notizia circa la tecnica di guarigione in uso presso i Psilli. Essi, dice,

"avrebbero giovato ai morsicati tutte le volte che
avessero sputato saliva sulla ferita: o, se il veleno fosse
penetrato profondamente nei corpi, tutte le volte che
avessero dato da bere al morsicato acqua per lungo
tempo rigirata nella loro bocca e con la quale si fossero
lavate le mani, e infine, se il tenace veleno avesse
resistito, tutte le volte che avvicinati al ferito, avessero a
lui aderito ponendosi sopra nudi al nudo"
(35).

L'uso della saliva per guarire il morso dei serpenti velenosi era attribuito da Plinio, oltre che agli Ofiogeni e ai Psilli, anche ai Marsi; a proposito di questi ultimi scrive:

"Simile è la stirpe dei Marsi che dura ancora in Italia.
Dicono di aver preso origine dal figlio di Circe e di
possedere una certa virtù naturale. Infatti ogni uomo ha
un antidoto contro i serpenti: questi fuggono via quando
sono colpiti dalla saliva dell'uomo, come al contatto di
acqua bollente: e se questa saliva penetra nelle loro
fauci muoiono, soprattutto se è saliva della bocca di
uomo a digiuno"
(36).

I Marsi inoltre riuscivano ad addormentare i serpenti per mezzo del canto e del suono. Sono molte le fonti in proposito. Una tecnica di addormentamento degli ofidi sicuramente possedevano anche gli Ofiogeni (37) e i Psilli i quali, in particolare, avevano nel loro corpo un veleno mortale per i serpenti perchè il solo odore li faceva addormentare (38).
Se questi erano, in brevi tratti, i Psilli, gli Ofiogeni e i Marsi secondo le fonti di alcuni scrittori classici, vediamo ora come è giunta a noi, attraverso la tradizione, l'immagine dei serpari nostrani - in particolar modo di quelli che sostenevano discendere direttamente dallo stesso San Paolo o che a lui in qualche modo si riallacciavano - conosciuti in particolare con il termine di sanpaolari e in genere come cirauli, ceravoli, ciaralli, ciarmari, ciarmatori e ceraldi. Per quanto concerne l'area abruzzese, i serpari assunsero il nome di sandomenicari, costituendo un'altra potente famiglia sottoposta però al patronato di San Domenico.
Un primo accenno all'origine della particolare virtù di guaritori dei sanpaolari si trova nelle già citate Pandette dell'antico Protomedicato di Sicilia (secolo XV). In esse si dice che gli uomini di San Paolo traggono la loro forza di medicare dal giorno dei loro natali. E Giuseppe Pitrè riferisce appunto di alcune antiche credenze molto diffuse in Sicilia, secondo le quali "chi nasce nella notte di San Paolo ha virtù soprannaturali non comuni a nessun altro mortale". E aggiunge:

"Egli è forte e prosperoso, maneggia impunemente le
vipere, le aspidi, i serpenti, i rettili velenosi d'ogni
genere, se li può attorcigliare addosso, riporseli in seno,
fa fronte ai licantropi, e se passa la lingua su' morsicati
da codesti animali, subitamente li guarisce. La quale vis
medicatrix deriva in lui dall'aver sotto la lingua un
muscoletto in forma di ragno"
(39).

E' senza dubbio molto difficile individuare con sicurezza l'area di provenienza dei sanpaolari. Pare ragionevole comunque pensare, come già si è detto, che se essi hanno avuto origine in Malta, certo in Sicilia, nel Medioevo, hanno completato la loro formazione, trovato l'area di più facile diffusione e forse anche mistificazione. Non bisogna dimenticare, allo scopo, che Malta e Sicilia hanno avuto per secoli la stessa sorte politica, da quando Ruggero I di Normandia, conte di Sicilia, sbarcò a Malta nel 1090 approfittando del malcontento che vi si era creato negli ultimi anni della dominazione araba e la conquistò con un attacco a sorpresa. Le prime notizie, ormai storiche, sull'esistenza di uomini che hanno dimestichezza con ofidi e che non mettono in dubbio la serietà e la sincerità dei maneggiatori di rettili riguardano dunque proprio i due territori prima citati. Per quanto concerne l'isola di Malta in particolare bisogna fare poi una breve considerazione. La notizia fornita da Quintino Eduo, già citata, risulta essere, come si è detto, anche l'unica e comunque, bisogna sottolinearlo, riguarda tutti gli isolani e non solo un gruppo di essi. Non esiste infatti in Malta, e pare non sia mai esistita, una tradizione orale o scritta riguardante particolari uomini che, immuni dai morsi di serpenti velenosi, operino guarendo per naturali loro virtù coloro che dai morsi dei rettili siano stati avvelenati. Queste qualità curative i maltesi credevano, e in molti ancora oggi credono, risiedessero esclusivamente nella terra della Grotta di Rabat dove il santo naufrago abitò per tre mesi, e nelle glossopietre. La loro fede, alquanto ortodossa, non ha mai permesso troppe fantasie magico-religiose che comunque, in Malta, non sarebbero state possibili, anche perchè in contrasto con l'altra credenza molto radicata: quella sul godimento generale dell'immunità.
Altri centri di diffusione e irradiazione di serpari sono stati l'Abruzzo e la Puglia, con zona di massima frequenza il Salento (40). Per quanto riguarda l'area abruzzese, la loro presenza appare giustificata dall'antica tradizione marsa sulla quale poi si è innestato, come si è già detto, il quadro subalterno cristiano-popolare legato al culto di San Domenico. Per l'analisi del ramo abruzzese dei serpari si rimanda al saggio, informatissimo e illuminante, di Alfonso M. Di Nola (41). Per quanto riguarda invece il Salento, la presenza dei serpari è difficilmente comprensibile, se non si ipotizza come molto antico il culto di San Paolo in Galatina e non si tiene presente il continuo afflusso di siciliani, e quindi della loro cultura, in Puglia ai tempi di Federico II. E' proprio per loro tramite, infatti, che si sarebbe potuta diffondere la figura sociale dell'incantatore di serpenti e guaritore.
Proseguendo nel delineare la figura e la storia possibile dì questi affascinanti personaggi, ci si accorge ben presto, in base alla notevole mole di informazioni che ci sono giunte-tutte tendenti a smascherare furberie e inganni -, di trovarci di fronte a una figura diversa da quella incontrata in principio di quasi medici e molto simile, al contrario, a quella di veri e propri ciarlatani di piazza. Accanto ai detrattori, furono in molti comunque a continuare a credere fermamente all'esistenza di un gruppo di uomini di San Paolo autentici, sinceri e operanti senza imbrogli. Ma che cosa era accaduto nella realtà? La figura dei sanpaolari guaritori deve aver goduto di fascino, di carisma enorme e di grande fortuna presso le masse popolari, soprattutto contadine, inermi e desiderose di protezione, se ben presto mutuarono la loro immagine imbroglioni disperati, che con il rischioso mezzo della simulazione cercarono di risolvere il problema della fame quotidiana.
Le condanne morali e le denunce d'inganni rivolte ai sanpaolari d'epoca moderna, come vedremo, non costituiscono però un fenomeno nuovo; stesse condanne e stesse denunce vennero rivolte anche alle vecchie stirpi dei Marsi, dei Psilli e degli Ofiogeni. Anche l'immagine mitica, ma certo con riscontri nella realtà, di questi antichi operatori deve essersi ben presto deteriorata, doppiata da imbroglioni (circulatores, nugivendi, nebulones ecc.), se già il famoso medico Galeno (138 - 201 d.C.), nel suo DE THERIACA AD PISONEM, così si esprime smascherando la loro arte di catturare i serpenti e di maneggiarli indenni senza trucco alcuno:

"Questi dopo aver preparato con furberia le vipere,
ingannano quelli che stanno a guardare. Prendono infatti
le medesime in un momento adatto, molto tempo dopo
che sono uscite dai loro covi, quando non hanno più
forza. Dopo averle catturate ed averle abituate alla loro
presenza, non le nutrono con i consueti alimenti, ma con
la carne. Costrette a morderla, fanno uscire il veleno che
tengono nella bocca. Alcuni fanno mangiare alle vipere
delle focacce, che, ostruendo i fori dei denti, rendono
innocui i loro morsi: è questo che fa tanto meravigliare
gli spettatori, ignari delle arti che costoro adoprano per
mascherare il loro inganno"
(42).

Alla condanna di Galeno, che poi peserà su tutti i serpari per secoli, si aggiunge una nota di Arnobio (morto nel 327 d.C.), non meno pesante, nella quale, oltre la condanna esplicita degli inganni, si può notare chiaramente che Psilli e Marsi non sono più termini etnici designanti una funzione sacrale, ma banali nomi comuni parificati a quelli correnti di institutores e plani:

"Contro gli assalti nocivi e i morsi dei serpenti velenosi
spesso cerchiamo rimedi e ci proteggiamo anche con le
lamine (amuleti) che vendono i Psilli, i Marsi e altri
ciarlatani e saltimbanchi"
(43).

L'immagine predominante dei sanpaolari che ci perviene attraverso i testi scritti del XVI, XVII e XVIII secolo è soprattutto un'immagine negativa. Ma già nei medievali STATUTI MEDIOLANENSES, secondo quanto ci riferisce Piero Camporesi, venivano classificati come "Avantatores corregiolae, pulverae, dantes gratiam Sancti Pauli, aut Sanctae Apolloniae, aut praedicantes brevia pro febribus": (44) avantatores, ciarlatani cioè. Però è nello SPECULUM CERRETANORUM di Teseo Pini, scritto intorno al 1485, più di un secolo prima cioè della notissima, anche in questo senso, PIAZZA UNIVERSALE dei Garzoni, che si trova una vera e propria denuncia e accusa delle raffinatissime simulazioni e delle astuzie dei sanpaolari e dei vari ciarlatani che dicono discendere dalla "Casa di San Paolo". Riportiamo qui, per intero, il capitolo XXVII, che ha per titolo De' Pauliani, da IL VAGABONDO di Rafaele Frianoro, il quale altro non è che la traduzione secentesca del testo latino dei Pini:

"Questi dicono trar l'origine da San Paolo Apostolo, il
che è falsissimo, essendo noi obbligati a credere più a
San Girolamo e ad altri autori che scrissero la vita di
questo Santo Apostolo, che a questi furbi, poichè egli,
sebbene ebbe stimoli della carne, tuttavia li superò con
l'aiuto di Dio, non avendo dunque avuto moglie, né perso
il fiore della verginità. Nondimeno li pauliani dicono di
discendere da lui, e in segno di ciò scacciano i serpenti
e bevono e mangiano cose velenose senza nocumento:
qual grazia dicono che ottenesse San Paolo da Dio per
sé e i suoi successori nell'isola di Melite, ovvero Malta,
quando fu morsicato da una vipera.
Mentre ch'io ero giovinetto in Roma, mi ricordo aver
sentito dire con le proprie orecchie da un saltimbanco
gran ciurmatore che San Paolo aveva concesso grazia
alle persone d'una casa dell'isola di Malta, che fusse
sicura con tutti i suoi discendenti da' veleni, e che con
certa terra data a bere potessero risanare e preservare
ciascheduno da' morsi de' serpenti. E in segno che egli
era un de' discendenti di quella casata, mostrava sopra
le spalle il segno di un serpe, quale io vidi con gli occhi
propri. Ma perché ho scoperto che questo segno è
artificiale, non naturale, però acciò si veda la lor malizia,
descriverò il modo. Prima disegnano sopra il braccio
o spalla un serpe, poi con la punta d'un sottilissimo aco,
fanno piccolissime punture sopra di quel disegno, le
fregano dopo con fuliggine o polvere di carbone ovvero
con sugo d'altre erbe, e imbevendosi la carne per le
punture della forata pelle di quel colore, resta
perpetuamente il segno e le macchie negre in forma di
serpe nella pelle bianca; il che mostrando a tutti
pubblicamente, fanno credere con questa fraude alle
genti inesperte che sia vero quanto dicono.
Li serpi che maneggiano e si circondano al collo con
tanto stupore della plebe ignorante, son presi da loro al
tempo dell'inverno quando hanno poca forza e veleno, li
purgano e macerano con gran digiuno; dopo li dànno a
mangiare crusca o semola con butirro, e li empiono il
ventre alle volte per forza con questa materia, qual non
potendo in sé ritenere a vomitandola, con essa ancor
vomitano il veleno e perdono la malignità che hanno
dentro il sé; onde poi né anche assicurandosi di queste
bestie, essendosi prima armati in casa con buona triaca
e in pubblico bevendo di quella lor pietra che dicono di
San Paolo, quale ha naturale proprietà contro veleni
(sebbene alle volte da lor finta), si fanno mordere e
pungere da' serpi senza pericolo della vita; e con tal
mezzo vendendo quella pietra e ciurmando questo e
quello, raccolgono più danaro in un mese ch'io non farei
con l'esercizio mio in due anni.
Non voglio ora stare a raccontare come si preparino
avanti che piglino i veleni, col mangiare alcune erbe o
cibi conditi con olio, grasso, butirro, fegato, trippa e
simili. Né come invece di solimato, risogallo, antimonio,
arsenico e simili veleni, che mostrano pigliare
pubblicamente per le piazze, mangiano amido ovvero
zucchero. Né meno conviene por qui le cantilene e
parole che dicono per fermare, prendere e incantare i
serpi, perchè essendo proibito il dirle è anche più vietato
il scriverle e insegnarle. Al tempo di Paolo III in Roma,
un villano sagace per far un bel colpo, portò chiuso
dentro una pignatta un aspide velenoso ad uno di questi
pauliani che in piazza pubblicamente vendeva e ciurmava
con la sua pietra, mostrando il segno del serpe che
aveva nelle spalle a tutti gli uomini poco pratichi: questo,
promettendo molto di se stesso, si fece mordere nella
lingua, ma l'animale, che niente era purgato, l'avvelenò
in modo, che di subito gonfiandolo tutto in breve ora
scoppiò, senza trovarsi rimedio a quel veleno. La virtù
dunque predicata di San Paolo in lui scesa per tante
generazioni, non li apportò in quel frangente alcuno
aiuto; e perchè era falso quanto diceva, il tempo, padre
della verità, lo scoprì
(45).

E' da ritenere, come si è detto che non ci sarebbe stato un così forte accanimento nello smascherare i ciarlatani di piazza, se non ci fossero state altre figure di sanpaolari, vaganti per i borghi e i villaggi d'Italia e di gran parte d'Europa, da difendere perchè ritenuti i veri portatori della grazia di San Paolo e i propagatori della terra di Malta. Chi se non loro, quelli autentici si intenda, ha diffuso sino nelle Indie la notizia della ottima e arcifamosa terra melitensis? Un fatto comunque rimane: in base ai documenti conosciuti, molti credevano veramente all'esistenza di uomini capaci di maneggiare serpenti e di curare i morsi dei rettili velenosi. Alcuni religiosi, naturalisti e medici del '600 e del '700, se da un lato erano pronti a condannare i falsi sanpaolari, dall'altro credevano fermamente, anzi testimoniavano, di aver loro stessi visto di persona o aver avuto racconti di prima mano dagli interessati, nell'esistenza di uomini singoli o di intere famiglie che, per discendenza o per iniziazione, riuscivano a guarire i morsicati da ofidi velenosi in nome del santo che a Malta debellò la vipera.
Uno di questi studiosi, oltre il Giorgio già visto, fu il Mattioli il quale, dopo aver fatto una lunga e dura requisitoria contro questi ciarlatani smascherandoli in tutte le loro misere astuzie e nei loro inganni, affermò quanto segue:

"... non però per questo dirò io, che non si ritrovino
alcuni, che per una certa virtù del cielo acquistata per
alcuno influsso delle stelle fisse nell'hora della lor
generatione, non habbiano propria virtù di non poter
essere morsi da i serpenti" (46).

poi passò a narrare addirittura l'incredibile storia del romito, molto suo amico, che curava nei pressi di Roma tutti coloro che erano morsi da serpenti velenosi e persino a distanza:

"Subito dunque, che qualch'uno era morso, mandava un
messo al romito, da cui intesa la cosa, gli addimandava,
se voleva tor la medicina per colui, che era stato
percosso: et se rispondeva di sì, gli si faceva mettere il
piede destro nudo in terra, et con un coltello lo
circondava tutto per intorno, di modo che la forma
rimanesse; dopo al che, fatto levar via il piede, scriveva
in detta forma con la punta del coltello queste parole:
"Caro caruze, sanum reduce, reputa sanum, Emanuel
Paracletus". Poscia rastiava con la terra, fin che tutte le
lettere fussero disfatte: et metteva quella polvere in una
scudella d'acqua, et lasciatala andare al fondo la colava
con la camicia del messo: et poscia, fattovi sopra il
segno della croce, gliela dava a bere. Dopo al che si
ritrovava per cosa certa, che in quell'hora si risanava
l'ammalato"
(47).

Al Giorgio e al Mattioli si aggiunsero, ancora più espliciti, Tommaso Fazello (48), Bonaventura Attardi (49) e Michel Ettmüller. Quest'ultimo, dopo aver riferito delle capacità che possedevano certi uomini di uccidere i serpenti e le vipere con la saliva e di sanare dai morsi di animali velenosi, asserì:

"Un amico degno di fede mi riferì che un tale dono è
elargito dal cielo e che è proprio di certi uomini in Italia
che, nati nel giorno della festa di S. Paolo, abbiano un
segno di serpe o di vipera sotto la lingua o in altra parte
del corpo. Di ciò lealmente (il mio amico) affermò di
essere testimone oculare"
(50).

Non è una donnicciuola ad esprimersi così. E' il grande medico e fisico che tanta fama ebbe in tutt'Europa nel XVII secolo.
Continuando a costruire l'immagine del sanpaolaro, importante è senz'altro la testimonianza di Ignazio Giorgio, il quale riunì in sei punti le frodi dei ciurmatori. Si riporta qui la traduzione che del passo dà Bonaventura Attardi:

"I - Che spacciano la virtù loro più efficace, e più vigorosa ne' giorni di Mercoledì, è di Venerdì, che non sia tale negli altri giorni.
Il - Che posto a confronto un ciarmatore con l'altro, chi di loro possiede maggior virtù, impedisce, e ritarda la virtù del suo Competitore.
III - Ancorchè non si fussero tra di loro veduti, conoscersi l'un l'altro, e l'altro con l'uno.
IV- Mancare la virtù loro, qualora due Ciarmatori s'unissero a pranzo insieme.
V - Che il pane morsicato da Ciarmatori, divenga medicinale.
VI - Che il loro tatto sia agl'infermi salutifero".
(51)

Appare chiaro, da quanto finora si è detto, che la figura tradizionale del sanpaolaro si è in parte plasmata sulla figura degli antichi Psilli, Ofiogeni e Marsi. Gli uomini di San Paolo infatti - come le stirpi specializzate dell'antichità - vantavano ascendenze divine e caratteristiche etnicoclaniche, godevano dell'immunità per trasmissione ereditaria, guarivano i morsicati con la saliva e con il tatto e incantavano i serpenti con l'uso di speciali formule (52). Si è detto "in parte" perchè molte furono le loro caratteristiche dovute, come abbiamo visto, proprio all'ascendenza paolina (la terra di Malta fu l'elemento più vistoso) o ad invenzioni e suggestioni autonome suggerite da situazioni contingenti di supremazia nei confronti di gruppi di serpari concorrenti, che godevano di altri patronati, o di falsi serpari della genia dei ciarlatani. La loro figura, con il tempo, si arricchì anche di caratteristiche presenti in famiglie particolari, che esistevano da tempi molto antichi e che, dichiarando particolari ascendenze, ritenevano di possedere facoltà prodigiose di guarire certe malattie.
Giuseppe Pitrè, in un suo breve saggio, (53) dà notizia: della famiglia del Potenzano, che poteva guarire ferite varie e malattie di ogni tipo; della famiglia de' Grassellini, alla quale fu concesso di guarire con la sola saliva le malattie cutanee; di quella dei Cirauli, che curavano i morsi di animali velenosi; di una famiglia di Cancelli e di molte altre ancora. Tali famiglie privilegiate non erano presenti solo in Italia. In Spagna venivano chiamate genericamente Salutatores o Sanatores; in Italia alumni S. Catherinae, se avevano per simbolo la ruota; in Belgio filii Parasceves, se nati il Venerdì di Passione. Tutte queste famiglie possedevano una vis medica e per essa godevano di particolare prestigio. Il sistema di trasmissione del potere era ereditario. Anche il primogenito della Casa d'Aumont, in Borgogna, aveva la prerogativa di sanare malati e anche i Re di Francia, i quali dal Delfino in poi, cui Dio concesse per primo tale privilegio, ereditarono la facoltà di guarire la scrofola. Grande celebrità godettero in passato anche i Cavalieri di S. Uberto di Ardenne, sempre in Francia, i quali si vantavano di discendere da S. Uberto, appunto, e di guarire i morsi dei cani arrabbiati. Poteri speciali aveva anche il settimo di sette figli tutti maschi.
Per tornare alle famiglie dei sanpaolari ecco un passo di Bonaventura Attardi, in cui si parla della famiglia dei Cirauli di S. Filippo di Agira e delle sue particolari prerogative. Da notare che il nome comune ciaulo qui è diventato un vero e proprio cognome. E' un segno di decadenza della famiglia dei serpari?

"Vi fu nella mia Patria S. Filippo d'Agira, una famiglia da
me conosciuta, e conosciuta ancora da tutti i miei
Cittadini, chiamata colà volgarmente la casa de Cirauli,
aveva questa famiglia, sì Uomini, come Femine virtù tale
contro il veleno de' Serpenti, che appena toccava con la
Saliva le morsicature, che oprava portentose meraviglie;
anzi ove più cresce lo stupore, che trovandosi ancor
lontani i poveri morsicati in certa tale distanza, con il
disseccamento della Saliva in bocca, conosceva quella
famiglia il vicino arrivo de' morsicati, Di più tutte le
Femine di questa famiglia possedevano tale virtù in
stato verginale, passate dopo a stato di matrimonio, la
perdevano; Ed io di questa famiglia ho conosciuto un
sacerdote, chiamato D. Antonino Ciraulo, ed una sua
Sorella di cui non sò il nome, ma tutti i miei Cittadini
possono fare piena fede".
(54)

Più in là, poi, continua dicendo:

"Tanto in Palermo, come in Sircausa, in Noto ed in Foligno,
ritrovansi queste persone, o famiglie, che hanno
ottenuta da Dio a riflesso de' meriti di San Paolo questa
grazia, e non avere contro Serpenti quell'orrore, ch'anno
gl'altri, Li maneggiano senza timore, e li trattano
senz'offesa; Ed io ch'ho parlato qui in Palermo con una
Signora Sorella di un Confratello Religioso, chiamata
Signora Paola, nata la notte della Conversione di San
Paolo a 25 Gennaro, m'ha confessata tale dimestichezza,
e di non aver de' Serpi nessun orrore, anzi m'aggiunse
d'averla pratticata questa virtù, e portarne sotto la lingua
un Ragno per contrassegno".
(55)

Nonostante questa testimonianza ed altre simili, la figura dei sanpaolari, che affiora dalle tante opere letterarie e scientifiche dell'epoca, è comunque e soprattutto un'immagine negativa. Si può affermare, con buone probabilità di non errare, che già dal XVI secolo al sanpaolaro si è sostituito, quasi completamente, il ciarlatano sedicente sanpaolaro. Tommaso Garzoni (56), Ulisse Aldrovandi, (57) Martin del Rio, (58) Thomas Coryat, (59) Bernardo Cesio, (60) Scipione Mercuri, (61) P. Gaspar Schott (62) ed altri scrittori europei è di lui che parlano. E sono proprio questi autori che, spesso citandosi a vicenda a riferendo veri e propri topoi, costruirono per noi, con pennellate non lievi, il personaggio del ciarlatano sanpaolaro che, essendo gemello delle vipere, strombazzava a piena voce di essere della stirpe di San Paolo. Per suscitare la meraviglia degli uomini ingenui nelle fiere, nei mercati e nelle piazze di città e borghi, egli portava in giro esibendoli serpenti addomesticati che descriveva come mortiferi rettili; serpenti che, invece di catturare in Africa, come diceva, catturava in terre meno assolate, meno lontane, più domestiche e in epoca di letargo, premunendosi comunque con antidoti contro i morsi e cospargendosi con accortezza le mani con qualche unguento sperimentato per tale tipo di caccia. Per essere più convincente ancora e per dimostrare la sua virtù, dava spettacolo facendosi mordere in più parti dal serpente che portava con sé, al quale in precedenza aveva tagliato con forbicine le ghiandole velenifere o tolto il veleno con altri sistemi. E tutto questo per poter infine spacciare un po' di falsa terra di Malta e guadagnare pochi soldi. Attore consumato, per mostrare ad un pubblico attonito ed impaurito la sua autentica ascendenza paolina, arrivava persino a sfidare spavaldamente i serpari concorrenti apparsi sulla stessa piazza, specialmente se sandomenicari, allo scambio delle vipere, facendosi mordere poi sulla lingua o in altre parti del corpo dal rettile dell'avversario. Queste disfide spesso si concludevano tragicamente, con la morte di uno o di entrambi i contendenti, per un ennesimo inganno: quello di aver dato nello scambio all'avversario un rettile non preparato, ma veramente velenoso. Non c'erano formule magiche, o pastiglie cotte o pezzi di pietra o terra di San Paolo venuta direttamente dalla Santa Grotta che tenessero, quand'era così. La morte non guardava in faccia i disperati e definitivamente li condannava. E condannati venivano anche, sia dalla Legge, che non tollerava le loro disfide, sia dalla Chiesa.

"Nel LIBRO DELLE CONDANNAZIONI del Magistrato
degli Otto di Firenze, si trova, sotto la data del 4 giugno
1451: M.°' Ferrante di M.° Francesco di Leccio
ciurmatore per aver morto con le serpi M.° Alessandro
ciurmatore fu condannato a essergli mozzo il capo in su
la porta del Bargello e confiscati i beni. Poi in nota è
scritto: per gratia di S.E. fu liberato".
(63)

Altre condanne venivano inferte loro perchè spesso non avevano la licenza di esibirsi in pubblico nelle piazze. I sinodi li perseguitavano, (64) e la fame li mordeva. Per difendersi, si unirono in vere e proprie compagnie di vagabondi che, "come il calzolaro, il sarto, l'orefice et SimiIi" (65), lavoravano secondo la loro arte. Si hanno notizie di una di queste compagnie detta degli "Imbonitori, che sono quelli che vendono li anelli falsi et la terra della gratia di S. Paolo, et ingannano li villani stupendamente". (66) Degli uomini di San Paolo, se mai sono esistiti, ormai non c'era quasi più traccia. Predominavano i che sfruttavano la loro immagine. E sempre, come prima s'è visto, sotto la scarica delle condanne dei laici.
Nessuna testimonianza invece si ha di condanne subite dalle famiglie (prima citate) di reali, di cavalieri e di gentiluomini. Esse facevano parte della classe dirigente, di un ambiente che non era possibile mettere in discussione. Ancora una volta il mondo egemone contrapposto pesantemente al mondo subalterno. Un mondo di signori, che non accettava lo sforzo fatto da tutta una sorta di emarginati per risolvere il quotidiano problema della sopravvivenza, la battaglia più spietata che l'uomo possa combattere. Saltimbanchi, giocolieri, ciarlatani, sanpaolari, cui non sempre le loro interminabili peregrinazioni per feste e mercati procuravano il pane, si avvicinarono sempre di più alla figura dei mendicanti. Come questi, trovavano vitto o alloggio per una notte in qualche pagliaio, o si intrufolavano in esso senza permesso e poi ripartivano trascinandosi dietro le loro chincaglierie; nel nostro caso: cassettina con i rettili e sacchettini di terra comune spacciata per terra di Malta.
Generalmente, sempre più perseguitati, non riuscirono a campare con il loro mestiere - frutto sublime di immaginazione, fantasia e rischio - di veri artisti e furono costretti alla mendicità. Questa precarietà, questo vagabondaggio, minaccia costante per la loro stessa vita, divenne poco a poco minaccia alla sicurezza dei ricchi, di coloro che vivevano "a pancia piena". Ciarlatani e vagabondi vennero strettamente collegati a banditi e ad assassini per quel tramite che li apparentava: la fame. Un'ombra sinistra calò così sulla figura di questi finti-sampaolari e di tutto quel mondo fantasioso di pezzenti finti-storpi, finti-ciechi, finti-attarantati; un'ombra che fece svanire la loro estrosa immagine nel nulla. E noi, che oggi indaghiamo sulla loro esistenza, li troviamo più presenti nei documenti d'archivio, nei verbali d'interrogatorio, implicati in processi, che nei libri.
Ma, nell'Ottocento, dopo la bufera del XVI, XVII e XVIII secolo, si riaffacciò nuovamente, anche se per breve tempo, la figura del sanpaolaro. Lo si poteva trovare ancora in qualche piazza di Roma o ramingo per le campagne: solo, sfigurato, malinconico, a chieder l'elemosina mostrando una cassettina con dentro una povera biscia e dando da baciare un'immaginetta consunta di Paolo, il glorioso suo antenato, che a Malta debellò la vipera.
Dell'antica figura magico-religiosa ormai non esisteva più niente.


NOTE
1) Atti degli Apostoli, traduzione di Cesare Angelini, Torino, 1967, pgg. 177-179.
2) GUIDO G. LANFRANCO, Was poisonous viper an accidental visitor?; in The Sunday Times of Malta, 27 maggio 1956, pag. 4; RONALD KNOX, nella nota di commento agli Atti degli Apostoli.
3) GUIDO G. LANFRANCO, Reptiles, amphibians of the maltese islands; in Year Book, Malta, 1955, pgg. 198-200.
4) BONAVENTURA ATTARDI, Bilancia della verità. Risposta al libro intitolato PAULUS APOSTOLUS in Mari, quod nunc Venetus sinus dicitur, Naufraghus, del P.D. Ignazio Giorgio Benedettino della Congregazione ragusina; Palermo, 1738, pag. 72.
5) MARCANTONIO HASCIAC, Relazione della nuova e grandissima Devozione introdotta nella Santa Grotta di S. Paolo Apostolo nell'isola di Malta con una breve raccolta delle cose più notabili ed antichità di detta Isola, N.L.M.; manoscritto n. 515, f. 7r. Prima di lui, nel 1558, TOMMASO FAZELLO, De rebus siculis, decades duae; Palermo, 1558; trad. usata: Storia di Sicilia. Deche due; Palermo, 1830, libro I, cap. I, pag. 32, a proposito del tempio di Ercole scrive: "Si vedono ancora oggi le reliquie, degne, veramente, d'esser rimirate e considerate con meraviglia".
6) VINCENZO CARUANA, La vipera maltese in relazione col naufragio di S. Paolo. Considerazioni critiche; Malta, 1911, pag. 60.
7) ERNESTO DE MARTINO, La terra del rimorso; Milano, 1968, pag. 53.
8) ALFONSO M. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana; Torino, 1976, pag. 78.
9) Un primo elenco di queste aree lo si trova in A.M. DI NOLA, op. cit., pag. 79.
10) F. GIACOMO BUONAMICI, Relazione della Grazia di S. Paolo; N.L.M. Library, ms. 15 datato 1667, f. 135v
11) VINCENZO CARUANA, Op. Cit., pag. 55.
12) F. GIACOMO BUONAMICI, Op. Cit., f. 138r.
13) VINCENZO CARUANA, Op. Cit., pag. 56.
14) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 75.
15) GIOVANNI QUINTINO EDUO, Insulae Melitae descriptio ex commentariis rerum quotidianarum; Lione, 1536, paragrafo XXI. Testo orig. della cit.: "Praeterea Melitae nullum maleficum serpentis genus neque nascitur neque nocet aliunde invectum".
16) Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, G.7. 1003.
17) Bibliothèque Nationale, Fond italien, Parigi, ms. 254, f. 314v.
18) CORNELIO A. LAPIDE, Commento agli Atti Apostolici, apud V. Caruana; Op. cit., pag. 44.
19) GIOVANNI FRANCESCO BUONAMICI Lettera missiva... diretta ad Agostino Scilla; Malta, 1668, pag. 34.
20) BULLARIUM CAPUCINORUM variis notis et scholiis elucubrata a P. F. Michaele A Tugio in Helvetia; tomo III Roma, 1745, pag. 299. Questo passo, come si vede, è desunto quasi letteralmente dalla nota di Cornelio A. Lapide prima citata.
21) MARCANTONIO HASCIAC, Op. Cit., f. 10r.
22) Vedi: MICHELE ACCIARD, La congiura del Bascià di Rodi; Malta, 1751, pag. 36; PATRICK BRYDON, Viaggio in Sicilia e a Malta 1770; Milano, 1968, pag. 152; TOMMASO FAZELLO, Op. cit., I,1 pgg. 35 e 36; JOSEPH CASSAR-PULLICINO, Studies in Maltese Folklore; Malta, 1976, pag. 192; e tutti coloro che si occuparono della controversia a favore di Malta africana e persino le moderne guide turistiche: J. MANDUCA, Tourist Guide to Malta and Gozo, edita in Italia con il titolo Malta, Firenze, 1977, pag. 58.
23) GIOVANNI QUINTINO EDUO, Op. cit., XXI. Trad.: "Gli indigeni incutono terrore ai serpenti. Gli scorpioni, altrove animali funesti, appaiono innocui nelle mani dei ragazzi che con essi giocano. Si racconta che questo sia un dono elargito da Paolo che scosse via senza danno la vipera appesa al dito con il morso".
24) GIUSEPPE PITRE', Spettacoli e feste popolari siciliane; Palermo, 1881, pgg. 331 e 332.
25) IGNAZIO GIORGIO, D. Paulus Apostolus in mari, quod nunc Venetus Sinus dicitur naufragus et Melitae dalmatensis insulae post naufragium Hospes sive De genuino significatu duorum locorum in Actibus Apostolicis. Cap. XXVII e Cap. XXVIII. Inspectiones anticriticae, Venezia, 1730, Inspect. III, Diatriba IV, paragrafo IX, pgg. CLXXV e CLXXVI.
26) IGNAZIO GIORGIO, Op. Cit., Inspect. III, Diatr. IV, paragrafo X, pag. CLXXVII.
27) ERODOTO, Le storie, IV, 173.
28) VARRONE, Antiquitates rerum humanarum et divinarum, I. 29) STRABONE, Geographica, XIII, I, 14.
30) VARRONE, Op. Cit., I.
31) PLINIO, Naturalis historia, VII, 2.
32) ELIANO, De natura animalium, I, 57.
33) PLINIO Op. cit., XXVIII, 3.
34) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
35) ELIANO, Op. cit., I, 57.
36) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
37) PLINIO, Op. cit., XXVIII, 3.
38) PLINIO, Op. cit., VII, 2.
39) GIUSEPPE PITRE', Op. Cit., pag. 331.
40) Vedi: FERDINANDO PONZETTI, Libellus de venenis; Roma, II, 5; GIROLAMO MARCIANO DI LEVERANO, Descrizione, origini e successi della Provincia d'Otranto; Napoli, 1855, pgg. 158 e 182-183; NICOLA CAPUTO, De tarantulae anatome et morsu; Lecce, 1741, pag. 228; ANDREA CORSINI, Medici ciarlatani e ciarlatani medici; Bologna, 1922, pag. 47, nota; TOMMASO FRANCESCO ROTARIO, Apparatus universae theologiae moralis, pro examine confessiones a Tyronibus sustinendo, parte II, sez. I ; Venezia, 1738, pag. 124; ERNESTO DE MARTINO, Op. Cit., pgg. 107 e 108; PIETRO ANDREA MATTIOLI, Pedacii Dioscoridis de materia medica libri VI, interprete Pietro Andrea Mattioli cum ejusdem, commentariis, Venezia, 1544. Edizione usata: I discorsi... nei sei libri di Discoride; Venezia, 1568, pag. 1513.
41) ALFONSO M. DI NOLA, Op. Cit.
42) GALENO, De theriaca ad Pisonem, cap. XII. Edizione e traduzione utilizzata: E. COTURRI, Firenze, 1959, pag. 80.
43) ARNOBIO, Contra gentes, II, 32.
44) PIERO CAMPORESI, Il libro dei vagabondi; Torino, 1973, pag. CXI, nota.
45) La citazione è da Piero Camporesi, op. cit., pag. 151 e sgg.
46) PIETRO ANDREA MATTIOLI, Op. Cit., pag. 1513.
47) PIETRO ANDREA MATTIOLI, op. cit., pag. 1513.
48) TOMMASO FAZELLO, Op. Cit., I, 1, pgg. 35 e 36.
49) BONAVENTURA ATTARDI, op. cit., Bilancio X, pgg. 86-94.
50) MICHEL ETTMÜLLER, Opera omnia medico-phisica theoretica et practica, tomo II, disp. 3, Venezia, 1700.
51) BONAVENTURA ATTARDI, op. cit., pag. 92.
52) E' da ascrivere all'area culturale dei serpari la seguente quartina tradizionale (oggi passata nella sfera ludica infantile) da dire, per protezione, trovandosi in presenza di qualsiasi rettile: "Pe' san Pavlu e santu Roccu / no' mme toccare ca no' te toccu/se me tocchi ieu te stoccu / pe' san Pavlu e santu Roccu".
53) GIUSEPPE PITRE', Mirabili facoltà di alcune famiglie di guarire certe malattie; in Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, vol. 14, 1, genn.-marzo 1895.
54) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 88.
55) BONAVENTURA ATTARDI, Op. Cit., pag. 89.
56) TOMMASO GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del mondo; Venezia, 1589, pag. 747 e sgg.
57) ULISSE ALDROVANDI, Serpentum et Draconum Historiae libri duo; I, 1, Bologna, 1640, pag. 21.
58) ANTON MARTIN DEL RIO, Disquisitiones magicae libri VI; libro I, cap. 3, quest. 3.
59) THOMAS CORYAT, Crudezze; Milano, 1975, pgg. 294-295.
60) BERNANDO CESIO, Mineralogia, sive naturalis philosophiae tesauri; Lugduni, 1636, III,14.
61) SCIPIONE MERCURI, Degli errori popolari d'Italia; Padova, 1645, pgg. 280-281.
62) P. GASPAR SCHOTT, Physica curiosa, sive Mirabilia naturae et artis libri XII comprehensa; Herbipoli, 1662, XII, 12.
63) ANDREA CORSINI, Op. Cit., pag. 47, nota.
64) CORRAIN C. - ZAMPINI P., Documenti etnografici e folkloristici nei Sinodi diocesani italiani; Bologna, 1970, pag. 37, nota; pag. 125 e nota.
65) IL DILETTEVOLE ESSAMINE de' Guidoni, Furfanti o Calchi, altramente detti Guitti nelle carceri di Ponte Sisto di Roma nel 1598 ecc., apud PIERO CAMPORESI, op. cit., pag. 356.
66) IL DILETTEVOLE ESSAMINE ecc., op. cit., pag. 357.


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