Steccati infranti




Giuseppe Galasso



Anche la nuova enciclica pontificia si contraddistingue per un carattere che i documenti del magistero pontificio hanno assunto in maniera sempre più evidente, almeno a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento in poi.
Si tratta di documenti in cui i maggiori problemi del mondo contemporaneo (dalla "questione sociale" alla limitazione delle nascite, dalla libertà politica alle comunicazioni di massa e così via) sono affrontati specialmente sulla base, come è ovvio e naturale che sia, della morale cristiana. Di questa morale la Chiesa cattolica è ancor oggi non solo fra gli interpreti più autorevoli, ma anche il massimo centro organizzato di elaborazione e il soggetto storico di più antica e di più continua tradizione. La sua autorevolezza, fondata per i fedeli sulla dottrina cattolica, si sposa poi per essi e per i non cattolici alla forza di una riflessione che tesse i suoi fili su un arco abbondantemente plurisecolare e che, perciò, porta nella considerazione dei problemi una capacità non comune di superamento di ciò che è troppo immediato e contingente e che spesso distorce il giudizio politico, così come il giudizio morale e le elaborazioni dottrinarie. E questa è certamente una grande ragione di forza in un secolo "ideologico" come il nostro, nel quale la corsa all'ideologia si è fatta spesso frenetica e si sono viste e si vedono spuntare teorie e dottrine, specialmente in materia politica e sociale, con un facilismo direttamente proporzionale alla loro fragilità, e in cui, almeno in Occidente, si annaspa talora a riscoprire antiche "saggezze" che sicuramente sono più e non meno problematiche e aleatorie di quelle europee.
Se, poi, a tutto ciò, si aggiunge la vastità dell'ascolto che il messaggio pontificio riceve per il numero dei fedeli e per la loro distribuzione in tutto il mondo, si può ben capire l'eco che ogni volta le encicliche ricevono sia fra cattolici sia al di fuori di essi, e che anche la "Laborem exercens" ha larghissimamente ricevuto.
Ciò premesso, la nuova enciclica presenta anch'essa la caratteristica alla quale accennavamo come ormai consueta in questo tipo di documento. Anch'essa, infatti, tratta i problemi di cui si occupa nella chiave della morale cristiana, ma in una prospettiva fortemente incentrata sui termini umani e storici delle questioni affrontate. Il discorso escatologico, la preoccupazione cioè di riferire
Tutto alla prospettiva ultraterrena, con una fondamentale sottovalutazione dell'esperienza mondana, considerata unicamente in un significato di "passaggio" e di "prova" in vista di un giudizio finale, appare ormai lontana dalla prospettiva della Chiesa: della Chiesa - ovviamente - in quanto protagonista della vita sociale e civile, e non già della Chiesa in quanto istituzione della fede cattolica, per la quale è naturale che la prospettiva oltremondana conservi, invece, tutta la sua centralità, almeno sul piano dottrinario.
Questo elemento non può che rallegrare cattolici e non cattolici. Nell'età moderna il riferimento al "giudizio ultimo", al "premio" o al "castigo" eterno, che si sarebbero ricevuti alla fine, si era trasformato largamente da elemento drammatico e profondamente religioso in una assai più banale teoria della "rassegnazione" ai "mali" e alle "sofferenze" sperimentabili nel mondo, come prova di coscienza cristiana rimessa alla volontà divina. Ma la rassegnazione serviva poi in qualche modo al sostegno dell'ordine costituito (e ai privilegi della Chiesa in tale quadro), mentre i premi e i castighi ultraterreni assumevano largamente la fisionomia di mezzi di seduzione o di terrore per ottenere comportamenti che si definivano o si ritenevano cristiani, senza troppo preoccuparsi della loro maturazione in intime convinzioni della coscienza.
Nel corso di un secolo, la Chiesa ha profondamente depurato il magistero, che essa rivendica nella vita sociale e nella vita civile, di queste dimensioni, per cui non le erano mancati, nel corso degli ultimi secoli, attacchi e imputazioni, spesso ragionati e difficilmente controvertibili. Il suo discorso fa riferimento in maniera praticamente esclusiva (e tranne eccezioni che si possono agevolmente spiegare caso per caso) alla realtà dei grandi problemi affrontati in tutta la pienezza e l'essenza del loro rilievo storico.
Da discorso confessionale, quello della Chiesa è diventato, così, sempre più spesso un discorso generalmente umano. Rispetto alla sua dimensione più strettamente religiosa, essa vi ha sviluppato maggiormente la sua dimensione umana e umanistica. Perciò ha preso e prende sempre più rilievo ciò che nella tradizione europea è origine, percorso, méta comune della cultura e dello spirito laici e di quelli cristiani. Gli "storici steccati" tra laicismo e confessionalismo sono caduti e continuano a cadere anche molto per questa via, che di fatto, senza grandi dichiarazioni di principio e col semplice tono impresso alle sue prese di posizione rispetto ai grandi problemi del mondo contemporaneo, ha fatto uscire la Chiesa cattolica dalla posizione di isolamento e di emarginazione alla quale appariva in parte destinarsi e in parte destinata cent'anni or sono.

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