Il "Monacieddu", bizzarro folletto salentino




Daniela Romano



"L'aria su queste terre deserte, e fra queste capanne, è tutta piena di spiriti", leggiamo in quello che Rocco Scotellaro definì "il più appassionante e crudele memoriale dei nostri paesi", Cristo si è fermato ad Eboli.
E' la stessa "atmosfera numinosa", che Carlo Levi respirava a Galliano, la ritroviamo nelle nostre terre.
Il buon popolano attribuisce alla famiglia degli spiriti tutto ciò che colpisce la sua fantasia e che non riesce a spiegare: il sibilo del vento diventa il lamento di un'anima dannata, il fenomeno dei miraggio la fata morgana. Se poi lo stalliere trova arruffata la criniera del cavallo, se la tessitrice trova sfilato l'ordito, se qualcuno smarrisce un oggetto, se una fanciulla deve giustificare al futuro sposo la perduta verginità, è colpa del monacieddu. Se un uomo si arricchisce improvvisamente, "è 'rriatu lu monacieddu".
Uno spiritello che vaga dappertutto perché nessun luogo gli è assegnato come stanza, ma si trova nelle stalle, nelle case, nei cortili e anche sottoterra.
"I monachicchi (così sono chiamati in Basilicata) sono gli spiriti dei bambini morti senza battesimo" continua Levi (cit, ed. Mondadori, Milano, 1974, p. 127). "Ce ne sono moltissimi qui, dove i contadini tardano spesso molti anni a battezzare i propri figli". La tradizione popolare non si accontenta di questa interpretazione e il folletto diviene, nei diversi paesi, "un buon diavoletto, buono per così dire, e per distinguerlo dagli altri compagni, de' quali non ebbe il castigo di essere precipitato da Dio nell'abisso come angelo ribelle, né la potenza e il genio malefico" (Pitrè, Usi e Costumi, Credenze e Pregiudizi dei popolo sicialiano, Bologna, 1969, vol. N, p. 68) o ancora un angelo che, giunto in ritardo alle porte del Paradiso, ne venne escluso per sempre e ora spazia nel mondo dando briglie a noi in mille modi, ma è condannato a lasciare ogni cosa al suo posto. In alcune zone si ritiene addirittura che le gocce di sangue di un ferito, cadute a terra, si trasformino in folletti che tormenteranno per sempre il feritore e la sua famiglia.
Il suo carattere, la sua fisionomia, quale si ricostruisce con gli elementi offerti dalla tradizione popolare, è di essere uno spiritello malizioso, familiare, che, quasi misteriosamente, si immischia con le faccende più volgari della vita e si diverte ad intralciare l'opera di chi lavora: le sue beffe non sono dannose, benché i suoi scherzi siano talvolta crudeli.
A Matino, tal Vito De Pascali, che lavorava in un trappitu (frantoio) quale sorvegliante, avvistò di notte il monacieddu che trasportava l'olio da uno zinnu di proprietà di un agricoltore a quello del fratello di lui, un prete. Il sorvegliante, atterrito da quella visione e dal bagliore che emanavano gli occhi del folletto, si ammalò e non riusciva a spiegare chi fosse l'autore del furto, poiché, quando stava per pronunciare la parola lu monacieddu, veniva colto da intensi brividi. Il pover'uomo si rimise solo quando il prete ebbe restituito al legittimo proprietario, il fratello agricoltore, la quantità d'olio a lui sottratta dal monacieddu.
Ancora si racconta che a Tricase, nelle vicinanze di una chiesa sconsacrata, la Chiesa dei Diavoli, che la tradizione locale vuole costruita dai diavoli in una sola notte, un bovaro fu talmente spaventato dall'apparizione di un monacieddu che tentava di aggrapparsi al suo cavallo, da essere colpito da infarto. I contadini, i quali credono seriamente nel monacieddu, non sentono per esso quel terrore che invece incutono loro le streghe, i mostri, il diavolo. Il monacieddu è la personificazione della .eterna giovinezza dello spirito che si esprime nelle burle, nei dispetti, nell'amore per la musica e per la danza: e infatti ad esso sono legate delle storie divertenti.
Un giovane di S. Eufemia, Emanuele Chiuri, mi raccontava che sua nonna fu talmente perseguitata dagli scherzi dei monacieddu da essere costretta a cambiare casa, per non essere molestata. Quando finalmente il trasloco fu ultimato e la donna stava per dare l'addio alla vecchia casa, vide il monacieddu che, tutto festoso, saltellando con la scopa in mano, gridava "Sta' cangiamu casa, sta' cangiamu casa!" (Stiamo cambiando casa!).
Questi esseri piccolissimi, allegri, aerei (per questo differenti dagli gnomi che sono più legati alla materia), per il loro carattere agreste, innocuo, boschereccio, per la loro lascivia, per la loro saltellante e giocosa bizzarria, si avvicinano alla figura romana di Silvanus. Il posto che nelle tradizioni antiche era occupato dai Jeoi efestioi e dai Lares, protettori della realtà sacra e rassicurante della casa, è da noi occupato dal lauru (così chiamato a Lecce), la cui origine potrebbe pure derivare dal greco laura , il monastero bizantino. E ciò si spiegherebbe sia con la presenza, nelle nostre terre, di monaci bizantini nel periodo della lotta iconoclasta sia con il fatto che il lauru diventa, nel basso Salento, il monacieddu.
Bizzarro, spiritoso, capriccioso, esso si diverte a far perdere la pazienza a una devota che recita il rosario interrompendoglielo con chiamate indiscrete; a una signora che non trova, mentre si veste, un oggetto pur testé preparato; a una massaia che corre ad aprire l'uscio pel campanello che ha sentito suonare, a fare smarrire la strada a un viandante, ad un'intera famiglia la più pacifica di questo mondo. Egli sembra insofferente di quiete, si muove, si agita, cammina, corre, vola, saltella, ride sgangheratamente e ride di aver riso. Protrae l'eco di un canto e lo guasta con isguaiata nota; sussurra parole intelligibili, ma se parla balbutisce e non sa pronunziare la r, stride, sbraita" (Pitrè, cit., p. 69).
D'altra parte la fantastica capricciosità di questo folletto, che altro non è che il Farfarello dantesco (Inf., XXI, 123), non è ignota alla più illustre tradizione letteraria, da Shakespeare - che con la figura del folletto Ariele, che in The Tempest suscita la tempesta per ordine di Prospero, e con quella di Berbino Buontempone in A Midsummer-Night's Dream creò una delle più alte rappresentazioni del genere - a Goethe, Dickens, lbsen, V. Hugo, S. Lagerlöf, C. Kingsley, M. Konopricka, J. M. Barrie, per finire ai nostri Gozzi (Zeim re dei Geni), Goldoni (il genio buono e il genio cattivo) e ancora Carlo Levi: "Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d'aria e fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudicino, tolgono le sedie di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come zanzare".
Tutto diverso dai malevoli ginn e gian musulmani, il monacieddu è, per certe sue debolezze, molto vicino al domovoj dei Russi: ama penetrare nelle stalle, specie di sabato, e traccia sicura del suo passaggio sono i crini intrecciati dei cavalli. Lasciando stare queste trecce, la bestia ingrassa e prospera; disfacendole intristisce, perde la sua virtù e forse anche perisce.
Tra le altre sue debolezze, quella di posarsi sul petto o sul ventre delle donne, ispirando loro sogni voluttuosi e procurando, facendo mancar loro il respiro, il cosiddetto incubo.
A questo proposito è curioso notare che incubo è detto dai francesi cauchemar e dagli inglesi nightmare, ricollegabili alla voce teutonica mara, diavolo, e che tra Rotzo e Roana c'è una valle soprannominata Marthal (cioè Valle dell'Incubo), perché ivi sarebbero ambientate alcune storie legate all'esistenza di un folletto colà conosciuto col nome di sanguanello.
Stratagemmi per stancarlo dal darci molestie? Nella Valsesia depongono una scodella di miglio; se il folletto vi inciampa, il dover riporre ogni grano del miglio nella scodella lo impazientirà a tal punto che non transiterà più in quel luogo.
Nel Vicentino gli abitanti formano sulla porta delle stalle il segno di Salomone, lo stesso scongiuro che i marinai usano, assieme al paternoster verde, per propiziarsi i venti; in Sicilia nascondono nel letto un ramo di alloro che sicuramente allontanerà il fuddettu; a Lucca contro il linchetto si usa mangiare pane e cacio.
Anche nel Salento abbiamo un modo per difenderci dai suoi scherzi, impadronirsi del suo talismano, il cappidduzzu; se riusciremo a strapparglielo, il monacieddu diventerà umile e sottomesso e prometterà ricchezza e fortuna in cambio del suo cappuccio rosso, talvolta più grande di lui.
Tampagni, sordi; sordi, tampagni, dicono i salentini, perché il folletto è dispettoso fino alla fine; chiedetegli coperchi di pentole e vi farà diventare ricchi, chiedetegli soldi e vi troverete con del coperchi.
"Per riavere il cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il monachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accompagnato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà, ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo berleffi e folli salti di gioia, e non manterrà la sua promessa". (Levi, cit., p. 128).
E' stato detto che i pregiudizi e le superstizioni impediscono ad un popolo di progredire. Ma è poi così grave se tra i sogni proibiti di ogni salentino v'è quello di togliere il cappidduzzu al monacieddu?

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