Dieci anni fa l'inizio della crisi




L. D. M.



Sono trascorsi dieci anni dal giorno in cui il presidente americano Nixon annunciò (era il 15 agosto 1971) la fine della convertibilità del dollaro in oro. Con questa decisione si è conclusa l'esperienza monetaria avviata con gli accordi di Bretton Woods, che ha giocato un ruolo di grande rilievo nello sviluppo del sistema economico occidentale. Il Gold Exchange Standard, così come è stato definito da questi accordi, è caratterizzato da rapporti di cambio fissi tra le diverse monete e il dollaro, che a sua volta mantiene una parità determinata con l'oro e può essere liberamente cambiato contro l'equivalente in oro.

Contraddizioni
Su questa base la ricostruzione postbellica avviene in un clima contrassegnato dal multilateralismo negli scambi e da una stabilità monetaria sostenuta dall'esistenza di un comune mezzo di pagamento, il dollaro garantito dall'oro, che mantiene parità fisse, anche se aggiustabili, nei confronti delle altre divise. Tutto ciò favorisce lo sviluppo del commercio internazionale e una estesa integrazione delle economie occidentali, che tendono poi a identificarsi nell'area del dollaro.
Ma il sistema di Bretton Woods è minato da una contraddizione interna. Nella misura in cui soltanto il dollaro viene utilizzato come mezzo di pagamento internazionale, la liquidità necessaria per finanziare un commercio mondiale in forte espansione può essere creata soltanto attraverso un continuo disavanzo della bilancia dei pagamenti americana.
In questo modo i mezzi di pagamento necessari non vengono a mancare, ma si accresce l'indebitamento sull'estero del sistema americano. Dato che il dollaro è liberamente convertibile in oro, l'aumento dei dollari detenuti dalle Banche Centrali non americane fa venire meno la garanzia di una assoluta copertura aurea del dollaro e quindi la fiducia che il dollaro sia in ogni caso "as good as gold".
D'altra parte, se gli Stati Uniti vogliono rafforzare il dollaro, debbono ridurre il disavanzo della bilancia dei pagamenti, ma in questo caso si contrae la liquidità internazionale e si limitano le possibilità di espansione dell'economia mondiale. E' questo il famoso "dilemma di Triffin", che esprime compiutamente l'alternativa senza sbocchi che contrassegna il sistema nato a Bretton Woods. Questa contraddizione è tuttavia la manifestazione esterna di un fenomeno più profondo. Il sistema monetario è governato in modo stabile dal dollaro nella misura in cui il mondo occidentale è governato politicamente dagli Stati Uniti. Ma l'egemonia americana, nel quadro dell'assetto bipolare del governo del mondo uscito dalla fine della seconda guerra mondiale, entra in crisi con l'emergere di una nuova potenza economica e commerciale europea di dimensioni continentali, resa possibile sul terreno monetario dall'esistenza del dollaro come mezzo di pagamento generalmente accettato. La crescita economica dell'Europa sostenuta dal processo di integrazione europea avviato dapprima nel settore del carbone e dell'acciaio ed esteso successivamente all'intera economia, mette in crisi il dollaro, in quanto anche la bilancia commerciale americana diventa passiva ed estende così in misura insostenibile il disavanzo di bilancio dei pagamenti per gli Stati Uniti, già gravato dall'enorme espansione delle spese militari americane all'estero.

Eccessiva liquidità
La crisi del dollaro, alla fine degli Anni Sessanta, accompagna il declino della leadership americana. Ma l'Europa, che grazie al miracolo economico sostenuto dal processo d'integrazione ha contribuito a generare questo declino, non è in grado di assumersi le sue responsabilità nel mondo, favorendo la nascita di un assetto di potere multipolare, in quanto non è stata capace di raggiungere lo stadio dell'unità politica. Da questa contraddizione ha origine la decisione del presidente Nixon che, sospendendo la convertibilità del dollaro in oro, cerca di riacquistare libertà di manovra per sostenere la leadership americana nel mondo.
Sul terreno monetario, il decennio che si conclude è quindi caratterizzato dalla fluttuazione dei cambi, che alimenta il diffondersi della stagflazione. Dopo la decisione dell'agosto 1971, gli Stati Uniti inondano gli altri Paesi occidentali di dollari inconvertibili, generando eccesso di liquidità, e di conseguenza inflazione. Nello stesso tempo, la debolezza del dollaro accentua le tensioni sui mercati delle materie prime, contribuendo a scatenare la crisi petrolifera. L'Europa si trova quindi stretta tra l'inflazione e la recessione, e ancora più grave si presenta la situazione per i Paesi del Terzo Mondo (e gravissima in quelli del cosiddetto "Quarto Mondo"). Ma la risposta europea a questa sfida è debole e frammentaria, perché la nascita del Sistema Monetario Europeo, pur rappresentando sicuramente una inversione di tendenza, non è sostenuta poi da un effettivo utilizzo dello "scudo" come mezzo di pagamento, che presuppone il passaggio alla seconda fase prevista dagli accordi di Bruxelles. E senza un rafforzamento dello "scudo" non è possibile avviare una efficace riforma del sistema monetario internazionale.

Europa divisa
Oggi la sfida viene rinnovata attraverso la politica aggressiva di Reagan, che mira a utilizzare la forza del dollaro, stimolata artificialmente attraverso rialzi eccessivi dei tassi d'interesse, per riaffermare la leadership americana nei confronti dell'Europa.
E di fronte a questa offensiva del dollaro, che rappresenta una minaccia mortale per l'economia europea, proprio l'Europa si presenta ancora una volta divisa, e di conseguenza impotente. Non vi può essere infatti una politica comune nei confronti del dollaro con nove monete spinte in senso divergente dall'andamento differenziato delle economie nazionali che le sostengono. Né, d'altra parte, pare sussistere una volontà politica adeguata alla gravità del momento, almeno stando all'atteggiamento assunto dai governi europei rispetto alle decisioni di politica militare di Reagan.
In realtà, dall'esito della partita che si gioca sul terreno monetario possono scaturire effetti politici rilevanti. Il rafforzamento dello "scudo", da cui deve emergere un sistema monetario internazionale fondato su un'altra moneta di riserva accanto al dollaro, non costituisce quindi soltanto un obiettivo per gli europei, ma può rappresentare il contributo decisivo dell'Europa alla costruzione di un assetto multipolare nel governo del mondo.


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