Sono qui pubblicate
alcune pagine critiche inedite di Oreste Macrì, che andranno a
far parte dell'Introduzione al volume di Bodini "TUTTE LE POESIE
(1932-1970)", cioè l'edizione completa dell'opera poetica
bodiniana, sempre a cura di Macrì, che apparirà entro l'anno
negli "OSCAR" Mondadori.
11. Poesia e
umanità
Anche Bodini come
Mallarmé e Juan Ramón, Guillén e Montale, aspirava
a trascrivere il Libro da donare all'umanità, qui un'umanità
minima, misera, acrona, ma graziata nella sua sapienza naturale e nei
suoi mestieri quotidiani. Grammaticalmente e metafisicamente il libro
della Luna, rappresentativo di tutta l'opera, eccita l'impressione generale
di una sostantività che liricamente si densifica in se stessa.
La martire Sanfelice in carcere bada al suo umile lavoro, ascolta, tace',
intorno la vita d'ogni giorno, semplice anche quella; al suo "dolce
ricanno" [ ... ] Tutto sarà più se stesso",
complessa formula ontologica vibrata come un nulla. Così, sostanza
e negativo in versi asciutti come "Sostantivi e le capre senza
musica"; l'"evidenza" soggettiva e astratta è
lo stesso spazio oggettivo: "si vedrebbe anche un pensiero"
(Foglie di tabacco, 3): tra le "caverne di noi stessi" e la
"vita" c'è il "libro lento" (ib., 10); la
"vita" sono "le cose che crediamo di meritare",
e le "cose" al momento x subentrano alle parole, come abbiamo
citato. L'oggetto unico della poesia etica di Bodini è il paese
umano nel suo hic et nunc di logos e lavoro:
Fuori piomba
il presente come un'aquila
sui mestieri degli uomini [ ... ]
("Al cinquanta per cento")
Paese da salvare
per intero con pietà corresponsabile, senza distinzione tra buoni
e cattivi, ribelli e rassegnati: carrettieri, carbonai, contadini, contrabbandieri,
ladri di chiocciole, muratori, monaci, sarti, lattai, disertori-simulatori
con foglie di tabacco nell'ascella, bigliardieri, pescatori, cacciatori,
panettieri, ex pirati, barbieri, cucitrici, suore, meccanici, gitani,
vecchi fiorai, boscaioli, monchi artificieri, prostitute, suonatori
ambulanti, ferrovieri di stazioncine salentine, braccianti che portano
sulle spalle San Trifone, emigranti di ritorno dalla "Merica e
[ ... ] Piccola Italy" e "gangster di Alessano o di Adelfia"
con "pomposo funerale" (In morte d'un gangster, AP), ecc.
Talora il rapporto d'amore si riduce al minimo potenziandosi: "Le
più vili creature che ti amano / non posso non amarle" (AP),
"Solo i cartapestai / mi vogliono bene" ("Coltivo i fiori",
ib.). Non è regressione paleo - ecc., ove il Nostro fosse sottomesso
alle trite verifiche democratico-classiste o ridotto impagliato a piccolo
campione socio-psico-antropologico della terra dei tarantolati, scazzamuriedri
e lupimannari. Ancora più assurda sarebbe una verifica contestataria
demagogica, ludica o tragica, di ebete sorriso o disperazione terroristica,
tradita in tutti i casi la Rivolta dei poeti; bastino il verso citato:
"le cose che crediamo di meritare" e il poeta lavoratore di
E' notte e dovrei lavorare e una poesia, (in AP).
L'ardua e semplice polis bodiniana non comporta, d'altra parte, nessuna
evasione naturalistica, giacchè natura e pensiero sono ellenicamente
correlati, giuste le richieste del lare e della vanga. Se "(Chi
ha creato il mondo / e le sue nere virtù / nulla ha fatto di
meglio / dei colori dei campi)" ("Con la parola nu"),
i colori si convertono tra loro, quasi fosse uno soltanto, un'idea del
creatore', omologhi verde e azzurro; "verde vasca / del solfato
di rame" e "cielo [ ... ] azzurro" (ib,), del quale "contadino"
e "vento" si servono parimenti: " Un contadino catafratto
spruzza / d'azzurro le sue vili: / se ne tinge il vento / capelli e
dita per gioco" (Tutto ciò che ti dono).
Accennammo alla lotta con lsobel-Antina, infine salentinizzata. Più
duro il conflitto con l'adolescente irrazionale "Ninetta"
(Xanti-Yaca) del "dissenso" e riscatto della condizione della
succuba e inerte fanciulla salentina del Balletto. Educata dallo stesso
Poeta reagisce come una forza di natura, quasi uccellopianta ("
La Brindisina"), esprimendo una sua vita fulva di leopardo ("Il
cerchio azzurro"). Il poeta come "meriggio", s'inquieta
intravedendo "la propria morte nel tuo corpo di rosa" (ib.)
e si difende (" Bravo [ ... ] a difendermi ", E' notte; Vedi
come sei bravo) umanizzando sulla propria pelle il terribile archetipo
materno incarnato nella bella fiera: o la fa crescere sì da eliminare
nel coro ("mi dici disperata: "Vorrei già avere trent'anni"
(Xanti-Yaca) o la iperbolizza spagnolescamente coi suoi superbi attributi
("A coltellate, a tagli viene avanti, / porto di desideri",
"La Brindisina", che è l'origine dell'assassinio, elementare
e umanissimo come tutta la Luna) o la allontana nell'ignoto in previsione
di Metamor, "mezzo amore" ("Al cinquanta per cento [
... ] il tuo corpo s'illumina, un alcool nero / io bevo dai tuoi cigli
[ ... ] Ma al sessanta per cento [...] che so di te?", Al cinquanta
per cento) o, fattala gitana sotto specie d'uccello, la attrae decisamente
nella zona materna e lunare ("ha imparato a cantare [ ... ] un
canto nero che va giù e s'interra", Voli basso sulla pianura;
"ora ricordati / quale lugubre luna consumerà questi istanti",
Il cerchio azzurro). Archetipo e natura in Bodini sono stati sempre
compresenti, sì che confutiamo il Poeta dove dice: "Ho imparato
tardi a accordare / al mormorio d'un ruscello i moti del cuore, / a
ammettere la natura fra i miei pensieri" (Serie stazzemese, 4).
Con la natura anche la madrepatria e le sue faccende subiscono lo stesso
processo archetipico-naturale. Il "piccolo nu" (Con la parola
nu) (con questa sillaba nomina il proprio demone che significa "-
nudità, nulla, nuvola---) tra varie cose può essere "
il nome d'Italia / come un rimorso"; a Leuca, averno dei "salentini",
termina "meschinamente" l'Italia (Finibusterrae), tacco, il
Salento, della Madre in vari disegni, di cui diremo avanti.
"Dov'è l'uomo?", si chiede il Poeta nella poesia che
così comincia, giacchè l'uomo sta tra la "galleria
/ del mio sonno" del primo Machado e "questa fede / che il
mondo esiste [ ... ] coi suoi limiti" (Una pronunzia, IN), quando
si rivolge "ogni gesto / d'amore del poeta ai suoi simili"
(Dov'è l'uomo?). Accade che il "gesto / d'amore" si
converta in "decoro" della "industre talpa", nella
quale kafkianamente il Poeta si è trasformato e quindi ha perduto
il "compagno", "dacchè / talpa pensosa dei destini
civici / perso nei manifesti, / nella civica azione [ ... ] spio corridoi
[...] nei visceri dei Pubblici Enti [ ... ]". (Bodini, in effetti,
s'immerse in tali occupazioni). I due Bodini, scissi tra loro, falliscono
entrambi: il primo, impegnato, non supera il "varco" montaliano
oltre la "Galleria", elude la "libertà";
l'altro, il sosia della "caverna" e dell'"a priori",
svicola per un "viottolo oscuro", "non può vedere
/ nulla il compagno mio perchè i suoi occhi / non gli servono
a nulla senza di me". li finale è triste; l'"uomo"
che aspetta l'amore del poeta si lamenta " e ci si fa nemico",
odia i due Bodini andati ciascuno per proprio conto. Restano l'ammonizione
"Così valiamo poco, l'uno senza dell'altro" e lo stesso
puro "gesto / d'amore del poeta"; non è molto ed è
tutto dell'autentico possibile.
Con questo blocco di terra lunare-sognata e umanità contadina-artigiana
(da salvare senza alcun mezzo), con questo demone scisso e tradito all'interno,
con questa apocrifa verità terribile senza patti e senza scampo,
si presentò e partecipò quale difficile protagonista e
fondatore, eppur facendosi coraggio, al vasto movimento del quinto decennio
- assai volenteroso e degno - di risveglio politico-sociale e artistico-culturale
della Puglia, ansiosa dopo secoli d'immettersi nel vivo della nazione
sull'abbrivo degli ideali della Liberazione: " Maggio Barese"
e "Sottano" di Scaturchio, Tommaso Fiore e il figlio Vittore
(acceso seguace dei nostri meridionalisti e poeta egli stesso di apulo
nume), Mario Sansone, Vito Laterza, il pittore De Robertis, il libraio
Macinagrossa, mostre anche retrospettive, premi, ecc. In quell'ambiente
trovò anche un ubi consistam professionale, essendo accolto nel
'51-'52 quale incaricato di spagnolo (di ruolo nel '68 a Pescara) nell'Ateneo
barese: generosa intuizione di Mario Sansone, corrisposta dal circolo
di colleghi tra Roma e Bari, fervidissimo di evoluto storicismo crociano
e marxismo: oltre al citato Sansone italianista e al suo discepolo Leone
De Castris, gli anglisti Lombardo e Gabrieli, il grecista Russo, il
romanista e poi suo editore del Calderón Giuseppe Sansone, il
germanista chiarini, il francesista De Nardis (il solo studioso di Mallarmé
e del simbolismo) ...
Lecce si era destata molto prima (cf. D. Valli, La cultura letteraria
del Salento, cit.) Ivi fu tra i promotori del Circolo di Cultura e delle
mostre al Sedile. Con il cugino, lo scultore Francesco Barbieri, esplorò
fino all'ultimo balcone la "bella Lecce" e lo esortò
alla costruzione del mirabile Orologio in Piazza Sant'Oronzo. Dai tempi
del nonno Pietro Marti e delle sue "Biennali", Lecce riprendeva
il suo ruolo privilegiato nel Sud. Ebbe intimi collaboratori nel pittore
Suppressa e in Luciano De Rosa, con il quale allestì la rivista
"L'Esperienza Poetica" (1954-1956) in favore di una poesia
del Sud e della realtà, in alternativa all'ermetismo fiorentino
e al neorealismo, esemplare Quasimodo. Inquieti i rapporti con V. Pagano
e l'"Albero" di Girolamo Comi, dove pubblicò il racconto
Sei-Dita e Sulle Apuane di Civiltà Industriale.
Fece la spola tra Lecce e Bari dal maggio '49 all'agosto '58. Il '55
risiedette a Torchiarolo con la sposa (28-12-1954), Antonella Minelli,
la "Brindisina" e "Ninetta" della Luna, impareggiabile
compagna del suo difficilissimo uomo (" Non chiamatemi falso [
... ] e non più gitano [ ... ] aggiungete con finta pietà
"E' l'Università che t'ha rovinato" [ ... ] AP, del
'61) e custode alacre delle sue carte, di che, ripeto, son grato testimone.
Nacque Valentina il 12-9-1962. Negli articoli, conferenze, presentazioni
ai cataloghi (da De Nittis ai due Barbieri, da Spizzico a Suppressa,
da G. Toma (per una mostra scrisse la Sanfelice) a Calò, da Cantatore
a Geremia Re, dai ferri di D'Andrea alla statuaria di cartapesta) c'è
quasi l'essenziale dei nomi e valori dell'arte pugliese di quei decenni
e, in particolare, salentina, a riscontro della Luna e a illustrazione
della medesima, a tal punto il libro di Bodini è intimamente
e tecnicamente figurativo, quasi a lettura reversibile.
Cade opportuno qui un cenno a quella che ho chiamato "Poesia grafica"
di Bodini in uno studio del '74, al quale rimando il curioso lettore.
Tornò nell'estate del '49 dalla Spagna, stremalo e distratto,
nella "fossa dei leccesi" e lo raccattò a San Cataldo
il ricordato cugino Ciccio Barbieri, che se lo portò a Bari,
dove da settembre 1950, entro l'anno, con estro furioso tracciò
una enorme quantità di disegni (noti 172), sostitutivi e nel
contempo eccitatori della vena verbale esausta, giacchè la ripresa
della Luna è datata nel '50-'51. Lo schema centrale invariante
è archetipico-materno della penisola italiana come donna, variato
in tutte le sue proiezioni e investimenti filiali della patria chica
e delle sue donne, dei loro uomini e geografie, danze e musiche, terracotte,
tacco salentino e punta calabra, "astri cotti", colombo (con
i primi versi di una poesia di AP: "O dell'infanzia uccello strepitoso
/ e macchine celesti"), colombouomo ("col cappello in testa"),
"manoscritti di nuvole", suppinna, tori e toreri, gitani,
molti ritratti, statua di Sant'Oronzo, molte "anime" di tutte
le specie, figure della Spagna, madri dolorose, ecc. La tecnica disegnativa
è lo stesso spirito che la anima nel segno sincretico dei cinque
artisti-poeti che egli amava: Van Gogh, Chagall, Miró, Paul Klee
e Rouault; primo impulso dai disegni di Lorca.
Tornò a disegnare nel '69, penultimo anno di vita. Nei 105 disegni
del fondo la tendenza all'afigurativo è quasi assoluta, ma nell'avventura
dell'astratto filiforme-continuo s'intravede ancora la penisola materna,
qualche dolce volumetria di profili muliebri e il colombo totemico esultante
o rattristato. Flagrante anche in questi la tentata regolazione del
caos interiore, l'affiato autoterapeutico mandalico, il timbro della
consueta grazia ed eleganza.
Il 1951 della seconda Luna è anche l'inizio del passaggio dall'ispanofilia
militante alla scienza ispanistica, o meglio, intensificazione, a ritmo
crescente: dal teatro di Lorca al Calderón, dal Don Chisciotte
a Quevedo lirico, dal Góngora al Larrea, dai surrealisti all'Alberti,
dal Lazarillo al Moreno Villa. "Oh pianificazione di un ex gitano!
" (lettera del 15-4-1959).
in questo paragrafo sulla quinta fase leccese-barese ho cercato di tener
conto delle 82 poesie inedite (21 degli Inediti e 64 degli Appunti),
ma l'esame è appena cominciato.
12. Ultima fase:
il decennio romano-versiliese 1961-1970. Il secondo libro.
in parte ci siamo
già entrati. Qui le poesie degli Appunti sono relativamente poche:
23, comprese 5 residue della raccolta Zeta. Si tenga conto che le tre
raccolte Metamor, Zeta e La civiltà industriale sono state in
parte notevole intercambiate all'interno, sì che in definitiva
formano un solo libro, il secondo dopo la Luna del '62.
Lucertola che si spoglia ("Vorrei avere") - dopo Firenze,
Lecce, Roma, Madrid-Roma, Lecce-Bari, di vita in vita - ha biuciato
alle spalle la terra messapica (Bari "punto culminante di una frustrazione",
20-12-1959, l'"Inutile" sperperato), intatto l'adempimento
dei suoi doveri (cadde sul lavoro il 29 ottobre 1970 a Pescara, di ritorno
da Bari, rivelatosi il morbo di cui morì due mesi dopo). Del
tutto nuovo l'orizzonte di Metamor, col quale titolo si potrebbe indicare
il secondo libro unico di cui dicevo avanti; con lettera del 10-2-1969
mi scriveva: "Che le ne pare di un titolo come Civiltà Industriale
e Metamor per un libretto? 0 Metamor I e II?". il progetto rimbaudiano
è quasi letterale:
"lo [ ... ] considero Metamor e gli inediti un libro traumatico,
sostanzialmente e disperatamente teso a denunziare il totale smarrimento
del reale o la sua ricerca senza fede. in esso l'elemento ludico non
è che un mezzo per tentare di stabilire l'equilibrio sconvolto.
0 per confortare mestamente il prelinguistico".
Isolando per un momento l'"elemento ludico", è evidente
che il libro, che potremmo chiamare Metamor e Altre poesie (come La
Luna e Altre poesie) esaspera in notevole quantità e assolutizza
la tecnica espressiva metaforico-surreale. Il decennio bodiniano s'ingrana
nella teoria ed esperienza versificatoria dell'antologia dei surrealisti
spagnoli (1959-1963) ed è coevo alla generazione diciamo rappresentativamente
sanguinetiana del Gruppo 63 e della poesia sperimentale; e alcuni poeti
più giovani, come Pignotti, TE. Mie, sentito in Bodini un maestro
di tale esperienza. Il quale, pur mantenendo le distanze in ragione
di una finalità ben diversa dal mezzo ludico, sembra condividerne
(forse ironicamente) l'intenzione contestatoria e. infernale: "Le
pallide avanguardie desiderose di scandalo / avanzano anch'esse verso
il loro Acheronte" (Perdendo quota, MT). Rispetto al sincretismo
tecnico delle neoavanguardie la maniera di Bodini, come quella di Aleixandre
Alberti Neruda, è surreale pura con immunità fluidificata
della morfosintassi e linearità segmentale tra campi sememico-lessemici
diversi che si compenetrano e si fondono nell'estro imprendibile di
una commutazione logico-delirante, giacchè il logos permane fino
alla fine (nostra ipotesi critica che sarebbe confermata da un auspicato
commento a tutte le poesie).
Ma la differenza si fa sostanziale ove si attenda al motivo dell'espressione
automatica, la citata ricerca afideistica del reale smarrito. Più
che smarrito, diciamo disintegrato, i cui membra disiecta si ricompongono
con nuovi legami cronotopico-causali, scambiandosi anime e spiriti di
un cosmo magico quasi neorinascimentale alla Telesio e Campanella, contaminato
dalla "civiltà industriale", il mitico (negativo) "Nord"
industriale succeduto a quello letterario, non senza convergenza con
il chisciottismo ispanico di Américo Castro contro la scienza
e la tecnologia euroamericane (" Ragione / il cui trionfo ci costò
tante sconfitte", Civiltà industriale. CI: " la produzione
a catena / la catena dei sì e dei no / quella dei tradimenti
di se stessi" (Per un volo, " nidi di plastica di cemento
di calcoli [ ... ] il numero nemico dell'uomo e della bellezza [ ...
] Il Medio Evo piangente [ ... ] scheletri arsi / in un incendio senza
canti [ ... ]. Che cosa fare chiedono le api operaie alfine emancipale
dalle macchine" (Rapporto, ib.), " mare economo d'oracoli
(Night, MT), " Le vergogne dei Nilo le sue zattere / di pomposi
barili (Non saprò mai", CI).
I mostri metaforico-surreali della nuova scrittura subiscono tale inquietudine
epocale escatologico-apocalittica, disperatamente nucleati in un centro
ancora umano pur mutilalo e infermo, sineddoche antropica incastrata
nella sempre più straniata e remota metonimia; ad es., l'uomo
antico annerito e tediato da questo mondo di superba ignominia diventa
"le vecchie bretelle nere, / muoiono in uno sbadiglio" (Lillemor,
MT). Chiedo scusa per aver logicizzato l'immagine uomo-indumento, che
non è retorica, giacchè le bretelle nere sono realmente
(poeticamente) bretelle nere e sbadigliano realmente (poeticamente);
questo fenomeno oggettivo-poetico è il limite insuperabile della
povera critica.
Diamo vari esempi di combinazione dell'uomo con: pubblicità-meccanica:
"la garanzia [ ... ] aveva un piccolo volante alla vita e dei grossi
seni" ("Innestiamo", MT); animale-meccanica: "cuore
artefatto dei pavoni" (Canto al colombo, CI); vegeta le- meccanica:
" piccole orecchie di peonia in rodaggio" (Valentina, ib.);
vegetale: "Stormivano i soldati" (Innesto 13, MT); animalegrammatica:
"la lucciola strisciare / col ventre intermittente sugli avverbi"
(Testo a fronte, ib.); animale: "imbeccare risposte a un passero
giallo" (Daccapo?, ib.); astratti-animale: "propria tomba
/ dove l'oscenità canticchia assassinata / dall'ombra d'un cane"
(Night II, ib.), "Che accanimento oppone la cruda invereconda /
casistica del vizio a ciò che fu / sentirsi un tempo il cuore
in petto" (Perdendo quota, ib.); arredo-animale: "i cavalli
sognavano comò con le tette aperte" (Innesto 13, id) (cf.
"i cavalli / si passavano la mano sulla fronte", Luna); edilizia:
"le rampe d'un coito che s'affaccia sul nulla" (Nei viali
ovali, MT); Meccanica-Bibbia: " la vecchia Ansaldo nera sotto le
mura di Gerico" (ib.); minerale: " Persuadeva i tuoi seni
di mercurio / l'incerta ubicuità / del pube a filo d'acqua"
(Daccapo?, ib.).
li Poeta ha precisa coscienza dello smembramento e squarcio del verbo:
"0 perduto perduto perduto discorso / smozzicato franto nei suburbi
inorganici / del sogno e dell'insonnia" (Espone a Leopardi, CI);
" Innestiamo il discorsivo" (MT) si esorta, da cui Innesto
13 (ib), che ha anche significato seminale ("seme sprecato",
Testo a fronte, MT) di vitalizzare l'inorganico prossimo alla morte
(cf. Perdendo quota, ib.): amore mozzato è il titolo Metamor
" che vuoi dire metamorfosi, metà-amore e metà-morto"
(Marcatré, dic. 1966), anche sp. "matar" e "temor";
la Canzone semplice dell'esser se stessi termina: "provo a esser
solo. / Trovo / la morte e la paura".
Ecco appunto: la "metamorfosi" è impossibile e non
resta che parodiarla con l'inorganico-meccanico del linguaggio "
industriale" mescolato nel cosmo degli altri linguaggi che lo possano
animizzare. Nella detta Canzone: "Dicono le cose: cerca d'esser
le stesso / senza di noi. / Risparmiaci il tuo amore"; 14 cose,
dall'"edera" allo "specchio" gli hanno detto chiaramente
che non sarà mai nessuna di esse contro la gnosi lorchiana-campanelliana
del cosmo magico-animico di solidarietà universale nell'amore,
attuata nella Luna: "Vorrei essere fieno" (Finibusterrae),
"divenuto ulivo e ruota" (La luna dei Borboni, 8), "
Eccomi divenuto / bosco" (Serie stazzemese, 6), ecc. Viene meno,
insomma, quella che Eliot chiamò correlazione (non correlato)
oggettiva tra gli esseri dell'universo, che nell'amore vincono la morte
e il piccolo io restio e rapace, quanto più salito sulla scala
degli esseri viventi.
E veniamo alla causa prima della trasformazione-correlazione negata
o eros dimidiato: lo smarrimento o eclissi dell'archetipo lunare, il
quale, presente nel primo libro nei suoi aspetti (quindi necessari e
dialettici entrambi) di Madre Terribile e Benefica, resta esaurito ed
esausto nella sua possibilità di proiezione umana e cosale. La
"luna" si alcolizza, si aliena dal lare, si annienta, assiste
assente dall'alto i templi del consumismo, e muove la catena di montaggio
dei disastri, si beffa di se stessa: "alcool, messaggi della luna"
(Testo a fronte, MT), "equivoci messaggi senza destino". (Espone
a Leopardi", CI), "campi zigrinati ove la luna / non aveva
capo nè coda" ("Era sicuramente", ZT) "i
grandi supermarkets che si liquefanno sotto la luna" (Innesto 13,
MT), " Il poeta passeggia fra seni altrui / fra I une altrui "(La
passeggiata del poeta, ZT), " l'amaro dell'assenzio [ ... ] i contingenti
in rotta della luna" (Quasi un'ottava, CI), "vedi la luna
rider della luna [ ... ] la produzione a catena [ ... ]Vedi le guerre
partorire guerre / la luna calva e grigia / le bare [...] ", ib.).
In Ostaggio (CI) il "nu" della Luna, demone del Poeta, si
riconosce nel nesso luna-nulla-nuvolaglia in eco allitterativa con polvere-poltiglia:
"O se il nulla non fosse solo il nulla / ma nuvolaglia polvere
poltiglia / nella luna / senza colore / senza nulla".
li "senza nulla" significa il tentato annientamento dell'archetipo
malnato e falso, un nuovo possibile reincarnato nel "caro ostaggio
/ d'una piccola figlia", biograficamente non voluta, affinchè
non si rinnovasse l'archetipo ("Vattene, cielo, vattene, / voltati
dall'altra parte", IN). La chiama "ostaggio" come demonico
ricatto o impedimento celeste all'autoannientamento. Tanto più
pura e straziante d'amore è questa filiale figurina (casuale
e necessaria). Si rivolge il Poeta alle cose per una possibile rimanenza
di sè in esse: "Potervi dire: volti libri città [
... ] mi resta in voi qualcosa: il caro ostaggio [ ... ]". E' un
segno di pura gratuità dell'amore autentico, forse il più
profondo messaggio del poeta e uomo Bodini: " Mio me stesso possibile,
allora sì / potremmo testualmente raffrontare / i pro e i contro
[ ... ] le riserve / di morte e di poesia" (Testo a fronte, MT).
La figurina si ripete in Valentina (CI) che infatti comincia: "Figlia
aperta corolla del possibile"; ivi si chiarisce il senso dell'"ostaggio"
("della realtà" in CI, n. 36) con ricorso a un'immagine
della segnaletica stradale, a indicare un momento etico donato e accettato
dalla stessa poesia senza corona: "è la serietà della
vita col suo limaccioso ardire [ ... ] i segnali di stop / a cui s'arresta
la musa detronizzata / da due piccole orecchie di peonia in rodaggio".
A "Valentina" si aggiunge "Ninetta" nel " Biglietto
a N. e V. "sotto In treno (ZT), " labili / topografie"
e "vostri mille volti" nelle magiche righe della pioggia al
finestrino da Pescara a Roma, "mentre percorro vie / labirintiche
e vengo in cerca di voi / in cangianti città di gocce d'acqua".
Il "possibile" si fa retrospettivo nella commemorazione della
fanciullezza perduta, d'apparenza leopardiana e meglio manriquegna e
villoniana d'Ubi sunt?: "Ma gli anni? Dove son gli anni, e tutti
i libri che ho letto? / I volti amati si sfrondano [ ... ] non restano
che i nomi. / Ah, dove son le acute presenze / del passato [ ... ]?"
("Conosco", MT), "Dov'è la Serre de Bernon? Dov'è
Calvert? Dov'è Medoc?" (Le bende, ZT), "tutto ciò
che un tempo avevamo dentro capovolto come in un negativo" (Nelle
spire, MT), "fame sete di vita della mia giovinezza" (Testo
a fronte, ib.), "Limpida gioia, di che mano sei morta [ ... ]?",
"L'insonne adolescente" (Perdendo quota, ib.), "sentirsi
un tempo il cuore in petto [ ... ] come armati di un bastone / meraviglioso
e invincibile" (ib.), "tornasse domani / puntualmente quell'acre
stupida età" (Credevo che credesse, ZT), "solamente
/ mia ricchezza in qualche tempo / mia su una terrazza / grigia tenuta
su col fil di ferro" (Palma, CI), "metafora divina giovinezza"
(Plaza de Canalejas, ib.).
E in figura di adynaton: "Se l'universo di colpo/ mutasse tutte
le sue leggi / degli alberi vedremmo / verdi chiome affondare [ ...
] Anche tu torneresti svanita età a ruzzare / coi tuoi invidiati
errori [ ... ]" (Se, ZT). Ricordiamo ancora i "brevi miti
di un'adolescenza / di datteri acerbi" (Con gli occhi viola, CI),
"il cristallo del mare dove brillava il corpo paleolitico della
giovinezza" (Rapporto. ib.), " ricordo quant'erano piccole
le nostre mani. / Empivamo di vocali una verde bottiglia" (Innesto
13, MT). Il citato "non restano che i nomi" è eco malarmiana
e guilleniana. L'"innesto" èsimbolo di rinascita del
vecchio tronco.
I "datteri acerbi" dell'" adolescenza" ritornano
nella stupenda Canzone per una sedicenne (LE 2) del '59, che può
gareggiare con i due esemplari, la "vergine" Adolescente cardarelliana,
"perla rara" del "pescatore di spugne", e ("sfondo
di perla") la derivata Esterina, "minacciata dai suoi anni"
di Montale: "[ ... ] Con l'oro debole dei datteri acerbi / la vergine
che sa di avere i giorni contati [ ... ] Ma nessuno, nessuno custodirà
il tuo lungo passo credulo / di trampoliere (è il "ponticello"
di Esterina o "tremulo asse"!) con le ansiose conchiglie /
del tuo cuore Non era un'arpa, era una dolce caviglia / che vede per
la prima volta il cielo". Fiaccola da poeti a poeti senza intrusione.
Vittorio allude a se stesso nelle "macerie il rospo, la scarpa
vecchia, il barattolo vuoto ("di sangue", CI, n. 31 "),
nella "mano al cuore ferito", mano (ormai inerte nel generare
e nello scrivere), che è forse il maggior simbolo reale di questo
libro, cominciando dalla prima poesia di Metamor ("Conosco appena
le mani [ ... ]"); e accennammo all'ultimo scritto nell'agonia,
La mano. Parimenti per la "giovane ignota" di Perugia "nel
giorno del primo allunaggio" (il poeta): "Geme di rabbia il
cacciatore / che non ha armi con sè" (ZT).
La rabbia assassina e lo spirito apocrifo della Luna crescono e si ritorcono
nel secondo libro. Alla fine della Luna si proietta in Góngora
("scambiavano parole / le sue dita istruite di giocatore / e forse
di baro", Omaggio a Góngora,) cui viene assimilalo Shakespeare
in Metamor ("vecchi cari poeti iracondi come Góngora e Shakespeare,
Sogno), e in Cardarelli ("Il falso etrusco [ ... ] Le pallide mura
d'alluminio / erano nel fondo delle sue parole / mentre moriva, cigno
/ sporco e furente", Tarquinia). Così incalza in Metamor:
"Che furia. Che vergogna senza pace" (Perdendo quota), "abbiam
patito la lebbra della bellezza [ ... ] Cosa dirò al tuo scheletro
[ ... ]?" (La tempesta), "con gli occhi viola e i seni calpestati"
(CI), il "secolo" di "scandali" e "crisi di
governo" (Innesto 13, MT), "i profeti" (Valentina, CI)
e i loro "figli" (Per un volo, ib.), le "false dottrine"
(Fuori rotta, ib.), l'"allunaggio" cit. e i "dischi volanti"
(Sera, ZT), il Sud liquidato per sempre (Hai fatto bene a non parlarmi
del Sud [ ... ]", Le mani del Sud, del 15-1-1969, CI), "la
virtù i fascisti / i piselli di scatola" (L'angelo dei baffi,
ZT). Il quale è lui, Vittorio, che si esempla sul "falso
etrusco" cit.: "Coi suoi denti più falsamente bianchi
/ ghigna, squittisce litiga [ ... ] è detestabile [ ... ] Ridendo
s'allontana / avvolto nel suo sudario / nel più vasto sudario
di un mattino". Nulla si salva in una furia alla Cecco Angiolieri:
"Se fossi morte o pietà / ucciderei tutti i poeti / o solo
i vecchi poeti / o soltanto la vecchiaia dei poeti "(Macchina per
vivere, CI).
Tornando alla citata formula rimbaudiana del "totale smarrimento
del reale o la sua ricerca senza fede", è certo che il nuovo
significante barocco-surreale risponde a un cambio della prima radice
della poesia, la dimora vitale, lungo la linea maudite dell'intero itinerario,
insomma, un'altra vita. Abbiamo visto voltate le spalle al Sud in Le
mani del Sud; del Salento qualche presenza negli Appunti: " Forse
il turchese" col "nachiro", Verso Leuca, dove rivediamo
"Cocumola", un altro paio di poesie sulla terra spagnola:
Spagna (residua di Zeta) con le sue "feluche di morti" e Arabi
e vino, che "friggevano la notte sulla piazza / nera di Zacodover".
Sparita anche la Roma barocca della Luna, restando appena negli Appunti
"una cupola grande come una nuvola" ("La lingua").
Di intimo, dalla parte del Bodini amicale e familiare, il lindo appartamento
ai Parioli, con lo studio ordinatissimo e il salottino ospitale di amici,
visite ai musei con la piccola Valentina (sue l'"alucce di mosca"
nelle Stanze Romane degli Appunti), rissoso a volte pure con lei, a
tal punto la rispettava da pari a pari. Amici, pazientissimi lettori
e consulenti delle sue poesie immediate, Paolo Chiarini (collaboratore
nella scelta rigorosa di Metamor), Enzo Mazza, Luciana Feazza, fine
traduttrice e commentatrice di simbolisti francesi, oltre al ricordato
De Nardis, cui debbo un approfondimento del Bodini " romano".
Sulle fervide amicizie con amici artisti ho discorso nello studio citato
sulla Poesia grafica. Resta una traccia nelle citate Stanze romane /
EUR-CAVOUR-BUR(RI), spunto alla Roma diversa: via Veneto con le scimmie
verdi che lanciano proiettili, il finto lago dell'EUR, la figurina del
pontefice d'antipapismo lorchiano, ecc., il tutto simboleggiato dai
sacchi di Burri: "Ah, diavolo d'un mondo, ti sorprendo con le mani
nel sacco! ".
Più propria di "Metamor" la Roma notturna, mistificata
megalopoli in senso maudit, specialmente dai Nights del '65, quando
riprese a bere e a fumare dopo un infarto del dicembre '62, fino agli
ultimi due anni in gara fraterna con il conterraneo e superbarocco (di
che Bodini gli fu maestro) Carmelo Bene, regista del Don Giovanni, dove
Vittorio gesticola con quelle mani l'incubo onirico della fase senile
del personaggio ("parte [ ... ] che gli ho donato come premio personale
per Nostra Signora dei Turchi", 1-4-1970).
Sarebbe facile contestare la mitologia letteraria dei paradisi artificiali,
dato che la droga richiede un graduale sopraprezzo di logos poetico
("furia della ragione"), e non è possibile verificare
lo stesso poeta se fosse stato astemio. Unico testimone l'ultima Luna,
quale preludio al Bodini universale, visionario e profetico del secondo
libro. L'"alcool", ultimo elemento acqueo per sciogliere la
" pietra lunare", si fa verbo e con la sua forza sinonimica-omonimica
si simbolizza attraendo nel suo campo humedo i nuclei semici di infermità
e morte viva: "Se bere un whisky è versarlo / sull'arso
terriccio della propria morte [ ... ] furia della ragione [ ... ] trofei
d'occhi [ ... ] si scioglieranno nell'alcool tra i sadici archivi /
di una notte tradita [ ... ] (Night II, MT), " bevevo aperitivi
bevevo caffé [...] Cosa dirò al tuo scheletro [ ... ]?"
(La tempesta, ib.): "aperitivi rossi [ ... ] armadietto dei medicinali
[ ... ] per non morire del tutto soli" ("Innestiamo",
ib.), "L'inno che trafigge / l'amaro assenzio" (Quasi un'ottava,
CI), "alcool [ ... ] le riserve / di morte e di poesia" (Testo
a fronte, MT), "ubbriachi dei nights [ ... ] notturne ceneri"
(Autunno, AP), ecc.
Si rileva il Night III col sintagma "albero dell'alcool" che
"albeggia" al desdichado tra il Baudelaire di "O Mort,
vieux capitaine, il est temps! levons l'ancre! " e il Rimbaud del
Bateau ivre: "Preda di vermi salpiamo su legni infelici ma ancora
vivi [ ... ] e così albeggia l'albero dell'alcool / mentre sfioriamo
con le dita tra il museo dei divani / il nostro teschio tenero e spavaldo".
Ho messo in corsivo i vocaboli con la L intorno ad "albeggia l'albero
dell'alcool", e bisognerebbe partire dal "nu", archetipo
fonico che si scatena nella serie privilegiata "- nudità,
nulla, nuvola - [ ... ] Numero e nucleo" di "Con la parola
nu" nella Luna. Il "nu" sta nel corpo del protoemblema
"luna", che attraverso "lugubre luna" (Il cerchio
azzurro) e, soprattutto (1954), " l'alcool nero", bevuto dai
"cigli" della "Brindisina" ("Al cinquanta per
cento"), si aggancia in Metamor direttamente ad "alcool"
("Innestiamo", MT) e a "lumaca" in Ci (Sogno), dileguandosi
come imago attiva, al pericoloso contatto. Solo in Ostaggio di Zeta,
dove subentra la figlia Valentina, riemerge un po' inerte con "nulla"
eccedente: " nulla [ ... ] nulla [ ... ] nuvolaglia [ ... ] polvere
poltiglia [ ... ] luna [ ... ] nulla". In tal guisa impastato e
bruciato, il battello salpa per altri lidi verso "Inconnu".
Matericamente domina il complesso citato: salpare-legni-alba-albero-alcool-spavaldo,
variamente distribuito in raddoppi e moltiplicazioni allitterate-anagrammate
entro giuste misure che solo negli ultimi tempi toccano l'informalismo
meccanico-automatico. La nostra è appena una traccia della catena
fonosimbolica. Ad es., dietro la L s'insinua la V di spavaldo e di salpare-legni
sinonimizzati in aura marina di "velieri", "vessilli",
"Versilia" (ultima dimora poetica con Roma): "lei Lillemor
la lucciola [ ... ] alla luce d'un lampione sul Viale dei Colli [ ...
] capelli [ ... ] lucente bersaglio" (Lillemor, MT), " luce
lontana [ ... ]vedova[ ... ] velieri" (Nelle spire, ib.), "capelli
spavaldi [ ... ] stelle [ ... ] viali ovali di viole" (Nei viali
ovali, ib), "alba spilungona" (Perdendo quota, ib.) "
alcool [ ... ] cavallo" (Night II, ib.), "albero [...] vocali
[ ... ] bottiglia" (Innesto 13, ib.), "albe [ ... ] malate"
(Civiltà industriale, CI), "verità [ ... ] velo"
(Sonetto del cavaliere, ib.), "la valvola della vulva" (Plaza
de Canalejas, ib.), "Versilia versiera", "[. ..] Malbacco
[ ... ] cartilagini [ ... ] ribrillerà" (Sulle Apuane, ib.)
"vessili dei ventriloqui " (Fuori rotta, ib.), "i ventagli
dei vescovi " (Macchina, ib.), "alberi ... ] allegra"
(Balletto, ib.). Solo[ ... ] lottato [ ... ] battello [ ... ] alcool
[ ... ] volti s'allontanano soltanto" (Per conoscenza, ZT), "alberi
[ ... ] lampade [...] spalle [ ... ] vallo ] uccelli [ ... ] nulla [
... ] mollemente mille" (Ci riflette, ib.), "veli ventagli
vescovi velieri" (Le bende, ZT), " lecca lobi [ ... ] cupola
[ ... ] nuvola" (La lingua, AP), "il cumulo il viluppo s'allontana
/ avvolto" (L'angelo dei baffi, ZT).
Qualche esempio di altri raddoppi da legare ai precedenti contestualmente:
"cani di calce (Nelle spire, MT), "La gazzarra la garanzia"
(Innestiamo, ib.), "duellano e duettano" (Testo a fronte,
ib.), "piumaggi di palmizi" (Daccapo?, ib.), "gozzo [
... ] pozza" (Canto al colombo, CI), "vibrano verdi tetti"
(Non è molto, CI), "ruban ruote" (Per un volo, ib.),
"tegole rotte[...] sui tetti " (Balletto, ib.), "s'ingerania
la gioventù", (Domenica, ZT), "umori [...] motori"
(ib.).
Il sintagma allitterato si va sempre più automatizzando e stranamente
approfondendo. In Collage, ad es.: "Mordi topico topo", "innocui
ranuncoli", "prove proficue", "frammenti di martirio",
"Semi salmastri", ecc.. La stessa analisi dovrebbe essere
condotta in campo omosemico-sinonimico, di mera agudeza concettista
("arguto avorio acidulo", Sulle Apuane, CI).
Come si è visto, la luna materna alcoolizzata calva e grigia,
infine eliminata per autotraslazione, accentua ed estremizza l'introiezione
del significante, o meglio, il ripiegamento epilinguistico sulla propria
grammatica e poesia a fine salvifico, che è, s'è detto,
la quarta radice della poesia; rischio enorme l'orfanezza, consumato
e pagato: "Poesia, struggenti inchieste / sulla verità dell'essere
[ ... ] Non ci ha portati lontano [ ... ] a che prezzo, di insofferenze
[ ... ] " (Poesia triste alla poesia, ZT), "O, soccorreteci,
aiuto, bianca poesia! / Aiutatemi voi bianco foglio di carta, / a dire
ciò che non so". Molti i titoli metapoetici: Poesia triste
alla poesia, Il poeta nel giorno del primo allunaggio [ ... ], La passeggiata
del poeta, Antipoetica, Innestiamo il discorsivo, Testo a fronte, Canzone
semplice [ ... ], Pseudosonetto, Quasi un'ottava, Senza nome, Espone
a Leopardi [ ... ] / nuovi problemi del linguaggio della poesia. Il
pathos dell'orfano impotente si accusa talora nel componimento falsamente
abortito, compresa l'inquietudine tra stato di prosa e stato di poesia,
come in Prosa e poesia di Campana. A Rimbaud un Sonnet risultò
in prosa come nel Nostro si falsificano le forme metriche di un Pseudosonetto,
cit., e Quasi un'ottava, cit. di sette versi. Campaniano il titolo La
passeggiata del poeta, cit., che arieggia La petite promenade du poete,
le cui "ciane" che commentano "dietro i vetri rilucenti"
sono le stesse "vecchie ciane sdentate" che dileggiano "Lillemor
la lucciola [ ... ] alla luce d'un lampione sul Viale dei Colli".
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