Filippo Briganti e il porto di Gallipoli




Luigi C. Belli



"Eran le sei d'Italia - racconta Filippo Briganti "patrizio gallipolitano" nel secondo dei due volumi pubblicati, postumi, dal nobiluomo Giovanni Battista De Tomasi - quando dal fondo del golfo agitato da sirocco libeccio cominciò a sentirsi un terribile ruggito, di triste annunzio del gran disastro, che si andava preparando. Alle ore nove lo strepitoso fragor di un tuono sprigionò tutta l'energia di quel vento, da più giorni dominante; ma venne a disputargli l'impero del mare un impetuoso maestro, che da un altro punto dell'orizzonte si scatenò con furia stupenda. Quindi nell'aria scossa dal contrasto di due forze moventi venne a formarsi un turbine, che mise in rivolta il mare, ed in costernazione la terra. Parea che un elemento abbattesse l'eminenza della Città, e che l'altro scuotesse le sue mura dai fondamenti". Si apre così la Relazione del naufragio seguito nella Rada di Gallipoli a 22 Dicembre 1792. Allora, prosegue il Briganti, lo spavento contagiò gli uomini e crebbe col calare delle tenebre. I gemiti degli abitanti e le grida dei naviganti ruppero il silenzio delle ombre, "e tutto divenne orrore, e confusione. Spuntò l'alba, ed apparve un teatro di sciagure, e di rovine incompensabili. I bastimenti nazionali e stranieri in buona parte carichi del prezioso fluido, che fa la ricchezza della Penisola Salentina, divenuto scherno delle onde minacciavano di dissipare in un momento il ricolto di più anni.". In vista della tempesta, i piloti avevano formato due linee di bastimenti, con la prua rivolta al vento. La prima fila, assicurata da robuste gomene, comprendeva il maggior numero di bastimenti, per opporre "all'impulsione dell'onde una resistenza tutta raggruppata in massa, o doveva tutta salvarsi, o tutta sommergersi". La seconda, invece, molto più rada, "rimanea singolarmente esposta ai pericoli del comune disastro, dacché la connessione della prima linea si fusse per poco scomposta". E proprio questo si verificò. Ecco, testuale, il vivo racconto del Briganti. "Cominciò il disordine, subitoché le due forze convergenti di libeccio e maestro si vennero a crociare sulla prima linea, con distaccare la nave Anna Maddalena del Capitano Kansen Huns Danese, la quale perduto il sostegno dell'ancore, errando a discrezione dell'onde, si tirò dietro la Marticana del padron Niccolò Cammarota di Procida, la Tartana del padron Marian Cafiero di Sorrento, e la nave Samuele, ed Anna del Capitano Villiams Bristel Inglese della seconda linea, che si fransero sul lido, senza perdita dell'equipaggio, che a stento poterono scappar la vita, mediante il sostegno di una lunga fune, che il pietoso popolo ivi accorso in folla per impiegarsi alla salvezza di quelli infelici naviganti, non mancò di prontamente somministrare, di cui servendosi i medesimi di guida, per condursi a terra, riuscì loro con tal mezzo di scampar la vita, all'infuori di un solo marinaro del cennato padron Cafiero, che per essergli scappata da mano la detta guida, fu tosto sbalzato altrove dalla furia del vento, e dall'onde miseramente assorbito. Sconvolta così la seconda linea, il brigantino Sacra Famiglia del Capitano Gaetano Starace di Vico Equense, e la Marticana del padron Pasquale Cammarota di Procida perdute le ancore, diedero in secca lungo il lido, donde gli equipaggi non potendo salvarsi a nuoto, né a guazzo rimasero inceppati sulle sdrucite sponde de' naufraghi bastimenti, ove trovarono scampo col soccorso di una mano benefica, allor che meno speravano salute". La mano provvidenziale fu quella dei gallipolini che, incoraggiati da un Agostiniano, portarono aiuto con gomene e con barche, salvando - a rischio della propria vita - i marinai in difficoltà. Palpitante la descrizione dell'avventura capitata all'equipaggio della nave Speranza, inglese, comandata da Wallis Pierson il quale, "vedendo il caso irreparabile dell'imminente naufragio, allestì sul cassero alcune accette, per tagliar le gomene e farsi trasportare dalla procella in qualche lido di facile abbordo: ma un colpo di mare avendosi portato via le accette, la nave arò l'ancora, ed incagliata sopra un basso fondo poco distante dal lido, apertasi la carena, ed allagata la coverta, fu l'equipaggio costretto a rifugiarsi sulle antenne, ove ebbe bel tempo di pendolarsi dalle ore 14 della mattina, sino alle 22 del vespero, e vedersi di continuo coverta dall'onde, che quasi superavano l'altezza degli alberi".Un inglese della prima linea, a questo punto, mandò il suo battello a soccorrere i compatrioti, ma la barca si sfasciò contro il fianco della nave, "e i rematori a stento si arrampicarono sulla murata ( ... ) ove accrebbero il numero del palpitante equipaggio; dacché conoscendo lo suddetto capitano Pierson del tutto vana per lui la speranza di qual si voglia umano soccorso, risolvé finalmente verso le ore sedici della mattina di tentare a nuoto l'estrema sua sorte, pria che il coraggio e le forze lo avessero abbandonato; ed in fatti laceratasi in fretta le vesti, che bagnate dalla pioggia e dall'onde, altrimenti distaccar non potea dal suo corpo, e dato avendo l'ultimo addio agli afflitti suoi marinai, si lanciò coraggiosamente nelle acque, e così dopo una lunga resistenza fatta alla stupenda forza del mare gli riuscì di procurarsi quindi fortunamente la sicurezza sul lido. Lo stesso però non accadde agli altri sventurati marinari del ridetto disgraziato equipaggio; poiché sull'esempio del cennato lor capitano essendosi cinque degli stessi similmente gittati nell'onde, due di questi furono miseramente da quelle assorbiti, e trasportati nel golfo, e gli restanti altri tre furon a gran stento pescati, e semivivi condotti sul lido da una barca di paesani ... ". Poi, fu la volta del bastimento inglese Irelander, capitanato da Williams Kotnwish, "quale trovandosi sostenuta da un solo capo prossimo a rompersi, ed in pericolo di esser menata a discrezion dell'onde, stimò il detto capitano miglior consiglio, quello di prevenire il suo inevitabil naufragio con tagliare egli stesso il capo suddetto, e così con l'aiuto di una piccola vela, e col governo del timone condursi volontariamente a terra, ed in luogo men pericoloso, ove più agevolmente procurar potesse la propria salvezza, e di tutto l'equipaggio. Tanto egli meditato avea, e tanto in fatti gli riuscì; poiché giunto a terra il naviglio, si affollò ivi in soccorso di quei sventurati la maggior parte del popolo, alla testa del quale ritrovandosi l'anzidetto pio e generoso Vescovo, non mancò di stender egli il primo le mani, per trarre fuori dalle acque il cennato capitan Kornwish, che appena toccata col piè tremante la sponda, in unione di tutti i suoi marinari si buttò quindi di faccia a terra, e versando lagrime di tenerezza e di gratitudine abbracciò poscia le ginocchia del buon prelato ( ... ). Bel vedere in quel momento una folla di protestanti, diversi di abito, di rito, e di favella rendere omaggio alla pietà, ed alla beneficenza della Chiesa Cattolica, e de' suoi degni Ministri". A tal vista, aggiunge il Briganti, il cielo sospese alquanto i suoi fremiti, ed il mare i suoi ruggiti. "Così rarefatto il nembo, e schiarite le tenebre, apparvero otto scheletri di grossi bastimenti, rovesciati sulla spiaggia, dacché il nono carico di grano, che fuor di mano con un legno genovese fidava sulle ancore abbandonato dall'equipaggio, appena rotte le gomene, e toccata la terra, fu in un tratto inghiottito dai vortici del mare, ed immediatamente col suo carico di grano disparve dalla vista degli spettatori, senza nemmeno di più scoprirsi le cime degli alberi". Le perdite di questa violenta libecciata, conclude Briganti, hanno gettato il discretito sulla nostra città, priva di un porto e con mare poco sicuro. Da qui, la necessità di provvedere in breve tempo: è indispensabile costruire un nuovo porto, un rifugio sicuro per i legni che gettano le ancora in questo mare, per caricare olio, vino, e granaglie e botti, la cui vendita sostiene l'economia di Terra d'Otranto. Nella "Memoria" concernente i fondi per la costruzione del nuovo scalo marittimo, Briganti afferma testualmente: "... Gallipoli, reso emporio assai frequentato per le perenni imbarcazioni dell'olio, genere che riuscendo qui di perfezione molto adatta ai bisogni delle nazioni del Nord, richiama in questa rada numerosi convogli di bastimenti mercantili dell'Oceano, del Baltico, e del Mediterraneo: e quindi, avendo descritto il sito inaccessibile della costa inferiore di Terra d'Otranto ( ... ), tutto l'olio del capo salentino, e contrade adiacenti, non potendosi carreggiar per l'imbarco nel porto di Taranto, attesa la lunghezza e difficoltà delle strade, dovea necessariamente imbarcarsi nella rada di Gallipoli, che unica in tutta la provincia offre un abbordo facile ai legni, che provengono da Ponente". L'olio, dunque, come ricchezza della Penisola Salentina. Il Briganti, nella "Memoria" diretta a Ferdinando IV, sottolinea che i registri del movimento imbarchi dell'ultimo sessennio (la "Memoria" è del 1769) annotano ben 514 imbarchi e che la quantità dell'olio da quelli imbarcata" ascendeva a 1.617.250 staja: come dire, intorno a ottantasei navi all'anno e 269.541 staja di olio annuali. Dalla ricchezza dei traffici dipende la ricchezza della nazione, rileva Briganti. Per costruire il porto, si può far ricorso ai "fondi dai vettigali e dall'ancoraggio, livellandosi sul piede di quel, che esigge il porto di Cotroni ad esempio di quel di Gergenti": tassando ogni naviglio per diritto di ancoraggio, di zavorra, di carenaggio, di spalmatura, di lanternaggio, con una somma di dieci ducati, ogni anno le casse si ritrovano 860 ducati. Contemporaneamente, essendo la sicurezza del porto un richiamo di avventori e di mercanti di olio, "dall'affluenza maggior di questi deriva necessariamente il prezzo maggior della derrata, che tanto più son quei, che la ricercano. Quindi rivolgendosi gran parte della sicurezza del porto per il richiamo degli avventori in vantaggio de' proprietari del genere degli olj, è ben ragione, che soffran costoro anche la lor porzione del peso di ciocché occorrerà di dispendio nell'opera; e per addossare a proprietarj un peso non insolito, non difficile, non odioso, si offre quasi da se stessa l'attuale imposizione del carlino a soma". Una tassa che già c'è, afferma Briganti, anche se solo per i "non privilegiati". I "privilegiati", infatti, pagano solo cinque grani a soma, per una malintesa indulgenza del governo, che distingue i muli del barone e del prete da quelli del borghese, mentre i dazieri sono in difficoltà nel distinguere la provenienza dei carichi, e mentre ugualmente i muli dei privilegiati e dei non privilegiati rovinano le strade, i ponti, i passaggi. Applicando correttamente le tasse, si ottengono somme considerevoli, tali comunque da consentire la costruzione di un nuovo porto nella città di Gallipoli, visto che l'insicurezza della rada, battuta dai venti, con ampio mare aperto, con correnti fortissime, può compromettere il buon nome dell'emporio marittimo. Il porto, com'è noto, non si fece. Sebbene Briganti avesse perorato la causa della sua città, sebbene avesse prospettato una serie di conti e di entrate che avrebbero facilitato la costruzione delle opere di riparo e di attracco, il Re non si impegnò, e la cosa finì nel nulla. Così Gallipoli continuò a decadere, anche a causa della concorrenza esercitata da altri scali marittimi, e soprattutto per la caduta di domanda dell'olio. Ne risentì l'intera economia salentina, ne risentirono le aree confinanti. Caddero i traffici con i Paesi dell'Europa del Nord (Inghilterra e Paesi Bassi in particolare), i quali si rivolsero altrove, e a mano a mano sostituirono l'olio d'oliva con quello di semi. L'industria olearia salentina passò alla fase discendente della parabola. L'"albero caro a tre religioni", l'ulivo, simbolo delle terre assetate, fonte di reddito che sembrava inesauribile, non fu più, da quel momento, emblema di ricchezza.

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