§ GLI AVVENIMENTI

CRONACA DI ORDINARIE GUERRIGLIE




Aldo Bello



Sul Sinni, tra i primi contrafforti dell'Appennino Lucano che sale verso la Calabria, c'è la diga in terra battuta più grande d'Europa. E' costata, in tutto il suo impianto, trecento miliardi di lire. Splendore e vanto dell'ingegneria di Stato, giace inutilizzata a monte della grande arsura meridionale. Tutto intorno, i campi hanno i colori della morte e il dramma del Sud senza pioggia s'avverte subito, nel giallo del grano mietuto a paglia. L'abitato di Senise è più avanti, povero e disordinato, illuminato dai bagliori lontani del Pollino che svetta in denti rocciosi.
Senise è in rivolta, si oppone alla diga. Una bandiera rossa e un cartello impediscono alle acque di lasciare l'invaso. Il paese chiede industrie o assistenza, blocca il lago artificiale da mezzo miliardo di metri cubi, non consente la chiusura della galleria numero 3 per il via a un by pass preparato per l'emergenza. Una conduttura gigantesca e vuota corre verso Taranto e il Salento. Come nelle tragedie antiche, la disperazione della grande sete meridionale ha momenti di irrazionalità collettiva. Sono dieci anni che alla gente di Senise è lasciato l'ostaggio gigantesco della diga. Nella sete che opprime il Sud, i settemila abitanti del paese spiano l'ultima cattedrale dell'acqua, la percorrono in cortei in processioni scomposte. Così, l'acqua viene rispedita nel letto del Sinni, deve superare il blocco, e con un sistema di pompe viene immessa nella grande conduttura che va in Salento. Tutto questo, perché non si è potuto installare il "fondello": un enorme scudo d'acciaio, che giace accanto alla galleria numero 3. I sindaci di Senise e delle comunità montane ne impediscono la posa in opera.
La storia dell'invaso ha molti capitoli di ritardi e di sprechi. Nel 1972 i proprietari espropriati incendiarono i progetti della diga esposti nel municipio. Nell'antico convento francescano, sventrato dal passaggio della statale 96, arse la disperazione. Il paese si chiuse, a chiunque fu impedito di entrare o di uscire. Otto giorni di inutile assedio. Due anni più tardi Senise tornò a isolarsi: lo sciopero generale andò avanti per un mese. "L'acqua della Lucania andrà alla Puglia", dicevano i piccoli proprietari, "siamo stati espropriati due volte: prima i terreni, poi le acque". Sulla diga facevano la guardia i sindaci di San Costantino Albanese, di San Paolo, di Noepoli, di Cersosimo, di Terranova del Pollino, di Chiaromonte, di Roccanova. Il Medio Sinni e la Vai Sarmento, oppressi dalla sete, vedevano nella diga il precipizio: "Diamo acqua a chi è vent'anni avanti a noi. Il divario tra la California pugliese-metapontina e l'arretratezza lucana avrà nuove crescite. L'acqua parte senza risposte. Chiediamo alla Puglia industrie e lavoro".
Del mezzo miliardo di metri cubi d'acqua, che a Senise considerano proprietà del paese, il Metaponto e il Salento non possono fare a meno. Se è vero che il nucleo industriale di Senise è "vuoto come un deserto, buono per le lucertole", è anche vero che il Preside della Facoltà di Ingegneria di Bari ha lanciato un allarme di gran peso.
Il mare avanza nelle falde pugliesi, l'uso dissennato di diecimila pozzi clandestini compromette un patrimonio che andava custodito come un bene prezioso. Quando l'equilibrio sotterraneo della falda dolce pugliese sarà definitivamente sconvolto, le acque del Sinni saranno tra le poche fonti possibili.
Cesare Donnaperna, marchese di Colobraro, ultimo nobile di Senise, si è unito, contro la diga, agli abitanti del paese, repressi dai suoi avi. Senise, un tempo feudo vastissimo dei principi napoletani Pignatelli Cortes di Sanseverino, vede nella rabbia di Donnaperna una nuova bandiera. Di quel feudo, ai Pignatelli non èrimasto più molto: un centinaio di ettari che si dissolvono in pugno agli amministratori.
Il quadro della sete è drammatico. H grano "non ha sfoderato" spighe. "L'abbiamo tagliato per farne paglia". Gli animali non hanno cibo. Vanno su pascoli bruciati, i prezzi del foraggio sono alle stelle. "Una tragedia, con i macellai che aspettano gli allevatori con il coltello in mano, pronti a dare il colpo di grazia. Rifiutano le mucche, poi le accettano, ma pagano metà prezzo". Il mattatoio di Senise è spopolato e vuoto, proprio come il grande nucleo industriale attrezzato sull'altro versante. Sventola un altro protocollo d'intesa tra le regioni Puglia e Basilicata. Il documento impegna gli amministratori pubblici "a meccanismi di riequilibrio economico e di crescita bilanciata". Ma i Comuni del Sinni non recedono. "Se parte l'acqua nostra, la Puglia fa un salto di altri vent'anni e noi restiamo indietro di quaranta: niente industrie a Senise? niente acqua".
Il Sud si divide, è l'eterna guerra tra poveri. La superstrada lascia Senise, porta verso il mare. Il condotto del Sinni corre con la carreggiata. Nelle terre arse svettano i pilastri di cemento predisposti per il raddoppio. Il manto d'asfalto rimette nella rabbia della costa, dove la condotta della diga resta il simbolo inutile di un impegno nel mito meridionale dell'irrigazione mancata. Nella disperazione della grande sete, lo scoppio martellante dei motori spezza il silenzio dello Ionio. La notte arida di Metaponto è già avanti. C'è chi ha deciso di sfidare la legge per salvare il raccolto. Si rompe il razionamento imposto dai consorzi.
Riprende l'irrigazione clandestina. I ragazzi e le donne si alternano nei turni di guardia. Gli uomini avviano i generatori, allagano i campi. Pompano acqua densa di terra dall'invaso di San Giuliano e dal Gannano in secca. Altri uomini sono vicino a un distributore di carburante. "Si va avanti per un mese, poi vedremo quel che accadrà". Si accordano per irrigare la notte, rubando l'acqua al consorzio. "Qui ci ammazziamo di lavoro, ci diamo da fare. Siamo quasi tutti pugliesi, con noi il Metaponto è diventato la California: non possiamo aspettare i lucani che stanno sui monti, accanto alla diga, a negarci l'acqua per avere dallo Stato un piatto di minestra sicuro".
Non piove da sette mesi, la siccità colpisce per il terzo anno consecutivo. Siamo i primi al mondo nel campo della dissalazione, e il mare è a vista. Ma i Comuni del Sinni chiedono industrie o assistenza. La diga la considerano un emblema odioso, un campanile, non altro. Tanto meno un "sistema integrato". Così si perpetuano le cronache di ordinarie guerriglie. Tra poveri.

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