Una societą nuova




Noberto Bobbio



Il detto comune "Chi vivrà, vedrà" esprime un atteggiamento passivo, di rassegnazione, infondo d'incredulità. E' come dire: "Se ne sono viste tante, e si potrà vedere anche di meglio ma nulla esclude che si vada incontro al peggio. Può darsi abbiate ragione voi. Ma intanto stiamo a vedere". Invertirlo, significa esprimere la convinzione che il vedere non viene dopo il vivere, ma al contrario, il vivere dipende dal vedere (cioè dal capire). E' vero che sino ad ora una società in cui il massimo di autonomia individuale sia compatibile con il massimo di direzione unitaria nessuno l'ha mai vista. Ma la prima domanda da farsi é per quale ragione. Perchè non é possibile o perchè non è mai stata chiaramente concepita (ecco che cosa s'intende per andarla a vedere e pur essendo stata ideata sulla carta non é mai venuto il momento per attuarla? Ecco allora che dicendo "Chi non vedrà non vivrà" voglio semplicemente dire che il momento é venuto, tanto che ciò che sinora era parso impossibile é diventato necessario.
Sia ben chiaro, l'incompatibilità non é nelle formule ma nelle cose stesse, ossia nel fatto che lo sviluppo delle società complesse ed economicamente avanzate é stato caratterizzato da due processi contrastanti: dal processo di estensione dei diritti politici sino al suffragio universale che ha accresciuto la partecipazione diretta o indiretta dei cittadini alla vita politica e amministrativa della nazione, ha favorito la formazione dei partiti di massa, in breve ha provocato spinte sempre più forti per estendere la sfera delle istituzioni rette secondo il principio del potere dal basso o ascendente, e, all'opposto, dal processo di accrescimento dell'apparato statale, dello Stato cosiddetto dei servizi, che ha allargato enormemente la sfera delle istituzioni rette secondo il principio del potere dall'alto, o discendente.
Chi si é soffermato soltanto sul primo processo interpreta lo sviluppo dello Stato contemporaneo come l'effetto ,dalla conquista della cittadella del potere politico da parte della società civile, di una trasformazione tanto radicale dei tradizionali rapporti fra società e Stato da portare a poco a poco alla dissoluzione dello Stato e, chi sa, alla sua estinzione. Chi si sofferma soltanto sul secondo, ritiene che si stia generalizzando quel processo si "statalizzazione" che si credeva proprio degli Stati totalitari (cioé di una forma patologica di organizzazione politica), un processo che è destinato a condurre poco alla volta lo Stato ad occupare tutta intera, senza residui, la società, e quindi in definitiva a sopprimere la società civile.
Inutile dire che tanto l'analisi dell'uno quanto quella dell'altro sono unilaterali.
Entrambi hanno ragione in quello che affermano e torto in quello che negano. I due processi, che chiamerò di democratizzazione della società e di burocratizzazione dello Stato, sono contemporanei, interdipendenti, e sino a prova contraria irreversibili. Contemporanei, l'ho già detto; ma quel che é più, sono interdipendenti: lo Stato dei servizi (in Italia, a dire il vero, sarebbe meglio parlare di Stato dei disservizi), comunque lo si interpreti, lo si interpreti Pure, come fanno i neo-marxisti, come un insieme di servizi resi allo sviluppo del capitalismo, o come si dice, alla "valorizzazione del capitale", come la forma propria del cosiddetto "Stato del capitale", é il prodotto, da accogliere o da respingere secondo i diversi punti di vista, dell'influenza che, attraverso il suffragio universale prima e la costituzione dei partiti organizzati poi, masse sempre più grandi di individui hanno potuto esercitare sulla classe governante per ottenere istruzione, assistenza, protezione. Oggi, quando si parla di individui o di gruppi "non garantiti", se ne parla in tutt'altro senso, non certo nel senso dello Stato liberale, ma nel senso di uno Stato la cui funzione è quella non soltanto di non impedire le varie forme di libertà negativa, in cui consiste la cosiddetta "libertà dei moderni", ma di assicurare un minimo d'istruzione, un posto di lavoro, una pensione per la vecchiaia, ecc. Il non garantito di ieri era l'escluso dai diritti civili e politici, per esempio, chi non aveva il diritto di voto, e quindi non poteva far sentire la sua voce; il non garantito di oggi, é, invece, per fare l'esempio più calzante, il disoccupato, colui che vanta un diritto ulteriore oltre quello del voto, un diritto che richiede per l'appunto l'intervento attivo dello Stato e pertanto necessariamente l'aumento degli apparati. Drasticamente: più democrazia ha comportato più burocrazia. Quando dico infine che i due processi sono irreversibili non voglio dire che non possono essere interrotti, e neppure che sinora siano proceduti di pari passo e debbano procedere in questo modo anche in avvenire. Voglio dire più semplicemente che ritengo poco probabile una inversione di rotta, come potrebbe essere quella che portasse, in un senso alla privatizzazione del pubblico, e nel senso opposto, alla restrizione dei diritti civili e politici, o con altre parole, da un lato allo smantellamento dello Stato per ridare più libertà, e dall'altro alla limitazione delle libertà politiche per rendere più sicura e più efficace l'azione dello Stato.
La mia conclusione è che dobbiamo rassegnarci a convivere con queste due tendenze di fondo della società contemporanea, che potremmo chiamare una sempre più estesa socializzazione del potere (in cui' consiste alla fine la democrazia integrale) e una sempre più estesa statalizzazione delle funzioni* essenziali' alla sopravvivenza e allo sviluppo della società, dove la prima è il solo antidoto alla seconda. Non é una novità. Tutta la storia umana e un continuo movimento di spinte e di controspinte, e sembra fatta apposta per dar ragione a coloro che non intendono interpretarla secondo la logica della contraddizione o del terzo escluso, così cara agli ideologi del "socialismo o barbarie" o, viceversa, del "capitalismo o gulag". Il principio della Storia é al contrario il principio del "terzo incluso", che può essere interpretato secondo i gusti, se pure con formule approssimative e insoddisfacenti, o come sintesi degli opposti, ove il "terzo" include i primi due momenti, o come medietà fra i due estremi, in cui gli altri due momenti sono dal "terzo" esclusi, o più alla buona come compromesso. dove il "terzo" é qualche cosa che tiene un pò dell'uno o un pò dell'altro (sì, la storia procede per compromessi, anche se non tutti i compromessi sono storici).
Per fare un esempio classico, nella lotta secolare per la supremazia del Re o del Parlamento sembrava impossibile a coloro che intendevano elaborare una teoria perfettamente razionale dello Stato che il potere sovrano, se doveva essere veramente sovrano, potesse essere diviso. E invece venne fuori' quella sintesi, o meno nobilmente quella cosa né carne né pesce, o più volgarmente quel compromesso, che fu la monarchia costituzionale, la quale durò nel tempo ed ebbe la sua funzione storica più da nessuno contestata.
Oggi ci troviamo di fronte a una contraddizione altrettanto clamorosa. E probabilmente la storia é destinata a smentire tanto chi ritiene che lo sviluppo indefinito della democrazia porti alla estinzione dello Stato, quanto coloro per i quali lo sviluppo indefinito dello Stato porta alla scomparsa della libertà, insomma coloro che pretendono dalla storia umana, che é storia di esseri finiti e contraddittori, soluzioni assolute. Certo, per chi crede nelle soluzioni assolute, le tendenze contraddittorie si elidono o si debbono elidere a vicenda. Chi crede invece più utilmente applicabile alle vicende umane la logica del terzo incluso, pensa che le tendenze contrastanti siano inevitabili e il miglior Partito sia sempre quello di' trovare fra l'una e l'altro una via d'uscita.

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