§ PROBLEMI DEL RISPARMIO

La grande frode




Cesare Zuppulli



La grande frode che si sta consumando, grazie all'inflazione, ai danni del risparmio finanziario delle famiglie, è misurata in una serie di tabelle e di grafici che corredano il rapporto della Commissione nominata il 2 febbraio 1981 dal Ministro del Tesoro e presieduta da Paolo Baffi, con l'incarico di studiare quali forme di difesa siano possibili contro questa specie di "usura alla rovescia": dov'è il debitore, e principalmente lo Stato, che lucra a spese del creditore.
A partire dal 1973, e con la sola eccezione dell'anno 1978, il tasso di rendimento reale dei titoli di Stato (interesse riscosso meno la variazione percentuale dell'indice del costo della vita) è stato costantemente negativo, comportando perdite del seguente ammontare:
- 1973 = 3,53 per cento;
- 1974 = 7,17 per cento;
- 1975 = 7,11 per cento;
- 1976 = 3,91 per cento;
- 1977 = 3,41 per cento.
Nel 1978 riaffiora un guadagno dello 0,74 per cento, ma nel 1979 si ritorna a una perdita del 2,56 per cento e, nel 1980, del 5,80 per cento, quale differenza fra un rendimento dei titoli del 15,30 per cento e un aumento del costo della vita del 21,10 per cento.
Chi, malgrado questa bella sequenza, si sia mantenuto fedele nell'impiego del risparmio ai titoli di Stato, ha visto ridursi, in termini di potere d'acquisto, il suo patrimonio da 100 lire del 1972 a 35,89 lire del 1980.
Si è operata per questa via una colossale ridistribuzione di ricchezza dai soggetti che, trovandosi a disporre di eccedenze finanziarie (le famiglie), potevano prestare ai soggetti in disavanzo: prevalentemente lo Stato, e, in parte assai più modesta, le imprese. Illustrando il fenomeno, il rapporto Baffi, cui non difettano in più punti severe considerazioni morali, fa proprio il concetto di "imposta di inflazione": non potendosi definire diversamente il trattamento riservato al risparmio, quando esso, precluso da altre forme di investimento o per la sua esiguità (che ne rende, per esempio, impossibile l'impiego in immobili) o per il divieto si sottoscrivere titoli esteri, debba di necessità optare per i titoli di Stato o, senza grande sollievo, per il deposito postale.
Sorvolando, per motivi di carità oppure perché non era nei fini dell'indagine, sull'uso che lo Stato ha fatto del gettito di questa "imposta di inflazione" (almeno in parte perdonabile, se fosse servita a promuovere l'economia e l'incivilimento del Paese), il rapporto di Paolo Baffi e dei suoi collaboratori indugia preliminarmente sugli effetti distorsivi che la vessazione del risparmio comporta: corsa verso le attività reali improduttive (come oro, preziosi, altri beni-rifugio e in buona misura la stessa proprietà immobiliare); crescente propensione verso gli impieghi finanziari a breve e brevissimo termine, con sacrificio degli investimenti fissi e, più in generale, del mercato a mediolungo termine; accentuazione della ricerca individuale di occupazione nel settore pubblico, in sé scarsamente produttivo ma giudicato stabile e sicuro quanto a reddito e ben garantito contro l'inflazione; ed infine richiesta da parte dei "prestatori" di garanzie sempre più severe contro il deterioramento monetario.
Ne deriva il quadro di una società spaventata, dove ognuno cerca (vanamente) una sua personale via di scampo, senza avvertire che soltanto la maggiore accumulazione, quando fosse destinata ad accrescere la produzione e l'occupazione e non a coprire i disavanzi correnti del settore pubblico e del settore privato, potrebbe venire a capo dell'inflazione aumentando l'offerta di beni. Ma a comportarsi in senso contrario, cioè ad impedire che il risparmio si trasformi in capitale e che questo sia ad alta redditività, è per primo lo Stato, che incetta risorse per il suo inesauribile fabbisogno corrente e improduttivo. E' il male della socialità o del "socialismo immorale", come talvolta l'abbiamo chiamato (ma questo il rapporto non lo dice), con le sue irresponsabili velleità ridistributive.
Per togliere il risparmio dal presente stato di ansia, il documento considera tre tipi di possibile indicizzazione: quella finanziaria, costituita da titoli a cedola variabile in funzione dell'andamento degli alti tassi di interesse nominali del mercato (è la formula che si diffonde di più, ma dà una copertura incompleta); quella reale, quando il valore capitale o l'interesse dei titoli siano agganciati agl'indici dei prezzi (i pochi esperimenti fatti riguardano il credito fondiario e garantiscono un adeguamento parziale, dal 50 al 75 per cento); infine quella valutaria, come nei pochi esempi che si hanno di aggancio alla ECU (unità monetaria europea) e dove la copertura è contro il rischio di variazioni del cambio e si limita al differenziale fra l'inflazione nazionale e quella dell'insieme di altre monete.
Il rapporto non si nasconde che l'emissione da parte dello Stato di titoli di rendita indicizzati può essere interpretata come un gesto di resa all'inflazione e quindi alimentare nuove e maggiori aspettative inflazionistiche. Tuttavia conclude che "non soltanto per la tutela degl'interessi dei risparmiatori, ma anche per il miglioramento delle prestazioni complessive del sistema economico", appare consigliabile far luogo:
- all'emissione di titoli di Stato a lungo termine, indicizzati, da collocarsi all'asta;
- all'istituzione di vitalizi indicizzati;
- all'indicizzazione dell'indennità di anzianità;
- all'offerta di obbligazioni indicizzate da emettersi contro mutui edilizi parimenti indicizzati.

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