Tradizioni paoline




Brizio Montinaro



Et cum evasissemus, tunc cognovimus quia Melita insula vacabatur. Barbari vero praestabant non modicam humanitatem nobis. Accensa enim pyra, reficiebant nos omnes propter imbrem, qui imminebat, et frigus.
Cum congregasset autem Paulus sarmentorum aliquantam multitudinem et imposuisset super ignem, vipera a calore cum cui processisset, invasit manum eius. Ut vero viderunt barbari pendentem bestiam de manu eius, ad invicem dicebant: Utique homicida est homo hic, qui cum evaserit de mari, ultio non sinit eum vivere. Et ille quidem excutiens bestiam in ignem nihil mali passus est. At illi existimabant eum in tumorem convertendum et subito casurum et mori. Diu autem illis exspectantibus et videntibus nihil mali in eo fieri, convertentes se dicebant eum esse deum.
In locis autem illis erant praedia principis insulae nomine Publii, qui nos suscipiens triduo benigne exhibuit. Contigit autem patrem Publii febribus et dysenteria vexatum iacere. Ad quem Paulus intravit, et cum orasset et imposuisset ei manus, salvavit eum. Quo facto, omnes, qui in insula habebant infirmitates, accedebant et curabantur, qui etiam multis honoribus nos honoraverunt et navigantibus imposuerunt quae necessaria erant.
Post menses autem tres navigamus in navi Alexandrina, quae in insula hiemaverat, qui erat insigne Castorum.
Et cum venissemus in Syracusam, mansimus ibi triduo.
Inde circumIegentes devenimus Rhegium et post unum diem, flante austro, secunda die venimus Puteolos; ubi inventis fratribus, rogati sumus manere apud eos dies septem, et sic venimus Roman.

Usciti dal pericolo, sapemmo che l'isola raggiunta si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con tanta cortesia; accesero un gran fuoco per asciugarci le ossa bagnate e ristorarci dal freddo. Anche Paolo raccolse una bracciata di rami secchi, e, mentre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, ne sbucò fuori una vipera, una che gli si attaccò a una mano. Gli isolani, vedendo la bestia penzolargli dal polso, pensavano: "Costui dev'essere un poco di buono se, appena scampato dal naufragio, la giustizia (divina) non gli permette di vivere". Ma Paolo scosse la mano, e a bestia finì sul fuoco, senza che lui ne avesse avuto il minimo danno. E s'aspettavano di vedergli la mano gonfiarsi per la morsicatura e lui cadere a terra e morire. Visto che non gli accadeva nulla, cambiarono opinione e dissero: "Costui dev'essere un dio".
Lì, negli immediati dintorni, aveva dei beni il principe dell'isola, di nome Publio, che ci accolse e ci diede alloggio sul suo. Accadde che il padre di lui si ammalasse con febbri e dissenteria. Paolo andò a trovarlo, pregò, gli impose le mani e lo guarì. Saputolo, gli isolani gli portarono altri malati e furon tutti guariti. Cara gente, che ci aveva preso a ben volere; e, alla nostra partenza, ci rifornirono di tutto il necessario.
E fu tre mesi dopo, quando ci imbarcammo su una nave alessandrina all'insegna dei Dioscuri, che aveva svernato nell'isola. Arrivati a Siracusa, ci fermammo tre giorni. Poi, rasentando la costa, giungemmo a Reggio; e, in un giorno, col favore del vento del sud, arrivammo a Pozzuoli dove con nostra consolazione, trovammo dei fratelli che ci trattennero una settimana con loro. Poi ci avviammo verso Roma (1).

Il precedente passo di Luca: 28. 2-15 tratto dagli ATTI DEGLI APOSTOLI costituisce il punto di partenza, l'atto di fondazione per tutta una serie di tradizioni popolari e della Chiesa ufficiale legate al viaggio di San Paolo, al naufragio, alla sua figura di vincitore - per grazia divina - dei serpenti velenosi e, infine, alla ripresa dei viaggio che lo condusse a Roma.
Intorno al problema dell'esatta individuazione dell'isola in cui Paolo trovò riparo dopo il naufragio studiosi laici e uomini di chiesa, di differente formazione e di diversa capacità critica, si sono battuti per secoli. Alcuni, primo fra tutti l'abate Ignazio Giorgio, con buone argomentazioni furono convinti di ravvisare nella Melita di cui parla Luca la Mljet dalmata del mare Adriatico; altri sostennero, con altrettante buone argomentazioni, che l'isola che accolse l'Apostolo delle Genti fu Malta africana, situata a circa 90 Km. a sud della Sicilia nel Mare Mediterraneo.
Un nugolo di sostenitori e detrattori dell'una e dell'altra corrente si fecero aspra guerra - soprattutto per gran parte del Settecento - a forza di grossi volumi o di piccoli opuscoli, quasi sempre in latino ma anche in italiano, pieni zeppi di eruditissime e infinite citazioni a favore dell'una o dell'altra tesi.
Spirito di patria, ardente desiderio religioso di affermare la santità della propria terra e, forse, confuso senso dell'enorme vantaggio economico che se ne poteva trarre, erano sottesi ad ogni loro opera e ad ogni loro azione diretta a stabilire la supremazia di un'isola nei confronti dell'altra.
Il tracciare - anche se brevemente - la storia di questa lunga e bizantina controversia esula dalla brevità e dal tema di questa nota (2). Si dirà soltanto che ancora oggi la disputa non ha trovato pacifica soluzione - anche se la Chiesa ufficiale, già nei primi anni del Seicento, si è dichiarata favorevole a Malta africana (3) - e che, come risultato di ciò, si hanno due isole differenti, notevolmente distanti fra loro, nelle quali esistono, contemporaneamente: un culto ufficiale dedicato a San Paolo e una notevole massa di tradizioni popolari legate al Santo e ai suoi atti e, inoltre, vi si indicano in entrambe posti precisi segnati dalla presenza dell'Apostolo dopo il naufragio.
Delle due Melite quella africana però risulta più ricca di riferimenti convincenti, di tradizioni e di feste legate al Santo. Non si può effettivamente dire se per essere stata l'isola in cui in realtà si rifugiò l'Apostolo o se per una maggiore organizzazione del culto ad opera della Chiesa locale come, involontariamente, ci testimonia Marcantonio Hasciak in un suo manoscritto del 1623 intitolato RELAZIONE DELLA NUOVA E GRANDISSIMA DEVOZIONE INTRODOTTA NELLA S. GROTTA DI S. PAOLO NELL'ISOLA DI MALTA CON UNA BREVE RACCOLTA DELLE COSE NOTANDE ED ANTICHITA' DI DETTA ISOLA, esistente nella sezione manoscritti della National Library of Malta al numero 515. In quest'opera si racconta della riorganizzazione del culto - soprattutto della Grotta di S. Paolo in base a notevoli privilegi avuti dalla Chiesa di Roma. Lasciando questa diatriba agli storici e agli uomini di fede, qui si cercherà di sciogliere e di ordinare in gruppi distinti l'intricato nodo di tradizioni paoline, culte e popolari, che il famoso passo degli ATTI DEGLI APOSTOLI ha generato. Si potranno perciò distinguere subito, in base al nutrito materiale bibliografico e della tradizione orale raccolto sia a Malta che in Italia - tre importanti temi i quali si caratterizzano, per la loro ascendenza culta e letteraria, come direttamente derivati dal passo di Luca e quindi più profondamente sentiti al livello di alto clero e, soprattutto a Malta, a livello popolare, dacchè la religiosità di quella gente ha meno scarto dall'ortodossia della religione egemone. Essi sono:
1) il viaggio,
2) il dominio sulla vipera,
3). la grotta e i rimedi miracolosi.
Da ognuno di questi temi deriva inoltre tutta una serie di motivi niente affatto minori e direttamente connessi a credenze diffuse a livello popolare e di basso clero paesano (soprattutto in Italia), tollerate in genere dalla Chiesa ufficiale ma spesso anche avversate per la loro corposa religiosità di carattere subalterno:
1a) acque miracolose;
2a) immunità territoriali;
2b) innocuità dei serpenti ed altri animali ritenuti velenosi; 2c) la stirpe dei sampaolari;
3a) proprietà curative della Terra di Malta; 3b) le glossopietre e altri rimedi.
Il mitologema del viaggio di San Paolo, che si è venuto formando nei secoli a causa di una serie di notizie (Atti degli Apostoli e loro esegesi) diffuse a livello egemone e i cui echi soltanto sono giunti confusi al livello di classe popolare stimolandone le capacità mitizzanti, ha creato, oltre quelli nati nelle città-scalo, di cui si ha notizia certa in Luca 27 e 28 (e cioè Siracusa, Reggio e Pozzuoli), molti altri analoghi centri di culto. Fra questi si possono ricordare i più importanti: quelli delle zone di Noto, di Solarino, della provincia di Messina e di Galatina nella provincia di Lecce. Per quanto riguarda Malta la tradizione unanime indica precisamente in St. Paul's Bay la zona nella quale pose piede il Santo dopo il naufragio, mentre invece per MIyet la tradizione dalmata è incerta e indica più posti. Qui ricorderemo quelli più noti di Saplunara Cove e di Porto Chiave.
Per tutti questi siti geografici la tradizione ci parla di chiesette costruite in memoria dello sbarco del Santo, e di fonti o pozzi ad esse vicini, le cui acque miracolose "oprano meraviglie contro varj morbi, e principalmente contro il veleno de' serpenti" come ci attesta Bonaventura Attardi (4).
L'abate Rocco Pirro ci informa che l'acqua del pozzi di Solarino, Siracusa e Noto, bevuta o usata per abluzioni, "multa in dies miracula patrantur" compie molti miracoli, fa guarire da varie malattie e, soprattutto, è utile contro le punture e i morsi delle bestie velenose (5). Conferma per i luoghi citati ci viene data anche dallo storico siciliano Ottavio Caetani nella sua ISAGOGE AD HISTORIAM SICILIANAM (1615) ai capitoli 20, 21 e 22, con l'aggiunta della stessa tradizione per Messina (6). Per quanto concerne il pozzo di Galatina una prima notizia ci deriva da una leggenda locale, riportata da Nicola Caputo (7), nella quale si racconta che San Paolo, ospite nella casa di un religioso poi chiamata Casa di S. Paolo, avesse dato a lui e ai suoi discendenti la facoltà di guarire coloro i quali fossero stati morsi da animali velenosi facendo il segno della croce sulla ferita e dando loro da bere l'acqua di un pozzo. Altra notizia sul medesimo pozzo, ancora per altro visibile, la si trova nella RELAZIONE DELLA VISITA PASTORALE DELL'ARCIVESCOVO VINCENZO ANDREA GRANDE avvenuta nell'ottobre del 1837 e riportata in parte da Ernesto De Martino in LA TERRA DEL RIMORSO. In essa è scritto:

"In Sacristia (della cappella sorta sul posto dove era esistita l'antica Casa di S. Paolo) extat puteus, cuius aqua bibentes, qui viperarum, aliorurnque animalium veneno sunt effecti, adhibitis precibus, statim a Deo, meritis B. Apostoli, sanitatem saepissime recipiunt, unde creditur illi aquae virtutem huiusmodi medendi morbo inditam esse" (8).

A St. Paul's Bay esiste una chiesa (9) nel punto dove pare San Paolo sia sbarcato e, non lontana, vi è un'antica fontana di acqua fresca, che ancora oggi porta il nome di Fonte dell'Apostolo (in maltese Ghajn Razul). Questa fontana di acqua dolce, secondo la tradizione, è stata fatta scaturire per miracolo (eductam miraculo) dall'Apostolo: secondo alcuni per far dissetare l'equipaggio di 276 uomini scampati al naufragio (10), secondo altri per battezzare lo stesso equipaggio: "ad naufragos baptizandos" (11).
Sulla fonte si legge scolpita la seguente iscrizione:

Hac sub rupe cava, quam cernis ad aequoris undas. Est hic exiguus fons salientis aquae, Religione sacra, fontem hunc venerare, viator. Naufragus has dederit cum tibí Paulus aquas.

La tradizione popolare delle acque miracolose collegate ai punti di sbarco dell'Apostolo Paolo durante il suo viaggio può aver avuto, come primo antecedente, l'episodio miracoloso appena riferito. Si ritiene però che, se anche questa ipotesi fosse percorribile, essa non sarebbe di primaria importanza e non risolverebbe del tutto il problema della connessione delle acque al culto di Paolo.
Innanzitutto bisogna notare che Paolo non è l'unico Santo cristiano al quale si collegano fonti o pozzi miracolosi o acque apparse improvvisamente per miracolo.
Vincenzo Caruana, a questo proposito, menziona alcuni esempi di fonti apparse miracolosamente per convertire infedeli o per testimoniare sante apparizioni. Cita gli esempi di Papa S. Clemente, discepolo di San Paolo, che nel Chersoneso, in Tracia, ove era esiliato, fece scaturire una fonte con la cui acqua dissetò e convertì circa duemila persone; di S. Venanzio, che a Camerino operò lo stesso miracolo a favore dei soldati e questo condusse alla conversione di molte persone; e di Lourdes dove, nel XIX secolo, scaturì miracolosamente una nuova sorgente come prova dell'apparizione dell'immacolata a Bernadetta e diventò causa di conversioni e di salute (12).
A San Miro si attribuiscono alcune fonti, scaturite in Brianza miracolosamente per suo intervento, le cui acque avrebbero la "virtù di guarire i malati". Una di esse si trova a Pognana (13). Secondo Annabella Rossi, esistono acque miracolose connesse a Santi nei seguenti Santuari: SS. Trinità a Vallepietra, Madonna di Canneto nelle vicinanze di Settefrati, San Venanzio a Raiano, S. Michele Arcangelo a Monte San Angelo (14), San Francesco a Paola, Madonna del Pozzo a Capurso. Tali acque, essendo collegate ad alcuni miracoli, vengono proposte come aventi qualità taumaturgiche specifiche (15).
Alfonso M. Di Noia ci riferisce che a Luco del Marsi, in Abruzzo, era anticamente indicato come pozzo di Angizia l'attuale pozzo di Sant'Angelo e che le acque di esso erano ritenute adatte a curare le morsicature del serpi (16).
Annamaria Liuzzi in FAVOLE E LEGGENDE SALENTINE riporta una brevissima leggenda, raccolta ad Alezio, che trascrivo per la curiosa analogia con la tradizione maltese della Fonte dell'Apostolo. Qui però la fonte d'acqua è attribuita al patronato di San Pietro.
"Quando San Pietro sbarcò nel Salento, passò per Alezio; qui dapprima incontrò una certa ostilità, ma un giorno lo Spirito Santo apparve agli abitanti del luogo e fece udire questa voce: "Fedeli, seguite (a parola di Pietro e sarete salvi".
A quell'invito, tutti corsero dall'Apostolo che, per battezzare tanti neofiti, fu costretto a far svuotare un pozzo dell'acqua che lo riempiva.
Ed è l'acqua di quel pozzo - narra la leggenda - che tuttora si adopera per sanare coloro che sono morsicati dalla tarantola (17).
Alla figura di San Nicola, a Bari, è connessa una fonte le cui acque sono rese miracolose della presenza delle ossa del Santo, dalle quali, secondo una credenza riferita dal filosofo Geroge Berkeley (18), sgorgano. E poi si potrebbero citare ancora molti esempi.
Mettere in relazione i Santi con l'acqua di sorgenti e di pozzi vuoi dire sottolineare l'antica sacralità delle acque ed esprimere la volontà di perpetuarne la memoria; soprattutto in un periodo, come quello del lento trapasso dalla religione pagana a quella cristiana, in cui forte dev'essere stato per l'uomo il rischio di perdere l'identità religiosa. Non bisogna mai dimenticare comunque che, alla radice di ogni credenza, vi sono esperienze reali collegate alla sopravvivenza degli animali, della vegetazione e dell'uomo stesso e che queste tengono salda ogni convinzione. La radice dei culto dell'acqua che dona salute fisica e spirituale sorge infatti da tali esperienze, proiettate poi, secondo i meccanismi delle psiche umana, in simboli mitici che effettivamente rispondono alle aspirazioni più sentite e radicate dell'uomo.
Prima di passare però ai processi di ideazione simbolica conviene dare uno sguardo, anche se limitato, alla realtà storico-economica che ha reso possibile la vita di questi miti, riti e culti religiosi.
L'Italia meridionale e insulare ha da sempre sofferto la sete per la mancanza di importanti reti fluviali e l'economia agraria, in una società di coltivatori, è stata dunque la prima a soccombere per mancanza di acqua o di piogge abbondanti. Di fronte ai pericoli di grande siccità la propiziazione divina è stata, per secoli, l'unico strumento conosciuto dalle classi subalterne per tentare di risolvere i problemi reali; mentre la presenza di acque paludose è stata ritenuta negativa ed estremamente insidiosa.' In tale condizione si sono moltiplicati i sistemi e le tecniche magiche. Per far piovere, ad esempio, si è giunti a punire i Santi protettori col mettere loro in bocca sarde salate, col calarli in pozzi e cisterne di acque, con il lasciarli per giorni sotto il solleone per far sentire anche a loro il morso della canicola e costringerli a mandar giù la pioggia. In una situazione di questo tipo qui appena enunciata - e cioè in una realtà contadina in cui l'acqua ha il posto di elemento primario -una polla, un pozzo di acqua sorgiva costituivano, e in parte ancora costituiscono, un bene economico di notevole importanza. Per i secoli passati abbiamo molte testimonianze che provano o che, quanto più sono disinteressate, danno il senso diretto o indiretto di cosa poteva significare per l'agricoltore il possesso dell'acqua. Qualche esempio.
Per quanto concerne l'area salentina, il Galateo, nel DE SITU IAPYG1AE (19), scritto nel 1511, non si stanca mai di annotare per ogni località di cui parla la presenza o l'assenza di pozzi e di fonti: "si trovano pozzi" dice parlando di Lecce, "povero d'acque" dice del terreno su cui sorge Soleto, "non povera di acque... per la presenza di un numero più che sufficiente di pozzi" dice di Galatina, "l'intera zona è povera di acque, ha pochi pozzi" dice di Galatone, e così via. E questa realtà in una regione che il Berkeley, attento viaggiatore dei primi anni del Settecento, così vede e descrive: "Strada sassosa, grano, vigna, fichi: muri di pietra invece di siepi. Terreno sassoso, aperto; erba bruciata, come in verità dappertutto. Pecore, un piccolo gregge. Ampie vigne a destra e a sinistra. Noci; a sinistra, spaziosi campi di grano. Al di là del campi alberi, e dietro gli alberi un borgo abbastanza grande" (20). Terra bruciata e solo colture che hanno bisogno di sole. Quindi povertà, soprattutto per la folla di braccianti e contadini senza terre. Ma, proprio a causa dei caratteri geomorfologici e della esigua idrografia superficiale, è sempre esistita nel Salento una notevole idrografia sotterranea derivante dalla intensa carsificazione, responsabile di forme epigee e ipogee e di falde freatiche e carsiche cui si debbono le sorgenti costiere e i pozzi di acque dolci sparsi un po' dappertutto (21). Tale situazione però, nei secoli passati, non era facilmente sfruttabile.
La realtà socio-economica della Sicilia e della Calabria, dove esistono i luoghi di culto citati in questo scritto e connessi alle acque, a un'indagine diacronica, non appare molto diversa.
Da una situazione di estremo bisogno e di ricerca affannosa di corsi d'acqua, di fonti, di polle cui dissetarsi e attingere per il lavoro nei campi trae origine la tensione economica e psicologica del gruppo (22). L'acqua diviene così sorgente di vita, di salute fisica e di stabilità economica e assurge alla sfera del sacro. Viene connessa a Santi e Patroni. Nella zona da noi presa in esame e nella quale esiste la tradizione del viaggio di San Paolo, in particolare, viene messa in relazione con l'Apostolo delle Genti. Non è azzardato dire che, forse, ciò è accaduto per analogia con la tradizione popolare esistente nell'Isola di Malta, la cui cultura - per tanti rispetti -sembra far parte dell'area culturale subalterna siciliana.
San Paolo diviene così il patrono e l'elargitore di molte grazie per coloro che alla sua acqua attingono. Chi ne beve o chi si bagna guarisce. L'atto dell'ingerire o del bagnarsi diviene così simbolico ed assimilato ad altri atti somiglianti e ad altra acqua sacra.
La doppia tradizione maltese della Fonte (Ghajn Razul) fatta scaturire dall'Apostolo per dissetare e per battezzare non presenta, in questa visione delle cose, alcuna contraddizione. Può dissetare - quindi trovare una utilizzazione pratica - e può essere atta, per la sua sacralità, a purificare e a far guarire fisicamente e spiritualmente. La massa dei contadini e di tutti quelli a diverso titolo subalterni, affetti da "varj morbi", che per secoli si sono recati devotamente alle chiesette e ai santuari paolini, nella visione del mondo che li sosteneva, erano certi di trovare, naturalmente, in quell'acqua, pronta e sicura guarigione. I tarantati poi e i morsicati da animali velenosi e da serpenti per i quali San Paolo aveva uno speciale patronato indirettamente fondato per sempre dal brano degli ATTI di San Luca - usando dell'acqua miracolosa, hanno trovato in essa la loro salute e la loro salvezza dai dolorosi e faticosi giorni di crisi esistenziale.
Oggi le fontane paoline si sono quasi tutte disseccate; la loro vena sacra inaridita. L'ultima, quella del pozzo di Galatina, murata forzosamente il 7 giugno 1959 per un ordinanza dei sindaco in cui si legge: "... allo scopo di evitare che nel periodo delle prossime feste sia fatto l'uso della stessa (acqua), è urgente e indispensabile che il pozzo di che trattasi venga chiuso in modo da impedire l'attingimento".
Da parte degli utenti, deboli lamentele finite nel nulla.
E questo perchè ci troviamo in presenza di una modificazione dei rapporti economici, di una mutata situazione agricola che ha portato alla formazione e alla crescita di una economia particolare e indefinita la quale, se pur si distingue ancora da quella delle formazioni urbane e industriali, non è comunque slegata dalle leggi del profitto che regolano la nostra società.
La particolare protezione subalterna di San Paolo, per quanto riguarda le acque alla sua figura connesse, non trova quindi più rispondenza nella situazione attuale. Le acque, oggi opportunamente incanalate e distribuite, non sono più elementi angosciosi determinanti situazioni mitiche da cui dipendere. Acquedotti e pozzi artesiani sono la nuova risorsa scientifica che quieta l'ansia e risolve i momenti critici degli agricoltori. Hanno preso il posto delle fonti e delle polle, accanto ai potenti gestori che ne sono i Santi protettori. E tutto può andar bene, a patto che eventi naturali e incuria degli uomini non provochino disastri nelle nuove moderne strutture e facciano riesplodere paure, terrori e irrazionalità in tutti coloro che con l'acqua e dell'acqua vivono. In tal caso non saranno certo più i Santi, ormai quasi dimenticati, ad essere puniti, ma gli onnipotenti amministratori politici. E i pochi agricoltori lo sanno.


NOTE
1) Atti degli Apostoli, traduzione di Cesare Angelini e testo latino di A. Merk. Einaudi, Torino 1967, pagg. 176-179.
2) Si riporta comunque la bibliografia essenziale sull'argomento. A favore di Mljet: Ignazio Giorgio, D. Paulus Apostolus in mari, quod nunc Venetus Sinus dicitur naufragus et Melitae dalmatensis insulae post naufragium Hospes sive De genuino significatu duorum locorum in actibus Apostolicis. Cap. XXVII e Cap. XXVIII. Inspectiones anticriticae. Venezia, 1730.
- Stefano Sciugliaga, Il Naufragio di San Paolo ristabilito nella Melita Illirica contro la Dissertazione cronologico-geografica del D. Carolo Giuseppe di S. Floriano. Venezia, 1757.
- V. Palunko, Melita nel naufragio di San Paolo e l'isola Meleda in Dalmazia. Studio di geografia biblica. Spalalo, 1910.
- Rudolph Vimer, Malta ili Mljet?. Zagabria, 191l.
A favore di Malta:
G. Antonio Cinatar, B. Paulo Apostolo in Melitam siculo-adriatici maris insulam naufragio ejecto Dissertationes Apologeticae in Inspectiones anticriticas R.P.D. Ignatii Georgii de Melitensi Apostoli Naufragio, descripto in Act. Apost. cap. XXVII e XXVIII. Venezia, 1738.
- Bonaventura Attardi, Bilancia della Verità. Risposta al libro intitolato Paulus Apostolus in Mari, quod nunc Venetus sinus dicitur, Naufraghus, del P.D. Ignazio Giorgio Benedettino della Congregazione ragusina. Palermo, 1738.
- Ruperto di S. Gaspare, Divus Paulus Apostolus e Melita Illyricana in Africanam quondam, Nunc vero S. Joannis Hierosolymitani equitum feliciter redux sive Anticriticarum inspectionum reverendissimi d. abbatis Ignatii Georgii ordinis S. P. Benedicti AMICA INSPECTIO. Venezia 1739.
- Francesco Agius de Soldanis, Discorso apostolico. Venezia, 1758.
- Nonio Catiniano Gravanti, Critica de' critici moderni che dall'anno 1730 insino al 1760 scrissero sulla controversia del Naufragio di S. Paolo Apostolo, descritto ne' capi 27 e 28 degli Atti Apostolici. Venezia, 1763.
- AA. VV., Tal-festi li saru fir-Rabat FI-okkazjoni tal-festi centinarji tan-NAWFRAGJU TA' SAN PAWL u tad-DSATAX-IL MITT SENA TALFONDAZZJONI TAL-KNISJA TA' SAN PAWL MATRICI U PROTOPARROKKJALI TA' MALTA. Malta, s.d. (ma 1960).
3) Nella Bolla data in Roma apud S. Mariam Majorem anno Incarn. Dominicae 1620 Il Sommo Pontefice Paolo V dà conferma del Naufragio di San Paolo avvenuto in Malta; conferma che scaturisce anche da un'altra Bolla, emanata da Papa Benedetto XIII nel 1727 per concedere un privilegio all'altare sito nella Grotta di S. Paolo di quell'isola. Nella controversia, poi, intervenne direttamente Benedetto XIV, il quale in favore di Malta così si pronunciò: "Sanctus Lucas Pauli Apostoli in Insulam Melitam adventum describit. Nos hic Melitam intelligimus, qua inter Siciliam et Africam posita est; ubi Equites Hierosolymitani sedem jam diu statuerunt; non autem Melitam quae sita est ad marem Adriaticum prope Dalmatiam, ut Monachus Ignatius Giorgiu erudite contendit".
4) Bonaventura Attardi, op. cit., pag. 169.
5) Rocco Pirro, Sicilia sacra, Not. VII. Palermo, 1611 pag. 589.
6) Ottavio Caetani, Isagòge ad Historiam Sicilianam. Ap. B. Attardi, op. cit., pgg. 171-172.
7) Nicola Caputo, De tarantulae anatome et morsu. Lecce 1741, pag. 229.
8) Ernesto De Martino, La terra del rimorso. Il Saggiatore di Alberto Mondadori, Milano 1961, pag. 109.
9) "Ibi non ultime venerationis aedicula lapide extructa" dice Joan Quintini al cap. XX del suo Insulae Melitae descriptio ex commentariis rerum quotidianarum. Lugduni 1536.
Tale cappella originale fu fatta edificare dalle famiglie Inguanez e Bordino e rimase in piedi fino al 1610. In questo anno fu completamente rifatta dal Gran Maestro Wignacourt, sempre nello stesso punto ma con modifica della planimetria originale. Nel 1956 fu però riportata alla sua originaria struttura.
10) Vincenzo Caruana, La vipera maltese in relazione col naufragio di S. Paolo. Considerazioni critiche. Lorenzo Busuttil Tipografo, Malta 1911, pgg, 53-54.
11) Questa tradizione è riferita da Ignazio Giorgio per poterla poi confutare. Cfr. Ignazio Giorgio, op. cit., pag. 267.
12) Vincenzo Caruana Op. cit., pag. 54.
13) Maria Adelaide Spreafico, Brianza. Sta in La sagra degli ossessi a cura di Carlo Tullio Altan. Sansoni Editore, Firenze 1972, pag. 212.
14) Il pozzo di Monte Sant'Angelo e "l'acqua per guarire ogni male" hanno attirato l'attenzione anche di una viaggiatrice inglese dell'Ottocento, Janet Ross, che ne parla nel suo libro La terra di Manfredi. Lorenzo Capone Editore, Lecce 1978.
15) Annabella Rossi, Le feste dei poveri. Editori Laterza, Bari 1969, pag. 175.
16) Alfonso M. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana. Editore Boringhieri, Torino 1976, pag. 115.
17) Favole e leggende salentine, a cura di Annamaria Liuzzi. Adda Editore, Bari 1977, pag. 21.
18) George Berkeley, Viaggio in Italia. Bbliolpolis, napoli 1879, pag. 191.
19) Antonio De Ferrariis Galateo, La lapigia. Messapica Editrice, Lecce 1975, pgg. 83, 88, 90, 100.
20) George Berkeley, op. cit., pag. 203.
21) Cfr. Domenico Novembre, Ricerche sul popolamento antico del Salento con particolare riguardo a quello messapico. Edizioni Universitarie Milella, Lecce 1971, pag. 53.
22) Cfr. Alfonso M. di Nola, Acqua. Sta in Enciclopedia delle Religioni Vol. 1, Vallecchi, Firenze 1970, pag. 23.


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