§ UNA BIOGRAFIA DEL SOVRANO SVEVO

Il mitico Federico




Giuseppe Galasso



Il fatto di biografie, Federico secondo di Svevia continua ad avere una fortuna notevole anche per la frequente buona qualità delle opere a lui dedicate. Quella del Kantorowicz ha ormai più di mezzo secolo; e, malgrado tutti gli aspetti che la legano alla cultura del suo tempo e ad alcuni elementi assai discutibili di essa, rimane la più dotta, la più fine, la più suggestiva ricostruzione di una personalità sentita sempre come eccezionale. Ma dal 1927, quando apparve quella del Kantorowicz, ad oggi sono apparse almeno altre cinque o sei biografie fridericiane degne di attenzione. E davvero non é poco: di nessun altro imperatore germanico, salvo Carlo Magno e Carlo Quinto, si può dire altrettanto.
Alle altre si é aggiunto nel 1977, esattamente mezzo secolo dopo quella del Kantorowicz, il "Federico II di Svevia" dovuto ad Eberhard Horst. Anch'essa é stata ora tradotta in italiano ed é venuta ad aprire - altro elemento casuale, ma significativo della fortuna biografica del Sovrano svevo - una nuova collana di biografie dell'editore Rizzoli; né è esagerato definirla la più notevole fra quelle apparse dopo l'opera del Kantorowicz. Il punto sul quale la lettura di Horst richiama maggiormente l'attenzione é anche quello più importante tradizionalmente nella discussione su Federico: quale fu l'obiettivo reale, immediato che egli si pose con la sua azione politica, che durò almeno quaranta dei cinquantasei anni che visse? E quale rapporto questa azione intese determinare fra i tre ambiti nei quali si mosse Federico, e cioé la Sicilia, l'Italia del Nord e la Germania?
In ciascuno di questi ambiti egli si mosse con titoli e in modi diversi. Nel Mezzogiorno d'Italia era il successore dei grandi Sovrani normanni, come Roberto il Guiscardo e i due Ruggieri. Ad essi egli si ispirò nella tecnica e nello stile di governo, nelle linee politico-amministrative, nella concenzione del diritto e della sovranità, nella larghezza delle vedute applicate al reggimento di un Paese dai molti popoli e dalle molte confessioni religiose. E, certo, non meno di quei suoi avi materni seppe avere nelle sue mani il Regno. Riuscì, anzi, addirittura a rafforzarvi ulteriormente il potere regio, dopo che esso si era ridotto quasi a niente nella sua infanzia, quando i fastigi dei re normanni erano stati oscurati da una inaudita crisi dinastica e politica ed egli stesso restò a lungo un ragazzo incerto non solo del suo futuro di Sovrano, ma della stessa vita e, spesso, del più elementare mantenimento.
Horst sente molto questa base siciliana della personalità e della politica di Federico e la mette fortemente in rilievo, con osservazioni spesso fini ed acute. Ma, quando poi si trova a dover definire gli intenti e le idee di Federico circa l'Alta Italia e la Germania, anch'egli ondeggia, come accade spesso agli studiosi di questa personalità così complessa, tra suggestioni e tesi diverse. Altrettanto certamente resta dubbio che cosa si debba intendere per quella "unificazione dei tre regni, Sicilia, Italia e Germania" che Horst attribuisce a Federico come "suo più alto desiderio". In Sicilia egli proseguì, come si é detto, la tradizione normanna e puntò ad un deciso incremento della già solida base del potere regio. La tradizione normanna difficilmente avrebbe comportato, però, un impegno "imperiale" come quello che Federico perseguì in Alta Italia e in Germania, quali che fossero poi i suoi propositi in questi Paesi.
In realtà é difficile evitare l'impressione di un carattere fortemente dispersivo e di un indirizzo di fondo mai realmente chiarito nell'azione "imperiale" di Federico. Non si vede in essa la coerenza italo-germanica e veramente da Sacro Romano Impero, quella del nonno Barbarossa, nel suo disegno di sottomissione dei Comuni, perseguito in ultimo con la fortunate mossa del matrimonio del figlio Enrico con Costanza d'Altavilla. Né si vede la forte ispirazione imperiale e germanica di un Enrico IV o di un Enrico V nelle loro lotte con il Papato; o la semplice, ma schietta e forte spinta dinastica e ideologica che portò Ottone I in Italia. Nelle proclamazioni di Federico Il tutto resta sempre molto avvolto in una retorica romaneggiante, più greve di quella che già era cominciata ad aleggiare nei documenti del Barbarossa.
Horst ha senz'altro ragione nel sottolineare con insistenza la perdurante fisionomia medievale di Federico imperatore e la sua adesione di fatto ad orientamenti tradizionali. Egli non esita, anzi, ad affermare che, per quanto possa apparire "paradossale", la "concezione che Federico ebbe della funzione imperiale apparteneva più al passato che al futuro". E, su questa linea, osserva ancora felicemente che "fa parte delle insolubili contraddizioni di Federico" il suo attenersi, da un lato, "all'unione spirituale-secolare, nel XIII secolo già intaccata, riuscendo faticosamente a darle forza coesiva con la propria potenza"; e, dall'altro lato, il suo contribuire "in maniera decisa, e non soltanto col suo tragico insuccesso, al dissolvimento della concezione medievale dello Stato e del Mondo".
I biografi, conclude Horst, furono influenzati dalle "contraddizioni" di Federico nei giudizi dati su di lui. Sarebbe troppo facile, e forse addirittura banale, ripetere a questo punto che - come si é detto - di oscillazioni così influenzate risentono anche i giudizi di Horst. Anch'egli paga, inoltre, il suo tributo all'immagine di Federico "uomo dei tempi moderni" o loro stretto anticipatore, benché tenda, da un lato, a vedere in questa "modernità" un segno delle "contraddizioni" del suo eroe e, dall'altro lato,
a restringerla all'ambito dell'azione di Federico quale Re di Sicilia. Però, anche in questo più ristretto ambito, quell'immagine va ridimensionata. La "trasformazione burocratica" del Regno, che Horst gli attribuisce, non valse a scalfire in maniera sostanziosa la struttura feudale del Mezzogiorno impiantata dai Normanni. Federico si trovò anch'egli di fronte alle grandi rivolte e allo stillicidio della dissidenza feudale. Indubbiamente egli ebbe un senso della regalità e del potere, per cui la sua gestione delle cose del Regno fu, insieme, energica e lungimirante; e ne rivelò tutte le non comuni qualità di uomo di azione e di cultura, l'intuito che ebbe del realizzatore di grandi opere e la passione intellettuale per il bello, per il vero, per il nuovo e diverso. Ma anche nel Mezzogiorno, a meno di venti anni dalla sua morte, nulla più restava della sua Casa, che cadde senza trovare nell'opera fridericiana un appoggio più solido di quelli consueti per le monarchie feudali cadute in analoghe distrette.
Forse é il caso, perciò di umanizzare ulteriormente la figura di Federico, demitizzandola del tutto anche per quanto riguarda il trono siciliano. Fu grazie all'opera svolta come sovrano di Sicilia che egli divenne un simbolo e un mito. La politica di pacifica convivenza tra religioni e popoli diversi, l'autonomia del potere regio da quello ecclesiastico, il mecenatismo e le grandi opere pubbliche, l'impulso dato alla nascita di una tradizione letteraria in lingua italiana, la fondazione a Napoli di un'Università di Stato, la preoccupazione di legiferare e amministrare secondo una visione generale dei problemi, la curiosità vivissima per le cose della natura e della scienza sono titoli più che sufficienti perché una figura di sovrano acquisti rilievo e grandezza storica senza che occorra sforzarsi di costruire eccezionalità e genialità di difficile definizione. E fu perciò che, con il passare dei secoli, Federico poté diventare un mito e un simbolo di molte cose: lo Stato moderno, lo spirito moderno, il laicismo moderno, la scienza e il razionalismo moderni; e quasi perfino un eroe nietzschiano.
Ma nessun eroe della storia può essere responsabile dei miti che fioriscono su di lui. E' vero che un qualche rapporto segreto fra mito e realtà dev'esserci sempre; e c'é - come si può agevolmente dedurre da quanto si é accennato - anche nel caso di Federico II, e anche se lo si consideri solo come sovrano del Mezzogiorno d'Italia. Però, la storiografia deva andare oltre il mito e romperne la corteccia, per dura che possa essere, come del resto, per Federico, il libro di Horst certamente aiuta a fare.

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000