Gli sprechi




Cesare Zuppulli



Il Parlamento è buono; raramente dice di no alla proposta di nuove o maggiori spese oppure di rinuncia a certe entrate. In una noticina di undici pagine, il Ministro del Tesoro, avvalendosi dell'articolo 30 della legge 468/1978, ha spiegato alle Camere come, per effetto di varie generosità legislative, lo Stato abbia registrato nel primo semestre di quest'anno un vuoto di cassa (detto "il fabbisogno") doppio di quello del primo semestre del 1980: ventunomila miliardi contro diecimila 200, in cifre arrotondate. A questo conto disastroso hanno contribuito, insieme con le leggi allegre, anche le anticipazioni d'imposta (Irpef, Irpeg, Ilor, imposta sostitutiva sugl'interessi) reclamate dal fisco: e non è dato capire di che cosa ci si sorprenda oggi; dato che le tasse, se le riscuoti prima, non le riscuoti più dopo. E' la finanza della disperazione; si afferra tutto quello che si può, senza pensare al domani.
Ma quasi insieme con la citata noticina, il Ministro del Tesoro ha presentato alle Camere il disegno di legge per l'"assestamento" del bilancio statale 1981.Il documento, di 293 pagine, taglia senza cerimonie dalle spese del Tesoro 8.445 miliardi, alcune cancellandole ed altre rinviandole, con buona pace delle leggi che le approvano, inclusa fra tali leggi quella che, in aprile, approvò lo stesso bilancio. Il che induce a domandarsi quale senso abbia che il medesimo Ministro dia mano a redigere quel solenne preventivo, salvo a disfarlo in non piccola parte tre mesi dopo. Il Ministro obietterà che il grosso delle spese rivedute nell'"assestamento" non è cancellato, ma solo rinviato, e va ad accumularsi a quelli che si chiamano residui passivi o resti. Ma questi ormai hanno raggiunto una tale consistenza che, prima o poi, quando si deciderà di fare una finanza seria, converrà passarvi un colpo di spugna e non parlarne più. Furono intenzioni di spesa (la "competenza") frustrate dall'impossibilità di farvi fronte (la "cassa"). Ciò che scriviamo, sia ben chiaro, non vuol essere in nessun senso critico verso il Ministro del Tesoro. Ci dispiace per le tante opere idrauliche e idrogeologiche, per il bacino di carenaggio di Napoli, per la costruzione e ricostruzione di Chiese che verranno rimandati chissà a quando; ci dispiace un po' meno per il milione tolto agli "studi, indagini e rilevazioni" dell'Ufficio per l'organizzazione della Pubblica Amministrazione, o per il milione e mezzo tolto agli analoghi "studi, indagini, ecc." dell'Ufficio per i rapporti con il Parlamento. Ma ciò che disanima è proprio il vedere questo impegno di spigolatura fra inezie o il sacrificio di poste importanti (come la spesa per la ricerca), mentre restano intatti, monolitici, i grandi capitoli dello spreco statale. Primeggia, fra di essi, la spesa sociale con i suoi centomila miliardi (ma sono un po' di più). Chi avrà mai il coraggio di affondare le mani in questa colossale mangeria legale, grazie alla quale, se anche non faccio niente, a me, a mia moglie, ai miei figli spettano due milioni l'anno a testa? Chi oserà gettare alla carta straccia la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale? Chi ristabilirà il principio che chi vuole la previdenza deve pagarsela, perché l'economia non può resistere a un peso di cinquantunomila miliardi? Chi rifarà i conti di questa istruzione e di questa cultura che ne costano altri ventunomila?
Come abbiamo visto, e come il Ministro del Tesoro sta "praticando", la cassa è in grado di distruggere la competenza, vale a dire che gli stanziamenti di spesa, ancorché approvati solennemente per legge, possono essere ignorati dalla Tesoreria e non dar luogo ai pagamenti: ma questo, malauguratamente, può farsi per le spese d'investimento, per i contributi alla produzione, per le spese di funzionamento dell'Amministrazione; non può farsi per tutti gl'impegni legislativi che hanno creato aspettative o pretese individuali. In parole povere, si può rinviare la sistemazione idraulica dell'Adige o del Po, o rinunciarvi definitivamente; non si può fare a meno di pagare il raddoppio degli assegni familiari, l'aumento delle pensioni, la "quadrimestralizzazione" della scala mobile. Il bilancio dello Stato italiano non è da Paese industriale; è un bilancio da pezzenti, quale è stato costruito, posta su posta, dalla petulanza di partiti in cerca di clientele e di popolarità e dalla paura di governi illimitatamente disposti a pagare per sopravvivere. A questo punto è appena il caso di ricordare un'intelligenza precoce, quella di John Maynard Keynes, che esordi nel 1902 con un discorso pubblico di quattro minuti alla University Union Society di Cambridge, proprio per deplorare il governo dei partiti: essi - disse solo e semplicemente - sono portati ad anteporre al bene pubblico l'avidità di voti.

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