E' stata inaugurata
dal Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica On.le Giorgio
La Malfa la nuova sede della nostra Banca nel capoluogo.
Vi hanno partecipato il Presidente della Regione Dott. Nicola Quarta,
il Sottosegretario alle Poste e Telecomunicazioni Avv. Pino Leccisi, S.E.
l'Arcivescovo Michele Mincuzzi, che ha impartito la benedizione, tante
altre Autorità ed un folto numero di operatori economici. Era presente
il Direttore della Banca d'Italia di Lecce Dott. Tonini anche in rappresentanza
del Governatore Dott. Carlo Azeglio Ciampi.
Gli illustri ospiti sono stati accolti dal Presidente, dal Direttore Generale
dell'istituto e dal Direttore della Succursale e successivamente guidati
in una visita dei nuovi uffici che sono stati ristrutturati secondo le
più moderne tecniche di sicurezza e di comfort.
Particolare interesse hanno suscitato le porte girevoli d'ingresso dotate
di metal-detector e le massicce attrezzature dei caveau della Banca.
Ha fatto seguito un ricevimento negli accoglienti saloni dell'Hotel President
ove sono stati tenuti i discorsi del Presidente Dott. Primiceri, del Direttore
Generale, dell'Arcivescovo Mincuzzi ed ascoltati gli interessantissimi
interventi del Ministro La Malfa e del Prof. Parrillo - Presidente dell'Associazione
di Categoria - che oltre l'avvenimento in sé hanno riguardato il
particolare momento economico e la insostituibile funzione del sistema
creditizio quale veicolo di sviluppo economico e sociale.
Riportiamo qui l'intervento del Ministro La Malfa.
Signor Presidente,
Autorità, Signori e Signore, io sono molto lieto di aver potuto
prendere parte alla breve e semplice cerimonia di inaugurazione della
Succursale di Lecce della Banca Agricola Popolare di Matino e Lecce
e di poter portare a questa riunione il saluto del Governo e l'apprezzamento
per questo ennesimo e importante segno di vitalità della regione
Puglia. La funzione delle banche, sarà, nei prossimi anni, di
estrema importanza nella vita del nostro Paese; lo è stata per
accompagnare i primi passi dello sviluppo economico, agricolo, industriale
e commerciale e lo sarà, per molti aspetti ancora di più,
nei difficili venti anni che ci separano dalla fine di questo secolo.
L'Europa Occidentale, il nostro Paese in particolare, ma anche tutti
i Paesi democratici del Continente Europeo, attraversano oggi una situazione
di difficoltà, di crisi economica profonda. Da una parte, dall'inizio
degli anni '70 si è riacceso il fenomeno dell'inflazione e con
esso quello dell'instabilità dei mercati finanziari interni e
internazionali; attraverso il fenomeno dell'inflazione nascono difficoltà
ad assicurare un flusso di risparmio, costante nel tempo e crescente
nella dimensione, dalla collettività nazionale verso gli investimenti
produttivi. Dall'altra, le vicende della vita economica del mondo, lo
spostamento del peso politico ed economico fra Paesi di antica industrializzazione
e Paesi in via di sviluppo (specialmente quelli produttori di petrolio
e di materie prime) hanno profondamente modificato e profondamente stanno
modificando le condizioni della vita economica del Mondo Occidentale.
Le conseguenze della situazione si misurano nei livelli drammatici della
disoccupazione in tutti i Paesi dell'Europa e negli Stati Uniti. L'Inghilterra
ha superato un tasso di disoccupazione del 10%, la Francia ha toccato
un tasso di inflazione dell'8%; la disoccupazione ufficiale nel nostro
Paese - che per molti aspetti sottovaluta i problemi del mercato del
lavoro, perché sottostima in parte la forza del lavoro nel Mezzogiorno,
che non si registra nelle liste di disoccupazione - è tornata
all'8%; la stessa economia tedesca ha superato il - milione e mezzo
di disoccupati senza tener conto di quei lavoratori che quell'economia
ha restituito ai Paesi del Mediterraneo nel corso di questi ultimi anni.
Quindi i due fenomeni, che colpiscono tutte le democrazie dell'Occidente
(l'inflazione e la disoccupazione), costituiscono una minaccia non solo
alla stabilità delle prospettive economiche, ma anche alla stabilità
dei regimi politici e democratici del Mondo Occidentale. Naturalmente
per l'Italia questi problemi si presentano per l'assommarsi dei nuovi
problemi comuni a tutti i Paesi industriali con i vecchi problemi del
dualismo, che ci trasciniamo irrisolti da oltre un secolo, dall'unificazione
del nostro Paese. Per l'Italia questi problemi si presentano con carattere
di particolare gravità; l'inflazione (l'Italia si colloca infatti
ai livelli più alti fra quelli, già elevati, dell'insieme
dei Paesi dell'OCSE), la disoccupazione, la crisi economica di interi
settori industriali che hanno costituito, in un certo senso, la spina
dorsale del processo di sviluppo del nostro Paese: la chimica, la siderurgia,
la cantieristica, larghi strati dell'industria meccanica e, in particolare,
i settori di grandi industrie ai quali, in larga misura, erano stati
affidati i primi passi del riscatto del Mezzogiorno del nostro Paese.
Penso alla condizione della chimica e a quella della siderurgia e ai
loro riflessi in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, ivi inclusa
la Puglia.
Mai, nel corso di questo secolo, i Paesi dell'Occidente europeo hanno
subito, insieme, il problema dell'inflazione e il problema della disoccupazione;
nella concezione tradizionale degli economisti, questi due fenomeni
sono fra di loro mutuamente esclusivi, nel senso che l'inflazione è
stata sempre considerata la conseguenza di una spinta troppo forte all'espansione
del sistema economico, uno stato febbrile connesso con un eccesso dell'attività
produttiva, mentre la disoccupazione è stata normalmente accompagnata
da fenomeni di rallentamento della dinamica dei prezzi e di riduzione
dei tassi di interesse bancario. Ricordiamo che, nel corso degli Anni
Trenta, quando la disoccupazione fu altrettanto elevata (l'Inghilterra
e gli Stati Uniti ebbero per dieci anni il 25% della loro forza di lavoro
disoccupata), i tassi dell'interesse bancario, erano al 2% e i tassi
dell'interesse sui Buoni del Tesoro, in quei Paesi, erano nell'ordine
dell'1 o 1 + 1/2 per cento.
Nella concezione tradizionale degli economisti, dunque, il fenomeno
dell'inflazione e quello della disoccupazione non si verificavano contestualmente,
mentre uno degli aspetti che più rende drammatica la condizione
di oggi nei nostri Paesi è che l'inflazione è forte in
presenza di livelli di disoccupazione crescente. Ne consegue che non
esiste più la possibilità, che era propria dell'economia
politica e della politica economica di venti o di trent'anni fa, di
alleviare in qualche modo la disoccupazione alzando o accettando un
tasso d'inflazione più elevato o di fermare l'inflazione a patto
di accettare un tasso di disoccupazione un pò più elevato.
In realtà, noi sembriamo essere indirizzati - e lo dico con grande
preoccupazione per le responsabilità di Governo che mi sono state
affidate - ad una condizione in cui inflazione e disoccupazione si presenteranno
difficili da sradicare e sfuggiranno agli economisti e agli uomini di
Governo che vogliono adottare strumenti di politica economica semplici,
con i quali far fronte all'uno e all'altro di questi problemi.
Siamo di fronte ad esperienze piuttosto preoccupanti nel Mondo Occidentale.
L'esperienza di politica economica del Governo inglese, ad esempio,
che ha visto triplicare la disoccupazione nell'arco di un anno e mezzo
mentre l'inflazione, che era il 20%, è scesa, ma rimane oltre
l'11% e ha tutti i sintomi di voler riesplodere non appena le condizioni
di estrema restrizione monetaria della Banca Centrale inglese verranno
attenuate: essa indica problemi piuttosto difficili da trattare i quali
rischiano, al di là di un certo limite, di generare non solo
conseguenze economiche di ingiustizia sociale molto profonde, ma anche
condizioni politiche di instabilità, alle quali può essere
connesso anche il risorgere - che si sta dimostrando possibile in tutti
i Paesi d'Europa - di fenomeni di terrorismo, oltre che di fenomeni
di violenza e di disordine civile che, pure, influiscono certamente
sulle condizioni e sulle possibilità di sviluppo e di convivenza
delle società contemporanee.
Di fronte a questo problema, il Governo italiano ha tentato di impostare,
nel corso dell'ultimo anno e mezzo, una politica economica che, in qualche
modo, innovasse rispetto a quella che tentano gli altri Paesi, indirizzati
come essi sono (specialmente Inghilterra, Stati Uniti e Germania) al
tentativo di contenere in tutti i modi l'inflazione, anche a costo di
vedere salire la disoccupazione nel proprio Paese (o nei Paesi verso
i quali si respinge l'immigrazione, come nel caso della Germania) a
livelli elevatissimi.
Il nostro tentativo di politica economica, contenuto nel Piano Triennale
che fu sottoposto al Parlamento dal Governo Forlani ed è stato
ripreso dal Governo Spadolini, è basato sull'idea che questi
due fenomeni dell'economia contemporanea debbano essere affrontati con
identico sforzo e con gli stessi strumenti di politica economica, e
cioè che gli sforzi di riduzione dell'inflazione debbano passare
non tanto attraverso una compressione della domanda interna ma, come
ha detto in un primo riferimento il Direttore della Banca parlando dell'attività
bancaria, attraverso lo stimolo e il sostegno dell'offerta interna,
al fine di sgonfiare l'inflazione non per via dei più bassi livelli
di occupazione ma per via di un sostegno maggiore alla capacità
produttiva del nostro Paese, attenuando così l'inflazione all'interno
e il disavanzo delle bilance dei pagamenti, che è l'altro problema
che rappresenta - secondo l'efficace espressione che usò il Governatore
della Banca d'Italia Baffi anni or sono - il nodo scorsoio che stringe
al collo le possibilità di sviluppo dell'economia italiana. Una
politica congiunta di riduzione dell'inflazione e di sostegno dell'occupazione
richiede che si adotti un insieme di strumenti di politica economica
fra loro coordinati e che essi siano mantenuti in vigore - e qui si
pone un problema di stabilità politica dei Governi - lungo un
arco di tempo che non è di mesi ma è, se possibile, di
anni: cioè richiede che si prefiguri quello che, in termini tecnici,
si chiama un "piano di rientro dell'inflazione" e, contemporaneamente,
si perseguano condizioni di più sostenuto sviluppo.
Un piano di rientro, o un piano di riorganizzazione di un sistema economico
non è cosa che possa essere operata nell'arco di tre o sei mesi,
ma richiede continuità di azione di governo per un numero sufficiente
di anni, con indirizzi che siano percepibili da operatori economici
e che possano diventare punti di riferimento per le decisioni di impresa,
di banca, di commercio, di agricoltura: cioè dell'insieme di
attività da cui poi scaturisce l'andamento complessivo dell'economia.
Quali sono questi strumenti da porre in essere in modo coordinato?
Il primo è quello (di cui poi tornerò a parlare) che riguarda
l'attività bancaria, monetaria e creditizia. Non esiste una possibilità
di uscire dell'inflazione se non attraverso - come condizione necessaria
ma non sufficiente - una politica monetaria piuttosto restrittiva. Se
la politica monetaria e creditizia non esercita un freno sulle dimensioni
dell'attività economica, il ritmo dell'inflazione viene sostenuto
e quindi noi dobbiamo, con i temperamenti di cui dirò tra breve,
essere preparati ad un evento che certamente non fa piacere a nessuno
di noi, né uomini di governo né operatori economici (e
che forse ha qualche effetto positivo sui conti economici delle sole
banche): dobbiamo cioè aspettarci una situazione in cui i tassi
dell'interesse continuano a restare elevati, sperabilmente non ai livelli
a cui sono oggi, ma comunque elevati nel corso del periodo di rientro
dell'inflazione.
Se non vogliamo far disseccare le origini e le fonti del risparmio,
appare inevitabile che i tassi d'interesse offerti ai depositanti si
collochino di qualche cosa al di sopra del tasso d'inflazione che ci
si attende per un dato periodo. E' già un miracolo, che si è
verificato nell'economia italiana in questi anni, che il flusso di risparmio
si sia mantenuto tanto consistente, investito soprattutto nei depositi
bancari ma anche in altre forme del mercato finanziario, nonostante
che non oggi, ma fino a ieri i tassi d'interesse ai quali veniva remunerato
fossero complessivamente più bassi del ritmo dell'inflazione.
Naturalmente, se il risparmio viene remunerato in maniera tale che,
in termini reali, l'inflazione non significhi saccheggio degli sforzi
dei cittadini (che poi sono quelli dai quali dipendono le condizioni
di vita delle prossime generazioni), questa condizione poi va a pesare
sotto forma dei tassi che il sistema finanziario chiede agli operatori.
In breve, l'inflazione e la disoccupazione in cui noi siamo, come ho
detto all'inizio, creano il problema che, se i tassi dell'interesse
-sono bassi per cercare di stimolare e difendere il livello dell'occupazione
di oggi, si inaridisce Il risparmio cioè si disseccano le fonti
dell'occupazione di domani; se invece si tengono alti i tassi dell'interesse
per non far rinsecchire il risparmio e quindi le possibilità
di domani, si rischia di far inaridire le possibilità di occupazione
di oggi a causa della difficoltà ad ottenere credito di coloro
che sono impegnati in un'attività economica.
Questa è la contraddizione nella cui morsa sono le economie dei
Paesi occidentali e segnatamente quella del nostro Paese. Il primo indirizzo
da perseguire è una politica monetaria restrittiva che, quindi,
richieda di mantenere i lassi dell'interesse in linea con l'inflazione
e che però consenta di sperare che, al diminuire dell'inflazione
nel corso del piano di dentro, i tassi ne seguano rigorosamente la discesa.
Se riusciremo a portare l'inflazione dal 20% di quest'anno al 16% dell'anno
prossimo, i tassi dell'interesse dovranno seguire questa diminuzione
di quattro punti; essi dovranno seguire la diminuzione dell'inflazione
nella stessa misura, per le conseguenze drammatiche sull'occupazione
che si stanno avendo ai livelli attuali.
La seconda condizione riguarda la politica del bilancio pubblico. Il
bilancio pubblico ha rappresentato in questi anni, per l'enorme disavanzo
corrente che lo ha caratterizzato, una delle cause dell'inflazione e
uno dei fenomeni che hanno determinato la lievitazione dei tassi. Infatti,
quando si devono emettere Buoni del Tesoro e, nello stesso tempo, ricollocare
le quote del debito pubblico in scadenza, tutto ciò tende a far
lievitare i tassi dell'interesse oltre i livelli dell'inflazione, fino
ai livelli attuali così elevati, e a sottrarre risorse al credito
e al settore direttamente produttivo.
Quindi, vi è un secondo indirizzo per il quale noi chiediamo
la comprensione, per esempio, delle Autorità Regionali: un indirizzo
di contenimento della spesa sanitaria, della spesa previdenziale, della
spesa degli Enti del settore pubblico nel loro insieme, delle spese
di funzionamento dei Comuni, delle Province, delle Regioni che concorrono,-
insieme con la spesa corrente dello Stato, a determinare l'uso improduttivo
del risparmio nazionale.
Vi è poi il problema di destinare quote crescenti della spesa
pubblica ad investimenti che abbiano capacità di sollevare la
produttività generale del sistema economico. Quella che io ho
chiamato, nel piano a medio termine, la "versione europea della
politica dell'offerta" è basata sull'idea che siano necessari
alla nostra economia forti investimenti per svincolarla da una dipendenza
dall'estero che è eccessiva. Basti pensare a due settori sui
quali io so che l'attenzione della Puglia è notevole: il settore
dell'energia e quello dell'agricoltura, rilevanti a causa del disavanzo
estero che ogni anno accumuliamo per importazioni di petrolio e di prodotti
agro-alimentari. Le une potrebbero essere limitate introducendo fonti
di energia diverse da quella del petrolio; le altre potrebbero essere
contenute stimolando la crescita di colture più produttive e
creando condizioni di maggior produttività nelle agricolture
meno fortunate di alcune regioni del nostro Paese. Per far ciò
è necessario adottare una politica della spesa pubblica che sia
basata su ingenti investimenti e non sulla "pretesa" degli
investimenti o sulle spese correnti ribattezzate investimenti. Gli investimenti
devono essere misurati rigorosamente sul terreno della loro produttività
e degli effetti che possono avere sull'economia nazionale.
Il terzo grande tema, per battere un'inflazione del 20% difendendo contemporaneamente
i livelli dell'occupazione, è la dinamica dei costi del lavoro.
Se si vuole far scendere l'inflazione al 16% e se il tasso d'aumento
del costo del lavoro si mantiene sul 20% o sul 30% - come è stato
per buona parte del decennio fra il 1970 e l'80 -, tale diminuzione
è ottenibile: ma si deve sapere fin da ora che essa verrà
pagata attraverso l'aumento della disoccupazione.
Se il Presidente degli Stati Uniti non considera la dinamica salariale
come materia nella quale il Governo americano debba entrare, non si
cura della politica salariale e non cerca nemmeno quel tanto di accordo
con i Sindacati che il nostro Governo persegue, egli però è
costretto a fare una politica dei tassi di interesse che determina l'aumento
progressivo della disoccupazione. Nell'ultimo trimestre l'economia americana
ha avuto una caduta di reddito del 3% rispetto all'analogo periodo dello
scorso anno.
Quindi, penso che un importante capitolo della politica economica consista
nella concertazione delle politiche del lavoro con il movimento sindacale.
Voi sapete con quanta pazienza il Presidente del Consiglio abbia perseguito,
in questi mesi, l'obiettiva di un accordo con i Sindacati su una dinamica
dei costi del lavoro che consenta all'inflazione di rientrare al 16%.
Noi consideriamo importante ciò che è emerso di nuovo
nella relazione tenuta al Congresso della CGIL dal Segretario Lama,
anche se, come ha detto Spadolini nell'intervento al Congresso, nessuno
può pensare di ridurre la dinamica dei costi del lavoro affidando
allo Stato il pagamento dei salari o degli oneri sociali (per poi dire
che i costi del lavoro per le imprese e peni lavoratori crescono al
16%) perché l'inflazione cammina su due gambe (il disavanzo pubblico
e i costi del lavoro) e, se -si allunga la gamba del disavanzo pubblico,
si può anche accorciare quella dei costi di lavoro, ma l'inflazione
permane nel sistema economico, immutata. Una volta si diceva che, se
a un asino si sposta il basta dalla destra alla sinistra, non è
che senta minor peso né che senta alleviata la fatica: così
è per l'inflazione nei rapporti con i due grandi fenomeni del
nostro tempo, il disavanzo pubblico e la dinamica dei costi del lavoro.
Dunque, questi tre capitoli - la politica monetaria, il bilancio dello
Stato, i costi del lavoro - sono capitoli di un uso coordinato degli
strumenti di politica economica. Lo sforzo che noi abbiamo fatto in
questi mesi è di insistere che questi tre aspetti della politica
economica camminassero insieme, perché, se solo due di essi camminano
di pari passo, gli effetti saranno tali da scaricarsi o in una minore
occupazione o in una minore caduta del tasso di inflazione. Ponendoci
da questo punto di vista, augurandoci che il Parlamento sostenga questa
politica di bilancio e che il Sindacato sappia passare dalle impostazioni
generali ad un accordo sui costi del lavoro, esaminiamo ciò che
può fare il sistema creditizio nel campo della politica monetaria.
E' vero, io credo, che resteranno tese le condizione del credito e dei
tassi dell'interesse nel prossimo anno e negli anni successivi. Vi sono,
tuttavia, delle cose che il sistema bancario può fare. Intanto,
nel nostro Paese, vi è un divario molto elevato fra tassi attivi
e tassi passivi, certamente più elevato di quello che vi è
in altri Paesi. Io so che il sistema bancario risponde a questa osservazione
sostenendo che in Italia i vincoli agli impieghi del sistema bancario
sono maggiori, che sono più bassi i tassi di remunerazione degli
impieghi obbligati - la riserva obbligatoria, per esempio -; ma è
anche vero, per dire le cose come stanno, che la dinamica delle retribuzioni
del personale bancario è stata una dinamica fra le più
elevate di tutto il sistema economico, insieme a quella delle assicurazioni.
Parlo a un ambiente a cui non credo di far piacere dicendo queste cose,
che poi rappresentano la verità. Questa è una componente
che influisce sul rapporto fra i costi della raccolta e gli interessi
chiesti ai clienti. Quindi vi è il problema di controllare la
dinamica dei costi di gestione, così come noi cerchiamo di farlo
per la Regione, per il Governo, e così via. Lo facciano anche
le imprese bancarie, per ciò che attiene alla dinamica dei loro
costi.
Poi vi sono i problemi della razionalizzazione della gestione bancaria.
Da questo punto di vista credo che l'aumento delle dimensioni e le forme
di collaborazione o associative fra Banche abbiano il potere di assicurare,
per esempio, una raccolta meno costosa o un suo utilizzo più
efficiente.
Vi sono nuove forme di attività bancaria che possono essere introdotte
e vi può essere - questo lo dico parlando ad una Banca che dà
prova di grande modernità, almeno per ciò che si vede,
da questa nuova Sede, delle realizzazioni che attua -un rapporto fra
azienda bancaria e azienda che si rivolge al sistema bancario posto
su basi di una collaborazione diversa, nella quale la Banca può
rappresentare non soltanto un qualcosa a cui si ricorre in una condizione
di necessità, ma anche un elemento di sostegno dell'attività
dell'azienda produttrice, un elemento che può dare un parere
sul modo di ridurre i costi della gestione finanziaria delle imprese.
Vi può essere, cioè, un rapporto di collaborazione fra
l'azienda bancaria e l'azienda di produzione - soprattutto la media
e piccola impresa, che è meno dotata di strutture amministrative
e finanziarie proprie -che può consentire notevoli risparmi nel
costo della finanza per l'impresa. In tal genere di rapporti la banca
deve entrare con molto coraggio.
Non è che si chieda alla banca di fare i bilanci in rosso, perché
ci mancherebbe solo che anche il sistema bancario, dopo le partecipazioni
statali e le grandi imprese, entrasse in tale condizione; sarebbe un
altro passo nella direzione di una crisi irreversibile del nostro Paese.
E' bene che il sistema bancario guadagni; ma è anche bene che
questo guadagno avvenga attraverso l'aumento dell'efficienza del sistema
stesso e attraverso il suo contributo all'aumento dell'efficienza complessiva
del sistema economico; non sia, come può avvenire qualche volta
in economie tradizionali, il premio a rendite di posizione, bensì
espressione dei frutti positivi della politica di concorrenza e di modernizzazione.
Questi, quindi, i compiti che ha una banca di piccole e medie dimensioni
rispetto a un'economia come questa, di piccole o medie dimensioni.
Debbo, dire che mi fa particolarmente piacere (le poche volte, sfortunatamente,
in cui incarichi di Governo o incontri di partito mi portano in Puglia),
da meridionale come io sono - eletto a Torino, ma da meridionale - visitare
la Puglia, perché nella Puglia si riscontra questa crescita,
propria degli ultimi quindici o venti anni, di iniziative di piccole
e medie dimensioni. Mentre credo che lo Stato possa far molto per lo
sviluppo economico del Paese e le stesse partecipazioni statali potrebbero
a, se mi consentite fra amici, avrebbero potuto fare molto a loro volta,
credo anche che l'elemento catalizzatore della crescita dell'economia
italiana - basti guardare il Veneto, l'Emilia, la Toscana - sia questo
tipo di crescita, di cui la Puglia è forse l'espressione meridionale
più interessante: cioè la crescita dell'impresa di media
e di piccola dimensione, diversificata in tutti i settori, non strettamente
dipendente da una unica attività produttiva o da una grande impresa
di cui è fornitrice o subfornitrice. La Puglia, da questo punto
di vista, è una delle regioni più interessanti del Paese,
una certamente delle più interessanti del Mezzogiorno.
Accanto a questo, io voglio dare atto che la Puglia si pone anche i
problemi di ciò che è connesso allo sviluppo economico.
Quando il presidente Quarta ha posto con molto coraggio i problemi,
per esempio, dell'energia e delle centrali (che certamente è
un tema serio per quella parte dell'opinione pubblica che è consapevole
dei problemi e che qui è fortemente rappresentata, ma che è
un tema di non facile comprensione in ambienti più ampi, per
esempio in ambienti politici), quando la Regione Puglia - tenuto conto
del fabbisogno di energia - ha discusso con molta serietà i problemi
del carbone e del nucleare, essa ha mostrato - e il Governo farà
ogni sforzo per dare un riconoscimento concreto non solo di parole,
ma di collaborazione effettiva, ai piani di sviluppo della Puglia -
di aver colto il legame essenziale fra l'offerta di energia e lo sviluppo
economico autonomo della Regione e del Mezzogiorno. Sono molto lieto
di poter dare atto di ciò alla Giunta della Regione Puglia, in
particolare all'amico Quarta che la presiede.
Queste sono le cose che suscita l'inaugurazione, signor Presidente di
questa banca alla quale lei ha rivolto parole di tanto amore e che suscita
tanto rispetto, che financo un uomo della Chiesa, che dovrebbe guardare
il denaro - e lo guarda - con tanto distacco, si sente invogliato a
benedire quest'occasione di lavoro e di crescita del lavoro dell'uomo.
I problemi del nostro Paese sono difficili; credo che Spadolini, parlando
in televisione quindici giorni fa, lo abbia reso chiarissimo a tutto
il Paese; lo ha poi ripetuto davanti all'uditorio più difficile,
cioè davanti al Congresso della CGIL, che ha dovuto ascoltarlo
con molto rispetto. I problemi del Paese sono difficili e sono quelli
di cento anni fa, di cinquanta anni fa, delle occasioni perdute da noi,
ma anche quelli nuovi che investono tutto il Mondo Occidentale.
L'Italia ha una caratteristica che può aiutarla più di
altre economie ed è questa capacità di vitalità
individuale. Raramente il nostro Paese si manifesta con grande capacità
collettiva; gli sforzi collettivi non riescono mai bene - basta pensare
quanto è difficile l'azione dei Governi e del Parlamento -; ma
le capacità individuali delle intraprese medie e piccole sono
un elemento di forza che probabilmente non ha eguali in molti degli
altri Paesi europei. Questo significa, cari amici, che il Paese può
farcela e può fronteggiare i problemi di ieri e i difficili problemi
di oggi. Ne ha le energie e da parte del Governo vi è la volontà
di assistere lo sviluppo di queste energie, consolidarle e utilizzarle
per la soluzione dei problemi del Paese che tutti noi amiamo.
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