§ LA NOSTRA ECONOMIA E LA CEE

ZITTI ZITTI, PIANO PIANO




Cesare Zappulli



L'attributo "chiotto", che si usa normalmente duplicare in "chiotto chiotto", e che è più benevolo di "sornione", ci pare il meglio adatto per significare l'atteggiamento italiano alla trattativa monetaria di Bruxelles, conclusa - così pare - con soddisfazione di tutti. D'altra parte, che cosa di diverso avremmo potuto fare o dire? Si sapeva dall'inizio che la lira avrebbe tenuto dietro al franco francese, ma senza effettuare i drammi psicologici e inscenare i colpi di teatro di cui si ècompiaciuto il Ministro dell'Economia Jacques Delors il quale, prima di rassegnarsi a una modesta, e con tutta verosimiglianza insufficiente svalutazione del 2,5%, le ha pensate e proposte e minacciate proprio tutte: un enorme prestito in valuta alla Francia, l'allargamento generalizzato della banda di oscillazione delle monete, l'uscita della Francia dallo Sme.
E noi, zitti o chiotti, ad ascoltare. E facevamo benissimo, sapendo che le recitazioni, ancorchè abili, non servono di supporto alla moneta, secondo la massima napoletana che "chiacchere e tabacchiere di legno, il banco non le impegna". E sapendo anche che il male che consuma il franco è uguale, ma forse meno grave, di quello che consuma la lira. Con una differenza, però: che da noi l'inflazione democratico-sociale ha tanti genitori, da non potersene additare uno come responsabile; è, per così dire, un'inflazione collegiale, che coinvolge tutti i partiti e l'intera classe politica (il più pulito ha la rogna); mentre in Francia la serie recente delle svalutazioni coincide con il regime mitterandiano, venuto al potere nel maggio 1981, e reca le date dell'ottobre '81, del giugno 182 e del marzo '83. E questo suona assai male alle orecchie dei francesi, amanti volubili della sinistra e non immemori del fatto che il Fronte Popolare dovette svalutare il franco, nel 1936, dopo appena quattro mesi di potere e poi ancora tre volte in due anni. Così che nell'opinione comune la svalutazione appare come la camicia o la mutanda del socialismo.
Detto questo, si spiegano gli sforzi che Delors ha fatto a Bruxelles per ridurre al minimo l'arretramento del franco, anche se è consapevole che la misura è troppo esigua e che vi è il rischio, fra sei mesi, di essere daccapo, a meno di straordinarie misure di "redressement" e di tamponamenti immediati sul fronte valutario.
La lira, come si è detto, ha seguito il franco, deprezzandosi anch'essa del 2,5%: ciò che porta a otto punti tondi lo scarto col marco. In più, abbiamo conservato la franchigia di poter oscillare, in su e in giù, di sei punti percentuali rispetto alla parità, in luogo del 2,25 delle altre monete; il che vuoi dire che il cambio lira-marco potrà andare da un minimo di 588 lire a un massimo di 663. Possiamo tirare il fiato. Abbiamo avanti un bel pò di spazio; speriamo di non doverlo percorrere tutto.
Quello scarto di otto punti guadagnato sul marco è piaciuto pure, diciamolo senza ipocrisie, agli operatori economici che hanno affari con l'estero. E' vero, e ormai si insegna anche nelle scuole, che il vantaggio implicito ottenuto all'esportazione si pagherà con maggiori prezzi all'importazione e quindi con inflazione (i dotti lo chiamano "fattore J", come la coda dello scorpione). Ma per il momento, su un mercato estero che tira poco e in particolare su quello tedesco, per via del differenziale di otto punti, i manufatti e le altre merci italiane guadagneranno in competitività. E lo stesso vale per il turismo. Nella stagione imminente, la famiglia tedesca che verrà a passare le vacanze in Italia potrà contare su circa due giorni e mezzo di ospitalità gratuita su un soggiorno di un mese.
E chiaro che non è un guadagno. E' una svendita. Quindi non c'è molto da rallegrarsi. In proposito, rimane vero ciò che tre anni fa Beniamino Andreatta, Ministro del Tesoro, obiettava alle sollecitazioni che dal mondo degli affari gli venivano fatte per la svalutazione della lira a sostegno delle esportazioni: il rimedio sarebbe illusorio; quello reale consiste tanto per l'industria manifatturiera italiana quanto per gli altri operatori, nel mirare alle "fasce alte" dei mercati esteri, in grado di pagare prezzi alti in cambio di ottima qualità, puntualità di consegna, assistenza esemplare. E di fatto, in Germania, nessuno, che ci risulti, sta piangendo perchè il marco costa il 5,5 per cento in più e i prezzi in marchi crescono di altrettanto.

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