§ IL CORSIVO

L'anima sepolta




Giovanni Arpino



Uno dei migliori articoli apparsi in questi ultimi mesi sui quotidiani europei è stato: "L'indifferenza uccide", e l'ha scritto un giovane di ventidue anni, pubblicitario, Grégoire Delacourt, eccezionalmente ospitato da "Le Monde". Lo stesso autore definisce "inutile" il proprio scritto: perchè parla di indifferenza civile a proposito dell'attentato arabo della fine di aprile a Parigi, uno dei mille che tutti i giorni insanguinano il mondo. La gente - ogni gente di ogni Paese - legge, vede, commenta, poi torna al proprio caffè, alla propria auto, al pensierino sulla settimana corta e la vacanza lunga.
Il giovane si lamenta di un'aridità morale che va rispecchiandosi da Parigi a Palermo, da Singapore a Buenos Aires. Tutto scontato, ma anche sottolineabile, sempre, anzi sempre di più. Nulla va più combattuto dell'indifferenza, un peso morale che porta a fondo - terribile zavorra - ogni eredità e ogni desiderio di verità, quindi di vita.
Nemmeno la morte ci risveglia, ci procura un palpito, uno scatto di rabbia sana, positiva, reagente. Ci si acquieta tutti tra i disastri con una rilassatezza che è, a sua volta, un male, un contagio. "Se noi vivessimo veramente nel mondo, col mondo, senza lasciarci distrarre troppo dalla televisione, il bicchier di vino, l'auto, gli attentati farebbero un rumore diverso... Non possiamo delegare agli altri le nostre speranze", dice quel giovane parigino onesto.
E dunque: il nostro male non è affatto oscuro, è palese. Si abbarbica sulle muffe di una coscienza che non risponde ai soprassalti della realtà. Noi viviamo, letteralmente viviamo, a stretto contatto col crimine, o politico o comune, che è diventato un pasto giornaliero, una "costante". Abbiamo accettato questo male, non inventiamo nulla per guarirlo. Tutti i vaccini sono diventati superflui o addirittura nutrono i "virus" nemici, come accade a certi medicinali, che rallegrano i bacilli anzicchè distruggerli o ritardarli nella loro opera funesta.
Mai il mondo è stato così povero di "anima". E mai "anima" è stata così relegata, da quando esiste, in un mondo di uomini. Chi ha fede, si arrampica lungo i sentieri di profezie lontane ed esitanti; chi non ha fede si avvilisce in un falso realismo di abitudini ed interessi e rapacità esistenziali. Mancano i grandi esempi, i punti di riferimento, le forze di carattere, manca soprattutto il coraggio di sentirsi e dirsi vivi, quindi responsabili di ogni vita, di tutte le vite.
La quotidiana esistenza parigina, come quella italiana o londinese e persino africana, ormai, viene scandita secondo ritmi che riteniamo confortevoli o quasi, ma che rivelano un "valore" interno miserabile, se paragonato alle grandi tensioni ideali che nutrirono l'uomo in altri tempi. La stessa sofferente civiltà contadina, da cui tutti veniamo, era più nobile, più concreta, più ilare e dignitosa rispetto alla nostra. Noi abbiamo il sapone e l'acqua calda; ma loro, nonni e bisnonni e trisavoli, avevano decenza, pietà, cura dell'uomo.
L'indifferenza che fa paura al giovane parigino ospitato da "Le Monde" è solo la porta che introduce a mali più gravi, fors'anche ad operettistiche manovre politiche e poi belliche e poi catastrofiche. Non siamo tra coloro che si abbeverano alle fontane fasulle della tentazione pacifista - così ben condotta da quelli che sono meglio armati - ma è chiaro che proprio questa umanità degradata e degradabile è la meno meritevole di pace: mai l'Europa ha vissuto per tanti decenni senza una guerra, e per questo è diventata territorio di imprese banditesche, di agguati criminali, di furori ideologici. La pace che invochiamo, ce la meritiamo?
Prigioniero tra le mura casalinghe, bombardato da notiziari che gli raccontano tutte le atrocità di tutti i cantoni del globo, l'uomo europeo è già una vittima di se stesso e della propria storia, così lunga, così difficile. Quando era macilento e debole e affamato, conquistò il pianeta. Oggi è ricco (anche quando è povero, non dimentichiamolo) e ingrassa nella sua ignoranza visiva e sonora. Appena esce di casa non esita a litigare per un'insalata comunitaria, un vino comunitario, una moneta che regge a stento, un accordo che non vale la carta su cui è stato steso.
Alle attese dei tanti e giovani Grégoire Delacourt, siano nati a Parigi o a Vigevano, bisogna rispondere: non con "slogan" beceri, non con bandiere stinte, non con i fumismi di una sociologia arbitraria. Un saggio diceva: uomini, curate i commerci, vi aiuteranno a trovare le idee. Ma in un mondo che ha ridicolizzato le frontiere, al posto dei dazi noi abbiamo piazzato fili spinati ideologici, muri di incomprensione e dispetto e negatività.
Dobbiamo riscoprire la nostra anima sepolta. Solo quest'anima ci aiuterà a non riaccucciarsi in tutte le detestabili mode "retro" di oggi. Ogni giorno dovremmo destarci e rivolgerci un interrogativo urgente: e se la vita cominciasse adesso?

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000