Allarme per il sistema Italia




Carlo Azeglio Ciampi



La situazione delle imprese italiane
La struttura e il conto del finanziamento
I comportamenti delle aziende.
Il funzionamento del mercato dei capitali

Le vicende dell'industria italiana nella seconda metà degli anni '70 indicano un notevole sforzo di adattamento alle profonde modifiche avvenute nel corso degli anni precedenti nell'evoluzione e nella struttura della domanda, nella disponibilità e nei costi relativi dei fattori produttivi, nelle caratteristiche e nel funzionamento dei mercati finanziari.
Tale sforzo è stato perseguito con successo da una larga parte di imprese, soprattutto medie e piccole: non ha prodotto finora risultati di rilievo per alcune imprese, specialmente di grande dimensione, anche perché operanti in settori, quali il chimico e il siderurgico, colpiti da crisi di dimensione internazionale. Restano, più in generale, incertezze sulla durata del miglioramento, tenuto conto di alcune caratteristiche che esso presenta.
Queste sommarle conclusioni trovano fondamento nell'analisi dell'evoluzione dell'interscambio con l'estero, dell'accumulazione del capitale, della ricerca applicata, dei conti economici e finanziari delle imprese.
L'andamento dell'interscambio con l'estero di manufatti indica che l'attivo dell'Italia e aumentato da 5 miliardi di dollari del 1973 a 19 nel 1981, dopo la punta del 22,1 raggiunta nel 1979. Tale miglioramento non e ancora sufficiente a coprire il peggioramento del disavanzo petrolifero, salito tra il 1973 e il 1981 da 1,6 a 20,4 miliardi di dollari. Nell'arco di tempo considerato il saldo delle materie prime non petrolifere e aumentato da -7,4 a -9 miliardi di dollari, mentre quello dei servizi e rimasto pressochè stazionario (da 1,5 a 2,3 miliardi di dollari), dato che al maggior apporto del turismo si e contrapposto un aggravamento degli oneri finanziari. Quale effetto finale delle variazioni sopra indicate, la bilancia delle partite correnti, già passive per 2,5 miliardi di dollari nel 1973, si e chiusa nel 1981 con un disavanzo di 8,1 miliardi di dollari.
L'apporto dato dall'industria al nostro conto con l'estero e stato conseguito, oltre che con il contenimento delle importazioni, anche con l'aumento della quota delle esportazioni, salite tra il 1973 e il 1980 dal 6,1 al 7,1% (dopo la punta del 7,5% nel 1979). La accresciuta penetrazione sui mercati internazionali e avvenuta grazie soprattutto ai risultati conseguiti dai settori cosiddetti "maturi", caratterizzati da un elevato numero di imprese di piccola e media dimensione; le quali hanno saputo adattarsi rapidamente ai mutamenti qualitativi e geografici della domanda. In particolare, il saldo attivo dei settori tessile, abbigliamento, arredamenti, pelli e cuoio e "altri prodotti manifatturieri" e salito tra il 1973 e il 1981 da 1.700 a 11.000 miliardi di lire.
Il miglioramento del saldo manifatturiero sottintende quindi un ulteriore aumento della già elevata specializzazione produttiva del nostro Paese nei settori a bassa tecnologia, la cui incidenza sul totale delle esportazioni sale tra il 1970 e il 1980 dal 38,5 al 44% a fronte di una contrazione dal 50 al 44,5% della quota dei prodotti a tecnologia intermedia, mentre la quota di prodotti a elevato contenuto tecnologico resta immutata sul modesto livello (11,5%) del 1970.
Questa evoluzione controcorrente della specializzazione produttiva dell'Italia, se da un lato attesta la validità di larga parte del nostro tessuto industriale e la possibilità di mantenere vantaggi comparati anche nei settori cosiddetti "maturi" quando le aziende vengono gestite efficientemente e costantemente aggiornate e innovate nei processi e nei prodotti, dall'altro non può non preoccupare per l'inadeguato sviluppo dei settori a tecnologia intermedia e avanzata, il cui arretramento sembra indicare che sia in corso un ampliamento, anziché una riduzione, del ritardo tecnologico del nostro Paese.
Tale fenomeno e in parte collegabile anche alla perdurante crisi della grande impresa, la quale non può in tali condizioni svolgere adeguatamente il suo insostituibile ruolo nell'elaborazione e nella diffusione della ricerca applicata e dell'innovazione.
A simili conclusioni si giunge esaminando i sia pur limitati dati disponibili sulle spese per la ricerca e lo sviluppo. La loro incidenza sul prodotto interno lordo, in leggera crescita fino all'inizio degli anni Settanta, si e successivamente attestata sui modesti livelli raggiunti all'inizio del decennio, pari allo 0,9% e quindi inferiore alla metà della quota del reddito reinvestita nella ricerca e sviluppo degli altri Paesi industrializzati. Sfavorevole risulta anche il confronto delle spese per ricerca e sviluppo effettuate direttamente dalle imprese, dato che la quota di queste sul totale delle spese per la ricerca e in Italia più bassa di quella degli altri Paesi industriali, eccetto il Giappone.
Lo sforzo di adeguamento alla mutata composizione della domanda e ai nuovi prezzi relativi dei fattori e indicato anche dall'evoluzione degli investimenti che, per quanto condizionati nel loro ammontare complessivo dalle modeste prospettive di sviluppo, denotano nella loro composizione - prevalentemente orientata agli investimenti sostitutivi - un evidente proposito di razionalizzazione dell'apparato produttivo.
La struttura produttiva italiana all'inizio degli anni '80 sembra caratterizzata da una nuova forma di "dualismo" tra imprese "flessibili" (per lo più di piccola e media dimensione e diffuse largamente anche nei settori cosiddetti "maturi") e imprese "rigide" (per lo più di grande dimensione e concentrate nei settori a maggiore intensità di capitale).
Questo dualismo emerge dall'analisi dei conti economici e degli stati patrimoniali delle imprese. Se si fa riferimento al gruppo di società rilevate da Mediobanca si osserva che esso, nel suo complesso, presenta da anni perdite di gestione che, pur essendo diminuite rispetto al livello del 4,2% del fatturato raggiunto nel 1975 al culmine della fase recessiva seguita alla crisi petrolifera, si sono tuttavia mantenute costantemente tra il 2 e il 3%. Le perdite sono dovute sia al livello inadeguato del margine operativo lordo (7-8%) sia all'incidenza degli oneri finanziari (6-7%) che assorbono quasi interamente il margine operativo lordo.
I risultati complessivi sottintendono tuttavia situazioni profondamente diverse. Mentre le imprese pubbliche (per lo più grandi) hanno subìto perdite di gestione costantemente superiori al 5% (dopo la punta del 6,8% del 1975), le imprese private, dopo la perdita del 2,6% registrata nel 1975, hanno chiuso negli anni successivi quasi in pareggio. Considerando poi le sole "piccole imprese", si nota che il risultato di gestione, negativo per lo 0,6% nel 1975, e tornato positivo in tutti gli anni successivi.
Il grado di capitalizzazione resta invece modesto per tutte le imprese. A fine 1980 I mezzi propri costituivano mediamente il 15,5% del passivo, risultante dal 13% delle imprese pubbliche e dal 18% delle private. Ciò riflette in larga misura la flessione dell'autofinanziamento che, pari ancora al 59% della formazione lorda di capitale nella media del periodo 1963-1968 (per il gruppo di società rilevate dalla Banca d'Italia), e sceso al 51% nel quinquennio successivo e al 47% nel periodo 1974-1979. La flessione e stata particolarmente accentuata per le imprese a partecipazione statale, il cui autofinanziamento ha coperto in quest'ultimo periodo solo il 22% della formazione lorda di capitale contro il 63% delle imprese private. L'elevata dipendenza dal finanziamento esterno che ne e derivata ha accresciuto l'esposizione delle imprese alle fluttuazioni dei mercati finanziari, costituendo un ulteriore vincolo per la gestione della politica monetaria.
In una situazione di elevata instabilità dei prezzi, come quella che caratterizza l'economia italiana dall'inizio degli anni Settanta, il finanziamento delle imprese produttive, e soprattutto il finanziamento degli investimenti, e stato ostacolato dall'elevata preferenza per la liquidità dei risparmiatori e dalla richiesta di fondi a fronte di attività a breve sull'interno e sull'estero. Soprattutto in presenza di un ampio disavanzo pubblico, il finanziamento delle imprese viene "spiazzato" da quello del Tesoro.
I principali problemi riguardano la formazione del capitale di rischio, la domanda di titoli a lungo termine, il costo dell'indebitamento.
a) L'inadeguata formazione di capitale di rischio, caratteristica strutturale del nostro sistema produttivo, riflette in primo luogo carenze di offerta, in quanto gli aumenti di capitale offerti in sottoscrizione al pubblico non sono spesso quelli delle imprese con le migliori prospettive di redditività. Anche la domanda potrebbe tuttavia essere notevolmente accresciuta con una migliore funzionalità della Borsa e l'arricchimento della gamma degli strumenti e degli intermediari.
Va in ogni caso sottolineato che una maggiore capitalizzazione delle imprese, opportuna in un periodo di stabilità, diviene necessaria in una situazione di elevata fluttuazione ciclica e di forte instabilità dei prezzi e dei tassi. L'espansione della domanda di azioni iniziata nel 1980, pur avendo consentito nel 1981 di collocare azioni per circa 7.000 miliardi contro una media di 3.000 miliardi nel triennio precedente, ha confermato con il successivo calo che i problemi strutturali del mercato azionario restano in buona parte da risolvere.
b) Lo spostamento della domanda verso i depositi e i titoli a più breve scadenza, oltre che accrescere la liquidità e quindi l'instabilità dell'intero sistema economico, ostacola il finanziamento degli investimenti, in particolare di quelli a più a lungo ciclo di ammortamento, e rappresenta quindi uno dei modi attraverso i quali l'inflazione esplica i suoi effetti destabilizzanti e disallocativi. Per contrastare tale tendenza e riequilibrare la domanda di attività finanziarie vanno ancora incoraggiati la diffusione di titoli a rendimento variabile con margini crescenti in funzione della durata, un maggiore ruolo delle aziende e degli istituti di credito nella trasformazione delle scadenze, l'utilizzo dello strumento fiscale per incentivare la sottoscrizione da parte del pubblico dei titoli a più lunga scadenza.
I risultati di questa politica hanno già cominciato a manifestarsi; il collocamento sul mercato di titoli a reddito fisso (esclusi i Bot), diminuito da 20.000 miliardi nel 1978 a 2.000 miliardi nel, 1980, e risalito a 12.500 miliardi nel 1981; gli acquisti netti del pubblico, negativi per oltre 1.000 miliardi nel 1980, hanno superato nello scorso anno I 7.000 miliardi. La ripresa della domanda di titoli, pur ancora contenuta soprattutto per quelli di più lunga durata, e stata incentivata dalla diffusione dei titoli a rendimento variabile, il cui collocamento sul mercato è salito nei due ultimi anni da 800 a circa 7.000 miliardi, pari a oltre la metà dei titoli a medio e lungo termine complessivamente collocati sul mercato.
La maggiore ricettività del mercato obbligazionario e la ricerca di nuovi canali di finanziamento hanno consentito una netta ripresa anche dell'attività degli istituti di credito speciale. La loro operatività resta tuttavia condizionata dalla difficoltà della provvista per il credito agevolato, i cui meccanismi non consentano il ricorso alle forme di raccolta più gradite al mercato, almeno finché non verrà approvata dal Parlamento il disegno di legge di riforma del credito agevolato.
c) Il problema del costo dell'indebitamento va affrontato tenendo presente che la remunerazione del risparmio, soprattutto delle sue forme meno liquide, non può essere disgiunta dal tasso d'inflazione, non solo per esigenze equitative, ma anche e soprattutto di efficienza allocativa, dato che l'inadeguatezza del tasso di interesse può determinare - come in effetti e avvenuto in taluni periodi - una riduzione della propensione al risparmio e/o un dirottamento del risparmio verso beni di rifugio e altri impieghi speculativi all'interno e all'estero.


Nel complesso, il costo dell'indebitamento in termini reali ha avuto sensibili oscillazioni, risultando talora addirittura negativo; nel corso del 1981 ha raggiunto, per l'effetto concomitante della decelerazione dell'inflazione e dell'aumento dei tassi imposto dai vincoli derivanti dall'operare in un mercato internazionale, valori positivi di una certa entità, restando in ogni caso inferiore ai livelli raggiunti nei principali Paesi industriali e segnatamente negli Stati Uniti.
In effetti, l'incidenza del fatturato degli oneri finanziari sostenuti dal gruppo di imprese rilevate e aumentato tra il 1974 e il 1980 solo di un punto, passando dal 5,7 al 6,8%, benché nello stesso periodo il costo dell'indebitamento sia salito dal 10,5 al 18%. Ciò e stato possibile in quanto l'incidenza sul fatturato dell'indebitamento finanziario e diminuita dal 54,6 al 37,8%, in parte per effetto degli interventi di razionalizzazione e risparmio di capitali realizzati dalle imprese, ma in buona parte certamente per effetto dell'inflazione, la quale, se da un lato "gonfia" i tassi, dall'altro "svaluta" l'indebitamento. Va inoltre tenuto presente che, data la correlazione dei tassi di interesse con il tasso di inflazione, gli oneri finanziari - a parità di indebitamento - tendono a variare in misura corrispondente non al tasso di inflazione, ma alla sua variazione; l'aumento della loro incidenza sul fatturato nelle fasi di accellerazione dei prezzi rappresenta quindi - entro certi limiti - un fenomeno fisiologico, destinato a trovare compensazione nella fase di decelerazione dei prezzi, quando l'incidenza degli oneri finanziari sul fatturato dovrebbe diminuire.
Il rallentamento dell'inflazione rappresenta quindi, unitamente al contenimento del disavanzo pubblico e al riequilibrio della bilancia dei pagamenti, il necessario presupposto sia per un graduale abbassamento del costo del denaro, sia per una piena ripresa dei mercati finanziari. Sarebbe tuttavia illusorio attendersi dalla riduzione dei tassi di interesse la soluzione di problemi aziendali di diversa natura.
L'attuale processo inflazionistico ha inciso profondamente sui comparti produttivi e sulle imprese maggiormente impegnati nella realizzazione di progetti di investimento. I piani finanziari, prevalentemente basati su fonti di finanziamento esterne a tasso fisso e con scadenza a lungo termine, hanno dovuto essere riformulati per tenere conto sia degli indirizzi di politica creditizia sia delle condizioni dei mercati finanziari.
La preferenza dei risparmiatori per la liquidità ha reso problematico il ricorso al mercato obbligazionario nelle forme tradizionali. E' stato intanto necessario favorire una politica di diversificazione dell'offerta che ha riguardato la durata, le forme di emissione e il rendimento dei titoli. In particolare, dato l'elevato rischio dei prestiti a tasso fisso e di lunga durata, ampio spazio e stato i riservato alle emissioni di obbligazioni con indicizzazione finanziaria, il cui volume, per quanto riguarda gli istituti di credito mobiliare, presenta tra il 1980 e il 1981 un aumento dal 27 al 53% del totale.
L'elevatezza dei tassi di interesse - che nel 1981 hanno assunto valori reali positivi - e l'attesa di ulteriori forti variazioni dei prezzi dei beni di investimento hanno indotto le imprese a modificare le strategie di gestione con riguardo sia agli aspetti reali che a quelli finanziari.
Sotto il profilo reale, le imprese hanno teso a concentrare in periodi di tempo più ristretti la realizzazione dei progetti di investimento e a razionalizzare la gestione delle scorte e in particolare il collocamento di titoli a tassi fissi. Ne sono derivati effetti negativi per il finanziamento del sistema del credito agevolato ed in generale per il funzionamento dell'attività di investimenti.
Sotto il profilo finanziario, esse hanno anticipato la domanda di fondi in corrispondenza all'accelerazione nel realizzo dei progetti di investimento e variato la composizione delle fonti di finanziamento fino a fare ricorso a nuovi circuiti alternativi a quelli finanziari tradizionali.
In particolare, le imprese hanno svolto un'azione di affidamento della strategia finanziaria diretta:
- al contenimento delle attività finanziarie a breve; obiettivo perseguito attraverso: la razionalizzazione della gestione di cassa che, a livello di gruppi, ha spesso portato alla centralizzazione della stessa; l'aumento della velocità di circolazione delle attività finanziarie medesime; l'utilizzo, nel caso di impreviste esigenze di cassa, di strumenti di mercato monetario (accettazioni bancarie);
- alla scelta di una struttura dei finanziamenti che limitasse, anche in prospettiva, gli oneri per il conto economico e riducesse il peso dell'indebitamento a più breve scadenza.
Si e manifestato, così, un ampio ricorso agli strumenti di finanziamento diretto, quali le azioni e le obbligazioni, sia convertibili sia a tasso variabile.
Nel 1981 l'attività di collocamento di azioni si e ragguagliata a poco meno di 7.000 miliardi, importo questo circa doppio rispetto a quello registrato nell'anno precedente. Un tale ricorso al mercato azionario e da collegare a molteplici cause. Tra queste appare rilevante, accanto alle difficoltà di approvvigionamento di fondi presso il sistema bancario e alla necessità di contenere l'indebitamento, anche l'espansione dell'attività borsistica nei primi mesi del 1981. Per quanto concerne, infatti, le società quotate in Borsa, la tendenza a finanziarsi con capitale di rischio si e ampliata a seguito delle favorevoli attese di sottoscrizione dei titoli azionari connesse alla crescita dei listini. Nella prima parte dell'anno, in coincidenza anche con le assemblee di approvazione dei bilanci, sono state impostate le ricapitalizzazioni delle maggiori società quotate, molte delle quali coadiuvate da consorzi bancari di garanzia. Peraltro, la crisi che ha investito la Borsa verso la metà dell'anno ha costretto diverse società a rinviare gli aumenti di capitale progettati.
Riguardo ai titoli obbligazionari, favoriti dall'introduzione dell'esenzione fiscale sugli interessi, si e esteso il ricorso all'emissione di obbligazioni convertibili e all'indicizzazione finanziaria, con una forte tendenza delle imprese a diversificare i parametri di variabilità e le loro condizioni. La banca d'Italia, al fine di assicurare la necessaria trasparenza del mercato, ha applicato al comparto delle società per azioni linee-guida dirette ad evitare l'utilizzo di parametri non facilmente identificabili.
L'importo delle obbligazioni convertibili si e decuplicato nel 1981 nei confronti dell'anno precedente; l'incremento deriva da motivazioni di convenienza che riguardano sia il risparmiatore sia l'emittente. L'investitore, infatti, attenua l'alea della svalutazione monetaria, poiché acquisisce, oltre al rendimento dell'obbligazione, la facoltà di esercitare il diritto di conversione, ottenendo un titolo con diritto sul patrimonio dell'impresa. La società emittente, d'altra parte, può finanziarsi senza dover ricorrere ad un aumento immediato di capitale e può collocare i propri titoli a tassi di interesse meno elevati di quelli correnti. Le limitazioni delle emissioni convertibili consistono soprattutto nell'incertezza sui tempi dell'esercizio del diritto di conversione e nella conseguente difficoltà, per l'emittente, di programmare la gestione finanziaria nel lungo termine.


L'atteggiamento delle imprese e stato, infine, caratterizzato dal tentativo di migliorare la struttura finanziaria attraverso il ricorso a strumenti non tradizionali, quali il leasing e il factoring. Tali istituti, infatti, consentendo l'utilizzo dei mezzi necessari al processo produttivo senza pervenire all'acquisizione diretta degli stessi e facilitando il realizzo dei crediti commerciali, permettono di contenere il grado di indebitamento e di influire positivamente sulla gestione della liquidità con indubbi vantaggi economici, tanto più elevati quanto maggiore e il differenziale fra costo dei fondi e rendimento del capitale investito nell'impresa.
In proposito va notato che, da un punto di vista generale,. l'espansione di queste attività può considerarsi positivamente per i riflessi sulla produttività, sul costo finale dell'investimento e sulla struttura patrimoniale e finanziaria delle imprese. Infatti, in presenza di aspettative di non decelerazione del processo inflazionistico, il ricorso alla locazione finanziaria permette di contenere i tempi e i costi di realizzazione delle decisioni di investimento, agevolando, da un alto, l'intensificazione del fattore capitale e recando, dall'altro, benefici al conto economico delle imprese in connessione al più rapido processo di ammortamento implicito nella previsione fiscale di integrale deducibilità dei canoni. Inoltre, l'utilizzo dei servizi di leasing e di factoring aumenta l'elasticità della gestione patrimoniale e finanziaria, riducendo il peso delle attività immobilizzate, accrescendo la velocità di rotazione di quelle a breve e contenendo il grado di indebitamento e, quindi, il rischio finanziario.
Tuttavia, occorre osservare che la crescita del numero degli intermediari operanti nei settori indicati, derivante anche dalla costituzione di società funzionalmente o patrimonialmente non collegate con istituzioni creditizie, e il ricorso al mercato di titoli atipici di massa possono porre problemi sotto l'aspetto dell'efficienza allocativa e ostacolare il mantenimento di condizioni di trasparenza e di ordinato sviluppo del mercato dei capitali. Tali considerazioni portano a convenire sull'opportunità di seguire con attenzione i circuiti finanziari alternativi a quelli creditizi, anche ai fini di una regolamentazione sul piano generale.


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