§ DAGLI SCAVI DI ERCOLANO

I Papiri che cambieranno la storia del mondo




Luigi C. Belli, Romana Turchini



Il recupero della Villa dei Papiri, a Ercolano, sarà la più grande scoperta archeologica del nostro secolo: lo annuncia Marcello Gigante, docente di Letteratura Greca all'Università di Napoli e direttore dell'Officina dei papiri ercolanensi. Gli chiediamo:
- Quando avranno inizio gli scavi? - L'anno prossimo, in occasione del diciassettesimo Congresso Internazione di Papirologia che si terrà a Napoli, finalmente potremo comunicare agli studiosi venuti da tutto il mondo l'avvenuto inizio degli scavi.
- Non è per lo meno strano che per parlare di scavi nella zona vesuviana sia necessario far ricorso a un grecista e non a un archeologo di professione?
- Era strano fino a qualche tempo fa, quando la Sovrintendenza a Napoli era una sola e per di più sorda alle nostre insistenze perché si avviassero gli scavi. Ora le Sovrintendenze sono due, una per la zona flegrea e un'altra per l'area di Ercolano, Pompei e Stabia. La storia di queste ricerche nella fascia di Ercolano? La Villa fu costruita nella zona suburbana della città intorno al 70 a.C. da Lucio Pisone, suocero di Cesare, nemico di Cicerone e seguace di Epicuro. Era frequentata da Filodemo e dai suoi scolari, fra i quali Virgilio, Plozio Tucca, Vario Rufo e forse Orazio: come dire, le migliori intelligenze del tempo. C'era una grande biblioteca e c'era una galleria di busti. Quando, nel 79 d.C., il Vesuvio eruttò fuoco e lava, la Villa era all'apice del suo splendore.
- Ed è rimasta per venti secoli intatta. Aveva ragione Goethe nel dire che "mai disgrazia fu più gradita di questa"?
- Esattamente. Quando, nel 1752, gli scavatori borbonici penetrarono nella Villa attraverso alcuni cunicoli,
trovarono i bronzi, le statue e poi, in una piccola stanza, in scaffali di legno intorno alle pareti, videro la biblioteca formata da milleottocento rotoli di papiro carbonizzati. Non poterono raggiungere un'altra sala con altri papiri. Completarono una pianta dell'interno e risalirono. Da allora, pressoché nulla. Si è lavorato e si continua a lavorare su quei papiri per decifrarli e pubblicarli. L'edizione moderna dei Peri fuseos di Epicuro si fonda sui papiri ercolanensi, come pure quelle da noi curate di Filodemo e di Polistrato. Ma la cosa più importante è che in base ai testi ricostruiti è possibile supporre che cosa ci sia nell'altra sala. Bastano due nomi, quelli di Lucrezio e di Ennio, per convincersi che lo scavo e il recupero dei De rerum natura e degli Annales rivoluzioneranno la filosofia classica. Per non parlare dell'importanza archeologica: la Villa è quasi certamente la più grande del mondo. Sembra incredibile, ma é così. La costruzione è ancora a venticinque metri sotto terra. Non solo: nel luogo nel quale è sepolta, in corrispondenza del belvedere, c'è una palazzina di ire piani, e più in là due aziende agricole e un'industria di garofani. E tutte con regolare licenza e con tanto di autorizzazione da parte della Sovrintendenza. Ora è in atto il procedimento di esproprio, abbiamo ottenuto che il Consiglio Nazionale delle Ricerche faccia una prospezione del terreno...
Dunque: bisognerà cambiare tutti i testi di storia e di archeologia di tutto il mondo, là dove dicono che In quei terribile 79 d.C. (24 di agosto) l'eruzione del Vesuvio uccise molti abitanti di Pompei, mentre quelli della vicina Ercolano poterono mettersi in salvo prima che un'immensa ondata di fango rovente seppellisse la città. Ancora una volta é stato sufficiente riprendere gli scavi per ottenere risultati sorprendenti, che attirano su Ercolano l'attenzione e la curiosità non solo di studiosi e di esperti. A fine gennaio, nel cantiere dei nuovi scavi iniziati un anno fa per la sistemazione idrogeologica dell'area, si sono ripetute le scene narrate dai testi di archeologia e di storia. Scene che nel '700 e nell'800 avevano per protagonisti i Borboni, personaggi come il WinckeImann, re e viaggiatori illustri, generali e ambasciatori di ogni angolo d'Europa, e soprattutto artisti, letterati, studiosi dell'età classica, gente che diffonderà in tutto il mondo un nuovo stile e un nuovo gusto non solo edilizio.
Come due secoli fa, in questi giorni ambasciatori, studiosi, militari, giornalisti, stanno accorrendo (persino dalla Cina) per vedere i resti degli abitanti di Ercolano che furono uccisi dalla marea di fango: sotto le arcate prospicienti il molo (da allora il mare si è allontanato di circa quattrocento metri) sono stati trovati le ossa di un uomo gigantesco e gli scheletri completi prima di tredici adulti e tre bambini, poi di altri sei adulti e di un cavallo.
Tre metri di fango divenuto poi roccioso hanno sepolto questa piccola .folla - ma nelle arcate successive c'era certamente altra gente - che forse attendeva di salvarsi via mare: al largo, infatti, incrociavano le triremi dell'ammiraglio Plinio (il Vecchio, che morirà su una vicina spiaggia, asfissiato da esalazioni venefiche) e che però non poterono accostarsi all'approdo: nello specchio d'acqua antistante Ercolano, era apparsa, improvvisa, una "secca".
E' bastato scavare un pò. Come a Pompei, dove nell'agosto '76 gli scavi organizzati per dare lavoro ai disoccupati portarono alla scoperta della tomba di Marco Obellio Firmo, famoso e stimato duumuviro di cui parlano molte scritte elettorali; e, accanto alla tomba, due vittime il cui "calco" in gesso ha rilevato le sembianze: un'esile giovinetta e un uomo anziano, forse suo padre, con una bisaccia, asfissiati e sepolti mentre cercavano scampo proprio nella direzione
sbagliala, sulla via di Noia, verso la montagna infuocata. A Pompei si possono fare i calchi col gesso, secondo l'antico metodo di Giuseppe Fiorelli (direttore degli scavi in epoca borbonica, confermato nell'incarico dopo l'Unità d'Italia), quando si trovano un buco e un vuoto nella cenere sabbiosa: si ferma tutto e si cola là dentro il gesso. Dopo tre giorni - il tempo necessario per il consolidamento - appare la forma di quello che in quasi due millenni si è polverizzato sotto la cenere. Molte volte è un corpo umano, molte altre si tratta di un albero, un tronco, un oggetto. Ad Ercolano, invece, niente calchi, ma scheletri intatti con tracce dei vestiti e fra le mani - come nella vicina Pompei gli oggetti che i fuggitivi tentarono di portar via.
Ercolano non conserva solo scheletri. La mitica Villa dì Lucio Calpurnio Pisone Cesonino custodisce l'immensa biblioteca epicurea. L'"officina dei papiri" fu creata dai Borboni nel 1755, da re Carlo. L'anno prima, da un pozzo scavato casualmente, vennero fuori dapprima statue di bronzo e di marmo, poi strani rotoli. Fu uno scolopio genovese, padre Antonio Piaggio, a lavorarvi per quarant'anni, riuscendo a srotolarne una parte e a leggerli. La gran biblioteca, che comprende anche papiri con opere dello stesso Epicuro, di Demetrio Lacone, di Polistrato, di Carnisco, aveva annessa una specie di Accademia: l'una e l'altra erano frequentate sicuramente dall'autore dell'Eneide, probabilmente, come abbiamo detto, da Orazio (vi si sarebbero fermati dopo aver visitato l'altra scuola epicurea, quella di Posillipo, dove insegnava Sirone) seguaci di una filosofia allora "popolare" che si attirò le ire dell'aristocratico Cicerone. Dovevano andare a istruirsi giovani di buona famiglia, qualcuno riottoso, come quello che ha graffito su un busto in marmo (che ora si trova nella "Sala dei Pisoni", al Museo Archeologico di Napoli) l'eloquente scritta: "Paniassis poeta scocciantissimo".
Probabilmente aveva ragione. Ma per capirlo, è necessario sbancare una roccia alta venti metri, lava durissima dell'eruzione del 1831, costo preventivato nel 1975 pari a cinque miliardi di lire. Ma ad Oxford, studiosi di tutto il mondo hanno proposto un fondo internazionale per sovvenzionare lo scavo. E sono trent'anni almeno che la Villa viene visitata da migliaia di persone al giorno in... California, dove il petroliere miliardario Paul Getty la ricostruì, nuova, kitch, scintillante, riproducendo la pianta disegnata da Karl Weber dopo le prime esplorazioni.
Non sono molti quelli che ricordano che un grandioso piano di scavo di questa città fu dettagliatamente studiato dall'archeologo inglese Charles Waldstein, che nel 1904 fu affascinato dall'idea di portare alla luce Ercolano, al punto di tentare di mettere su un'organizzazione internazionale per reperire in tutto il mondo i fondi necessari. Il governo italiano vi si oppose, e di quel generoso tentativo non rimane che il libro che il Waldstein pubblicò, per acquistare simpatie al suo grandioso progetto.
Forse uno dei meriti maggiori di quel sogno di ottanta anni fa fu proprio quello di essere sogno solo fino a un certo punto: lo scavo avrebbe mantenuto le promesse fatte ai finanziatori, perché si conosce quel che ci si può attendere da un'impresa di questa portata. Dividendo un foglio in quattro parti con un segno di croce, si può avere un'idea dell'area fino ad oggi portata alla luce in rapporto alla pianta dell'antica Ercolano. Il settore in basso a destra, che i marinai chiamano il secondo quadrante della rosa dei venti, è la zona scavata finora, e sul margine inferiore si colloca il quartiere a mare che sta dando nuove scoperte. La linea orizzontale del nostro tracciato coincide, più o meno, con Corso Ercolano. Al di sopra di quel confine è la città dei nostri tempi. Quindi, ogni possibilità di scavo va ,ricercata nella parte inferiore, per un'area limitata a oriente delle case e delle strade portate alla luce, e per la maggior parte a occidente della linea verticale, che approssimativamente coincide con Via Mare.
In quest'ultima zona, sulla quale non insistono costruzioni moderne, o quasi, si può condurre una vasta campagna di scavo, raddoppiando l'area scoperta finora e congiungendo la Villa dei Papiri con la casa di Argo, che dista poche centinaia di metri. Questo, il sogno di Waldstein.
Come nacque Ercolano? Ad opera dei Rodii che fondarono Partenope? Degli Euboici di Cuma, già nell'ottavo secolo a.C. padroni del litorale campano? Degli Etruschi, come sembrerebbe alludere una testimonianza di Strabone?
L'archeologo non sa rispondere a queste domande. Mentre in Pompei, già verso la fine del settimo secolo a.C., c'è un nucleo urbano di indubbia impronta etrusca e pochi decenni dopo sono chiari e diffusi gli influssi culturali provenienti da Cuma, Ercolano sembra non possa vantare una storia altrettanto antica. La sconcertante somiglianza della sua pianta con quella tuttora viva di Neapolis non ne fa di diritto una città greca. In assenza di testimonianze arcaiche, si configura come un centro italico divenuto romano dopo alcuni secoli di vita con l'occupazione, nell'89 a.C., da parte di un legato di Silla. La sua nascita, allo stato delle attuali conoscenze, non può risalire oltre il quarto secolo a.C., molto dopo cioé che i Sanniti, discesi a valanga dalla cerchia dell'Appennino, avevano unificato per la prima volta politicamente la Campania dai monti al mare, assorbendo e amalgamando ogni precedente cultura. Scomparsi gli Etruschi, spente Cuma e Dicearchia (Pozzuoli), dalla sola Napoli si irradiava ancora civiltà greca nel territorio.
Appaiata a Pompei dall'eruzione vesuviana, che non la tempestò di lapilli e di cenere ma la sommerse sotto un torrente di fanghi, Ercolano dovette avere origine, caratteristiche, sviluppo assai diversi. Molto più piccola di Pompei e senza la vocazione commerciale che alla città sorta presso la foce del Sarno derivava dalla felice posizione geografica rispetto a un ampio retroterra, attraversata o forse lambita dalla strada litoranea che da Napoli conduceva a Stabia e a Nocera, crebbe senza un preciso ruolo che ne stimolasse lo sviluppo, come statio di un traffico di passaggio che non ne coinvolgeva le strutture. Con un retroterra asfittico che ne limitava l'ampliamento e non poteva favorire la nascita di grandi proprietà fondiarie, soffocata a est e ad ovest da due corsi d'acqua, in posizione elevata sul mare, forse nasconde le ragioni della nascita nella stessa posizione geografica, come "gendarme" del settore orientale del Golfo. Il primo nucleo ebbe con ogni verosimiglianza carattere militare, non diversamente da Partenope sul colle di Pizzofalcone. Le fonti antiche, definendo Ercolano "città fortificata", sembrerebbero confermare la nascita per esigenze strategiche. Ma a questo punto torna irrisolto il quesito: chi fondò quella specie di castello a picco sul mare?
Nel 474 a.C. una memorabile battaglia nelle acque di Cuma aveva risolto il secolare conflitto etrusco-greco. I Siracusani, accorsi in aiuto ai Cumani, avevano contribuito con una possente flotta ad annientare il comune nemico. Dopo la vittoria, non avevano abbandonato il Golfo, ma vi si erano installati da padroni, costruendo una base militare a Ischia e altre, pare, a Capri, e altrove. Nella strategia del momento, mentre nasceva Napoli, un centro fortificato a oriente della città avrebbe avuto motivo di esistere anche molti decenni prima, nella precedente strategia di difesa del litorale ad opera degli Etruschi o dei Cumani. Il mistero, quindi, a tutti gli effetti permane.
Che Napoli sia stata modello per il piano regolatore di Ercolano è comunque un fatto esteriore, che non intacca la vita della città, per niente coinvolta dal dinamismo della vicina "Atene d'Occidente". Piccola, raccolta, col decumano massimo chiuso al traffico e adattato a foro, probabilmente contava meno dei 5.000 abitanti che tradizionalmente le si attribuiscono. Le case del periodo mostrano una certa nobiltà e riflettono un mondo chiuso non privo di cultura, ma restìo a mutamenti sociali. Negli ultimi decenni prima dell'eruzione, gli abitanti sono per lo più piccoli e medi borghesi senza grandi pretese, piccoli commercianti che difficilmente operavano al di là delle mura urbane, artigiani, pescatori, popolo minuto. In assenza di una vera classe mercantile, il lastricato delle vie non presenta solchi profondi di carri. Manca sui muri la propaganda elettorale, così vivace a Pompei. Senza grandi contrasti di interessi, il paternalismo di pochi sembra abbia proliferato sulla generale acquiescenza degli Ercolanensi.
li complesso delle Terme suburbane, per ora messo tutto in luce, è verosimilmente un suo splendido dono alla città. Per uno strano gioco della sorte una sua statua marmorea, divelta dalla furia del fango dalla base nel cortile antistante all'edificio, di catapultata con l'iscrizione dedicatoria giù nella zona marina, simbolicamente vicina alle vittime nell'attimo della tragedia.
L'eruzione del 79 d.C., con la quale il Vesuvio si risvegliò dopo secoli di inattività, è stata ricostruita con notevole dettaglio da un gruppo di ricercatori, sotto la guida di Franco Barberi, dell'Università di Pisa. Essi hanno studiato le caratteristiche dei prodotti emessi dall'eruzione e hanno reinterpretato, in chiave vulcanologica, gli unici documenti descrittivi dell'eruzione, cioé le famose lettere scritte da Plinio il Giovane a Tacito per descrivere la morte dello zio.
L'eruzione incominciò con una forte attività esplosiva intorno al mezzogiorno del 24 agosto. Si formò una densa colonna di gas liquido magma e frammenti di roccia strappati dalle pareti del condotto. L'altezza della colonna, che andava allargandosi nella parte sommitale in modo da assumere la forma di un pino, è stimabile intorno ai quindici-venti chilometri. I frammenti di magma liquido si raffreddarono rapidamente, formando dei prodotti leggerissimi, pieni di vacuoli (le pomici). Questi, guidati dal vento, si depositarono principalmente nella zona di Pompei, e sono chiaramente visibili, ad esempio, nella zona degli scavi, dove formano un deposito spesso dai due ai tre metri.
Questa attività esplosiva durò ininterrottamente per circa diciotto ore, vale a dire fino a circa le sei del mattino del 25 agosto. Durante questa fase si ebbero le prime vittime a Pompei, soprattutto tra coloro che si erano rifugiati negli scantinati o nell'interno delle case, i quali morirono soffocati dai gas emessi dalle pomici calde che si andavano depositando. Ercolano, e in genere il settore meridionale del Vesuvio, furono relativamente poco colpiti da questa prima fase, nella quale furono emessi circa quarantamila metri cubi di materiali al secondo.
Come Plinio stesso ci descrive, la gente nelle prime ore del mattino del 25 agosto incominciò a tornare nelle case per cercare di recuperare denaro, gioielli, o per rubare approfittando dell'isolamento in cui erano state lasciate le città. Intanto, la diminuzione della pressione magmatica permise all'acqua contenuta nelle falde superficiali del basamento del vulcano di entrare in contatto con il magma, penetrando attraverso le fratture che si erano prodotte nell'attività esplosiva precedente.
Ebbero inizio così le fortissime esplosioni idromagmatiche che produssero nubi eruttive che si gonfiavano lateralmente in modo intermittente, lasciando, lungo i pendii del vulcano, una emulsione di gas, frammenti finissimi di liquido magmatico e di materiale solido. I prodotti di questa fase eruttiva sono chiaramente visibili sia sopra le pomici depositate a Pompei, sia alla base dei depositi che hanno seppellito Ercolano. Le persone che erano ritornate alle proprie case furono sorprese da questa nuova fase.
La distruzione di Ercolano arrivò con una di queste colate piroclastiche; la presenza di legno carbonizzato e di sottili canali che permisero la liberazione dei gas nei prodotti che ora possiamo vedere in sezione agli scavi ercolanensi ci dicono che queste colate dovevano avere una temperatura abbastanza elevata. Al calar della sera del 25 agosto l'attività del Vesuvio declinò rapidamente: l'eruzione era durata solamente trenta ore, durante le quali il vulcano aveva espulso circa un miliardo di metri cubi di materiale!
Questo tipo di eruzione non si è più ripetuto in epoca storica. Dei resto, eruzioni del genere erano state abbastanza rare in tutta la storia geologica del Vesuvio. Infatti, nei diciassettemila anni trascorsi dall'inizio della sua attività, il vulcano ha fornito solo sette eruzioni di questo tipo. In media, una ogni due o tremila anni.
Quasi più avvincente e imprevedibile di un vecchio romanzo d'appendice appare la storia dello scavo dì Ercolano, dagli albori del '700 ai nostri giorni, fra prolungate pause di oscurantismo e di inerzia. Addirittura il gusto di una "pouchade" sembra intonarsi alla fortuita scoperta, appagata dal fiuto di Maurizio di Lorena, principe d'Elboeuf, tra i marmi pregiati estratti con i detriti di un pozzo artesiano in un fondo di Resina. Il gentiluomo austriaco ne ricava le prime tre sembianze quasi intatte di una classicità dispersa, guadagnandosi le benemerenze della Corte viennese e questo elogio postumo dell'eretico Winckelmann: "Sappia il mondo intero che quelle tre opere divine furono i primi indizi che condussero alla scoperta dei tesori sotterranei di Ercolano".
Alle sottrazioni empiriche di D'Elboeuf, che adorna di marmi e di statue la sua fastosa villa al Granatello, segue soltanto nel 1738 il primo scavo orchestrato "con magnanimo dispendio" da re Carlo di Borbone e affidato all'ingegnere del Genio militare Alcubierre. Attraverso una ragnatela di stretti cunicoli, l'esplorazione borbonica ha la ventura di imbattersi nel mezzo del teatro ercolanense, con l'arredo dei suoi bronzi, e nella cosiddetta "basilica", dalla quale affiorano le meraviglie dei primi affreschi selezionati dai picconi.
Il museo privato del palazzo reale di Portici accoglie in gran segreto la più splendida collezione di opere d'arte dell'antichità, arricchitasi inaspettatamente con la straordinaria raccolta di sculture e di mosaici recuperati dai fasti sommersi della Villa dei Pisoni, che restituisce alla ricognizione sotterranea di Weber anche i testi della filosofia epicurea attraverso i papiri carbonizzati.
I tesori di Ercolano, rivelati con acute annotazioni dal "goto" WinckeImann nella sua prima epistola al conte di Bruhl, accendono l'interesse della cultura europea. La moda artistica, con le rievocazioni letterarie di illustri viaggiatori del passato, con le incisioni romantiche e con le "restituzioni ideali" di stampe d'epoca, influenzano il gusto al rinnovato culto per l'antichità classica. Ma poi la vivida luce di Ercolano si affievolisce per le nuove scoperte pompeiane, addirittura si spegne sul finire del '700, soffocata sempre più dalla corolla edilizia dei casini borbonici di Resina. Tenta invano di riaccenderla Fiorelli dopo l'Unità d'Italia, ma la difficoltà degli scavi, molto più complessi di quelli pompeiani, ne consiglia la definitiva chiusura nel 1875.
Trascorrerà più di mezzo secolo prima che Maiuri, nel 1927, riscopra con criteri scientifici la città sepolta dalla coltre di fango, riportandone alla luce squarci di incomparabile suggestività. L'opera incompiuta di questo grande maestro sarà ripresa nel 1975 da Giuseppe Maggi, che su e tracce dell'"Archeologia magica di Maiuri", sta scrivendo un nuovo, appassionante capitolo di questa incredibile "storia delle pietre".
Il futuro di Ercolano si intravede appena adesso nell'onda di emozione per la tragedia di duemila anni fa, che riemerge senza più veli dal quartiere .meridionale delle Terme suburbane. E' una realtà che avvalora l'ipotesi dell'approdo marino intuito dai Maggi, ma che trascende la suggestione immediata delle ultime conferme archeologiche.
Quel gruppo sempre più numeroso di ercolanensi in fuga, sorpresi con la miseria e con la disperazione dei loro affanni dalla valanga di morte, è qualche cosa di più di uno straordinario impasto di argilla restituito dall'abisso dei secoli. E' la testimonianza di una speranza impossibile nell'estrema salvezza che era l'illusione del mare, perché già allora la costa, "per la rovina del monte, è un bassofondo inatteso che impedisce lo sbarco" alle quadriremi di Plinio il Vecchio.
Ed è proprio qui che l'archeologia rincorre oggi uno dei misteri più affascinanti dell'antichità: quello di una città stravolta fin nei contorni geografici, decomposta con moltissimi suoi abitanti, depredata di tante altre testimonianze di vita, che la lava di fango ha trascinato in fondo al precipizio dove
una volta presumibilmente schiumavano le onde e adesso è un'immensa bara di pietra.
Da questa voragine di memorie imbalsamate, fra scheletri di uomini dispersi e di un cavallo e di miseri oggetti sparsi nella fuga, trapela oggi anche un alito di storia, quella storia delle ultime ore di Ercolano che in due millenni nessuno era riuscito a trascrivere, ma che ormai non è più un salto di fantasia.
(E fra le tracce di sabbia marina, in questa restituzione storica, che una scultura funeraria degna di un museo proietta anche l'ombra agghiacciante di un dramma sociale: a differenza di molti calchi riesumati a Pompei, questi ruderi umani incredibilmente intatti nella disperazione dei gesti, sembrano testimoniare invece nell'anonima morte la propria miseria. Né gioielli, né sesterzi affiorano dalla loro fuga impossibile, che potrebbe rivelarne semmai l'ingrata condizione di schiavi, emarginati perfino nell'estrema speranza di vita.
Ma non è il solo interrogativo al quale l'archeologia ercolanense dovrà rispondere nell'immediato futuro. Se lo scavo attuale è riuscito a riportare alla luce le prime rivelazioni dell'approdo, dobbiamo ringraziare la coincidenza di una falda freatica e l'ostinata fede di Maggi che ha coinvolto l'entusiasmo di tutti, Provveditore alle Opere Pubbliche compreso. Su queste basi è stato assicurato l'impegno finanziario che consentirà di procedere al difficile traforo delle altre arcate adiacenti alle Terme suburbane, dove il piccone ha rivelato le impronte millenarie di questa tragedia collettiva. Anche nell'intento di convogliare le acque pluviali, un'équipe ha già redatto un nuovo piano di intervento che investirebbe l'alta parete di fango roccioso che incombe sul lato orientale delle Terme. Ed è un altro contributo significativo alla riscoperta dell'antica propaggine residenziale.
Ma il futuro di Ercolano é anche inserito nel progetto speciale degli itinerari culturali. Oltre alla realizzazione del più agevole ingresso meridionale con l'apertura attrezzata dell'"antiquarium", c'è una richiesta articolata della Soprintendenza di collegare il teatro attraverso i cunicoli borbonici ostruiti, di procedere alle prospezioni aerofotogrammetriche dell'area sommersa della pisoniana Villa dei Papiri, di iniziare un nuovo scavo per liberare tutta la zona attualmente ingombra dal viale di accesso superiore. Sull'esempio di Pompei, un'équipe di tecnici di leva del Decimo Comiliter sta procedendo al rilevamento scientifico di tutte le strutture i cui dati saranno poi computerizzati dall'Italsiel. E' stato chiesto e ottenuto dal Genio Militare un apporto suppletivo: il riferimento preciso della quota sbancata dallo scavo in corso rispetto al livello attuale del mare, distante circa mezzo chilometro, e il prospetto aerofotogrammetrico dell'estesa area archeologica tuttora sepolta.
La realtà di Ercolano comincia così non solo nelle testimonianze dell'approdo marino, ma anche nelle intenzioni ministeriali. Dopo le esplorazioni borboniche e la riscoperta. di Maiuri, potrebbe essere davvero la terza età: quella tecnologica del nostro tempo che già si proietta nel nuovo secolo.
Ha scritto Maggi: "Un giornalista di acuta e rara sensibilità paragonando al Guernica di Picasso l'intrico di vittime del 79 d.C. venute recentemente in luce a Ercolano in un ambiente prospiciente la marina, ha con folgorante intuito avvertito in quei corpi immoti il pathos che si sprigiona dall'opera d'arte, confermandone l'indiscutibile collocazione nel nuovo Museo degli Scavi. All'opera picassiana il gruppo di vittime si avvicina, in realtà, anche per certe tonalità cupe che in Guernica sono risultate di tormento e lutto nell'animo dell'artista, mentre qui la Natura stessa ha creato il crudele supporto funebre di sabbia nera sul quale da un impasto cinereo prende forma il groviglio dei corpi: immoto nel tempo, continua a esprimere sensazioni sconvolgenti di terrore, tenerezza, allucinata percezione della Morte imminente. Da un qualsiasi punto lo si guardi, questo viluppo di morti di Ercolano desta partecipazione profonda per l'infinità varietà dei particolari non notati prima nelle espressioni dei volti, nel rattrappirsi degli arti, nei teneri gesti di protezione di creature appena nate e subito ingoiate nel Nulla".
Il ritrovamento e la destinazione del gruppo pongono ancora una volta il problema di che cosa, oggi, possa essere un museo, e in particolare un museo di antichità, che solo di rado contiene vere opere d'arte. Ripudiato il tono magniloquente di alcuni tra i più famosi musei del mondo, frutto più o meno consapevole delle distorsioni psicologiche del collezionismo, si scade spesso nel difetto opposto di piccoli musei ordinati con severo e ineccepibile rigore scientifico, in cui oggetti diversi riprodotti in infiniti esemplari pressoché identici appesantiscono scaffali e vetrine, disorientando il visitatore, che di fronte a centinaia di lucerne, anfore, minuti reperti di cui non sempre capisce l'originaria funzione, partecipa emotivamente non più che a un'esposizione dei grandi magazzini.
"La nostra ambizione, se ci sarà concesso - sostiene Maggi - è di realizzare a Ercolano un Museo dove protagonista sia l'uomo nelle infinite manifestazioni della sua esistenza operosa, delle abitudini, degli svaghi, delle credenze e superstizioni, delle espressioni estetiche. Perché il visitatore possa riconoscersi nell'uomo antico, uno sgabello di legno, un pezzo di pane, un pugno di cereali valgono più di una statua o di cento vasi figurati: e tali familiari oggetti della vita di ogni giorno, fino al lembo di stoffa, al guscio d'uovo, si conservano solo a Ercolano, miracolosamente preservati nella tenace morsa del fango. E allora forse sarà chiaro che i famosi calchi di Pompei sono fantasmi del passato, mentre il viluppo di scheletri ercolanensi rappresenta, appunto come in Guernica, l'umanità dolorosa e sconfitta, cui la Natura, come in solenne. monito, ha impresso il pathos dell'arte".

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