I beni culturali tutela o massacro?




Luciano Milo



Lo scalpore suscitato dall'esposizione, a Firenze ed a Roma, prima del rientro a Reggio Calabria, dei due nudi eroici ripescati nel mare di Riace ha portato in evidenza agli occhi di tutti la grandissima importanza, anche economica, del nostro patrimonio artistico.
So benissimo che lo scatenarsi dei "mass media" attorno all'avvenimento ha fatto arricciare il naso ad esperti ed appassionati, che da anni si battono per far capire quanta ricchezza non sfruttata si nasconda sotto il nostro suolo, nelle chiese, nei musei, nelle abitazioni private di tutta Italia. Ma se l'episodio è riuscito a far capire a cittadini e amministratori che le vestigia della nostra civiltà non sono oggetti da vendere per far quattrini, ma patrimonio da valorizzare, investimento che a breve o lungo termine può rendere, in presenze turistiche, molto piú di quanto se ne possa ottenere più o meno clandestinamente sul mercato dell'arte, ben vengano radio, televisione, giornali a suscitare entusiasmi emotivi.
I I mio è un discorso che potrà dare fastidio a molti, me compreso, ma la realtà di oggi è questa ed è inutile scandalizzarsi di una moda che permette, togliendo pochi oggetti dai deserti musei e facendone una mostra tematica, di attirare folle di pubblico. Abbiamo distrutto frutteti ed uliveti per far posto a fabbriche che producono manufatti che non si riesce a vendere, per il mito di un'industrializzazione, specie nel Mezzogiorno, non basata su un sottofondo strutturalmente e culturalmente preparalo.
Poi il mito del sole, del mare, della villeggiatura ha fatto sorgere intere città, morte per gran parte dell'anno, invadendo con architetture pseudo-mediterranee, pseudo-moresche o addirittura con baite pseudo-alpine
tante nostre coste, rovinando irreparabilmente con un mare di cemento quei luoghi che si volevano valorizzare e sfruttare.
Ora nasce il mito del museo.. Ogni cittadino, ogni paese vuole il suo museo. Giusto, ma cerchiamo di non equivocare questa volta. Che il piccolo museo, la raccolta comunale ci siano è sacrosanto, che siano curati ed amati dai cittadini come proprio patrimonio lo è altrettanto, ma che non si facciano illusioni.
Forse i bronzi di Riace faranno compiere a qualche appassionato le centinaia di chilometri che lo separano da Reggio Calabria, ma non credo che serviranno ad attirare considerevoli masse di turisti.
Le code e gli entusiasmi di Firenze e di Roma difficilmente si potranno ripetere. Mi si dirà, il discorso è contraddittorio, da un lato si dice che l'opera d'arte porta ricchezza e dall'altra di non farsi illusioni: e allora? Allora, come sempre, occorre distinguere; l'opera d'arte, piccola o grande che sia non basta. Occorre che tutto il territorio, e che tutto nel territorio, inviti alla visita, alla sosta ed al ritorno. Il "turista", sia chi viene da paese vicino per il mercato sia chi viene dall'altro capo del mondo per svago, per curiosità, per noia, non deve essere considerato un "pollo da spennare". i potrà cascare una volta, ma non lo vedrete piú, nè manderà gli amici. Trattatelo invece con l'ospitalità che, specie nel Meridione, ha tradizioni così nobili ed antiche; fategli trovare i luoghi puliti ed accoglienti. Non occorre il grande albergo freddo e anonimo, anche se lucido di marmi; una stanza in paese può bastare, magari immacolata di calce e con servizi adeguati. L'osteria del paese può essere piú accogliente del ristorante di lusso, ma bisogna che ci sia la possibilità di "lavarsi le mani" in un luogo decente.
Attirare il turista con il museo può non essere difficile, e non occorre il materiale di scavo per attirare la gente. Raccogliere e conservare tutti i ferri e gli attrezzi della civiltà contadina ed artigiana; tutti gli arnesi che non si fanno piú, forgiati dall'ingegno della necessità e messi da parte perchè le macchine li hanno resi forse superati o forse troppo faticosi da usare. Gli arnesi del falegname e del ciabattino, le antiche misure di capacità per i liquidi e per le granaglie, i mille attrezzi del contadino e le opere del fabbro sono altrettanto e forse piú preziosi del vaso antico, dell'oggetto di scavo. Conserviamo tutto ciò nei castelli, nelle masserie, nei conventi, troppo spesso diruti ed abbandonati. Ed al proposito rivolgiamo un invito alle autorità: favoriamo le donazioni private per l'acquisto ed il ripristino dei beni storici di proprietà pubblica o privata, compensandole con una pubblica onorificenza o, piú prosaicamente, facendole detraibili dalle tasse. Sarebbero probabilmente per lo Stato non tasse perdute ma .... evasioni evitate! Incoraggiamo un nuovo mecenatismo da parte di banche, società, privati, circoli culturali che vogliono legare il proprio nome al recupero ed al salvataggio di una delle innumerevoli testimonianze della nostra storia e della nostra civiltà.
Voglio anche cogliere l'occasione per rivolgere da queste pagine un invito al Ministero per i Beni Culturali, riprendendo ed ampliando un'idea pubblicata sul n. 2 dello scorso anno di ANTIQUA, la bella rivista dell'Archeoclub d'Italia. Il Sig. Andrea Vaccaro suggerisce a tutti coloro che possiedono oggetti archeologici, piú o meno legalmente, per le ragioni piú svariate (eredità, ritrovamenti occasionali, acquisti, ecc,) di fotografarli e di spedire le foto anonimamente ad un "banco degli oggetti" creando, così un archivio di testimonianze che altrimenti sarebbero perdute per gli studiosi.
La mia idea è invece questa: concediamo una sanatoria e rendiamo legali tutte le collezioni ora abusive, condizionando il tutto con la presentazione di elenchi dettagliati alle Sovrintendenze, da integrare con un archivio fotografico. Una sanatoria del genere è stata fatta per i reati tributari, è stata fatta per le armi, antiche e moderne non denunciate, abusivamente detenute; perchè non farla per tutto ciò che è stato scavato da 1939 (anno dell'ultima legge in materia) in poi, nel corso di anni che hanno visto tutti i valori morali, sociali, civici stravolti da una guerra terribile e da un dopoguerra tutto teso ad un illusorio benessere economico, al mito del profitto, delle fortune facili.
In fondo se reato c'è stato è stato reato d'amore. Perchè chi rischia un acquisto illegale per tenere poi il suo tesoro nascosto a tutti non lo fa per lucro ma per la passione e la passione crea interesse, informazione, cultura.
Il Ministero dei Beni Culturali sta approntando la nuova legge in materia e ha indetto, nel marzo scorso, una "assise nazionale", una "assemblea costituente" della gestione dei beni culturali con, in primo piano naturalmente, i musei. Sono stati invitati tutti gli addetti ai lavori: il Ministro del Turismo, della Pubblica Istruzione, assessori regionali, sovrintendenti, professori, studiosi ecc.
Forse però ci si è dimenticati dei maggiori interessati, dei cittadini cioè, che vogliono fruire di tali lavori e che forse avrebbero avuto qualcosa da chiedere a tanta scienza.
Quante volte, per esempio, si legge su libri e riviste specializzate, di scavi' ufficiali effettuati decine di anni fa, rammaricandosi che le relative relazioni non sono ancora state pubblicate, per mancanza di tempo o per gelosia professionale da parte degli scopritori, illustri e meritevoli per tanti altri aspetti, ma non depositari di ogni scienza e di ogni diritto.
Valga per tutti l'esempio della statua del demone etrusco, Charun o Tuchulca che sia, la cui scoperta suscitò tanto clamore sulla stampa quotidiana all'epoca in cui fu scavata a Cerveteri la tomba da cui proveniva anche il famoso vaso di Eufronio, finito per vie misteriose al Metropolitan Museum di New York. Da allora non se ne è saputo piú nulla, è scomparso nei meandri del museo di Villa Giulia a Roma o è tornato a custodire la porta degli Inferi?
Venendo a quanto ci interessa piú da vicino, in Puglia cosa si fa per la salvaguardia dei beni storici? Probabilmente poco se andiamo a vedere le segnalazioni che i soci dell'Archeoclub inviano alla loro rivista, che abbiamo sopra citato.
Nel Salento ad esempio stanno scomparendo le torri colombaie che "i residui di un uso feudale di allevare piccioni torraioli, per contribuire all'alimentazione di classi privilegiate, erano entrate a far parte della vita contadina come fonte ausiliaria di alimentazione ". Ora, con la tendenza ormai quasi inarrestabile all'abbandono dei campi, la civiltà rurale tende a. scomparire e, con essa, se non si provvede, potranno scomparire anche queste manifestazioni di architettura spontanea che specie nel Salento costituiscono vere e proprie costruzioni artistiche.
Costruite in pietra leccese, con una pianta circolare di 718 metri di diametro ed alle fino a 12 metri, hanno spesso il cornicione superiore ornato di archetti e mensole di pregevole fattura e costituiscono un chiaro esempio di -ambienti di economia rurale in un territorio che il Cattaneo definisce "un immenso deposito di fatiche".
Un altro appello viene fatto per una costruzione storicamente certo piú importante, ma non meno in pericolo. Il lato sud del Castello di Carlo V a Lecce, eretto verso la metà del XVI secolo, è quasi interamente nascosto dalla struttura metallica del mercato coperto. Quanto sarebbe piú opportuno uno splendido isolamento per questa opera prestigiosa di Giangiacomo dell'Acaia, a pianta trapezoidale, con poderosi bastioni e mastio angioino, impreziosita da finestre e porte rinascimentali. Urbanisticamente il Castello raccorda la Lecce moderna con il vecchio centro storico, monumento del barocco, con le sue chiese, i suoi palazzi, i suoi portali, costruiti tutti in quella pietra leccese che uno scultore moderno ha definito "povera ma docile alle forme come il pane e luminosa come il colore del sole".
Possiamo così, con Cesare Brandi in "Pellegrino di Puglia", invitare ad una "necessaria tutela totale e globale di Lecce", città che egli definisce "la piú spontaneamente architettonica del mondo".
Centinaia, migliaia, sono le segnalazioni che si potrebbero fare in tutta Italia di edifici, monumenti, necropoli, opere d'arte nel senso piú lato della parola, che, giunte a noi attraverso millenni di fatica, corrono ora il rischio di venire irrimediabiImente distrutte dai moderni sistemi di costruzione. Ognuno di noi può farlo, chiunque - giunto alla fine di questo mio lungo sproloquio scritto forse piú col cuore che con la testa - abbia sufficiente interesse alla sopravvivenza della nostra civiltà attraverso le sue testimonianze e la sua storia, da farsi a sua volta promotore di iniziative.
Mi si obietterà la solita cronica carenza di fondi. Ebbene, da un altro numero della già citala meritoria rivista dell'Archeoclub ("Antiqua", n. 41 dicembre 1981), mi si consenta far mio un invito dell'Avv. Gino Terzago: perchè i musei sotto la guida ed il controllo delle Sovrintendenze, non vendono al pubblico le loro eccedenze, i materiali che, una volta studiati nel loro contesto, non hanno piú alcun interesse per gli studiosi e giacciono inutili ed accatastati ad ingombrare le cantine e le soffitte? In Italia c'è troppa roba e basta scrostare un vecchio muro per far apparire un affresco, scavare un buco per reperire un'anfora e "aprire gli occhi" per raccogliere, fra la terra ed i sassi, piú o meno importanti testimonianze del nostro passato.
Con un terreno ricco come il nostro si potrebbero ricostruire paesi interi ed il passato conserverebbe sè stesso: e darebbe vita al presente.

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