§ FENOMENI ODIERNI

DEL RAZZISMO E DINTORNI




Aldo Bello



Ha scritto Domenico Rea che i personaggi di fondo della narrativa meridionale, il plebeo e il cafone, portati alla ribalta dalla ricerca sociologica classica e dagli scrittori dell'Ottocento, sono ormai scomparsi. Insieme con loro, decaduti anche i miti e i simboli, gli stemmi, le insegne, le torri, le mura, le stratificazoni dei diritti: le "vecchie cose", come le chiamava Vittorini, appartenenti alla terminologia naturalistica consunta dall'uso. Osserva Rea: "La tavola da pranzo patriarcale, in America come a Bisceglie, è stata sostituita dal televisore. E un frigorifero portato in una tribù a lungo andare altera le sensazioni Ecco la nuova creatura del Sud: è sempre un "terrone In città", anche se resta nel suo villaggio L'orizzonte delle creature verghiane, balenanti miraggi, è stato sfondato.
Per questa serie di motivi, chi oggi osserva la società meridionale ritrae lo sguardo confuso..."
Rapporti fra industria e letteratura. Li hanno presi d'assalto la saggistica, la narrativa, persino la poesia. Non parliamo della sociologia. Lavine di pagine sul mondo operaio, sulla vita in fabbrica, sul neocapitalismo, sull'alienazione. E il Sud? Al tema industria-letteratura fu dedicato un intero numero di Menabò, e, dal punto di vista meridionale, quel teorizzare immenso e un poco nebbioso su una condizione umana che voleva essere universale e restava solo "triangolare", cioè lombardo-ligure-piemontese, fu un'occasione perduta. Tant'è che in un saggio, peraltro pregevole, di Marco Forti su "Temi industriali della narrativa italiana", gli scrittori del Sud, da Jovine ad Alvaro, da Fiore a Strati, erano confinati in nota, sbrigativamente, trattandosi "di interpretazioni romanzesche del bracciantato e del sottoproletariato meridionale, non degli operai di un mondo industriale organizzato, modernamente". Neanche una parola su Silone. E men che mal su Bernari dei "Tre operai", autentico romanzo di anticipazione. Convenzionalmente arcaica e immobilistica, la condizione del Sud era esaminata solo nel suo contrasto con l'intervento industrialmente avanzato del Nord e nei libri che specificamente emblematizzavano l'incontro o l'attrito, o conflitto, tra i due mondi: Donnarumma all'assalto, di Ottieri, La masseria, di Bufalari. Il Sud in funzione del Nord, e lo stesso Nord con un'immagine economico-sociologica ben definita: una regione morale e spirituale circoscritta fra Torino e Milano. E nessuno venne sfiorato dall'idea che la "rivoluzione scientifico-industriale", di cui parla Snow, era (è) destinata a Investire comunque la società meridionale per la legge interna del suo sviluppo autonomo e per quella evolutiva del mondo contemporaneo.
"Sul piano delle giustapposizioni e contraddizioni storiche di cui è impossibile afferrare tutte le forze - ha scritto Cassieri - in un processo così sconvolgente, il problema (...) investe e impegna la sostanza dell'uomo, di tutto l'uomo". Ma èproprio questo l'impegno che, partendo dai nostri più grandi realisti, Alvaro e Brancati, è passato (passa), attraverso una grandiosa antologia, con le pagine di Vittorini, Scotellaro, Fiore, Marotta, Padula, Alianello, Lussu, Bodini, Pantaleone, De Roberto, Dolci, Prisco, Rea, La Cava, Strati, Incoronato, Seminara, La Capria, Troisi, Cassieri, Silone, Dessì, Palumbo, Tomasi di Lampedusa, Patti, Compagnone, Attardi, Curci, Carrieri, Pomilio, Sciascia, Asprea, Di Ciaula, la Corti, la De Stefani, la Gullo, la Marniti...
Norberto Bobbio distingue in Italia due tipi di cultura, corrispondenti a due tipi di società sviluppate parallelamente: una in prevalenza scientifica, nel Nord industriale (Romagnosi-Cattaneo-Scuola Positivista), e un'altra di prevalenza storicistica, nel Sud contadino, con le sue alternanze spiritualistiche e materialistiche (Spaventa-Labriola, Croce-Gramsci). Il Problema è orchestrarle: quella speculativa, che si pone "al di sopra delle questioni proposte dalle diverse scienze e dall'esperienza comune", che corre il rischio di cadere nella retorica e nella demagogia; e quella scientifica, corrispondente a una mentalità empirica, che procede "per gradi, esaminando una questione alla volta, e non accetta altro criterio di verità che la verifica sperimentale", e che corre l'altro rischio, di cadere nell'evasione e nel grigiore.
Allora, qual'è (deve essere) l'obiettivo degli intellettuali meridionali? Stralcio da un'intervista a Nino Palumbo queste righe: "Qualche cosa di nuovo, di "diverso" si è prodotto e continua a prodursi nella società meridionale: una lenta trasformazione che, mi pare però, sia soprattutto delle "coscienze", della graduale convinzione cioé, da parte dell'uomo meridionale, che anch'egli è (deve essere) soggetto, e non più soltanto oggetto della storia. Questa presa di coscienza va maturando dalla fine del secondo conflitto mondiale Il Sud è andato Indietro, ancora indietro, maledettamente indietro... E quel "maledettamente" l'ho convertito in maledizione per coloro che a ciò hanno contribuito ulteriormente, per I responsabili delle emigrazioni in massa di tanti braccianti, di tanti contadini, di tanti salariati verso il Nord d'Italia e verso il Nord d'Europa (...); maledizione per chi ha sfruttato i ragazzi nei lavori pesanti nelle masserie e i loro genitori con due mesi di lavoro all'anno; per coloro che con i soldi della Cassa per il Mezzogiorno hanno finto di impiantare industrie da noi e hanno invece investito quei capitali al Nord, nella fabbriche e nella speculazione edilizia, o li ha portati al sicuro all'estero, nei forzieri intoccabili delle banche straniere; maledizione per altri reati, che trovano innanzitutto nella coscienza la pena da comminare (...). Come tutte le voci più autentiche, anche quelle della letteratura, dell'arte, della cultura, non hanno grandi possibilità di farsi ascoltare: il condizionamento dell'industria culturale, il suo apparato capillare che è gestito dal Nord, non permettono Perforazioni, rotture. Ma l'uomo di cultura del Sud non deve demordere. Deve crearsi spazi, deve dare il proprio contributo per modificare la condizione di sottosviluppo (di miseria, di sottogoverno) incancrenito dalle cosiddette conquiste tecnologiche. 9 imperativo battere il fatalismo, avere il coraggio di denunciare una "storia" che ha, denominatore comune, la soggezione, l'arretratezza, lo sviluppo condizionato, o a pelle di leopardo, la terra di riporto, il colonialismo del Sud. Non si lascino incantare i nostri uomini dalle sirene della cultura "nazionale" o "europea" che arrivano dal Nord (evasione, alta evasione!). Essi hanno un grande compito, e penso ai più giovani, a quelli che hanno le forze ancora intatte: modificare finalmente le nostre condizioni ingiuste, ma avendo coscienza che è un nostro diritto reclamare le modifiche, denunciando tutto ciò che ingloba oggi la condizione stagnante o di peggioramento economico, sociale e politico del Sud ... "
Sono quarant'anni che i meridionali (ma anche i settentrionali seri) parlano di neo-meridionalismo, riprendono la lezione del passato (che oggi rimane comunque memoria storica), rimettono in discussione gli strumenti di intervento straordinario (dal '63 in poi), dibattono sulle condizioni socio-economiche, politiche, culturali del Sud. E lungo questo philum si sono sviluppati e articolati grandi filoni culturali, che hanno riguardato tutte le espressioni della scienza, e che in qualche modo hanno inciso sul pensiero italiano, almeno fino a quando la grande risacca, il riflusso, non hanno modificato la rotta; e fino a quando, alle tensioni creative che erano state sviluppate lungo gli Anni Settanta, non si sono opposti dapprima il muro del terrore e in seguito quello della redistribuzione assistenziale. Di fronte alle richieste di rinnovamento della società, che comportavano un ricambio generazionale, la risposta è stata quella dell'incentivo dei meccanismi sociali e politici "spontanei", e dunque potenzialmente perversi, da una parte, e del rafforzamento di un welfare State da Terzo Mondo, dall'altra. I primi hanno portato alla violenza diffusa e/o clandestina, e dunque alla paura generalizzata, all'egocentrismo, al privato. Così si sono emarginate per lo meno due generazioni. L'assistenzialismo ha tenuto a bada le altre generazioni emergenti, che non sono solo quelle meridionali, ma anche quelle delle fasce urbane di Torino e di Milano, del Veneto e del Friuli. //prezzo che tutti abbiamo pagato (stiamo pagando) è stato (è) altissimo: sfuggito di mano il terrorismo, si è dovuto far ricorso alla repressione e alle leggi speciali, lo Stato ha delegato alla magistratura (quasi esclusivamente) il compito di opporre una diga all'eversione, all'intrigo golpista, ai megatraffici illeciti, alle tangenti da vertigine, alle evasioni fiscali. Un underground nauseabondo e brulicante è cresciuto, si è radicato, e in buona parte prospera ancora, con protezioni e connivenze occulte. Tutta questa è cronaca dei nostri anni, ed è storia dell'Italia Industriale, non dell'Italia contadina.
All'Italia contadina restano (e non son cose da poco) le società mafiose, nate e cresciute probabilmente come aggregazioni di autodifesa, e subito modificatesi in criminalità organizzata. Ma mentre la società meridionale si interroga sui propri mali, sulle distorsioni sociali, e sul modo di venirne fuori, non ci risulta che altrettanto abbia fatto, o abbia intenzione di fare, la società settentrionale. Se dovessi opporre un narratore del Nord a Sciascia, mi troverei di fronte a un esercito di fantasmi. E mi chiedo come si possa dimenticare l'azione politica e culturale di un Vittorini o di un Sinisgalli, "terroni al Nord"; o come ci si possa attestare sulla "linea" Gadda-Beckett-Borges, ignorando l'altra "linea" Silone-Faulkner-Caldwell. Un equatore di anni-luce dimezza la cultura, come un abisso antropologico e comportamentale dimezza il Paese?
E c'è anche il pregiudizio. La xenofobia emerge, dopo un periodo di incubazione clandestina, con i tempi della crisi dei valori. Qualche tempo fa, a Torino, manifesti siglati L.P.L. (Liguria-Piemonte-Lombardia) Invitavano i meridionali "a imparare l'educazione", altrimenti sarebbero stati guai, non sappiamo di che tipo e portata. Dieci milioni di quel manifesti erano pronti per l'affissione. Intervennero il sindaco Novelli e la magistratura, e gli "ignoti" rientrarono nell'ombra. Poi, è stata la volta di Milano. Un annuncio pubblicitario su un giornale a larghissima (gratuita) diffusione diceva: "Agenzia pubblicitaria cerca per servizi vari bambini 5-10 anni biondi, aspetto nordico o comunque benestante, astenersi negri, mulatti, ebrei, meridionali o comunque Terzo Mondo". E subito dopo, il Veneto, con odiosi murales autostradali: "Forza Etna non mollare: la Sicilia è tutta tua"; "Avanti Vesuvio"; "Il Po divide il territorio tra Italia e Africa Settentrionale"; "Fuori i romani dal Veneto. Meglio un giorno da veneto che mille da terrone". Amen.
Chi avesse intenzione di mettersi sul piano della risposta, persino sofisticata, avrebbe solo l'imbarazzo della scelta. potrebbe far ricorso a uno stilema tratto dai "Ragionamenti sulle antiche virtù italiche" del Vico, il quale affermò press'a poco che "l'Italia finisce al Po, ma cominciando da sotto". Indignazione a parte, e a parte persino l'ironia, afosa o rarefatta che sia, occorre chiedersi che cosa si agiti dietro l'angolo. E dietro l'angolo non ci sono gli ectoplasmi del "Movimento Friuli", della "Liga Veneta", di "LPL". O meglio: ci sono, ma restano privi di caratura, non hanno spessore, né valenza, che non siano quelli delle memorie vagamente lombrosiane (per gli "spiriti colti") o dei razzistelli da periferia (per gli intonsi tout court). Il problema è nel "clima" di questi anni, certamente. Ma neanche il "clima" è sufficiente a chiarire questi comportamenti. Dunque: è la qualità degradata della vita che genera questo "monstrum" e altri del genere. Così, la xenofobia di ritorno aiuta a leggere in chiaro anche altri fenomeni negativi che stanno attraversando la società malata italiana. L'erosione dei valori è la vera spia rossa che si è accesa nell'Oltrepò, e la minaccia vera non è quella contemplata nei codici antiterroni del Nord, ma quella della perdita progressiva di una coscienza comunitaria, in nome della legge selvaggia degli Interessi particolari.
Spiace doverlo dire, ma ciascuno di noi deve pur assumersi responsabilità e impegno di fronte alla società: sarà vero che il "vento del Sud" non poteva avere che vita breve, perché i grandi Interessi del Paese erano legati all'industria e alle catene automatiche di produzione, più che al mondo contadino; al mondo che si accelerava a volontà, più che a quello che non si dominava e sfuggiva, per il diffuso monadismo, alla volontà. Ma è altrettanto vero che il "vento del Nord" è stato una bora dura e fulminea, che sta lasciando più rovine che altro. Se il Paese ha retto non è stato perché LPL e Veneto e altro Centro-Nord abbiano "tirato", ma perché in buona parte LPL e Veneto e altro Centro-Nord hanno "succhiato" e rastrellato molte risorse pubbliche destinate al Sud e altrettante private esistenti nel Sud. Ma ora che quelli dell'Alfasud, per assenteismo e per Improduttività, sono "a livello zero" come la mettiamo? E ora che banditi In doppio petto come Rovelli e Carri di Tespi come la Sir non possono mettere più piede a Sud, che cosa succederà? E ora che i giovani rimangono fastidiosamente e tenacemente a Sud e hanno gettato alle ortiche le valige di cartone rosso e hanno lasciato vuoti i "treni della speranza" (come, tra l'idillio e la demagogia, vennero definiti quelli che erano i "treni della disperazione"), a che santo votarsi? E ora che torinesi, milanesi, veneti, bolzanini, toscani, emiliano-romagnoli, sono stati colti con le mani nel sacco (non per i miliardi di evasione petrolifera o d'altra natura: questi sono affari! Ma per tangenti da dieci-quindici milioni, cosa da miserabili, da mezze calzette, che neanche un terrone...), come ricomporre il viso austero, il "modello" (d'uomo, d'imprenditore, d'amministratore inossidabile, scuola austroungarica, con convegno annuale su Francesco Giuseppe e smemoramento di almeno mezzo milione di stupidi meridionali galleggianti sul Piave e l'Isonzo), e il comportamento?
Cultura visibile, cultura in atto: ecco quello che è venuto meno alle tute blu. Le hanno incagliate negli inghippi salariali, nella Cassa Integrazione e - massimo della fantasia - nell'operaio sociale in diesel, capi di vestiario firmati e vacanze fuori dal mondo In palmizi oceanici, perizomi offerti dalla ditta, che comunque esclude ogni responsabilità per...
Per tutto ciò che è cultura visibile e In atto, cioé politica nel suo significato autentico, quello etimologico. Tutti li hanno uccisi: Spaventa e Labriola, Croce e Gramsci e Omodeo. E in cambio, come diceva Palumbo, ci hanno dato tanta evasione. Dall'uomo. Scriveva Dostoewskij: "Gli uomini. Gli uomini sono la cosa più importante. Gli uomini sono anche più preziosi del denaro. Su nessun mercato e a nessun prezzo si possono comprare gli uomini, perché essi non si vendono né si comprano; ma, ancora una volta, non sono altro che il prodotto dei secoli". Capito?

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