§ I GUAI DEGLI ITALIANI

INFLAZIONE CONTRO IL CONTRIBUENTE




Libero Lenti



Non c'è pace per i contribuenti italiani. Ogni mattina, quando aprono il giornale, si trovano di fronte a novità che li interessano direttamente, ma anche indirettamente, se pure non sono sempre in grado di rendersene conto. E novità, a dire il vero, più brutte che belle. Eppure, se si scorrono i nomi di tutti i Ministri delle Finanze di questo dopoguerra, non se ne trova uno che, dopo la solita intemerata nei confronti degli evasori fiscali, non abbia chiesto ai contribuenti di fare il loro dovere, promettendo, nello stesso tempo, l'instaurazione di rapporti fiduciari tra l'amministrazione fiscale ed i contribuenti.
Forse, ed anzi senza forse, solo le intemerate, ma soprattutto gli appelli, del ministro Vanoni ebbero un'eco. E di questo si comprende solo ora il significato. Operava in un contesto economico in cui l'inflazione aveva modificato radicalmente tutti i valori, nonchè i rapporti tra gli stessi valori, per cui si trattava di rimettere in sesto un congegno tributario che nel tempo aveva subìto profonde deformazioni. I testi legislativi e le disposizioni amministrative in materia d'imposte erano diventati così ermetici che solo gli specialisti erano in grado d'interpretarli e d'applicarli. Un vero e proprio labirinto.
Ho parlato al passato, è vero, rifacendomi ad un'esperienza di trent'anni fa. Ma adesso molti si domandano se, oggi come oggi, con un'inflazione galoppante, che pure modifica valori e rapporti di valori, non ci si trovi di fronte ad una situazione del tutto analoga a quella d'allora.
Domande, queste, quanto mai pertinenti, se appena si tiene conto che mentre allora si stava avviando una politica di chiarificazione dei prezzi, oggi si sta procedendo su una strada del tutto diversa, per non dire opposta, e questo perchè s'affidano anche ai prezzi, ed in particolare a quelli amministrati, o regolati che dir si vogliano, i compiti di ridistribuire, o meglio di trasferire, il reddito nazionale tra le varie classi sociali. Compito che in uno Stato ben organizzato può e dev'essere assolto solo da congegni fiscali.
Difatti, ai congegni ufficiali, amministrati dal Ministro delle Finanze, sempre più s'affiancano congegni "occulti" amministrati da altre autorità statali. L'equo canone, tanto per fare un esempio, è un tributo occulto che consente di trasferire reddito in modo del tutto cervellotico, senza seguire vie ufficiali. Questi trasferimenti, tra l'altro, riducono, per non dire annullano, la capacità d'imposizione dell'amministrazione tributaria. Mi rendo perfettamente conto che in un momento come questo, ripeto d'inflazione galoppante, sia piuttosto difficile affrontare il problema di rimettere in sesto il nostro congegno fiscale. Tutti sanno che le entrate tributarie, in conseguenza d'una dissennata politica di disavanzo di spesa, neppure consentono di coprire le spese correnti. Sicchè lo Stato non solo deve indebitarsi per finanziare gl'investimenti in opere pubbliche, ma anche i consumi alimentati da trasferimenti di redditi. Donde la necessità di non guardare troppo per il sottile quando il Ministro delle Finanze cerca, come si suoi dire, di raschiare il fondo del barile, e di raschiarlo senza tener conto del fatto che l'inflazione privilegia guadagni d'intermediazione, e cioé proprio quel guadagni che più facilmente sfuggono all'attenzione del fisco. Questo non vale, sia ben chiaro, per l'intenzione di colpire le plusvalenze dei fondi d'investimento, che per definizione non operano in modo speculativo.
Ma se ci si rende conto di tutto questo, è più difficile rendersi conto della validità d'alcuni princìpi che sembrano caratterizzare l'attuale politica tributaria ed ancor più quella paratributaria basata sui prezzi amministrati. S'era parlato, in tempi non troppo lontani, del grande progresso costituito da un unico ente impositore. Uno è il reddito del contribuente ed uno l'ente incaricato d'accertare e di riscuotere i tributi. Così si fa in altri Paesi e così si dovrebbe fare anche da noi. L'erba del vicino, com'è ben noto, è sempre più verde. Si ragionava così, del resto, in occasione della seconda riforma tributaria di questo dopoguerra. Adesso, invece, si parla di dare agli enti locali una certa autonomia impositiva, dimenticando di bel nuovo che il reddito è uno solo e che non è aumentando il numero dei tributi o delegando ad altri il compito d'accertarli e di riscuoterli, che s'aumenta il reddito dei contribuenti.
Altro principio. S'è cominciato a parlare, in termini piuttosto generici, tanto per sondare il terreno, della possibilità d'una imposizione sul patrimonio. Non entro nel merito delle difficoltà tecniche connesse con quest'eventuale imposta. Mi limito ad osservare che ogni imposta sul patrimonio si può pagare, ed in effetti si paga, solo con il reddito, il che significa, tanto per ritornare su quanto ho appena detto, che li reddito imponibile è uno solo e che non lo si aumenta dando nuovi nomi a vecchi tributi. E questo a meno che non si dia ascolto ad una sentenza aberrante a proposito dell'Invim, spiegabile solo perchè stesa dai giudici, sia pure costituzionali, che non hanno molta dimestichezza con l'economia. Questa sentenza, Infatti, ritiene che i redditi monetari gonfiati dall'inflazione siano da considerarsi materia imponibile.
E qui viene naturalmente a taglio un discorso che non è li caso di sviluppare, tant'è noto, tanto trova giustificazione nei fatti. Precisamente, quello riguardante la modifica di tutta la scala delle aliquote progressive sul reddito delle persone fisiche. Ma se non è il caso di svilupparlo, si può almeno osservare che quanto si sta facendo costituisce un accomodamento, o meglio una rappezzatura, valida forse nel tempo breve, ma non certo tale da mantenere e consolidare un rapporto di fiducia tra l'amministrazione fiscale ed i contribuenti. Tra l'altro, se non si modifica l'intera scala delle aliquote, si colpisce sempre più pesantemente la propensione al risparmio delle classi di reddito che, in termini reali, a parità di reddito monetario, pagano in misura via via crescente. E poi ci si lamenta del declino della propensione al risparmio della collettività considerata come un tutto.
Il discorso vale naturalmente anche per i tributi che colpiscono le persone giuridiche. Mantenere gli attuali valori di bilancio, solo parzialmente rivalutati in base alla legge Visentini, significa colpire, e quindi depauperare, il capitale operativo. I fondi d'ammortamento degli impianti d'ogni genere, compresi terreni e fabbricati, non consentono, infatti, di ricostruirli in base ai valori attuali. E se attraverso un fittizio reddito d'impresa si depaupera il capitale, s'impedisce quello d'impresa destinato all'autofinanziamento, e quindi a dar vita ad investimenti veramente produttivi di reddito.
Questi pochi esempi pongono in evidenza gli effetti dirompenti dell'inflazione, particolarmente virulenta in questi ultimi anni, ed in particolare li pongono in evidenza poichè l'amministrazione fiscale, tutta presa dalla necessità di fronteggiare un aumento altrettanto dirompente della spesa pubblica, non ha avuto modo di dettare norme atte, non dico a contrastare in parte l'inflazione, ma almeno ad attenuare gli effetti espropriatori per quanto riguarda i redditi dei contribuenti che, pur imprecando, ma anche lavorando, fanno il loro dovere.

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