11 e 12: Due paragrafi per Vittorio Bodini




Oreste Macrì



Sono qui pubblicate alcune pagine critiche inedite di Oreste Macrì, che andranno a far parte dell'Introduzione al volume di Bodini "TUTTE LE POESIE (1932-1970)", cioè l'edizione completa dell'opera poetica bodiniana, sempre a cura di Macrì, che apparirà entro l'anno negli "OSCAR" Mondadori.

11. Poesia e umanità

Anche Bodini come Mallarmé e Juan Ramón, Guillén e Montale, aspirava a trascrivere il Libro da donare all'umanità, qui un'umanità minima, misera, acrona, ma graziata nella sua sapienza naturale e nei suoi mestieri quotidiani. Grammaticalmente e metafisicamente il libro della Luna, rappresentativo di tutta l'opera, eccita l'impressione generale di una sostantività che liricamente si densifica in se stessa. La martire Sanfelice in carcere bada al suo umile lavoro, ascolta, tace', intorno la vita d'ogni giorno, semplice anche quella; al suo "dolce ricanno" [ ... ] Tutto sarà più se stesso", complessa formula ontologica vibrata come un nulla. Così, sostanza e negativo in versi asciutti come "Sostantivi e le capre senza musica"; l'"evidenza" soggettiva e astratta è lo stesso spazio oggettivo: "si vedrebbe anche un pensiero" (Foglie di tabacco, 3): tra le "caverne di noi stessi" e la "vita" c'è il "libro lento" (ib., 10); la "vita" sono "le cose che crediamo di meritare", e le "cose" al momento x subentrano alle parole, come abbiamo citato. L'oggetto unico della poesia etica di Bodini è il paese umano nel suo hic et nunc di logos e lavoro:

Fuori piomba il presente come un'aquila
sui mestieri degli uomini [ ... ]
("Al cinquanta per cento")

Paese da salvare per intero con pietà corresponsabile, senza distinzione tra buoni e cattivi, ribelli e rassegnati: carrettieri, carbonai, contadini, contrabbandieri, ladri di chiocciole, muratori, monaci, sarti, lattai, disertori-simulatori con foglie di tabacco nell'ascella, bigliardieri, pescatori, cacciatori, panettieri, ex pirati, barbieri, cucitrici, suore, meccanici, gitani, vecchi fiorai, boscaioli, monchi artificieri, prostitute, suonatori ambulanti, ferrovieri di stazioncine salentine, braccianti che portano sulle spalle San Trifone, emigranti di ritorno dalla "Merica e [ ... ] Piccola Italy" e "gangster di Alessano o di Adelfia" con "pomposo funerale" (In morte d'un gangster, AP), ecc.
Talora il rapporto d'amore si riduce al minimo potenziandosi: "Le più vili creature che ti amano / non posso non amarle" (AP), "Solo i cartapestai / mi vogliono bene" ("Coltivo i fiori", ib.). Non è regressione paleo - ecc., ove il Nostro fosse sottomesso alle trite verifiche democratico-classiste o ridotto impagliato a piccolo campione socio-psico-antropologico della terra dei tarantolati, scazzamuriedri e lupimannari. Ancora più assurda sarebbe una verifica contestataria demagogica, ludica o tragica, di ebete sorriso o disperazione terroristica, tradita in tutti i casi la Rivolta dei poeti; bastino il verso citato: "le cose che crediamo di meritare" e il poeta lavoratore di E' notte e dovrei lavorare e una poesia, (in AP).
L'ardua e semplice polis bodiniana non comporta, d'altra parte, nessuna evasione naturalistica, giacchè natura e pensiero sono ellenicamente correlati, giuste le richieste del lare e della vanga. Se "(Chi ha creato il mondo / e le sue nere virtù / nulla ha fatto di meglio / dei colori dei campi)" ("Con la parola nu"), i colori si convertono tra loro, quasi fosse uno soltanto, un'idea del creatore', omologhi verde e azzurro; "verde vasca / del solfato di rame" e "cielo [ ... ] azzurro" (ib,), del quale "contadino" e "vento" si servono parimenti: " Un contadino catafratto spruzza / d'azzurro le sue vili: / se ne tinge il vento / capelli e dita per gioco" (Tutto ciò che ti dono).
Accennammo alla lotta con lsobel-Antina, infine salentinizzata. Più duro il conflitto con l'adolescente irrazionale "Ninetta" (Xanti-Yaca) del "dissenso" e riscatto della condizione della succuba e inerte fanciulla salentina del Balletto. Educata dallo stesso Poeta reagisce come una forza di natura, quasi uccellopianta (" La Brindisina"), esprimendo una sua vita fulva di leopardo ("Il cerchio azzurro"). Il poeta come "meriggio", s'inquieta intravedendo "la propria morte nel tuo corpo di rosa" (ib.) e si difende (" Bravo [ ... ] a difendermi ", E' notte; Vedi come sei bravo) umanizzando sulla propria pelle il terribile archetipo materno incarnato nella bella fiera: o la fa crescere sì da eliminare nel coro ("mi dici disperata: "Vorrei già avere trent'anni" (Xanti-Yaca) o la iperbolizza spagnolescamente coi suoi superbi attributi ("A coltellate, a tagli viene avanti, / porto di desideri", "La Brindisina", che è l'origine dell'assassinio, elementare e umanissimo come tutta la Luna) o la allontana nell'ignoto in previsione di Metamor, "mezzo amore" ("Al cinquanta per cento [ ... ] il tuo corpo s'illumina, un alcool nero / io bevo dai tuoi cigli [ ... ] Ma al sessanta per cento [...] che so di te?", Al cinquanta per cento) o, fattala gitana sotto specie d'uccello, la attrae decisamente nella zona materna e lunare ("ha imparato a cantare [ ... ] un canto nero che va giù e s'interra", Voli basso sulla pianura; "ora ricordati / quale lugubre luna consumerà questi istanti", Il cerchio azzurro). Archetipo e natura in Bodini sono stati sempre compresenti, sì che confutiamo il Poeta dove dice: "Ho imparato tardi a accordare / al mormorio d'un ruscello i moti del cuore, / a ammettere la natura fra i miei pensieri" (Serie stazzemese, 4).
Con la natura anche la madrepatria e le sue faccende subiscono lo stesso processo archetipico-naturale. Il "piccolo nu" (Con la parola nu) (con questa sillaba nomina il proprio demone che significa "- nudità, nulla, nuvola---) tra varie cose può essere " il nome d'Italia / come un rimorso"; a Leuca, averno dei "salentini", termina "meschinamente" l'Italia (Finibusterrae), tacco, il Salento, della Madre in vari disegni, di cui diremo avanti.
"Dov'è l'uomo?", si chiede il Poeta nella poesia che così comincia, giacchè l'uomo sta tra la "galleria / del mio sonno" del primo Machado e "questa fede / che il mondo esiste [ ... ] coi suoi limiti" (Una pronunzia, IN), quando si rivolge "ogni gesto / d'amore del poeta ai suoi simili" (Dov'è l'uomo?). Accade che il "gesto / d'amore" si converta in "decoro" della "industre talpa", nella quale kafkianamente il Poeta si è trasformato e quindi ha perduto il "compagno", "dacchè / talpa pensosa dei destini civici / perso nei manifesti, / nella civica azione [ ... ] spio corridoi [...] nei visceri dei Pubblici Enti [ ... ]". (Bodini, in effetti, s'immerse in tali occupazioni). I due Bodini, scissi tra loro, falliscono entrambi: il primo, impegnato, non supera il "varco" montaliano oltre la "Galleria", elude la "libertà"; l'altro, il sosia della "caverna" e dell'"a priori", svicola per un "viottolo oscuro", "non può vedere / nulla il compagno mio perchè i suoi occhi / non gli servono a nulla senza di me". li finale è triste; l'"uomo" che aspetta l'amore del poeta si lamenta " e ci si fa nemico", odia i due Bodini andati ciascuno per proprio conto. Restano l'ammonizione "Così valiamo poco, l'uno senza dell'altro" e lo stesso puro "gesto / d'amore del poeta"; non è molto ed è tutto dell'autentico possibile.
Con questo blocco di terra lunare-sognata e umanità contadina-artigiana (da salvare senza alcun mezzo), con questo demone scisso e tradito all'interno, con questa apocrifa verità terribile senza patti e senza scampo, si presentò e partecipò quale difficile protagonista e fondatore, eppur facendosi coraggio, al vasto movimento del quinto decennio - assai volenteroso e degno - di risveglio politico-sociale e artistico-culturale della Puglia, ansiosa dopo secoli d'immettersi nel vivo della nazione sull'abbrivo degli ideali della Liberazione: " Maggio Barese" e "Sottano" di Scaturchio, Tommaso Fiore e il figlio Vittore (acceso seguace dei nostri meridionalisti e poeta egli stesso di apulo nume), Mario Sansone, Vito Laterza, il pittore De Robertis, il libraio Macinagrossa, mostre anche retrospettive, premi, ecc. In quell'ambiente trovò anche un ubi consistam professionale, essendo accolto nel '51-'52 quale incaricato di spagnolo (di ruolo nel '68 a Pescara) nell'Ateneo barese: generosa intuizione di Mario Sansone, corrisposta dal circolo di colleghi tra Roma e Bari, fervidissimo di evoluto storicismo crociano e marxismo: oltre al citato Sansone italianista e al suo discepolo Leone De Castris, gli anglisti Lombardo e Gabrieli, il grecista Russo, il romanista e poi suo editore del Calderón Giuseppe Sansone, il germanista chiarini, il francesista De Nardis (il solo studioso di Mallarmé e del simbolismo) ...
Lecce si era destata molto prima (cf. D. Valli, La cultura letteraria del Salento, cit.) Ivi fu tra i promotori del Circolo di Cultura e delle mostre al Sedile. Con il cugino, lo scultore Francesco Barbieri, esplorò fino all'ultimo balcone la "bella Lecce" e lo esortò alla costruzione del mirabile Orologio in Piazza Sant'Oronzo. Dai tempi del nonno Pietro Marti e delle sue "Biennali", Lecce riprendeva il suo ruolo privilegiato nel Sud. Ebbe intimi collaboratori nel pittore Suppressa e in Luciano De Rosa, con il quale allestì la rivista "L'Esperienza Poetica" (1954-1956) in favore di una poesia del Sud e della realtà, in alternativa all'ermetismo fiorentino e al neorealismo, esemplare Quasimodo. Inquieti i rapporti con V. Pagano e l'"Albero" di Girolamo Comi, dove pubblicò il racconto Sei-Dita e Sulle Apuane di Civiltà Industriale.
Fece la spola tra Lecce e Bari dal maggio '49 all'agosto '58. Il '55 risiedette a Torchiarolo con la sposa (28-12-1954), Antonella Minelli, la "Brindisina" e "Ninetta" della Luna, impareggiabile compagna del suo difficilissimo uomo (" Non chiamatemi falso [ ... ] e non più gitano [ ... ] aggiungete con finta pietà "E' l'Università che t'ha rovinato" [ ... ] AP, del '61) e custode alacre delle sue carte, di che, ripeto, son grato testimone. Nacque Valentina il 12-9-1962. Negli articoli, conferenze, presentazioni ai cataloghi (da De Nittis ai due Barbieri, da Spizzico a Suppressa, da G. Toma (per una mostra scrisse la Sanfelice) a Calò, da Cantatore a Geremia Re, dai ferri di D'Andrea alla statuaria di cartapesta) c'è quasi l'essenziale dei nomi e valori dell'arte pugliese di quei decenni e, in particolare, salentina, a riscontro della Luna e a illustrazione della medesima, a tal punto il libro di Bodini è intimamente e tecnicamente figurativo, quasi a lettura reversibile.
Cade opportuno qui un cenno a quella che ho chiamato "Poesia grafica" di Bodini in uno studio del '74, al quale rimando il curioso lettore. Tornò nell'estate del '49 dalla Spagna, stremalo e distratto, nella "fossa dei leccesi" e lo raccattò a San Cataldo il ricordato cugino Ciccio Barbieri, che se lo portò a Bari, dove da settembre 1950, entro l'anno, con estro furioso tracciò una enorme quantità di disegni (noti 172), sostitutivi e nel contempo eccitatori della vena verbale esausta, giacchè la ripresa della Luna è datata nel '50-'51. Lo schema centrale invariante è archetipico-materno della penisola italiana come donna, variato in tutte le sue proiezioni e investimenti filiali della patria chica e delle sue donne, dei loro uomini e geografie, danze e musiche, terracotte, tacco salentino e punta calabra, "astri cotti", colombo (con i primi versi di una poesia di AP: "O dell'infanzia uccello strepitoso / e macchine celesti"), colombouomo ("col cappello in testa"), "manoscritti di nuvole", suppinna, tori e toreri, gitani, molti ritratti, statua di Sant'Oronzo, molte "anime" di tutte le specie, figure della Spagna, madri dolorose, ecc. La tecnica disegnativa è lo stesso spirito che la anima nel segno sincretico dei cinque artisti-poeti che egli amava: Van Gogh, Chagall, Miró, Paul Klee e Rouault; primo impulso dai disegni di Lorca.
Tornò a disegnare nel '69, penultimo anno di vita. Nei 105 disegni del fondo la tendenza all'afigurativo è quasi assoluta, ma nell'avventura dell'astratto filiforme-continuo s'intravede ancora la penisola materna, qualche dolce volumetria di profili muliebri e il colombo totemico esultante o rattristato. Flagrante anche in questi la tentata regolazione del caos interiore, l'affiato autoterapeutico mandalico, il timbro della consueta grazia ed eleganza.
Il 1951 della seconda Luna è anche l'inizio del passaggio dall'ispanofilia militante alla scienza ispanistica, o meglio, intensificazione, a ritmo crescente: dal teatro di Lorca al Calderón, dal Don Chisciotte a Quevedo lirico, dal Góngora al Larrea, dai surrealisti all'Alberti, dal Lazarillo al Moreno Villa. "Oh pianificazione di un ex gitano! " (lettera del 15-4-1959).
in questo paragrafo sulla quinta fase leccese-barese ho cercato di tener conto delle 82 poesie inedite (21 degli Inediti e 64 degli Appunti), ma l'esame è appena cominciato.

12. Ultima fase: il decennio romano-versiliese 1961-1970. Il secondo libro.

in parte ci siamo già entrati. Qui le poesie degli Appunti sono relativamente poche: 23, comprese 5 residue della raccolta Zeta. Si tenga conto che le tre raccolte Metamor, Zeta e La civiltà industriale sono state in parte notevole intercambiate all'interno, sì che in definitiva formano un solo libro, il secondo dopo la Luna del '62.
Lucertola che si spoglia ("Vorrei avere") - dopo Firenze, Lecce, Roma, Madrid-Roma, Lecce-Bari, di vita in vita - ha biuciato alle spalle la terra messapica (Bari "punto culminante di una frustrazione", 20-12-1959, l'"Inutile" sperperato), intatto l'adempimento dei suoi doveri (cadde sul lavoro il 29 ottobre 1970 a Pescara, di ritorno da Bari, rivelatosi il morbo di cui morì due mesi dopo). Del tutto nuovo l'orizzonte di Metamor, col quale titolo si potrebbe indicare il secondo libro unico di cui dicevo avanti; con lettera del 10-2-1969 mi scriveva: "Che le ne pare di un titolo come Civiltà Industriale e Metamor per un libretto? 0 Metamor I e II?". il progetto rimbaudiano è quasi letterale:
"lo [ ... ] considero Metamor e gli inediti un libro traumatico, sostanzialmente e disperatamente teso a denunziare il totale smarrimento del reale o la sua ricerca senza fede. in esso l'elemento ludico non è che un mezzo per tentare di stabilire l'equilibrio sconvolto. 0 per confortare mestamente il prelinguistico".
Isolando per un momento l'"elemento ludico", è evidente che il libro, che potremmo chiamare Metamor e Altre poesie (come La Luna e Altre poesie) esaspera in notevole quantità e assolutizza la tecnica espressiva metaforico-surreale. Il decennio bodiniano s'ingrana nella teoria ed esperienza versificatoria dell'antologia dei surrealisti spagnoli (1959-1963) ed è coevo alla generazione diciamo rappresentativamente sanguinetiana del Gruppo 63 e della poesia sperimentale; e alcuni poeti più giovani, come Pignotti, TE. Mie, sentito in Bodini un maestro di tale esperienza. Il quale, pur mantenendo le distanze in ragione di una finalità ben diversa dal mezzo ludico, sembra condividerne (forse ironicamente) l'intenzione contestatoria e. infernale: "Le pallide avanguardie desiderose di scandalo / avanzano anch'esse verso il loro Acheronte" (Perdendo quota, MT). Rispetto al sincretismo tecnico delle neoavanguardie la maniera di Bodini, come quella di Aleixandre Alberti Neruda, è surreale pura con immunità fluidificata della morfosintassi e linearità segmentale tra campi sememico-lessemici diversi che si compenetrano e si fondono nell'estro imprendibile di una commutazione logico-delirante, giacchè il logos permane fino alla fine (nostra ipotesi critica che sarebbe confermata da un auspicato commento a tutte le poesie).
Ma la differenza si fa sostanziale ove si attenda al motivo dell'espressione automatica, la citata ricerca afideistica del reale smarrito. Più che smarrito, diciamo disintegrato, i cui membra disiecta si ricompongono con nuovi legami cronotopico-causali, scambiandosi anime e spiriti di un cosmo magico quasi neorinascimentale alla Telesio e Campanella, contaminato dalla "civiltà industriale", il mitico (negativo) "Nord" industriale succeduto a quello letterario, non senza convergenza con il chisciottismo ispanico di Américo Castro contro la scienza e la tecnologia euroamericane (" Ragione / il cui trionfo ci costò tante sconfitte", Civiltà industriale. CI: " la produzione a catena / la catena dei sì e dei no / quella dei tradimenti di se stessi" (Per un volo, " nidi di plastica di cemento di calcoli [ ... ] il numero nemico dell'uomo e della bellezza [ ... ] Il Medio Evo piangente [ ... ] scheletri arsi / in un incendio senza canti [ ... ]. Che cosa fare chiedono le api operaie alfine emancipale dalle macchine" (Rapporto, ib.), " mare economo d'oracoli (Night, MT), " Le vergogne dei Nilo le sue zattere / di pomposi barili (Non saprò mai", CI).
I mostri metaforico-surreali della nuova scrittura subiscono tale inquietudine epocale escatologico-apocalittica, disperatamente nucleati in un centro ancora umano pur mutilalo e infermo, sineddoche antropica incastrata nella sempre più straniata e remota metonimia; ad es., l'uomo antico annerito e tediato da questo mondo di superba ignominia diventa "le vecchie bretelle nere, / muoiono in uno sbadiglio" (Lillemor, MT). Chiedo scusa per aver logicizzato l'immagine uomo-indumento, che non è retorica, giacchè le bretelle nere sono realmente (poeticamente) bretelle nere e sbadigliano realmente (poeticamente); questo fenomeno oggettivo-poetico è il limite insuperabile della povera critica.
Diamo vari esempi di combinazione dell'uomo con: pubblicità-meccanica: "la garanzia [ ... ] aveva un piccolo volante alla vita e dei grossi seni" ("Innestiamo", MT); animale-meccanica: "cuore artefatto dei pavoni" (Canto al colombo, CI); vegeta le- meccanica: " piccole orecchie di peonia in rodaggio" (Valentina, ib.); vegetale: "Stormivano i soldati" (Innesto 13, MT); animalegrammatica: "la lucciola strisciare / col ventre intermittente sugli avverbi" (Testo a fronte, ib.); animale: "imbeccare risposte a un passero giallo" (Daccapo?, ib.); astratti-animale: "propria tomba / dove l'oscenità canticchia assassinata / dall'ombra d'un cane" (Night II, ib.), "Che accanimento oppone la cruda invereconda / casistica del vizio a ciò che fu / sentirsi un tempo il cuore in petto" (Perdendo quota, ib.); arredo-animale: "i cavalli sognavano comò con le tette aperte" (Innesto 13, id) (cf. "i cavalli / si passavano la mano sulla fronte", Luna); edilizia: "le rampe d'un coito che s'affaccia sul nulla" (Nei viali ovali, MT); Meccanica-Bibbia: " la vecchia Ansaldo nera sotto le mura di Gerico" (ib.); minerale: " Persuadeva i tuoi seni di mercurio / l'incerta ubicuità / del pube a filo d'acqua" (Daccapo?, ib.).
li Poeta ha precisa coscienza dello smembramento e squarcio del verbo: "0 perduto perduto perduto discorso / smozzicato franto nei suburbi inorganici / del sogno e dell'insonnia" (Espone a Leopardi, CI); " Innestiamo il discorsivo" (MT) si esorta, da cui Innesto 13 (ib), che ha anche significato seminale ("seme sprecato", Testo a fronte, MT) di vitalizzare l'inorganico prossimo alla morte (cf. Perdendo quota, ib.): amore mozzato è il titolo Metamor " che vuoi dire metamorfosi, metà-amore e metà-morto" (Marcatré, dic. 1966), anche sp. "matar" e "temor"; la Canzone semplice dell'esser se stessi termina: "provo a esser solo. / Trovo / la morte e la paura".
Ecco appunto: la "metamorfosi" è impossibile e non resta che parodiarla con l'inorganico-meccanico del linguaggio " industriale" mescolato nel cosmo degli altri linguaggi che lo possano animizzare. Nella detta Canzone: "Dicono le cose: cerca d'esser le stesso / senza di noi. / Risparmiaci il tuo amore"; 14 cose, dall'"edera" allo "specchio" gli hanno detto chiaramente che non sarà mai nessuna di esse contro la gnosi lorchiana-campanelliana del cosmo magico-animico di solidarietà universale nell'amore, attuata nella Luna: "Vorrei essere fieno" (Finibusterrae), "divenuto ulivo e ruota" (La luna dei Borboni, 8), " Eccomi divenuto / bosco" (Serie stazzemese, 6), ecc. Viene meno, insomma, quella che Eliot chiamò correlazione (non correlato) oggettiva tra gli esseri dell'universo, che nell'amore vincono la morte e il piccolo io restio e rapace, quanto più salito sulla scala degli esseri viventi.
E veniamo alla causa prima della trasformazione-correlazione negata o eros dimidiato: lo smarrimento o eclissi dell'archetipo lunare, il quale, presente nel primo libro nei suoi aspetti (quindi necessari e dialettici entrambi) di Madre Terribile e Benefica, resta esaurito ed esausto nella sua possibilità di proiezione umana e cosale. La "luna" si alcolizza, si aliena dal lare, si annienta, assiste assente dall'alto i templi del consumismo, e muove la catena di montaggio dei disastri, si beffa di se stessa: "alcool, messaggi della luna" (Testo a fronte, MT), "equivoci messaggi senza destino". (Espone a Leopardi", CI), "campi zigrinati ove la luna / non aveva capo nè coda" ("Era sicuramente", ZT) "i grandi supermarkets che si liquefanno sotto la luna" (Innesto 13, MT), " Il poeta passeggia fra seni altrui / fra I une altrui "(La passeggiata del poeta, ZT), " l'amaro dell'assenzio [ ... ] i contingenti in rotta della luna" (Quasi un'ottava, CI), "vedi la luna rider della luna [ ... ] la produzione a catena [ ... ]Vedi le guerre partorire guerre / la luna calva e grigia / le bare [...] ", ib.).
In Ostaggio (CI) il "nu" della Luna, demone del Poeta, si riconosce nel nesso luna-nulla-nuvolaglia in eco allitterativa con polvere-poltiglia: "O se il nulla non fosse solo il nulla / ma nuvolaglia polvere poltiglia / nella luna / senza colore / senza nulla".
li "senza nulla" significa il tentato annientamento dell'archetipo malnato e falso, un nuovo possibile reincarnato nel "caro ostaggio / d'una piccola figlia", biograficamente non voluta, affinchè non si rinnovasse l'archetipo ("Vattene, cielo, vattene, / voltati dall'altra parte", IN). La chiama "ostaggio" come demonico ricatto o impedimento celeste all'autoannientamento. Tanto più pura e straziante d'amore è questa filiale figurina (casuale e necessaria). Si rivolge il Poeta alle cose per una possibile rimanenza di sè in esse: "Potervi dire: volti libri città [ ... ] mi resta in voi qualcosa: il caro ostaggio [ ... ]". E' un segno di pura gratuità dell'amore autentico, forse il più profondo messaggio del poeta e uomo Bodini: " Mio me stesso possibile, allora sì / potremmo testualmente raffrontare / i pro e i contro [ ... ] le riserve / di morte e di poesia" (Testo a fronte, MT). La figurina si ripete in Valentina (CI) che infatti comincia: "Figlia aperta corolla del possibile"; ivi si chiarisce il senso dell'"ostaggio" ("della realtà" in CI, n. 36) con ricorso a un'immagine della segnaletica stradale, a indicare un momento etico donato e accettato dalla stessa poesia senza corona: "è la serietà della vita col suo limaccioso ardire [ ... ] i segnali di stop / a cui s'arresta la musa detronizzata / da due piccole orecchie di peonia in rodaggio". A "Valentina" si aggiunge "Ninetta" nel " Biglietto a N. e V. "sotto In treno (ZT), " labili / topografie" e "vostri mille volti" nelle magiche righe della pioggia al finestrino da Pescara a Roma, "mentre percorro vie / labirintiche e vengo in cerca di voi / in cangianti città di gocce d'acqua".
Il "possibile" si fa retrospettivo nella commemorazione della fanciullezza perduta, d'apparenza leopardiana e meglio manriquegna e villoniana d'Ubi sunt?: "Ma gli anni? Dove son gli anni, e tutti i libri che ho letto? / I volti amati si sfrondano [ ... ] non restano che i nomi. / Ah, dove son le acute presenze / del passato [ ... ]?" ("Conosco", MT), "Dov'è la Serre de Bernon? Dov'è Calvert? Dov'è Medoc?" (Le bende, ZT), "tutto ciò che un tempo avevamo dentro capovolto come in un negativo" (Nelle spire, MT), "fame sete di vita della mia giovinezza" (Testo a fronte, ib.), "Limpida gioia, di che mano sei morta [ ... ]?", "L'insonne adolescente" (Perdendo quota, ib.), "sentirsi un tempo il cuore in petto [ ... ] come armati di un bastone / meraviglioso e invincibile" (ib.), "tornasse domani / puntualmente quell'acre stupida età" (Credevo che credesse, ZT), "solamente / mia ricchezza in qualche tempo / mia su una terrazza / grigia tenuta su col fil di ferro" (Palma, CI), "metafora divina giovinezza" (Plaza de Canalejas, ib.).
E in figura di adynaton: "Se l'universo di colpo/ mutasse tutte le sue leggi / degli alberi vedremmo / verdi chiome affondare [ ... ] Anche tu torneresti svanita età a ruzzare / coi tuoi invidiati errori [ ... ]" (Se, ZT). Ricordiamo ancora i "brevi miti di un'adolescenza / di datteri acerbi" (Con gli occhi viola, CI), "il cristallo del mare dove brillava il corpo paleolitico della giovinezza" (Rapporto. ib.), " ricordo quant'erano piccole le nostre mani. / Empivamo di vocali una verde bottiglia" (Innesto 13, MT). Il citato "non restano che i nomi" è eco malarmiana e guilleniana. L'"innesto" èsimbolo di rinascita del vecchio tronco.
I "datteri acerbi" dell'" adolescenza" ritornano nella stupenda Canzone per una sedicenne (LE 2) del '59, che può gareggiare con i due esemplari, la "vergine" Adolescente cardarelliana, "perla rara" del "pescatore di spugne", e ("sfondo di perla") la derivata Esterina, "minacciata dai suoi anni" di Montale: "[ ... ] Con l'oro debole dei datteri acerbi / la vergine che sa di avere i giorni contati [ ... ] Ma nessuno, nessuno custodirà il tuo lungo passo credulo / di trampoliere (è il "ponticello" di Esterina o "tremulo asse"!) con le ansiose conchiglie / del tuo cuore Non era un'arpa, era una dolce caviglia / che vede per la prima volta il cielo". Fiaccola da poeti a poeti senza intrusione. Vittorio allude a se stesso nelle "macerie il rospo, la scarpa vecchia, il barattolo vuoto ("di sangue", CI, n. 31 "), nella "mano al cuore ferito", mano (ormai inerte nel generare e nello scrivere), che è forse il maggior simbolo reale di questo libro, cominciando dalla prima poesia di Metamor ("Conosco appena le mani [ ... ]"); e accennammo all'ultimo scritto nell'agonia, La mano. Parimenti per la "giovane ignota" di Perugia "nel giorno del primo allunaggio" (il poeta): "Geme di rabbia il cacciatore / che non ha armi con sè" (ZT).
La rabbia assassina e lo spirito apocrifo della Luna crescono e si ritorcono nel secondo libro. Alla fine della Luna si proietta in Góngora ("scambiavano parole / le sue dita istruite di giocatore / e forse di baro", Omaggio a Góngora,) cui viene assimilalo Shakespeare in Metamor ("vecchi cari poeti iracondi come Góngora e Shakespeare, Sogno), e in Cardarelli ("Il falso etrusco [ ... ] Le pallide mura d'alluminio / erano nel fondo delle sue parole / mentre moriva, cigno / sporco e furente", Tarquinia). Così incalza in Metamor: "Che furia. Che vergogna senza pace" (Perdendo quota), "abbiam patito la lebbra della bellezza [ ... ] Cosa dirò al tuo scheletro [ ... ]?" (La tempesta), "con gli occhi viola e i seni calpestati" (CI), il "secolo" di "scandali" e "crisi di governo" (Innesto 13, MT), "i profeti" (Valentina, CI) e i loro "figli" (Per un volo, ib.), le "false dottrine" (Fuori rotta, ib.), l'"allunaggio" cit. e i "dischi volanti" (Sera, ZT), il Sud liquidato per sempre (Hai fatto bene a non parlarmi del Sud [ ... ]", Le mani del Sud, del 15-1-1969, CI), "la virtù i fascisti / i piselli di scatola" (L'angelo dei baffi, ZT). Il quale è lui, Vittorio, che si esempla sul "falso etrusco" cit.: "Coi suoi denti più falsamente bianchi / ghigna, squittisce litiga [ ... ] è detestabile [ ... ] Ridendo s'allontana / avvolto nel suo sudario / nel più vasto sudario di un mattino". Nulla si salva in una furia alla Cecco Angiolieri: "Se fossi morte o pietà / ucciderei tutti i poeti / o solo i vecchi poeti / o soltanto la vecchiaia dei poeti "(Macchina per vivere, CI).
Tornando alla citata formula rimbaudiana del "totale smarrimento del reale o la sua ricerca senza fede", è certo che il nuovo significante barocco-surreale risponde a un cambio della prima radice della poesia, la dimora vitale, lungo la linea maudite dell'intero itinerario, insomma, un'altra vita. Abbiamo visto voltate le spalle al Sud in Le mani del Sud; del Salento qualche presenza negli Appunti: " Forse il turchese" col "nachiro", Verso Leuca, dove rivediamo "Cocumola", un altro paio di poesie sulla terra spagnola: Spagna (residua di Zeta) con le sue "feluche di morti" e Arabi e vino, che "friggevano la notte sulla piazza / nera di Zacodover".
Sparita anche la Roma barocca della Luna, restando appena negli Appunti "una cupola grande come una nuvola" ("La lingua"). Di intimo, dalla parte del Bodini amicale e familiare, il lindo appartamento ai Parioli, con lo studio ordinatissimo e il salottino ospitale di amici, visite ai musei con la piccola Valentina (sue l'"alucce di mosca" nelle Stanze Romane degli Appunti), rissoso a volte pure con lei, a tal punto la rispettava da pari a pari. Amici, pazientissimi lettori e consulenti delle sue poesie immediate, Paolo Chiarini (collaboratore nella scelta rigorosa di Metamor), Enzo Mazza, Luciana Feazza, fine traduttrice e commentatrice di simbolisti francesi, oltre al ricordato De Nardis, cui debbo un approfondimento del Bodini " romano". Sulle fervide amicizie con amici artisti ho discorso nello studio citato sulla Poesia grafica. Resta una traccia nelle citate Stanze romane / EUR-CAVOUR-BUR(RI), spunto alla Roma diversa: via Veneto con le scimmie verdi che lanciano proiettili, il finto lago dell'EUR, la figurina del pontefice d'antipapismo lorchiano, ecc., il tutto simboleggiato dai sacchi di Burri: "Ah, diavolo d'un mondo, ti sorprendo con le mani nel sacco! ".
Più propria di "Metamor" la Roma notturna, mistificata megalopoli in senso maudit, specialmente dai Nights del '65, quando riprese a bere e a fumare dopo un infarto del dicembre '62, fino agli ultimi due anni in gara fraterna con il conterraneo e superbarocco (di che Bodini gli fu maestro) Carmelo Bene, regista del Don Giovanni, dove Vittorio gesticola con quelle mani l'incubo onirico della fase senile del personaggio ("parte [ ... ] che gli ho donato come premio personale per Nostra Signora dei Turchi", 1-4-1970).
Sarebbe facile contestare la mitologia letteraria dei paradisi artificiali, dato che la droga richiede un graduale sopraprezzo di logos poetico ("furia della ragione"), e non è possibile verificare lo stesso poeta se fosse stato astemio. Unico testimone l'ultima Luna, quale preludio al Bodini universale, visionario e profetico del secondo libro. L'"alcool", ultimo elemento acqueo per sciogliere la " pietra lunare", si fa verbo e con la sua forza sinonimica-omonimica si simbolizza attraendo nel suo campo humedo i nuclei semici di infermità e morte viva: "Se bere un whisky è versarlo / sull'arso terriccio della propria morte [ ... ] furia della ragione [ ... ] trofei d'occhi [ ... ] si scioglieranno nell'alcool tra i sadici archivi / di una notte tradita [ ... ] (Night II, MT), " bevevo aperitivi bevevo caffé [...] Cosa dirò al tuo scheletro [ ... ]?" (La tempesta, ib.): "aperitivi rossi [ ... ] armadietto dei medicinali [ ... ] per non morire del tutto soli" ("Innestiamo", ib.), "L'inno che trafigge / l'amaro assenzio" (Quasi un'ottava, CI), "alcool [ ... ] le riserve / di morte e di poesia" (Testo a fronte, MT), "ubbriachi dei nights [ ... ] notturne ceneri" (Autunno, AP), ecc.
Si rileva il Night III col sintagma "albero dell'alcool" che "albeggia" al desdichado tra il Baudelaire di "O Mort, vieux capitaine, il est temps! levons l'ancre! " e il Rimbaud del Bateau ivre: "Preda di vermi salpiamo su legni infelici ma ancora vivi [ ... ] e così albeggia l'albero dell'alcool / mentre sfioriamo con le dita tra il museo dei divani / il nostro teschio tenero e spavaldo".
Ho messo in corsivo i vocaboli con la L intorno ad "albeggia l'albero dell'alcool", e bisognerebbe partire dal "nu", archetipo fonico che si scatena nella serie privilegiata "- nudità, nulla, nuvola - [ ... ] Numero e nucleo" di "Con la parola nu" nella Luna. Il "nu" sta nel corpo del protoemblema "luna", che attraverso "lugubre luna" (Il cerchio azzurro) e, soprattutto (1954), " l'alcool nero", bevuto dai "cigli" della "Brindisina" ("Al cinquanta per cento"), si aggancia in Metamor direttamente ad "alcool" ("Innestiamo", MT) e a "lumaca" in Ci (Sogno), dileguandosi come imago attiva, al pericoloso contatto. Solo in Ostaggio di Zeta, dove subentra la figlia Valentina, riemerge un po' inerte con "nulla" eccedente: " nulla [ ... ] nulla [ ... ] nuvolaglia [ ... ] polvere poltiglia [ ... ] luna [ ... ] nulla". In tal guisa impastato e bruciato, il battello salpa per altri lidi verso "Inconnu". Matericamente domina il complesso citato: salpare-legni-alba-albero-alcool-spavaldo, variamente distribuito in raddoppi e moltiplicazioni allitterate-anagrammate entro giuste misure che solo negli ultimi tempi toccano l'informalismo meccanico-automatico. La nostra è appena una traccia della catena fonosimbolica. Ad es., dietro la L s'insinua la V di spavaldo e di salpare-legni sinonimizzati in aura marina di "velieri", "vessilli", "Versilia" (ultima dimora poetica con Roma): "lei Lillemor la lucciola [ ... ] alla luce d'un lampione sul Viale dei Colli [ ... ] capelli [ ... ] lucente bersaglio" (Lillemor, MT), " luce lontana [ ... ]vedova[ ... ] velieri" (Nelle spire, ib.), "capelli spavaldi [ ... ] stelle [ ... ] viali ovali di viole" (Nei viali ovali, ib), "alba spilungona" (Perdendo quota, ib.) " alcool [ ... ] cavallo" (Night II, ib.), "albero [...] vocali [ ... ] bottiglia" (Innesto 13, ib.), "albe [ ... ] malate" (Civiltà industriale, CI), "verità [ ... ] velo" (Sonetto del cavaliere, ib.), "la valvola della vulva" (Plaza de Canalejas, ib.), "Versilia versiera", "[. ..] Malbacco [ ... ] cartilagini [ ... ] ribrillerà" (Sulle Apuane, ib.) "vessili dei ventriloqui " (Fuori rotta, ib.), "i ventagli dei vescovi " (Macchina, ib.), "alberi ... ] allegra" (Balletto, ib.). Solo[ ... ] lottato [ ... ] battello [ ... ] alcool [ ... ] volti s'allontanano soltanto" (Per conoscenza, ZT), "alberi [ ... ] lampade [...] spalle [ ... ] vallo ] uccelli [ ... ] nulla [ ... ] mollemente mille" (Ci riflette, ib.), "veli ventagli vescovi velieri" (Le bende, ZT), " lecca lobi [ ... ] cupola [ ... ] nuvola" (La lingua, AP), "il cumulo il viluppo s'allontana / avvolto" (L'angelo dei baffi, ZT).
Qualche esempio di altri raddoppi da legare ai precedenti contestualmente: "cani di calce (Nelle spire, MT), "La gazzarra la garanzia" (Innestiamo, ib.), "duellano e duettano" (Testo a fronte, ib.), "piumaggi di palmizi" (Daccapo?, ib.), "gozzo [ ... ] pozza" (Canto al colombo, CI), "vibrano verdi tetti" (Non è molto, CI), "ruban ruote" (Per un volo, ib.), "tegole rotte[...] sui tetti " (Balletto, ib.), "s'ingerania la gioventù", (Domenica, ZT), "umori [...] motori" (ib.).
Il sintagma allitterato si va sempre più automatizzando e stranamente approfondendo. In Collage, ad es.: "Mordi topico topo", "innocui ranuncoli", "prove proficue", "frammenti di martirio", "Semi salmastri", ecc.. La stessa analisi dovrebbe essere condotta in campo omosemico-sinonimico, di mera agudeza concettista ("arguto avorio acidulo", Sulle Apuane, CI).
Come si è visto, la luna materna alcoolizzata calva e grigia, infine eliminata per autotraslazione, accentua ed estremizza l'introiezione del significante, o meglio, il ripiegamento epilinguistico sulla propria grammatica e poesia a fine salvifico, che è, s'è detto, la quarta radice della poesia; rischio enorme l'orfanezza, consumato e pagato: "Poesia, struggenti inchieste / sulla verità dell'essere [ ... ] Non ci ha portati lontano [ ... ] a che prezzo, di insofferenze [ ... ] " (Poesia triste alla poesia, ZT), "O, soccorreteci, aiuto, bianca poesia! / Aiutatemi voi bianco foglio di carta, / a dire ciò che non so". Molti i titoli metapoetici: Poesia triste alla poesia, Il poeta nel giorno del primo allunaggio [ ... ], La passeggiata del poeta, Antipoetica, Innestiamo il discorsivo, Testo a fronte, Canzone semplice [ ... ], Pseudosonetto, Quasi un'ottava, Senza nome, Espone a Leopardi [ ... ] / nuovi problemi del linguaggio della poesia. Il pathos dell'orfano impotente si accusa talora nel componimento falsamente abortito, compresa l'inquietudine tra stato di prosa e stato di poesia, come in Prosa e poesia di Campana. A Rimbaud un Sonnet risultò in prosa come nel Nostro si falsificano le forme metriche di un Pseudosonetto, cit., e Quasi un'ottava, cit. di sette versi. Campaniano il titolo La passeggiata del poeta, cit., che arieggia La petite promenade du poete, le cui "ciane" che commentano "dietro i vetri rilucenti" sono le stesse "vecchie ciane sdentate" che dileggiano "Lillemor la lucciola [ ... ] alla luce d'un lampione sul Viale dei Colli".


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