Risparmio occulto di impresa e "politica di bilancio"




Paolo Maizza



La riserva di bilancio è sempre espressione di prudenza: mercè la sua formazione si crea nel capitale di impresa una capacità di assorbimento di oneri paventati, correlati a eventi negativi futuri.
La riserva è una sorta di autoassicurazione dell'impresa contro effetti negativi del suo divenire economico. Il manifestarsi di tali effetti non lede l'economia dell'impresa provvidamente preparata, perché essi sono assorbiti dalle riserve previdentemente precostituite.
Una riserva è, in ogni caso, una plusvalenza di netto, una quota ideale del nucleo complessivo di questo.
Nell'ambito dei valori di bilancio composti in sistema, la localizzazione del fenomeno della riserva è pura immaginazione: la riserva è una quota astratta che non può vedersi incorporata in questo o in quell'elemento patrimoniale, perché essa sussiste in forma indistinta nella compagine del capitale di impresa.
Non sempre le riserve si evincono dalle situazioni patrimoniali di bilancio. Frequentemente le riserve palesi sono sostituite o integrate nelle riserve occulte o segrete o tacite o latenti.
La distinzione fra riserve "palesi" e riserve "occulte" ha carattere formale: è palese la riserva che è specificatamente indicata come tale nel bilancio dell'impresa; occulta è la riserva di cui nessun segno di esistenza può cogliersi dal bilancio. La "riserva occulta" è un fatto contabile scaturiente, in generale, da una deliberata alterazione della esposizione contabile della situazione di impresa. Il processo di alterazione identifica un intenzionale divario fra una "situazione" che si sarebbe potuto esporre e la "situazione" che di fatto è stata esposta. In ciò va ammesso il significato di soggettivismo e di relatività della rappresentazione della "realtà aziendale" oggetto di alterazione: questa realtà è lo stato di fatto che il valutatore è incline a riconoscere come tale.
In aderenza alla dottrina tradizionale, la riserva occulta nasce da sottovalutazioni di attivo o da sopravvalutazioni di passivo, ovvero, s'intende, dalle une e dalle altre insieme. In termini diversi, le riserve occulte scaturiscono, il più spesso, da una mancata rilevazione di componenti positivi di reddito o da un accrescimento di componenti negativi, ovvero, naturalmente, dall'una e dall'altra causa insieme.
L'effetto che consegue all'occultamento delle riserve è nel patrimonio netto che si evince dal bilancio, nel senso che quello espresso dai conti e dai bilanci è indicato per entità inferiore a quella che lo stesso patrimonio ha nella "realtà aziendale". Esemplificando, un netto patrimoniale di 10 può - in conseguenza di una riserva occulta esistente nella sua rappresentazione contabile - essere indicato per 7. L'accertamento della entità che il capitale può assumere nella "realtà aziendale" diviene, quindi, condizione indispensabile per acquisire conoscenza della misura della riserva occulta esistente nella sua rappresentazione contabile. Più chiaramente, il valore del capitale netto esposto nei conti e nei bilanci va posto in raffronto con il valore economico del capitale dell'impresa, valore che non trova accoglimento nella contabilità e che, come è noto, misura il capitale in guisa indistinta e unitaria, avuto riguardo alla sua attitudine a fruttare redditi in futuro. La riserva occulta sussiste nel caso il fondo dei valori rilevabile dal bilancio sia minore del valore unitario che il capitale può ricevere in funzione della sua capacità a fruttare redditi in avvenire, minore, cioè, del valore economico del capitale di impresa.
Innanzi abbiamo scritto che la riserva occulta appare, in genere, come fenomeno volontario. Va ora soggiunto che lo stesso risparmio occulto può anche non avere il carattere della intenzionalità, perché può accadere che nei conti e nei bilanci di formi, nel volgere degli esercizi, un valore di capitale che, in quanto di derivazione storica, si discosti, per regressione, dal valore economico del capitale di impresa. In tal senso, la riserva occulta, ossia il divario in meno tra capitale "contabile" e capitale "economico", viene a configurarsi come "effetto automatico" prodotto dal succedersi del tempo sulle categorie contabili, come conseguenza del naturale scostamento che, nella successione dei tempi, si determina tra quantità economiche di azienda e quantità economiche di mercato.
Il fenomeno della riserva occulta, dunque, ritrova la propria matrice nello scostamento che, vuoi in guisa per così dire involontaria o "automatica", vuoi - più frequentemente - per deliberata alterazione, viene a determinarsi tra il valore del capitale dimostrato dai conti e dai bilanci e il valore economico dello stesso capitale (1). Quando si afferma che la riserva occulta è conseguenza di sottovalutazioni di attivo o di sopravvalutazioni di passivo, ovvero delle une e delle altre insieme, si presuppone, a base della logica discorsiva, una comparazione, un implicito raffronto con altri valori di attività e di passività, che possiamo ritenere "razionali" o "corretti", con i quali devono porsi a confronto i valori attivi e passivi del particolare bilancio che si vuole esaminare. In una espressione di sintesi, dunque, la nozione di riserva occulta nasce dal raffronto tra il capitale netto del bilancio oggetto di esame ed il maggior capitale che emerge da altro bilancio della medesima azienda, composto con valori ritenuti razionali o normali.
Nella determinazione della nozione di riserva occulta è insito il carattere di relatività, che è proprio dei valori composti in sistema dei bilanci ordinari di gestione. L'accertamento delle riserve nascoste è problema complesso che trova la sua radice risolutiva nella concreta possibilità di risalire ai criteri di stima e, quindi, all'intimo significato dei valori costituiti in sistema. L'esame critico di questi valori, risaliente all'origine della composizione del bilancio, consente di indagare sulla varietà dei fini specifici che di fatto hanno orientato la "politica di bilancio", permette insomma di individuare i caratteri di questa politica ed il significato che essa ha fatto conferire al sistema dei valori di bilancio.
La ricerca degli accantonamenti occultati nei valori di bilancio può muovere dai valori numerali presunti, per indi passare alla classe dei crediti di regolamento (in moneta di conto ed in moneta non di conto), ai crediti di finanziamento, alla classe dei debiti di funzionamento e di quelli di finanziamento.
I valori, però, in cui più frequentemente si annidano cospicue riserve occulte sono offerte dai fattori produttivi tecnici a logorio totale e da quelli a logorio parziale: rispettivamente mediante l'assegnazione alle scorte di valori inferiori a quelli suggeriti da prudenti norme d'uso; attraverso eccessivi ammortamenti, ovvero minusvalutazioni delle immobilizzazioni, determinate dall'imputazione al conto economico dell'esercizio, invece che al conto capitale, dei costi di rinnovamento e di integrazione degli impianti.
Le riserve occultate nei valori delle immobilizzazioni hanno, di norma, entità proporzionale alla dimensione degli stessi fattori tecnici ed ai rischi portati dalla loro gestione, i quali vanno riferiti all'eventuale sfruttamento limitato della capacità produttiva o allo scarso rendimento economico-tecnico delle medesime immobilizzazioni. Il volume delle riserve occulte costituite nell'ambito dell'economia degli impianti deve, quindi, adattarsi non solo a circostanze di impresa, ma anche a circostanze di mercato, capaci di influire sull'attività degli stessi impianti. La visione unitaria di circostanze interne ed esterne, attuali e future, può fare presumere le vicende dei rendimenti futuri delle immobilizzazioni ed i bisogni della loro gestione ventura.
Non sarà superfluo osservare in breve il fenomeno della riserva occulta, circoscritto nell'ambito del nucleo dei beni a utilità ultrannuale, tenuta presente l'ampia possibilità che questi beni offrono al concreto verificarsi di quel fenomeno.
Può accadere che le quote di ammortamento accumulatesi nel corso di una successione di esercizi portino il fondo di ammortamento ad una misura che eguagli il valore dei beni cui esso va riferito. Da tale stato contabile la logica deduce che il valore dei beni soggetti ad ammortamento è stato integralmente ricostituito, nell'ottica dei conti e dei bilanci; e che gli stessi beni non hanno, in tale ottica, alcun valore.
Su questa condizione contabile si può innestare, ora, una ipotesi che può trovare riscontro nella realtà aziendale: che i medesimi beni, ancorché del tutto ammortizzati, siano ancora atti a fornire flussi di servizi e che, quindi, partecipino attivamente al compimento della produzione di impresa. Tale stato di fatto può avere origine da un accelerato processo di ammortamento, a sua volta determinato vuoi da un intenzionale acceleramento della "politica di ammortamento", vuoi da un errore di misurazione della lunghezza della vita utile del bene o dei beni soggetti ad un processo contabile di reintegrazione.
Ordunque, quando i beni - perché totalmente ammortizzati - non hanno più alcun valore nell'aspetto contabile, ma conservano ancora un valore operativo che si estende oltre il completamento del loro processo contabile di reintegrazione, si deve affermare che una riserva occulta si è formata per effetto di quel processo, riserva che può essere volontaria o naturale, a seconda che l'accelerazione dell'ammortamento sia, come prima rilevato, intenzionale ovvero ascrivibile a errore di individuazione del periodo di ammortamento. La riserva nascosta, in tal modo formata, è misurata dal flusso di servizi produttivi che i beni interamente ammortizzati possono ancora fornire all'azienda, ossia dal valore che questi beni hanno nella misura in cui sono tuttora idonei a partecipare utilmente al compimento della produzione aziendale. Dal punto di vista della pratica contabile, i modi di rilevazione con cui si può impostare in bilancio il caso innanzi descritto, sono diversi.
Attraverso un giro di conti, si può trasferire il saldo del conto del bene ammortizzato al relativo fondo ammortamento (2).In tal modo, entrambi i conti resterebbero spenti e dal bilancio scomparirebbero il bene ammortizzato (dall'attivo) e il relativo fondo di ammortamento (dal passivo), sicché lo "stato patrimoniale" non presenterebbe traccia alcuna del fenomeno in esame: il suo lettore non potrebbe, quindi, percepire l'esistenza della riserva nascosta nel procedimento contabile posto in atto. Con altro tipo di rilevazione si può conservare nell'attivo del bilancio l'iscrizione del bene ammortizzato e, nel passivo, quella del fondo ammortamento, per valore uguale. Queste appostazioni di bilancio consentono al suo lettore di aver notizia dell'avvenuta conclusione del processo contabile di reintegrazione del bene o dei beni soggetti ad ammortamento, epperò deduttivamente dell'esistenza della relativa riserva occulta.
Una procedura contabile, più diffusa delle precedenti, è la seguente: si eleva il fondo di ammortamento sino ad un importo inferiore di una lira rispetto al valore del bene ammortizzabile, trasferendo il saldo dello stesso fondo al conto del bene totalmente ammortizzato, il quale apparirà, pertanto, in bilancio per il valore simbolico, appunto, di una lira, cui non farà riscontro alcun accantonamento specifico nel passivo. Così operando, si perviene ad una impostazione di bilancio "indicativa" ma dotata, al tempo stesso, di assai scarsa segnaleticità. Dal bilancio il lettore, infatti, può cogliere l'esistenza di beni aventi ancora un valore funzionale (espresso da quello simbolico di una lira), ma di questo valore egli non può percepire l'entità. Si tratta, dunque, di procedura contabile che denuncia l'esistenza in bilancio di una riserva nascosta, della cui misura, però, essa non offre notizia alcuna.
La riserva configurata nella rappresentazione di bilancio or ora adombrata suole essere denominata "tacita", in quanto riserva la cui esistenza è rilevabile dalla lettura del bilancio, ma della quale il bilancio stesso non identifica la misura.
La riserva "tacita" si differenzia da quella "occulta" per il fatto di essere percepibile, dalla lettura del bilancio, nella sua esistenza, laddove la riserva nascosta non è rilevabile, dallo stesso bilancio, in senso assoluto.
La impostazione di bilancio osservata per ultimo deriva anche dalla procedura, non infrequente, di non iscrivere in "conto capitale" i costi di arredi, macchine e dotazione d'ufficio e simili, che vanno trattati come costi di esercizio e, quindi, imputati direttamente al conto economico, senza dar luogo ad un processo di ammortamento.
Questo totale assorbimento nel conto del reddito di costi di fattori a utilità ultrannuale è stato configurato con la dizione "ammortamento immediato".
L'impostazione di bilancio del valore simbolico di una lira - espressivo di riserve del tipo commentato - è ricorrente nella pratica aziendale. Essa si riferisce a immobili, arredi e mobili, macchine e dotazioni di ufficio e simili. Questa impostazione è frequente segnatamente nei bilanci delle aziende di credito e di assicurazioni, e non di rado essa è voluta dalle imprese, in genere, come dimostrazione della loro buona condizione economica e della loro consistenza patrimoniale.
Anche nei valori mobiliari, specie nel caso costituiscano disponibilità da vendita, possono essere accertate riserve occulte scaturienti dall'assegnazione ad essi di valori inferiori a quelli giudicati in base a razionali norme di valutazione, riferite a reali o attendibili condizioni di impresa e di mercato, presenti e, per certi aspetti, future. Al pari di quelle materiali, le rimanenze contabili immateriali (risconti attivi e soprattutto passivi), con la loro natura di valori di stima rendono possibile una minusvalutazione del reddito e del capitale di esercizio, favorendo in tal modo, la formazione di riserve nascoste.
Accantonamenti occulti possono, come già adombrato, annidarsi: nelle sottovalutazioni dei crediti, attraverso più incidenti e non giustificate rettificazioni per perdite di inesigibilità, per sconti e abbuoni, e per ratei; nella mancata iscrizione, nel nucleo dei valori finanziari attivi di bilancio, di entrate future (con corrispondente occultamento di ricavi nei componenti positivi del reddito); nella iscrizione, tra le passività finanziarie dello "stato patrimoniale", di debiti inesistenti (3).
La fugace rassegna dei più frequenti casi di formazione di riserve occulte ha posto in più chiara luce la relatività congenita del fenomeno che si sta osservando. Le poche cose scritte sono, per altro, bastevoli ad intendere come le riserve nascoste sono amalgamate con i valori di bilancio e come le stesse riserve possono talora scene inconsapevolmente. Da queste considerazioni scaturiscono l'ardua ed, in certo senso, arbitraria determinazione delle riserve nascoste ed il conseguente debole diaframma che, nella costituzione delle riserve in argomento, separa il criterio di saggia prudenza dal proposito illecito o fraudolento.
In un aspetto di generale osservazione, la causa-effetto del fenomeno delle riserve occulte risiede nell'intento di celare al sistema impositivo fiscale, agli azionisti ed alle imprese concorrenti una parte degli utili soggetti a distribuzione. La difesa dell'economia di impresa contro alcuni irrazionali presupposti della imposizione fiscale; la distrazione dall'utile distribuibile di una certa quota (vuoi per motivi di autopotenziamento aziendale, ovvero ai fini di una politica di conguaglio e di stabilità dei dividendi, vuoi per spinte di interessi privati); la esibizione in bilancio di una misura di utile che sia valida a conservare e rafforzare la posizione dell'azienda nei vari mercati (di approvvigionamento-collocamento e dei capitali) e nei confronti degli altri organismi similari concorrenti, sono le cause e, ad un tempo, gli effetti della formazione del risparmio occulto nell'ambito delle gestioni produttive.
E' appena utile riconsiderare che, quando sono espressione di saggia prudenza amministrativa, le riserve nascoste sono giovevoli all'economia d'impresa.
La saggezza amministrativa, cui si accenna, risiede nel contemperamento dei princìpi di potenziamento della struttura patrimoniale e della capacità di reddito dell'impresa con il doveroso rispetto (da parte dei responsabili del governo aziendale) del diritto che i comproprietari della stessa impresa hanno nei confronti dei risultati economici di gestione. E' intuitivo che, ancorquando si costituiscano riserve occulte, il preindicato diritto del socio resta salvo, sempreché le stesse riserve non siano affette da illeicità. La riserva occulta rivolta all'interesse oggettivo dell'impresa, e non già corrispondente ad interessi o gruppi di interessi particolaristici, torna vantaggiosa per i singoli comproprietari dell'impresa, i quali trovano nel valore capitale delle proprie azioni o quote di capitale sociale il corrispettivo delle loro rinunce a più pingui dividendi, fatte in sede di riparti di utili di bilancio.
Nelle più salde gestioni societarie, gli accantonamenti occulti costituiscono una parte importante del capitale d'impresa. Particolarmente nella necessità di conguaglio del flusso dei redditi di esercizio, le riserve nascoste manifestano l'efficacia della loro funzione. E', questa, una delle ragioni specifiche più operose, se non proprio la preminente, che porta le imprese a celare una parte dei propri redditi in riserve segrete (4).
La considerazione delle riserve di conguaglio si richiama alla conoscenza del profilo reddituale dell'impresa, avvertendo che, nella comparazione dei redditi di diversi esercizi, si deve tener presente anche la dinamica delle riserve occulte. Le grandezze reddituali emergenti da distinti e successivi bilanci debbono essere apprezzate e comparate fra loro sulla base anche della dinamica delle riserve segrete, iniziali e finali, di esercizio. La misura nella quale sono state costituite nuove riserve occulte, o sono state incrementate o diminuite le riserve già esistenti, è una componente della determinazione e della conoscenza della capacità di reddito dell'impresa.
Il fenomeno della formazione di riserve è precipuo nelle imprese societarie e particolare importanza ed evidenza esso assume in quelle aventi forma azionaria, nelle quali consegue ad una sottrazione di quote dall'utile destinato alla distribuzione fra i compartecipanti all'impresa.
Non v'ha dubbio che l'occultamento delle riserve è fatto che non può punto conciliarsi con i requisiti della verità, sincerità e chiarezza che dai soggetti estranei al governo della impresa, ma ad esso interessati, si invocano nella formazione e presentazione del bilancio di esercizio. Quell'occultamento è, anzi, di nocumento ai requisiti appena richiamati. E', però, da riconoscere che lo stesso fatto torna giovevole all'economia della impresa. Basti pensare che il processo formativo del risparmio di impresa non fa che potenziare il punto di forza su cui poggia e su cui si muove, nel suo sviluppo, il fenomeno produttivo di impresa: il capitale.
Chi ben guardi, deve poi riconoscere che la "verità, la sincerità e la chiarezza del bilancio" hanno un contenuto meramente relativo, nel senso che questi requisiti hanno significato o senso strettamente dipendente dalla onestà degli intenti, dai "poteri conoscitivi" e dalla capacità del compilatore del bilancio. Ora, se questa relatività di significato è da ammettere, come va ammessa, deve riconoscersi che ha senso parimenti relativo l'inosservanza dei richiamati requisiti del bilancio e, quindi, la strategia di sua compilazione nella quale si ritrovano le manovre che portano alla costituzione delle riserve occulte.
Le riserve occulte possono di certo essere l'espressione di atti contabili scorretti e colpevoli, ma possono anche essere manifestazione di preveggenza amministrativa e, quindi, di buon governo aziendale. Ecco perché non facciamo nostra l'esasperata e preconcetta condanna che di tali riserve spesso si suole fare, specialmente da chi osserva il fenomeno in virtù di propria competenza giuridica.
L'esistenza delle riserve occulte consente all'azienda l'assorbimento di oneri occasionali, la colmatura di insufficienze nella produzione dei redditi, nel volgere degli esercizi. In tal guisa, l'azienda può assicurarsi la stabilità dei propri redditi ed evitare di denunciare varianze nelle conseguenti distribuzioni, più o meno sensibili, le quali - ancorché connaturali del fenomeno della produzione del reddito di impresa - riescono sempre di turbamento della sensibilità dell'azionista e possono suscitare in lui reazioni sfavorevoli verso la solidità economica dell'impresa, la saldezza dei suoi processi, la tranquillità insomma del suo stato e del suo divenire. Quando sono consapevoli dei sentimenti non sempre razionali degli azionisti, delle loro possibili reazioni avverse al prestigio goduto dalla società nel proprio ambiente, quando sono consci dei sospetti o dei motivi di perplessità che possono essere suscitati nei soggetti estranei all'azienda, da suoi eventi reddituali negativi, i poteri direttivi dell'impresa sono inclini all'occultamento delle riserve cui pensano di poter attingere all'occorrenza in guisa, appunto, da non suscitare quei sentimenti, quelle reazioni e quei sospetti a ragione paventati.
Se ricordiamo che la visione del fenomeno d'impresa è sempre da collocare nel contesto socio economico in cui esso trova genesi e sviluppo, con gli influssi delle variabili esogene promanate dalla fenomenologia del macroeconomico e dal circostante ambiente politico generale, ci vien da considerare, sia pure di passata, il trend che il fenomeno delle riserve occulte di impresa può presentare in presenza di condizioni economiche generali perturbate, ossia di congiuntura economica nazionale sfavorevole.
In siffatta ipotesi, contrassegnata magari da prodromi inflazionistici di già percepibili, chi ha la responsabilità del governo aziendale può trovare conforme all'interesse dell'azienda il comportamento di intensificare la costituzione di riserve segrete, di massificare una politica restrittiva di dividendi onde porre in atto degli investimenti in cui riversare le aliquote di capitale corrispondenti agli occultamenti di utili attuali ed anche talvolta a quelli di utili di esercizi pregressi. La conversione in beni patrimoniali permanenti di quelle aliquote di capitale corrobora le strutture organiche e patrimoniali dell'azienda e crea o accentua le difese del suo patrimonio dagli effetti della erosione della moneta. Nelle considerate condizioni dell'economia generale, l'azienda generalmente è protesa non alla crescita, bensì alla sopravvivenza, in ciò trovando espediente di fortificare, con acconci investimenti rivenienti da risparmio occulto, quella certa diga che può proteggerla dai marosi delle perturbazioni monetarie. In tempi di degrado monetario, la politica di investimento realizzata dall'azienda, nel volgere del tempo passato, con impiego di capitali sottratti alla erogazione di utili e formatisi, appunto, mercé un graduale accumulo di risparmio occulto, dimostra la sua proficuità, la sua efficacia come politica patrimoniale particolarmente provvida e previggente, ben proiettata nel futuro anche lontano.
Da ciò, allora, si inferisce che, in tempi di "bonaccia", di tranquille condizioni dell'economia generale, una politica di risparmio segreto, acconciamente studiata, posta in atto e patrimonializzata gradualmente nel volgere del tempo, in stretta e naturale correlazione con i flussi di reddito aziendale, razionalmente concepiti e quantificati, è politica certamente giovevole all'economia d'impresa, i cui provvidi effetti si rendono particolarmente percepibili proprio, come si argomentava, in periodi di non equilibrate condizioni del sistema economico generale, di lacerazioni del tessuto economico e di vacillante o declinante valore della moneta.
Il modus agendi di chi, nel governo dell'impresa, persegue una politica di occultamenti di "novella ricchezza" ispirata a princìpi di sana e corretta amministrazione, non può giudicarsi riprovevole: esso mira ad evitare effetti dannosi alla sanità economica dell'impresa, alla sua sopravvivenza, in ciò sottointendendo salvi i diritti dei compartecipi ai risultati dell'attività aziendale.
In questo comportamento di protezione e di mantenimento delle condizioni di equilibrio oggettivo dell'impresa si ritrova pure una considerazione già adombrata, secondo cui le stesse riserve occulte sono costituite per scopi di evasione fiscale. Se a tal fine rivolto, l'occultamento delle riserve non può certamente giudicarsi, prima facile, espediente commendevole; chi ben guardi, deve tuttavia riconoscere che esso può, per certi aspetti e in date circostanze, rappresentare una correzione di certe forzature scaturienti dal funzionamento del nostro sistema tributario.
Il processo di formazione del risparmio occulto di impresa merita di essere riguardato - sia pure con studiata brevità - anche da una angolazione giuridica.
In genere, gli amministratori di società azionarie ricorrono all'occultamento degli accantonamenti di bilancio quando giudicano non espediente proporre all'assemblea la costituzione di riserve straordinarie palesi, perché la stessa assemblea potrebbe bocciare tale proposta ed elevare conseguentemente il livello degli utili da distribuire; quando gli stessi amministratori decidono di non aumentare la misura dei dividendi.
In prima approssimazione, va ora rilevato che ad un siffatto comportamento dei poteri direttivi dell'impresa non può muoversi censura se al fondo di esso è il sano proposito di creare idonee salvaguardie in favore del capitale di impresa, per potenziarne la struttura, sia pure con mezzi non evidenti e non in armonia con le disposizioni del codice civile (art. 2424 e ss.).
Ma mette conto osservare, in proposito, le reazioni che le determinazioni dei poteri direttivi di impresa, innanzi descritte in relazione all'occultamento degli accantonamenti, possono suscitare nel comportamento dell'azionista.
Se il mercato dei valori mobiliari recepisse notizia esatta e compiuta degli accantonamenti operati dalle società in forma occulta, si potrebbe inferire che l'incremento di dividendo che l'azionista non consegue, a cagione di quegli accantonamenti, è da lui realizzato sotto forma di incremento di valore di mercato delle azioni possedute.
Ma non a caso abbiamo scritto "se", tant'è che la valutazione di mercato delle azioni (5) si fonda sulla loro evidenza reddituale attuale e sulle loro aspettative di reddito, epperò prescinde, perché la ignora, dall'esistenza di riserve occulte. L'azionista potrebbe lucrare quanto non ha conseguito come incremento di dividendo per effetto di accantonamenti occulti, se la sua partecipazione alla vita della società perdurasse a lungo nel tempo, poiché potrebbe così realizzare, nel volgere degli anni, le riconosciute plusvalenze di capitale (già nascoste nella struttura patrimoniale della società), più frequentemente sotto forma di aumenti di capitale. Nel caso, però, quella partecipazione dell'azionista fosse di breve durata, la rinuncia dello stesso a più pingui dividendi resterebbe non compensata dai benefici che la permanenza in seno alla società può, in genere, a lui assicurare, benefici che si risolverebbero, nell'ipotesi in esame, in favore degli altri azionisti conservatori delle proprie aliquote di capitale.
In questo senso, dunque, si deve inferire che, in generale, l'azionista di breve permanenza in società non ha convenienza ad una rinuncia attuale di dividendo, non potendo egli contrapporre a tale sacrificio compensazione alcuna in futuro.
Sta di fatto ora, secondo una osservazione della realtà aziendale, che i soggetti detentori dei poteri direttivi delle imprese - i quali decidono e pongono in atto la politica del risparmio (palese ed occulta), allo scopo di autopotenziare l'economia degli stessi organismi aziendali - sono i cosiddetti "cassettisti", azionisti, cioè, che permangono assai lungamente in seno alla società, ragion per cui ovvio appare il loro interesse a quella politica di autopotenziamento occulto delle strutture patrimoniali di azienda: il tempo fluisce a favore di questa categoria di comproprietari dell'impresa, ed è misurato dalla loro convenienza di sfruttare i vantaggi che possono derivare in futuro da un incremento occulto del patrimonio netto, gradualmente accumulatosi nel volgere di tempi, magari assai remoti.
D'ordinario, nell'ipotesi di vendita dell'azienda in condizioni normali di trattative, il riconoscimento e l'acquisizione degli effetti vantaggiosi della politica di accantonamenti occulti perseguita, nel tempo, da una impresa sono colti, in tutta la loro evidenza, in sede di cessione della stessa impresa, allorquando questa realizza un "prezzo di cessione" corrispondente al valore economico del suo capitale. Nella misura di questo capitale sono riconosciuti e valutati gli effetti di quella politica di risparmio occulto, che affiorano e si rendono percepibili, appunto, nella loro intera consistenza, all'atto della vendita del bene-azienda, valutato come bene produttore di redditi, di natura composita.
Questa osservazione focalizza i vantaggi economici che dall'occultamento degli accantonamenti può trarre il socio che permane nella società sino all'epilogo della sua attività.
In questi termini configurato, il discorso sugli accantonamenti occulti delle imprese riesce a fare individuare due categorie di soci, rappresentanti di due differenti classi di interessi: una che dal processo di occultamento delle riserve trae vantaggi; l'altra che da quello stesso processo vede lesi i propri interessi.
La logica delle brevi argomentazioni svolte non può non far considerare il processo di lesione che il "diritto dell'azionista al dividendo" subisce allorquando si fa riferimento specifico alla categoria dei soci che permangono in seno alla società per tempo più o meno breve. Di qui una censura al fenomeno della "riserva occulta", di qui l'invocazione della sua illegittimità.
Vero è che il risparmio occulto realizzato dalla società si traduce in un danno per l'azionista, quando egli non potrà ad esso contrapporre, come compensazione, gli effetti che potranno derivare dalla futura lievitazione dei corsi del mercato azionario, dal riconoscimento, appunto, degli accantonamenti celati col tempo nella struttura patrimoniale della impresa. Non è, però, men vero che i profitti dell'investimento azionario non debbono essere misurati esclusivamente sulla base dei redditi attuali, ma anche e non di meno sul fondamento dei vantaggi economici futuri. Il che dovrebbe rientrare nella consapevolezza dell'investitore azionario potenziale, di colui il quale, cioè, si accinge all'investimento azionario. Né va sottaciuta la considerazione, di certo non secondaria, che lo stesso investitore azionario non può negare alla propria società la possibilità di autopotenziarsi e di sviluppare il suo "potere reddituale". L'impresa non può, di certo, essere condannata dai propri compartecipi alla conservazione delle originarie dimensioni e strutture. Né è pensabile di poter trarre da accantonamenti palesi un autofinanziamento di misura sufficiente all'attuazione di una politica di sviluppo aziendale di largo respiro: il concorso del risparmio occulto a siffatta politica è pur sempre determinante e, come tale, va riconosciuto.
L'aspettativa di profitti avvenire e il processo di autopotenziamento della propria economia, dianzi richiamati, sono aspetti connaturali dell'istituto aziendale, sono a fondamento della logica precettistica che muove le leggi che governano i fenomeni di impresa.
Questa concisa logica discorsiva ci induce a muovere censura al processo di occultamento delle riserve solo allorquando esso, valicando i limiti di ogni prudenza e cautela, promuove la formazione di incrementi patrimoniali occulti che si risolvono in una effettiva lesione dei diritti degli azionisti. Di qui, ora, tre ordini di deduzioni logiche: - l'accertamento di questo processo lesivo dei diritti dell'azionista si configura come compito non lieve, bensì complesso e difficoltoso;
- il verificarsi della considerata "lesione di interesse" non deve essere esasperato, epperò non può e non deve, in forza delle considerazioni svolte, spingere sino al punto estremo di far dichiarare illegittimo, di per sé ed in ogni caso, il fenomeno della riserva occulta;
- condanna di illegittimità questo fenomeno merita nel caso in cui esso si risolva, per le circostanze esaminate, in abnormi incrementi patrimoniali che tornino a vantaggio esclusivo di interessi individuali o di dati gruppi di interessi.
L'argomento delle riserve occulte e della loro funzione di autopotenziamento dell'economia d'impresa suscita quello della liceità delle manovre che adducono alla loro stessa costituzione. La liceità è un aspetto connaturale dell'azione che conduce alla formazione delle riserve segrete.
Se si potesse dar per certa la saggia, corretta e onesta opera degli amministratori, ben si potrebbe affidare al loro cauto arbitrio la facoltà di occultare gli accantonamenti che possono costituirsi nei bilanci di gestione. Sul piano della concretezza, accade, però, che la costituzione di riserve occulte può pure essere rivolta a precostituire i mezzi con i quali i soggetti detentori del comando della gestione possono perseguire particolari finalità, che sono di loro proprio vantaggio e in contrasto con gli interessi oggettivi dell'impresa o delle minoranze.
Un caso di illecita costituzione di riserve segrete si può ritrovare in una eccessiva politica restrittiva di dividendi, perseguita dai detentori del "capitale di comando" dell'impresa, nel precipuo intento di attuare una politica remunerativa del capitale azionario talmente scoraggiante da costringere altri soci (o gruppi di minoranze), non graditi agli stessi soggetti del potere aziendale, a cedere loro, magari a basso prezzo, la propria partecipazione.
Altro caso di accantonamento segreto, attuato in funzione di interessi o gruppi di interessi particolaristici, si ha allorquando il gruppo del "capitale di comando" persegue una politica di dividendi troppo bassa, col proposito di distogliere i consoci da un programma di aumento di capitale sociale, giovevole all'impresa ed essenziale al suo sviluppo, programma che, se attuato, potrebbe, però, turbare, a danno dello stesso gruppo detentore del potere aziendale, il rapporto di forze tra maggioranza e minoranza azionaria, sul quale poggia il potere di governo dell'impresa di quel gruppo.
Un movente valido dell'occultamento di riserve - anch'esso conforme a interessi individuali o di gruppo - lo si incontra allorquando i gruppi di comando delle imprese societarie preparino cessioni di pacchetti azionari che assicurano il potere del governo aziendale. Accade, allora, che questi gruppi perseguino - attraverso una politica di accantonamenti occulti - un arricchimento patrimoniale della società nel precipuo intento di elevare corrispondentemente - a loro vantaggio - i prezzi della cessione.
Il problema della liceità delle riserve occulte si collega con quello del "bilancio falso" e involge, perciò, il concetto della relatività che domina il campo delle valutazioni di azienda. Le riserve segrete scaturiscono dall'adozione di questo, anziché di quell'altro criterio di valutazione, ragion per cui non è compito lieve quello di stabilire anzitutto dove comincia e dove finisce una riserva occulta. Il sottile diaframma che separa un criterio di valutazione, che non porta alla costituzione di una riserva segreta, da altro criterio di valutazione, pure applicabile nei confronti del medesimo bene, che, però, può celare degli accantonamenti, fa intendere come sia facile varcare quel certo limite o quel certo parallelo di separazione e trovarsi, consciamente o inconsapevolmente, nel campo degli accantonamenti occulti.
Orbene, se quel dato limite viene superato inconsciamente (e ciò può di fatto accadere, in quanto le riserve occulte nascono talora senza consapevolezza o senza il concorso della volontà dei soggetti che attendono alla composizione del bilancio di esercizio), ovvero lo si varca non già in funzione di particolari obiettivi che contrastano con l'interesse dell'impresa, sebbene ai fini di un potenziamento delle strutture organiche e patrimoniali e della capacità di reddito dell'impresa, non v'ha dubbio che la costituzione di riserve occulte è giudicabile come espressione di disinteressata prudenza: essa non è, pertanto, moralmente censurabile, ma, al contrario, lecita di fronte alla legge e vantaggiosa nei confronti dei comproprietari dell'impresa. La costituzione, invece, di accantonamenti segreti, sottratti alla conoscenza dei soggetti aventi interessi, in via diretta o mediata, con il bilancio ordinario dell'impresa, quando è ispirata a princìpi di tornaconti particolari non collimanti ma contrastanti con la legge che governa il mantenimento ed il miglioramento delle condizioni di equilibrio economico dell'impresa, non può andare esente da frode o da dolo. Sono questi ultimi gli elementi che fanno incriminare di falsità un bilancio, sicché discorrere della "illeicità delle riserve occulte" significa far discorso, come già notato, del "bilancio falso". E per vero, come è difficile stabilire, a cagione della relatività che sempre domina il campo delle valutazioni aziendali, dove inizia e dove termina la formazione di una riserva occulta, è del pari difficoltoso indicare, talora anche per approssimazione, dove finisce la prudenza e inizia la frode di bilancio. L'inevitabile arbitrarietà, insita nel soggettivismo che è connaturale quasi di ogni valutazione, non consente di avvalersi del principio dell'assiomatizzazione nel campo delle valutazioni aziendali e, quindi, nella formulazione di giudizi concernenti i significati che, con una certa politica di bilancio, sono stati conferiti al sistema di valori accolto nel rendiconto di esercizio. Non ci pare, dunque, del tutto azzardato affermare che ipotetici testi legislativi, elaborati per consacrare un tassativo divieto alla formazione delle riserve occulte ed alla composizione di bilanci falsi, finirebbero per avere ben scarsa efficacia pratica.
Alla stregua delle considerazioni innanzi svolte, può solo affermarsi che - nell'area delle valutazioni aziendali - tutto ciò che è espressione di prudenza non è frode, e che l'incriminazione di falsità di un bilancio sussiste allorquando, in linea di fatto, sia accertato l'intento fraudis dei soggetti che hanno atteso alla sua composizione. E', appunto, l'accertamento - invero complesso e difficoltoso - dei confini ben definiti che separano lo spirito di prudenza dal proposito fraudolento, che suscita le difficoltà e le perplessità, cui si è accennato in precedenza. Si tratta, come ognun vede, di indagare, in certo senso, nelle intenzioni di coloro che hanno composto il bilancio, per cercare di conoscere i fini delle azioni da essi poste in essere nel lavoro di composizione. Ed è certo impresa ben ardua quella di indagare nei meandri della mente umana! (6).


NOTE
1) Stessa origine ha il fenomeno dell'annacquamento di capitale che, in antitesi a quello della riserva occulta, si configura come eccedenza del capitale di bilancio rispetto al valore economico del capitale di impresa.
2) I termini del discorso non mutano, ovviamente, se, anziché di un bene, si tratta di più beni ammortizzati e, quindi, di più conti (e di più fondi di ammortamento).
3) "I più frequenti esempi di riserve sono dati da minori valori attribuiti alle immobilizzazioni, ad es. con l'imputazione a conto esercizio invece che a conto capitale di rinnovamenti o di impianti aggiunti a quelli già esistenti. Anche per le disponibilità da vendita, titoli e scorte, è non rara l'assegnazione di valori inferiori a quelli consueti secondo le prudenti norme d'uso. Facile è anche la sottovalutazione dei crediti forse mediante sopravvalutazione delle abituali rettificazioni per perdite di inesigibilità, per sconti e abbuoni, per ratei e risconti. Spesso le riserve sono occultate mediante la mancata inscrizione tra le attività di entrate future di notevole ammontare, le quali, come ricavi, dovrebbero essere imputate al reddito del trascorso esercizio. Forse però il procedimento più seguito per nascondere le riserve si attua con la iscrizione tra le passività di debiti inesistenti: abitualmente verso l'estero, regolarmente documentati da corrispondenze, da scritture e talora, come anche accade, da fittizie sentenze arbitrali. Alle volte le riserve cosiddette occulte sono bene evidenti nella loro esistenza se non nel loro volume. Questo avviene quando attività di notevole valore, di non dubbia esistenza a saper d'ognuno, sono iscritte in bilancio per memoria o per una lira". ZAPPA, Le produzioni, Il, pp. 690, 691.
4) "La circostanza più operosa dell'occultamento delle riserve risiede forse non tanto nel desiderio di sfuggire in parte alla pressione fiscale, quanto nella opportunità per il controllo di celare agli azionisti e agli altri fattori produttivi una parte degli utili soggetti, in via diretta o mediata a distribuzione. Spesso però le riserve clandestine ritrovano la loro prima ragione in un criterio di saggia prudenza, la cui applicazione, ove non si ecceda, può riuscire di giovamento alla stessa impresa, quando ad es. si giudichi opportuno di nascondere alle imprese concorrenti e più ancora agli azionisti, preoccupati sempre di conseguire lauti dividendi più che non di assidere su più salda base la capacità di reddito dell'impresa, l'altezza degli utili conseguiti. Nel fatto sono rare eccezioni le imprese floride che non celano una parte dei redditi in riserve segrete. Già sappiamo che le riserve di conguaglio hanno maggiore efficacia quando sono occulte invece che palesi". ZAPPA, Le produzioni, Il, p. 691.
5) Prescindiamo dal considerare, nel nostro caso, altri fattori di ordine extra economico o politici generali, pure influenti sulla valutazione di mercato delle azioni di società azionarie.
6) "Sarebbe dunque opportuno di abbandonare al cauto arbitrio degli amministratori onesti la facoltà di occultare le riserve. Ma quando si potrà fare affidamento sulla saggia e disinteressata correttezza degli amministratori?". ZAPPA, Le produzioni, II. pp. 691, 692. PAOLO MAIZZA Facoltà di Economia e Commercio dell'Università degli Studi di Bari, ottobre 1981.


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