§ TRA INFLAZIONE E ASSISTENZIALISMO

Il male ingiusto




Franco Reviglio



Nei Paesi industriali sviluppati, la persistente inflazione rappresenta oggi il problema più grave, insieme all'insufficiente sviluppo economico e alla crescente disoccupazione. L'inflazione permane elevata dovunque. Solo recentemente è scesa, negli Stati Uniti, sotto il dieci per cento, mentre in Europa si è stabilizzata sui livelli della prima parte dell'anno. In Italia si è avuto qualche segno di rallentamento negli ultimi mesi, senza tuttavia apprezzabili prospettive di rallentamento nei mesi prossimi a causa degli effetti, che devono ancora scaricarsi, dell'apprezzamento del dollaro.
Poiché il 1982 erediterà dal 1981 un effetto di trascinamento di circa dieci punti di inflazione, sembra oltremodo difficile raggiungere un tasso di inflazione sostanzialmente diverso da quello medio dell'anno trascorso, naturalmente se non si provvederà con significativi interventi correttivi.
Le nostre autorità assegnano alla lotta all'inflazione il ruolo prioritario nella politica economica. Questa scelta politica è giusta, non solo perché l'inflazione genera iniquità distributive e distorsioni nell'impiego delle risorse, ma anche, e forse soprattutto, perché l'esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che nessuno dei due maggiori problemi dell'economia contemporanea - il ristagno produttivo e la disoccupazione - possono essere risolti, se il processo inflazionistico non viene posto sotto controllo.
E' scontato che, nel breve periodo, una politica monetaria antinflazionistica, e quindi restrittiva, determina una riduzione del livello dell'attività economica e dell'occupazione, e che tale riduzione è un effetto inevitabile della manovra di aggiustamento antinflazione. Ma nello stesso tempo si è consapevoli che l'intensità e la durata della diminuzione, e la stessa efficacia antinflazionistica della manovra restrittiva, dipendono dalla capacità di attivare le altre azioni di politica economica.
La rinuncia da tali azioni (o l'insuccesso delle stesse) può condurre la lotta all'inflazione mediante lo strumento della restrizione monetaria al fallimento, perché al sistema economico-sociale, riuscirebbe insopportabile il sottoimpiego delle risorse per il tempo, troppo lungo, necessario per il successo dell'azione antinflazionistica con il solo strumento monetario. E' bene dire, a tutte lettere, che il ricorso esclusivo ad una politica monetaria restrittiva significa, di fatto, la rinuncia a conseguire un effetto apprezzabile e duraturo sul tasso di aumento dei prezzi.
L'incapacità di ridurre il disavanzo pubblico può condurre le autorità a far cadere l'intero costo dell'aggiustamento sul senso produttivo, e in primo luogo sugli investimenti delle imprese, compromettendo così la ristrutturazione dell'offerta futura e, quindi, il potenziale di crescita e le possibilità di riassorbire la disoccupazione. Tale ristrutturazione rappresenta il solo modo con cui i Paesi consumatori di petrolio possono neutralizzare i costi del rincaro di questa materia prima. Essa deve pertanto essere l'obiettivo centrale delle strategie di governo, non solo mediante la riduzione del disavanzo pubblico e la riqualificazione della spesa pubblica, ma anche attraverso iniziative in grado di accrescere la mobilità del lavoro e la produttività.
Nei Paesi della Comunità Economica Europea è, ovunque, in aumento il tasso di disoccupazione. Da sei milioni, a fine '79, si è passati a nove milioni a metà 1981, e con le tendenze attuali si arriverà a dodici milioni alla fine del 1982. In Italia si è superato il tetto di due milioni di disoccupati, pari all'8,6 per cento (7,7 per cento a metà 1980) della forza-lavoro occupata, a fronte dell'8,1 della Comunità. Ma il problema della disoccupazione in Italia è più grave di quanto appaia dai confronti internazionali, perché il nostro tasso di attività (ovvero la popolazione attiva) è più basso di quello europeo (ventisei per cento della popolazione, contro il trentuno per cento della CEE), perché nel volume registrato dalla disoccupazione è esclusa la Cassa Integrazione, e perché tre quarti dei disoccupati sono giovani (sotto i ventinove anni).
La terapia non può essere ricercata in ulteriori interventi assistenziali attraverso la spesa pubblica. Gli interventi con gli esistenti ammortizzatori sociali, anche se necessari per attenuare le tensioni sociali, non possono essere ulteriormente estesi, perché accrescerebbero il disavanzo e non inciderebbero sulle cause del fenomeno, sottraendo preziose risorse all'azione di risanamento.
Se si accetta che la ristrutturazione del sistema produttivo è l'unica strada percorribile per uscire, nel medio periodo, dal ristagno produttivo e dalla disoccupazione, allora la vera sfida per tutti è la coerenza nella lotta all'inflazione, e in particolare la consapevolezza che sono e saranno necessari ampi trasferimenti di occupazione da settore a settore e da impresa ad impresa, e quindi estese riqualificazioni professionali. L'aumento degli investimenti produttivi è necessario, ma non risolve interamente i nostri problemi, perché il processo di innovazione degli impianti e dei prodotti purtroppo in molti casi espelle occupazione.
Una politica di sviluppo a medio termine con una riqualificazione della spesa pubblica per la creazione di nuove attività deve essere accompagnata da una crescita della mobilità del lavoro e da un allentamento delle rigidità. Allo scopo, servono nuove politiche dell'istruzione e della casa aggiustamenti degli interventi di assistenza ai disoccupati e una riorganizzazione del mercato del lavoro che punti ad adeguare l'offerta di lavoro alle trasformazioni della domanda. Come queste azioni possano svilupparsi è problema aperto. Vogliamo avvicinarci ad esso senza pregiudizi, consapevoli che certe idee "vecchie" non servono più?

Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000