§ DELLA MONETA

SME DOPO LA TEMPESTA




Dario Giustizieri, Lucio Tartaro



La creazione del Sistema Monetario Europeo, avvenuta nel 1979, ha risposto a due esigenze fondamentali:
1) arginare la dissoluzione del Mercato Comune, agricolo e industriale, alimentata dal disordine monetario;
2) orientare le politiche economiche nazionali verso obiettivi convergenti, ristabilendo il vincolo di una maggiore stabilità monetaria.
Le misure adottate hanno consentito di interrompere il trend involutivo della Comunità, segnando un punto di svolta e un primo importante passo verso l'obiettivo dell'unione monetaria. Lo Sme è riuscito a svolgere questa funzione, nonostante alcuni gravi limiti strutturali dell'accordo, che in effetti hanno portato negli ultimi quattro anni a una serie di crisi monetarie.
Il punto di forza dello Sme è apparso fin dall'inizio più politico che economico. Esso va identificato nella congiunzione tra avvio dello Sme e prima elezione europea. Nel contesto politico creato dalle elezioni europee è sempre più difficile tornare indietro, anche se resta arduo avanzare.
In questo modo di comprende perchè i fondatori dello Sme abbiamo potuto prevedere la creazione di istituzioni monetarie europee, dotate di un ambito di autonomia funzionale. Ciò pone in gioco non la semplice cooperazione monetaria intergovernativa, secondo le linee già sperimentate dal piano Werner, ma una strategia di unificazione monetaria. Per quanto limitata sia tuttora la rilevanza delle istituzioni monetarie europee, vale il fatto che gli Stati membri si siano posti concretamente sulla strada dell'istituzione della Banca Centrale europea e della moneta europea.
A fianco di questo punto di forza dello Sme permangono peraltro i gravi limiti dell'accordo. I fondatori dello Sme non hanno avuto il coraggio di andare oltre lo stadio che possiamo definire - utilizzando una dizione di Corden - della "pseudo-unione monetaria", cioè un dispositivo internazionale nel quale convivono monete nazionali.
Un sistema del genere è vulnerabile perchè si fonda ancora sulla disponibilità a cooperare delle politiche nazionali; esso non può garantire nè una politica unitaria nei confronti del resto del mondo (verso il dollaro), nè l'adozione a livello nazionale di misure coerenti con gli obiettivi perseguiti a livello europeo.
Lo Sme è nato come una creatura dinamica: il progresso dell'unificazione politica può sorreggere il suo rafforzamento, ma ove ciò non avvenga, esso è destinato fatalmente a regredire. L'ennesimo riallineamento monetario indica che probabilmente siamo giunti alla soglia di una svolta. Si tratta di scegliere fra due alternative:
1) procedere effettivamente sulla strada dell'unione economico-monetaria;
2) rinunciare, di fatto, allo Sme, mantenendo in essere una forma qualunque di cooperazione monetaria.
La funzione svolta dallo Sme, così come ci è stato consegnato dagli accordi di Bruxelles, sembra ormai esaurita. Fino a quando il problema cruciale è stato quella della difesa del grado di integrazione raggiunto, il Sistema si è dimostrato una soluzione adeguata; oggi, appare evidente la sua incapacità a sostenere il necessario progresso dell'integrazione, cioè la transizione dalla "integrazione negativa" alla "integrazione positiva".
L'alternativa alla crisi è chiara, e lo era fin dall'inizio. La decisione in discussione è la realizzazione o meno della seconda fase dello Sme. Elementi costitutivi essenziali dell'unione economico-monetaria sono:
1) la creazione del Fondo Monetario Europeo, cioè dell'istituzione responsabile di gestire la moneta europea e la funzionalità del mercato europeo di capitali;
2) il varo delle politiche comuni, adeguate alla natura e alla dimensione dei problemi della società europea.
Va ricordato come il rapporto Me Dougall abbia precisato che la dimensione minima del bilancio CEE debba essere a questo fine portata al 2,5% del prodotto interno lordo europeo.
Da un punto di vista politico-istituzionale, si tratta di trasferire la sovranità monetaria dalle mani dei Governi nazionali a quelle del Governo europeo. L'istituzione e il ruolo del Fondo Monetario Europeo costituiscono il punto cardine per giustificare quale opzione è stata compiuta.
Una volta ancora, come per l'avvio del Sistema, è il contesto politico generale a determinare le chances di successo del Fondo Monetario Europeo. Lo sviluppo dello Sme verso il Fondo Monetario Europeo si inquadra nel processo costituente, oggi sviluppato dal Parlamento europeo e che sarà sottoposto al voto degli europei nel 1984.
Il nesso tra io sviluppo dello Sme e il progresso del processo costituente europeo è duplice. La creazione del Fondo Monetario Europeo non può essere progettata in assenza di un rafforzamento delle istituzioni europee nel senso del Governo europeo. A propria volta, è illusorio progettare il progresso del processo costituente, se nel contempo non si compiono reali progressi sul terreno dell'integrazione economica. Entrambi i progetti, infine, possono essere rafforzati dall'adozione di misure immediate che rafforzino lo Sme, e con ciò dimostrino la capacità della Comunità e la volontà dei Paesi membri di far prevalere gli interessi comuni su quelli nazionali.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi confermano il carattere contraddittorio dello Sme. Esso si è dimostrato sufficientemente solido per reggere l'urto della crisi, e al tempo stesso tanto fragile da correre rischi di involuzione gravissimi. Questi fatti confermano come lo Sme si stia approssimando a un punto di svolta, o nel senso dello sviluppo o in quello della crisi. Un sistema quale oggi esiste non può durare a lungo. Esso regge fino a quando le economie nazionali si sviluppano con un certo parallelismo; ma è sufficiente un segnale di ripresa in Germania Federale perchè il marco tenda a sfondare il tetto, o un segnale di crisi in un Paese debole perchè la moneta di quest'ultimo tenda ad uscire dal Sistema. E quando sono delle elezioni politiche a porre in crisi il Sistema monetario, non è nemmeno più lecito addurre cause "reali" come spiegazione di crisi "monetarie": si tratta solo di prendere atto della inadeguatezza delle soluzioni monetarie istituzionali.
La cronaca degli ultimi avvenimenti pone in evidenza le responsabilità nazionali della crisi europea. Spicca in primo luogo il ruolo non positivo svolto dal nostro Paese.
Gli accordi istitutivi dello Sme hanno lasciato all'Italia il privilegio di una banda di fluttuazione del 6%. L'incapacità del Paese di realizzatore un risanamento interno, che consenta di rientrare in limiti di fluttuazione normali, ha alimentato il tentativo di altri partners di estendere il privilegio: ove il disegno si fosse realizzato, esso avrebbe segnato la regressione dello Sme ad un tenue accordo di cooperazione monetaria.
Il rafforzamento dello Sme può essere progettato solo a condizione di essere sostenuto dall'adozione, a livello nazionale, di misure coerenti orientate verso gli obiettivi europei comuni. Questo è vero in primo luogo per il nostro Paese, che tende più d'ogni altro a "deviare" dagli orientamenti europei. E, considerando il nostro Paese, emerge il duplice nesso fra lo Sme e le politiche nazionali: una politica nazionale di risanamento ha per l'Italia il valore di contributo alla costruzione dell'unione monetaria, mentre al tempo stesso l'avanzamento dell'unificazione monetaria è la condizione per rafforzare la posizione di quanti si battono per il risanamento del Paese. Questo nesso sempre più inscindibile fra scelte nazionali e scelte europee vale per tutti i Paesi europei, anche se evidentemente assume forme diverse, in funzione della "posizione di partenza" dei singoli Stati.
Il fatto è che l'Italia è oggi di fronte a una svolta. Li crocevia è fra la rassegnazione a convivere con l'inflazione e la volontà di liberarsi dalle difficoltà attuali, orientandosi verso modelli di sviluppo industriale avanzato, effettuando una decisa scelta europea.
Nella crisi conclusasi qualche mese fa, l'Italia ha scelto di inserirsi nelle tensioni dello Sme, svalutando la lira. Questa opzione ha comportato la rinuncia a un ruolo di iniziativa a livello europeo ed esprime, secondo alcuni, la mancanza di necessario rigore nella gestione della politica economica.
Da marzo scorso, gli occhi dei mercati economici e finanziari guardano a Ovest, al grande fratello americano: per capire che c'è di nuovo sul fronte occidentale del rapporto lira-dollaro, dopo il faticoso accordo tra le monete europee. Ci si chiederà: che cosa c'entra, ora, l'America? non era a Bruxelles che ci si accapigliava? non è stata la rissa tra francesi e tedeschi a frastornare la vigilia della primavera? non è stata la minaccia della Francia di uscire dallo Sme ad avvelenarci i malinconici giorni della morte di Umberto, "re di maggio"? Certo, è stato il corpo a corpo franco-marco a determinare tutto questo. Ma l'America c'entra sempre. Perciò, sarà il rapporto lira-dollaro a dare il ritmo e il tono a tutta la manovra. Le conseguenze economiche del "riallineamento" tra le monete europee sono, del resto, abbastanza prevedibili; e i risultati delle trattative di Bruxelles - che, giova ripeterlo, si sono incanaglite per ragioni politiche - non fanno che prendere atto delle profonde differenze tra le economie dei Paesi aderenti allo Sme.
Poche cifre bastano a fornire il quadro: l'inflazione in Germania viaggia intorno al 4%; in Francia supera il 10%. I tedeschi hanno chiuso l'82 con un attivo di circa 3,4 miliardi di dollari nei conti commerciali con l'estero, mentre i francesi nell'83 si avviano a un bilancio in rosso per la cifra record di oltre 14 miliardi di dollari. Noi siamo i più derelitti, i nostri prezzi seguitano a crescere quattro volte più che in Germania e i conti con l'estero, per quanto migliorati rispetto all'81, sono sempre in deficit pesante. Con queste performances a far da quinte di teatro, è inevitabile che le monete subiscano periodici cambiamenti nei valori relativi.
Conclusione: chi compra merci dalla Germania le pagherà un pò di più; quanto, sarà il mercato a stabilirlo. Ministri e Governatori hanno solo modificato i margini minimi e massimi entro i quali le monete del Sistema potranno oscillare: hanno "spostato le corde del ring" valutario, come ha detto il Governatore della Banca d'Italia. Il rapporto lira-marco, così, fluttuera tra le 589 e le 664 lire, con un tasso centrale di 626 lire. Come risultato, dovrebbero diminuire le nostre importazioni dalla Germania, mentre le esportazioni avrebbero qualche beneficio.
E non sarebbe male: l'anno scorso, infatti, i nostri conti con i tedeschi si sono chiusi con circa 3.300 miliardi di deficit: il passivo più forte dopo quello con l'Arabia Saudita, dalla quale, però, compriamo petrolio. Sarà, invece, più arduo mantenere il saldo '82 con la Francia, uno dei pochi Paesi con i quali siamo in attivo, per circa 700 miliardi. Dopo i provvedimenti di austerità presi nel giugno dell'anno scorso e quelli di fine marzo '83, i francesi sono in rimonta, hanno meno inflazione di noi e stanno guadagnando in competitività.
Ma sarà il caro-dollaro a orchestrare tutto. Circa il 50% delle nostre importazioni, infatti, è pagato in dollari. Se terremo il cambio con la moneta americana o se lo peggioreremo di poco, potremo allora avvantaggiarci per via del ribasso del petrolio. Se il mercato, invece, sanzionerà una svalutazione netta, il petrolio calerà per gli altri, ma non per noi. E imbarcheremo altra inflazione.


Fissate le nuove parità all'interno dello Sme, l'incubo di una crisi monetaria senza sbocco è stato quanto meno allontanato. Il "riallineamento", questa volta, è stato ampio, ha coinvolto tutte le monete Sme. Ma per comprendere che cosa è successo, per stimare (con un certo realismo) che cosa succederà alla lira, è bene ripercorrere le vicende che hanno preceduto il "rialIineamento" e tener conto (il ragionamento è solo in apparenza tecnico) che il tasso di riferimento centrale fissato a Bruxelles non è il tasso di svalutazione della moneta nazionale.
I fatti, dunque. Mentre i mercati valutari europei erano in tensione, con il marco in salita dopo le elezioni politiche e il franco francese oggetto di speculazione, fra il primo e il secondo round delle elezioni amministrative in Francia, la lira manteneva le posizioni. Veniva pilotata con elasticità dalla Banca Centrale, che evitava interventi troppo massicci a sostegno, così come cadute di tensione. La navigazione della lira era abilmente tenuta ai margini della tempesta.
Qualche dato. Le Banche Centrali, si sa, intervengono con le riserve per sostenere le rispettive monete quando lo giudicano necessario. Nei quindici giorni precedenti il "riallineamento", le perdite delle riserve italiane per sostenere la lira erano state pari a un decimo delle perdite contabilizzate dalla Banca di Francia. La quale, inoltre, aveva spinto le banche di quel Paese a indebitarsi sull'estero per sostenere il franco.
Le quotazioni registravano fedelmente questa situazione. Lunedì 14 marzo, dopo il secondo round elettorale francese, il franco recuperava punti. La lira scendeva. Ma quello del franco era un recupero fittizio rispetto al marco. La lira restava fuori dalle perturbazioni, evitava di essere coinvolta nella speculazione.
La Banca d'Italia, nel contempo, teneva stretta la liquidità interna del sistema. Prosciugava tutte le possibili sacche di liquidità. Le tesorerie delle banche erano messe a dura prova. Ma il risultato era destinato a corrispondere ai sacrifici. La lira chiudeva la parentesi della crisi valutaria di marzo con uno spostamento della parità che era proporzionale a quello registrato nel frattempo dal mercato.
In ultima analisi, possiamo dirci soddisfatti. I conti a consuntivo tornano. Ma tornano i conti dell'oggi. Restano pesanti, densi di incognite, i conti sul domani. Il differenziale d'inflazione fra l'Italia e gli altri Paesi europei (anche fra l'Italia e la Francia) rimane alto, sproporzionato. La spesa pubblica continua a correre senza freno. I nodi strutturali, che rendono debole la nostra economia, sono sempre presenti nel sistema.
Il "riallineamento" come sempre avviene, taglia le punte; riequilibra gli aspetti più distorti. Dà un poco di respiro alle imprese. Ma non risolve i problemi. Nel corso del 1982, il nostro interscambio commerciale con la RFT è peggiorato dell'8%; del 6% con l'Olanda. Le rivalutazioni del marco e del fiorino forniscono al "Made in Italy" un certo respiro; costituiscono, per le imprese che esportano in quei mercati, un aiuto. Che peraltro viene rapidamente vanificato in assenza di scelte strutturali di politica economica e di quelle correzioni di rotta che da tempo vengono sollecitate e che, sole, possono ridurre il differenziale inflazionistico fra l'Italia (intorno al 16%) e la Germania.
Con queste due parità, la lira affronterà i prossimi mesi. Affronterà soprattutto la nuova situazione economica che si delinea, e che dovrebbe caratterizzarsi con i segni più marcati di una ripresa trascinata dagli Stati Uniti e dalla RFT. La discesa dei tassi d'interesse e il ripiegamento dei prezzi del petrolio costituiscono fattori di pungolo nella giusta direzione. Ma questa ripresa, se deve diventare una "occasione" per l'Italia, impone che al pilotaggio monetario, per quanto abile e sofisticato, si affianchi un altrettanto valido pilotaggio di politica economica. E' questo l'appuntamento che attende il "sistema Italia". Un appuntamento che è stato finora disatteso.


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