Acqua per il Sud




D. G.



Senza dubbio, l'azione dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno ha mutato in molte regioni la "geografia della sete" meridionale. Per la Puglia, è indicativo il "progetto speciale idrico" del Pertusillo, collegato con quello della Puglia Centrale e con l'altro, del Fortore: una vastissima rete idrica, per gli usi civili, agricoli e industriali, che metterà la nostra regione in condizioni di far fronte agli antichi bisogni, che neanche l'Acquedotto Pugliese, a suo tempo il più grande del mondo, aveva soddisfatto. Il Pertusillo risolverà dunque un problema annoso. Ma come lo risolverà? Intendiamo dire: disporremo dell'acqua a tempo pieno, o continueremo ad averla a singhiozzo quotidiano, con chiusure più frequenti proprio quando occorre di più, nel periodo estivo?
E' stato scritto che l'acqua "razionale" sfugge al potere, mentre l'acqua "razionata" è potere. E' questo discorso che è necessario rifare, cancellando le vecchie distorsioni, e strategie utilitaristiche, e accettando una volta per tutte l'"immagine moderna del bene-acqua", materia prima nell'uso civile, ma anche in ogni comparto economico-produttivo.
Le accresciute esigenze dell'industriala pongono in termini drammatici l'esigenza di razionalizzare l'uso dell'acqua. I centri industriali ad alta intensità produttiva (in tutte le aree e i nuclei di sviluppo industriale del Mezzogiorno) richiedono quantità crescenti di acqua. L'agricoltura meridionale, almeno in prospettiva, dovrebbe riconquistare in senso moderno la collina e la media montagna, soprattutto con l'installazione di allevamenti. Il turismo va prendendo sempre più piede, non solo nelle fasce tradizionalmente prescelte dai turisti, ma anche in aree fino a pochi anni fa sconosciute: nascono da un anno all'altro, in particolare lungo le coste, veri e propri nuclei urbani: e nascono dal nulla. Ma non possono restare senza le infrastrutture civili di base. L'acqua è la prima fra queste. L'acqua che serve in flussi sempre più alti.
Che cosa offre il Sud? Acquedotti che d'estate si prosciugano, come le fiumare calabresi; acquedotti come colabrodo, che perdono lungo la strada più acqua di quanta ne distribuiscano; catture di acque non coordinate; adduzioni lungo canali predisposti d'estate, ma semidistrutti d'inverno dagli smottamenti compatti delle terre alte, private dei manti boschivi, dilavate dalle piogge.
Il caso della rivolta di Palagonia è emblematico: sembra cronaca di tempi lontani, dei giorni in cui la terra "tremava" per le sollevazioni dei contadini morti di fame. Eppure, e storia dei nostri giorni: la storia della sete che tiene in ostaggio un intero paese, (e non è certamente il solo, nel Sud), ne compromette le attività economiche, e soprattutto quelle igieniche.
Il primo passo verso una riconversione dell'uso delle acque deve essere fatto nella direzione della razionalizzazione dell'uso; raccoglierla dalle falde imbrifere e coordinarla in grandi bacini di contenimento, passandola poi alle reti di distribuzione. Occorre, in seguito, soprattutto per quel che riguarda gli usi nell'industria, fare ricorso al riciclaggio: non è più possibile consentire sprechi e dispersioni, com'è accaduto fino a questo momento. Infine, è indispensabile ritrovare nuove risorse idriche, alleggerendo la pressione fatta fino a questo momento sulle falde freatiche. In altre parole, il ricorso ai pozzi artesiani non può più seguire i ritmi intesi di questi anni: gran parte degli inquinamenti delle acque sotterranee è dovuta all'impoverimento delle falde sotterranee, soprattutto nei terreni argillosi o a lieve facies carsica, oltre che agli scarichi urbani, industriali e diversi, con presunte "dispersioni" sotto la crosta terrestre.
Come risolvere il problema del reperimento di nuove risorse? Se è vero che ci sono popoli che hanno trasformato i deserti, facendoli esplodere in giardini, è altrettanto vero che, nel nostro Paese, è venuta meno la volontà di realizzare un progetto organico di questo tipo. Facciamo l'esempio della Puglia, regione nella quale lo sviluppo industriale, quello agricolo e quello turistico hanno registrato negli ultimi anni indici abbastanza elevati. In Puglia, dunque, il problema dell'acqua continuerà sempre ad assillare tutti. Le grandi industrie, che non possono farne a meno. L'agricoltura, che sta conoscendo una vera e propria rivoluzione copernicana, con l'introduzione di tecniche irrigue e idroponiche sconosciute nel passato. il turismo, che è in piena fase di decollo lungo i due mari. Ebbene: il sottosuolo non può dare più di quel che dà, anche perché i frequenti fenomeni di carsismo lo impediscono; le falde freatiche sono povere; i fiumi sono lontani e magri; le polemiche per i "furti" extraregionali sono annose (soprattutto con la Basilicata e con la Campania). Come uscire dal tunnel? IL CNR ha dato la risposta, l'unica possibile in condizioni del genere: facendo ricorso ai dissalatori. Centinaia di chilometri di coste marine lo consentono; e lo pretendono la presenza e l'operatività delle industrie sulla costa, oltre che la contiguità al mare di molti grossi centri urbani. Un sistema di dissalatori marini, strategicamente localizzati, per consentire, flussi continui e riciclati alla terra, alle macchine e agli uomini, può risolvere in via definitiva i problemi che neanche il sistema del Pertusillo può affrontare a lungo termine.
Si dice che il costo dei dissalatori sia notevole: si e speso e si spende molto di più, in Puglia e altrove nel Mezzogiorno, per acquedotti che "non rendono". Si dice anche che occorre scegliere fra vari sistemi e metodi di dissalazione: allora, il nostro e sempre il Paese delle non-scelte? Non sono sufficienti le esperienze condotte in altre aree (come quella israeliana) con esiti ampiamente positivi? 0 il problema è di natura diversa? Certo, il Sud non può restare in eterno in bilico e a secco. I tempi cambiano, i problemi si accumulano. Anche i ritardi. Questa storia non può continuare.

MA E' L'ITALIA A SECCO

Se Puglia e Sicilia sono tappe d'obbligo di un viaggio lungo gli itinerari della sete, non è detto che il resto del nostro Paese sia senza problemi. Da Napoli a Benevento (acquedotti fatiscenti, prese abusive e clandestine a centinaia), da Roma a Firenze (turni di quartiere per una siccità che è grave, ma non eccezionale) e perfino nel Nord dove, almeno sulla carta, la situazione dovrebbe essere infinitamente migliore che nel Centro-Sud. Il caso più sintomatico è quello di Genova, dove l'acqua manca al minimo accenno di siccità, pur essendo la Liguria, insieme con alcune regioni alpine orientali, quella dove piove di più: 1.300 millimetri di pioggia l'anno, contro I 650 della Puglia e 1 700 della Sicilia. A determinare la sete di Genova sono una rete di acquedotti non del tutto ammodernata e il disordine idrogeologico dei bacini imbriferi spogliati dei boschi oltre ai grandissimi consumi industriali senza il riciclaggio delle acque reflue. L'impianto siderurgico dell'Italsider, per esempio, sfrutta da solo tanta acqua, quanta basterebbe per gli usi civili di 240 mila persone. Milano e la sua regione, altamente popolata e industrializzata, "galleggiano" (o meglio: galleggiavano) su una falda d'acqua quasi superficiale, estesa dalle Prealpi fin quasi agli Appennini. Fino a pochi anni fa bastava scavare un pozzo profondo fino a 20-25 metri per trovare acqua potabile e pulita. Oggi, la falda miracolosa si èabbassata (a forza di prelevare irrazionalmente e senza piani) intorno ai 60-90 metri: e quel che è peggio, tutto è avvenuto a velocità impressionante. Quasi a vista d'occhio.
L'inquinamento dei fiumi fa il resto. Per una società moderna, che fonda il suo sviluppo sull'uso dell'acqua, la situazione appena delineata si colloca in una prospettiva di pericolo grave. Finora abbiamo considerato l'acqua come un bene disponibile in quantità illimitata, e quasi privo di valore; ora, e siamo appena in tempo, occorre una rigorosa politica di economia, basata su alcuni principi fondamentali: nessun insediamento urbano può crescere, se prima non èstata predisposta un'adeguata infrastruttura idrologica; nessuna industria può prelevare acqua, solo per inquinarla e disperderla. Dovrà riciclarla e immetterla nuovamente in consumo.
In altre parole: occorre trattare l'acqua come una materia prima preziosa, da conservare. E dobbiamo farlo perché possiamo farlo; ce lo consentono sia le tecniche moderne sia lo stesso ciclo naturale dell'acqua, che è un ciclo chiuso, dove nulla fortunatamente va perduto.


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