§ LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO

IL RUOLO DEL TURISMO




Franco Compasso



"Una grande occasione storica è stata sciupata per il Mezzogiorno: non è stata colta nell'ultimo trentennio l'opportunità dell'intervento straordinario, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, per un'azione programmata, incisiva ed organica, in un settore doviziosamente dotato di risorse naturali, potenzialmente ricco di convenienze economiche e di valore aggiunto". Da questa considerazione quanto mai opportuna e significativa prende le mosse Vittorio Ciampi per delineare, nell'editoriale di presentazione, l'ampia e organica riflessione sui problemi e le prospettive di sviluppo e di turismo nel Mezzogiorno degli Anni '80. Infatti, proprio "Nuovo Mezzogiorno" - la rivista mensile che Vittorio Ciampi fondò un quarto di secolo fa come strumento di analisi storico-culturale della realtà meridionale -dedica al ruolo del turismo nello sviluppo del Mezzogiorno un "dossier" che si avvale di un pregevole studio introduttivo di Claudio Alhaique ("Il Mezzogiorno nel piano turistico nazionale") e di un documento saggio di Franco Garbaccio ("il Piano riflette la nuova realtà del Mezzogiorno"); completa il "rapporto" una nota del ministro Signorile, che illustra i tempi ed i modi di attuazione degli "itinerari turistico-culturali" predisposti dal Ministero per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno, d'intesa con il Ministero del Turismo e dei Beni Culturali, che interessano in modo particolare la Puglia e il Salento.
Il "dossier" di Nuovo Mezzogiorno è una utile occasione di riflessione per tentare, alla scadenza di una ennesima proroga dell'intervento straordinario, un primo bilancio del trentennio di politica meridionalista nel settore del turismo: il consuntivo non è positivo, perchè esso evidenzia il carattere dispersivo degli interventi nel settore turistico, al di fuori di ogni logica di programmazione o di integrazione. Per troppo tempo il turismo è stato considerato un settore-rifugio, una attività marginale relegata in due-tre mesi dell'anno, un comparto produttivo nel quale gli operatori e gli addetti potevano benissimo fare a meno delle necessarie cognizioni professionali e tecniche. Nulla di più nefasto di questa impostazione del problema poteva, come ha potuto in questi trent'anni, nuocere alle prospettive di sviluppo turistico.
Anche dopo la svolta istituzionale, con il trasferimento delle competenze di intervento dallo Stato alle Regioni, la strategia di sviluppo del turismo non ha fatto passi in avanti, anzi si è arenata nelle secche di un neoministerialismo burocratico e accentratore, parolaio e clientelare, che induce oggi all'autocritica i più accesi regionalisti di ieri. E' bene intendersi su questo punto: nessuno - e meno che mai chi scrive - può oggi indulgere a tentazioni "restauratrici", anche perchè il livello istituzionale dell'Ente Regionale risponde ad esigenze di autonomia, decentramento, autogoverno, pianificazione territoriale, che non sono comprimibili in un moderno stato democratico. Il problema non è quello di sopprimere le Regioni, ma di farle funzionare meglio: di incardinarle alla logica costituzionale di organi di grande indirizzo politico e di governo del territorio. Tutto questo in dieci anni non è avvenuto, fatta eccezione per qualche esperienza regionale al Nord: ciò significa che hanno funzionato meglio le Regioni governate dai comunisti che quelle governate dalla DC. Detto questo, ci pare necessario mettere in chiaro che la lucida e severa analisi di Vittorio Ciampi non può essere in alcun modo confutata quando scrive che "dieci anni di autonomia non sono bastati ad avviare una vera politica del settore, che è condizionata ovviamente al varo, tuttora problematico ed incerto, dei piani regionali di sviluppo e alla definizione di un quadro nazionale di riferimento".
Ora, dopo dodici anni dall'avvento delle Regioni, dopo decenni di assenza di un minimo di politica nazionale per la promozione turistica - l'unico precedente storico di programmazione del settore risale al 1961 quando il Ministro per il Mezzogiorno Pastore "inventò" sulla carta (perchè tali rimasero negli anni successivi) i comprensori turistici - finalmente il vuoto di potere e di iniziativa nella politica turistica è stato colmato recentemente con l'approvazione del Piano Turistico Nazionale, alla cui elaborazione ha posto mano un qualificato gruppo di lavoro coordinato dal prof. Barucci. Il Piano Turistico Nazionale mira a colmare, anche in questo settore, i persistenti e tuttora gravi squilibri tra CentroNord e Sud, ipotizzando un intervento dei privati e della mano pubblica più massiccio al Sud. L'opzione meridionalista della nuova politica per il turismo parte dal presupposto che nel Mezzogiorno, in cui risiede il 35,4% della popolazione italiana, il settore ricettivo è presente con il solo 20,3% della intera offerta turistica alberghiera del Paese e con il 25% dell'offerta extralberghiera. Nel contempo, c'è da sottolineare che mentre al Nord la funzione del territorio ad uso turistico - come già avviene per le attività industriali - è già da anni al limite della congestione, al Sud esistono larghi spazi per la utilizzazione del territorio a fini turistici. Gli obiettivi proclamati dal Piano non autorizzano ottimismi superficiali e di maniera perchè nessuno può ignorare, come osserva giustamente Alhaique, che nell'area meridionale "vi sono aspetti negativi cui è necessario porre riparo": dalle carenze di strutture turistiche complementari all'insufficiente utilizzo e valorizzazione delle risorse artistiche, monumentali e archeologiche e alle gravissime deficienze nei servizi di trasporto, sanitari, igienici. Ed inoltre, l'immagine del turismo nel Mezzogiorno è troppo strettamente legata alla "unidirezionalità" della vacanza al mare. E' mancata fino ad oggi una strategia dell'"integrazione" sia all'interno del settore (turismo culturale, termale e collinare) sia tra i diversi settori economici e produttivi (agriturismo; rapporti con l'artigianato e l'ambiente). La strategia generale a favore del rilancio e dello sviluppo del turismo non può prescindere da provvedimenti specifici per il Mezzogiorno, che vanno adottati con la necessaria priorità. Tra essi, vanno segnalati i provvedimenti relativi alla equiparazione a tutti gli effetti del settore turistico-alberghiero a quello industriale; la parificazione delle imprese turistiche a quelle esportatrici; la riattivazione delle misure di fiscalizzazione degli oneri sociali; l'erogazione di "incentivi reali" alle imprese turistiche meridionali per la creazione di situazioni ambientali "esterne" (come le definisce Alhaique) piú favorevoli e per l'incoraggiamento alla diffusione di strutture associative, anche attraverso l'esperienza e la consulenza del FORMEZ e dello IASM. In questo settore molto hanno fatto sia il TURMEZ che il COTURMEZ.
Si deve, pertanto, alla tempestiva iniziativa politica del ministro Signorello il varo del Piano per il turismo italiano degli Anni '80. Un Piano che parte dalla consapevolezza che per il turismo non è piú il tempo dello "spontaneismo" individualista e delle iniziative improvvisate e caotiche. Occorre mettere ordine in un settore importante per la nostra bilancia dei pagamenti, orientare con un minimo di programmazione e quindi di razionali scelte prioritarie lo sviluppo di un settore dal quale dipende direttamente il decollo del Mezzogiorno. Il merito del "dossier" e quello del Piano Nazionale del Turismo è di avere assegnato al Mezzogiorno un ruolo centrale ed essenziale per lo sviluppo dell'economia turistica italiana.

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