§ IL CORSIVO

RAZZA PREDONA




A. B.



"Avrà fatto - mi dicono - 200 o 250 quintali di pesce in pochi giorni, soprattutto spigole e orate". Quei quintali li ha "fatti" col tritolo, cogliendo i branchi al passo, in un momento particolarmente delicato: il periodo di riproduzione per le orate va da ottobre a gennaio, per le spigole da novembre a marzo. Non so quanti siano al corrente: una femmina (di spigola, ad esempio) depone 400 mila uova, che vengono fecondate dal maschio. Non tutte diventeranno pesci, ma la percentuale di sopravvivenza è molto alta: intorno all'80 per cento, in condizioni ottimali. Cioé, in assenza di inquinamento, in acque e fondali non arati dalle reti a strascico e in zone non colpite dall'esplosivo, non percorse da scariche elettriche, non irritate dai rizomi di peperia. Allora, per "farsi" venti o venticinque tonnellate di pesce, quante tonnellate (mediamente, nove volte di piú) sono finite a picco, quante migliaia di vesciche natatorie sono scoppiate all'urto tremendo e allo spostamento d'acqua? Quanto rende, e soprattutto quanto costa alla comunità la pesca di frodo?
Avevamo dei mari pescosissimi, e hanno creato il deserto. L'Adriatico, col suo 33 per mille di salinità, rappresentava l'habitat ideale per il pesce azzurro di grosso taglio (saraghi, cefali, palamite e sgombridi in genere); un habitat poi distrutto dai grappini di fondo e dalle reti a maglie fittissime dei bucanieri di Monopoli, di Barletta, di Molfetta. Gli "ovádi" di Porto Cesareo sembravano miniere senza fondo, con le triglie più pregiate della Penisola: poi hanno arato anche quelli, e le bombe hanno fatto il resto. E non è scomparsa da tempo quella tonnara di Gallipoli per la quale, contro il Duca di Nardò, appassionatamente si batté, due secoli fa, Filippo Briganti? L'ultima "camera della morte" l'ho vista parata una ventina di anni fa di fronte a Torre Sabea. Ci finimmo sopra con una pilotina di quattro metri per la sprovvedutezza di un mio amico, e impiegammo più di un'ora per venirne fuori. Eppure, al di là del pericolo corso, di una mattanza alla rovescia, mi impressionò l'abbondanza dei tonni arretati: erano il segno di una ricchezza ancora offerta dal mare. Una ricchezza da proteggere. Invece, distrussero le "vie alimentari": il tonno segue i saraghi, questi i cefali, che a loro volta hanno a vista gli sgombri, e gli sgombri vanno dietro alle sarde, che tallonano alici e altre minutaglie. Distruggere un "passo" significava interrompere la catena. Così, i branchi cominciarono a girare al largo, lungo le coste jugoslave e lungo le coste algerine e tunisine. Per pescare, gli italiani, che pure dispongono di migliaia di chilometri di coste, devono andare all'estero, spesso a farsi catturare e ricattare. E i permessi di pesca in acque straniere ci costano un occhio.
Il primo bombardiere lo conobbi in un paese di cui non ricordo il nome, sul mare di fronte a Melendugno. Aveva perso braccia e mani e gesticolava con gli occhi. Percorrevo le coste con l'indimenticabile Dino AscaIone, che conosceva il Salento sopra e sotto la terra, e dentro e fuori il mare. Andavamo da una marina all'altra, per ore ed ore, su una vecchia "600" multipla; ci facevamo indicare scogli famosi (uno, verso Ugento, lo chiamavano "ssettaturo", ormai levigato per i lunghi appostamenti: "Di lì - ci raccontava un bombardiere - ho scagliato quintali di esplosivo". E sembrava felice. Non aveva una gamba, gli era saltata "sul lavoro"); incontravamo armatori di paranze (che facevano brillare anche ordigni di sette chili), proprietari di cave (dalle quali venivano polvere da mina e micce), esperti in marchingegni elettrici (con i quali si stordivano i pesci di media profondità, da sette a nove braccia). Venne fuori un'inchiesta per la "Tribuna del Salento", cinque o sei pagine con nomi, luoghi e sistemi. Anche l'accusa dell'inerzia (le "autorità preposte" non sentivano le esplosioni? non indagavano?) e della vigilanza costiera pressoché Inesistente. Reazioni: silenzio tombale su tutto il fronte. Uniche conseguenze: un rischio di denuncia (per fatti non inerenti all'inchiesta) e una polemica di poco conto (per demerito della controparte) su un'interpretazione stilistico-architettonica. Analogo esito per un'altra indagine, sullo stesso tema, per il "Giornale d'Italia". Non ho mai percepito così distintamente, e concretamente, il senso del vuoto intorno a me, più di quei giorni, appassionati solo sotto il profilo dell'impegno professionale e civile.
Non so se altri, nel frattempo, abbiano ripreso l'argomento. So che quella della pesca di frodo è rimasta una strage continua; che i bombardieri sono sempre in attività; che i nostri mari sono ormai tra i più poveri del mondo; che i governi egiziano e saudita non vogliono vedere nostri pescatori nel Mar Rosso, dove si può pescare anche con le sole mani, perché li temono come la lebbra; che il governo portoghese si comporta allo stesso modo; che i giapponesi (grandi protettori dei propri mari) vengono a farci una facile concorrenza con la pesca atlantica, e poi ci vendono il pesce (esemplari della stessa misura e dimensione, meticolosamente incassettati, sembrano centimetrati). Noi lo scongeliamo di notte e lo immettiamo sui mercati a prezzi da vertigine. Nelle "piazze" delle città costiere, ormai, possono comprarlo, d'estate almeno, soltanto gli emigrati spendaccioni e i turisti disposti a farsi svenare.
Di fronte a questa razza predona, le iniziative di società (come la European-World Mariculture) o di gruppi privati (a Marsala, ad esempio) che si propongono di capovolgere una situazione, e sono all'avanguardia nel mondo. Morto o moribondo il nostro mare, si fa ricorso al "pesce in batteria".
L'esperienza dell'acqua coltura fu tentata, nel Salento, da un esploratore di abissi marini, Raffaele Congedo. Accadde che quando le vasche a marea pullulavano di cefali, i bombardieri gliele saccheggiarono, facendo saltare in aria col tritolo persino le strutture in cemento. E l'esperienza finì sul lastrico. Storie di inciviltà come altre, in una terra che è povera, e che invece di arricchirsi con iniziative creatrici, vive - eccezioni a parte - di rapine.

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