La strategia degli investimenti finalizzati




Claudio Alemanno



Problema delicato, specie in questo periodo di spinte inflazionistiche e di tensioni valutarie, è quello degli interventi straordinari a sostegno delle attività produttive e degli investimenti nel Mezzogiorno. Il ruolo della Cassa, già ridimensionato con la legge 183 ormai scaduta, sembra ancora insostituibile per l'assenza di progetti politici alternativi capaci di conseguire l'avallo del Governo e del Parlamento. Quindi è facile prevedere che si procederà in questa materia con semplici atti di proroga ed annessa dotazione finanziaria, che voci autorevoli e ricorrenti quantificano in circa 8.000 miliardi.
A ciò deve aggiungersi un altro pacchetto di investimenti già programmati che interessano prevalentemente il Mezzogiorno: la costruzione di alcune centrali nucleari e a carbone (per ogni cantiere è prevista una durata di 6-8 anni di lavoro) che dovrebbero dare occupazione a 1500 - 2000 persone. Ed ancora la costruzione delle reti per la distribuzione del metano nel Mezzogiorno. In questo settore sarebbe opportuno verificare in prima istanza la disponibilità dell'ENI a darsi carico della costruzione e gestione di tali reti distributive e pretendere in sede regionale specifiche garanzie circa la dimensione minima delle reti da costruire e la politica tariffaria che verrà applicata agli utenti del metano.
Un terzo capitolo di investimenti previsti con interventi di settore riguarda le telecomunicazioni che con il passaggio da tecniche elettromeccaniche a tecniche elettroniche determina la necessaria ristrutturazione dell'intero comparto con il conseguente potenziamento delle reti di servizio attualmente presenti nel Mezzogiorno.
La potenzialità delle risorse destinate allo sviluppo industriale del Mezzogiorno non è dunque irrilevante e, se non si vuol fare opera di mero assistenzialismo, paradossalmente dovrebbe dirsi che l'impegno pubblico non dovrebbe più tendere al riequilibrio delle situazioni economiche territoriali ma a creare nuovi squilibri, funzionali alla propulsione di un nuovo ordine economico e sociale complessivo. In questo contesto l'intervento diventa straordinario in termini quantitativi ed ordinario ed obbligato in termini qualitativi, essendo esso finalizzato ad attivare i nuovi meccanismi di sviluppo dell'intera economia italiana.
Staccandosi ora dalla suggestione di considerare tutto dal punto di vista dell'intervento meridionale occorre volgere l'attenzione sulla realtà sociale attualmente presente nel Mezzogiorno e sulla sua possibile collocazione nel processo evolutivo della società italiana.
Il primo problema da porsi è se effettivamente vi siano oggi nel Mezzogiorno dei soggetti attivi di sviluppo. La letteratura sullo sviluppo degli ultimi anni ha preso progressivamente coscienza del fatto che la trasformazione di una società non è più tanto il frutto dell'azione dei soggetti individuali (primo fra tutti l'imprenditore) quanto della convergente responsabilità di soggetti politici, economici e sociali di carattere sempre più collettivo più complesso e perciò responsabile del generale sviluppo della società.
Purtroppo l'azione pubblica del Mezzogiorno è vissuta su una impostazione che prendendo coscienza dei limiti dell'iniziativa imprenditoriale singola, rimandava allo Stato tutte le responsabilità di soggetto attivo dello sviluppo, saltando a piè pari le sedi di responsabilità di tipo intermedio che, sia pure indirettamente, incidono sul formarsi e sull'affermarsi delle tensioni sociali.
Ciò ha creato una situazione delicata: i soggetti individuali tradizionali (gli imprenditori) non hanno sufficiente consistenza e spazio; il soggetto collettivo più ampio, cioè lo Stato, non sfugge al pericolo di una pesante burocratizzazione e perciò all'impossibilità concreta di guidare l'innovazione e lo sviluppo. I soggetti-collettivi intermedi (le regioni, gli enti locali, le organizzazioni territoriali, ecc.) sono ancora ad un livello di semplice rappresentanza di interessi e non hanno ancora preso coscienza delle loro potenzialità e dei loro compiti come soggetti di sviluppo.
La situazione, delicata e preoccupante in termini economici, e aggravata da una cultura secolare che porta naturalmente all'individualismo o all'accettazione del paternalismo di Stato, con l'esclusione quasi automatica di ogni spinta associativa funzionale ed organizzata.
Le carenze sul piano dei soggetti attivi dello sviluppo sono collegate alla trasformazione profonda dei gruppi sociali negli ultimi dieci anni. Spinte psicologiche ad assumere responsabilità di soggetto attivo dello sviluppo possono sorgere soltanto in una società in cui la vita sociale e la dinamica dei gruppi siano molto più intense e vivaci di quanto siano oggi nel Mezzogiorno.
Qui infatti gli strati sociali fondamentali hanno subito delle modificazioni radicali che in pratica hanno annacquato ancora più quello scarso vigore che alcuni gruppi avevano dimostrato in passato.
I braccianti che costituivano l'elemento più caratteristico della civiltà agricola del Mezzogiorno, sono stati i primi a subire la forza di attrazione delle zone più sviluppate del paese. Così essi sono andati sempre più diminuendo e non rappresentano più una realtà sociale degna di considerazione, con la conseguenza che in molte aree del Mezzogiorno si è avuto un effetto di sostanziale impoverimento.
Il mondo dei piccoli proprietari contadini presenta situazioni diverse. Il tradizionale senso di sicurezza che il contadino meridionale trae dalla proprietà della terra ha impedito a questo gruppo sociale di abbandonare il paese di origine e di seguire l'esempio dei braccianti inurbandosi e trasformandosi in operai industriali. Ma oggi questa certezza diventa sempre più precaria per la scarsa redditività dell'economia agricola e la loro entità di aggregato sociale perde sempre più potere contrattuale.
Venendo a mancare la classe dei braccianti e quella dei piccoli proprietari si affaccia a livello di classe dominante quella impegnata nelle attività di servizio (artigiani e commercianti) ma solo in rarissimi casi questi soggetti sono in grado di trasformare la loro attività orientandola verso esperienze piccolo-industriali.
Diverso è il caso della borghesia intellettuale che meglio ha resistito al flusso migratorio ed alle trasformazioni ambientali, rappresentando spesso l'elemento di continuità della vita civile. Ma è una classe sociale spesso incapace di assumere posizioni di leadership, finendo per surrogare la gestione delle comunità nel momento in cui le forze più vive (braccianti e piccoli proprietari) tendono ad abbandonarla. Il contatto con questa categoria sociale mette a nudo nuove e più gravi insicurezze dovute alla percezione che la società evolve attraverso meccanismi le cui sedi e i cui motori sono altrove, assolutamente al di fuori della loro portata.
Tutto ciò fa comprendere come, contrariamente agli anni in cui fu decisa e voluta la politica meridionalistica, non esistono nel Mezzogiorno delle reali tensioni sociali e politiche che possano servire da base ad impegni di innovazione e di riforma, con la conseguenza di aprire spazi sempre più ampi alle attività della criminalità organizzata.
In questo contesto sociale estremamente delicato si colloca oggi il rapporto tra tecnici e politici nell'impostazione e nell'esecuzione dell'intervento di sviluppo.
Il ripensamento della fase attuale della questione meridionale deve semplicemente individuare i problemi concreti su cui si giocherà lo sviluppo meridionale dei prossimi anni. A nostro avviso quattro linee di azione sembrano essenziali:
- garantire alla struttura produttiva un ritmo di innovazione tecnica che la adegui alle esigenze della domanda internazionale e al livello di avanzamento tecnologico ed organizzativo che i paesi più industrializzati vanno" gradualmente raggiungendo;
- garantire una ulteriore, anche se non più organica, attuazione del processo di mobilità e di avanzamento sociale;
- raggiungere livelli di razionalizzazione e di efficienza dell'apparato economico, amministrativo e sociale che assicurino una autonoma capacità di propulsione ed una moderna organizzazione dinamica della vita produttiva e sociale;
- assicurare l'integrazione ed il collegamento costante con lo sviluppo dei sistemi economici più moderni del nostro, con particolare riferimento al sistema europeo.
Di fronte a queste esigenze dello sviluppo il Mezzogiorno si trova oggi ad essere portatore di prospettive positive, sia per quanto riguarda le possibilità ch'esso offre alla localizzazione di capitali stranieri, sia per quanto riguarda la constatazione che il ritmo di innovazione tecnica pone il sistema settentrionale e quello meridionale di fronte a problemi e compiti analoghi, con una situazione relativa di partenza molto meno diversificata che in passato. Ma sfruttare queste possibilità comporta uno sforzo di grande ampiezza verso l'innovazione tecnica ed organizzativa del sistema produttivo meridionale. A tal proposito occorre ricordare che di fronte alla necessità delle aziende industriali meridionali di garantirsi livelli tecnologici adeguati alla situazione di mercato, solo alcune di esse, di dimensioni superiori alla media, possono svolgere una vera e propria attività di ricerca scientifica originale. Ma aziende di questo tipo sono rare nella nostra realtà economica, mentre la maggior parte delle aziende medie e piccole operanti nel settori più tipici del Mezzogiorno (alimentari, meccanica, cemento, legno, ecc.) opera ad un livello tecnologico sensibilmente meno elevato rispetto alle conoscenze tecniche comunemente disponibili. Un loro sostanziale miglioramento deve essere quindi conseguito in varia forma.
Ugualmente complesso è il problema di garantire ulteriori processi di mobilità interaziendale richiesti dal generale impegno di ristrutturazione, senza creare ulteriori fattori destabilizzanti in termini di pace sociale.
Non c'è dubbio che l'approccio ai problemi sollevati è stato studiato finora sotto l'aspetto della dimensione territoriale dello sviluppo mentre in ombra sono rimasti i problemi verticali dei diversi settori e campi d'intervento.
Ma negli ultimi anni la trasformazione della nostra società ha messo in risalto il legame del processo di sviluppo con fenomeni non strettamente legati all'aspetto territoriale poichè gli squilibri più evidenti sono venuti da processi e fenomeni che traevano spunto più da meccanismi nazionali ed internazionali che dalla realtà delle singole zone. Occorre pertanto settorializzare quanto più è possibile l'intervento che negli anni passati ha avuto un approccio prevalentemente territoriale.
Da complesso delle valutazioni che precedono ci pare di dover trarre una conclusione: che esista una convergenza tra la decadenza della "questione meridionale" e l'isolamento in cui si va sempre più chiudendo il pensiero meridionalista, proprio in un momento in cui più attivo e più presente dovrebbe essere il suo apporto per incidere nel senso indicato sul cambiamenti che si attendono.
Ma se si deve uscire dallo stagno, le responsabilità di guida e di orientamento ideologico e culturale non possono essere a lungo disattese.

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